PARMENIDE

Parmenide

Parmenide nacque ad Elea, l’odierna Velia, in Campania, intorno al 540 a.C., ed ivi morì, non si sa bene quando, dopo avervi trascorso la vita intera ed avere acquisito benemerenze presso i concittadini, preparando per la città ottime leggi. Recentemente proprio a Velia è stato trovato un busto che lo ritrae: segno che era molto onorato. Secondo Platone e Aristotele, Parmenide fu scolaro di Senofane, secondo altri di un pitagorico, un certo Aminia: entrambe le notizie sono probabili anche se Parmenide manifestò un’originalità ed una potenza di pensiero indubbiamente superiori a quelle di tutti i suoi predecessori.

Platone, che gli ha intitolato uno dei suoi più importanti dialoghi e parla spesso di lui, lo ha chiamato «venerando e insieme terribile», e Aristotele, che pure ne parla a lungo, pur dissentendo radicalmente da lui, gli ha riconosciuto una grande capacità di penetrazione.

Parmenide scrisse in versi, come Senofane, un solo poema, intitolato tradizionalmente Sulla natura, che aveva fama di essere oscuro e del quale ci è pervenuto un centinaio di esametri.

Sulla natura

  • L’essere e il non essere
    Sulla natura, frr. 2; 6; 8

Fr. 2  Orbene io ti dirò e tu ascolta attentamente le mie parole,

quali vie di ricerca sono le sole pensabili:

l’una che è e che non è possibile che non sia,

è il sentiero della Persuasione (giacché questa tien dietro alla Verità);

l’altra che non è e che è necessario che non sia1,

questa io ti dichiaro che è un sentiero del tutto inindagabile:

perché il non essere né lo puoi pensare (non è infatti possibile),

né lo puoi esprimere 2.

Fr. 6  Bisogna che il dire e il pensare sia l’essere: è dato infatti essere,

mentre nulla non è; che è quanto ti ho costretto ad ammettere.

Da questa prima via di ricerca infatti 3,

eppoi inoltre da quella per la quale mortali che nulla sanno

vanno errando, gente dalla doppia testa. Perché è l’incapacità che nel loro

petto dirige l’errante mente; ed essi vengono trascinati

insieme sordi e ciechi, istupiditi, gente che non sa decidersi,

da cui l’essere e il non essere sono ritenuti identici

e non identici, per cui di tutte le cose reversibile è il cammino 4.

Fr. 8  Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero

né l’abitudine nata dalle molteplici esperienze ti costringa lungo questa via,

a usar l’occhio che non vede e l’udito che rimbomba di suoni illusori

e la lingua, ma giudica col raziocinio la pugnace disamina

che io ti espongo. Non resta ormai che pronunciarsi sulla via

che dice che è 5.  Lungo questa sono indizi

in gran numero. Essendo ingenerato è anche imperituro,

tutt’intero, unico, immobile e senza fine 6.

Non mai era né sarà, perché è ora tutt’insieme,

uno, continuo. Difatti quale origine gli vuoi cercare?

Come e donde il suo nascere? Dal non essere non ti permetterò né

di dirlo né di pensarlo. Infatti non si può né dire né pensare

ciò che non è. E quand’anche, quale necessità può aver spinto

lui, che comincia dal nulla, a nascere dopo o prima?

Di modo che è necessario o che sia del tutto o che non sia per nulla.

Giammai poi la forza della convinzione verace concederà che dall’essere

alcunché altro da lui nasca. Perciò né nascere

né perire gli ha permesso la giustizia disciogliendo i legami,

ma lo tien fermo. La cosa va giudicata in questi termini;

è o non è.  Si è giudicato dunque, come di necessità,

di lasciar andare l’una delle due vie come impensabile e inesprimibile (infatti non è la via vera) e che l’altra invece esiste ed è la via reale.

L’essere come potrebbe esistere nel futuro? In che modo mai sarebbe venuto all’esistenza?

Se fosse venuto all’esistenza non è e neppure se è per essere nel futuro.

In tal modo il nascere è spento e non c’è traccia del perire 7.

Neppure è divisibile, perché è tutto quanto uguale.

Né vi è in alcuna parte un di più di essere che possa impedirne la contiguità,

né un di meno, ma è tutto pieno di essere.

Per cui è tutto contiguo: difatti l’essere è a contatto con l’essere8.

Ma immobile nel limite di possenti legami

sta senza conoscere né principio né fine, dal momento che nascere e perire

sono stati risospinti ben lungi e li ha scacciati la convinzione verace 9.

E rimanendo identico nell’identico stato, sta in se stesso

e così rimane lì immobile; infatti la dominatrice Necessità

lo tiene nelle strettoie del limite che tutto intorno lo cinge:

perché bisogna che l’essere non sia incompiuto:

è infatti non manchevole: se lo fosse mancherebbe di tutto.

È la stessa cosa pensare e pensare che è:

perché senza l’essere, in ciò che è detto,

non troverai il pensare: null’altro infatti è o sarà,

eccetto l’essere, appunto perché la Moira lo forza

ad essere tutto intiero e immobile 10. Perciò saranno tutte parole,

quanto i mortali hanno stabilito, convinti che fosse vero:

nascere e perire, essere e non essere,

cambiamento di luogo e mutazione del brillante colore11.

Ma poiché vi è un limite estremo, è compiuto

da ogni lato, simile alla massa di ben rotonda sfera

di ugual forza dal centro in tutte le direzioni;

che egli infatti non sia né un po’ più grande né un po’ più debole qui o là è necessario.

Né infatti è possibile un non essere che gli impedisca di congiungersi

al suo simile, né c’è la possibilità che l’essere sia dell’essere

qui più là meno, perché è del tutto inviolabile.

Dal momento che è per ogni lato uguale, preme ugualmente nei limiti 12.

Con ciò interrompo il mio discorso degno di fede e i miei pensieri

intorno alla verità: da questo punto le opinioni dei mortali impara

a conoscere, ascoltando l’ingannevole andamento delle mie parole 13.

Perché i mortali furono del parere di nominare due forme,

una delle quali non dovevano – e in questo sono andati errati 14 –;

ne contrapposero gli aspetti e vi applicarono note

reciprocamente distinte: da un lato il fuoco etereo

che è dolce, leggerissimo, del tutto identico a se stesso,

ma non identico all’altro, e inoltre anche l’altro [lo posero] per sé

con caratteristiche opposte, [cioè] la notte senza luce, di aspetto denso e pesante 15.

Quest’ordinamento cosmico, apparente come esso è, io te lo espongo compiutamente,

cosicché non mai assolutamente qualche opinione dei mortali potrà superarti 16.

I Presocratici, Testimonianze e frammenti, Laterza, Roma-Bari 1981, vol. I, pp. 271-77 (trad. di P. Albertelli)

Note al testo

1. Come si vede, manca il soggetto delle espressioni «che è» e «che non è» (le parentesi uncinate racchiudono espressioni aggiunte al testo dall’editore o dal traduttore). Tra le diverse ipotesi che gli studiosi hanno formulato, le più note, oltre a quella per cui Parmenide avrebbe volutamente taciuto il soggetto, consistono nel considerare come soggetto l’essere o le vie stesse.
2. Sostenere che qualcosa «non è», significherebbe ammettere che si può pensare o dire il nulla. Ciò è tuttavia impossibile, perché equivarrebbe a non pensare o a non dire. Evidentemente qui i concetti di essere e non essere sono intesi in senso assoluto: «non è», infatti, non sta ad indicare il «non essere qualcosa», ossia essere qualcosa di diverso – come proporrà Platone –, ma proprio il «non essere affatto».
3. La dea dunque conferma che l’essere è e il nulla non è, e che questo è necessario che sia ammesso dal giovane. Non ha perciò senso che la stessa dea inviti il giovane a «tenersi lontano» da questa via: colmare una lacuna del testo greco – la cui presenza è resa evidente dalla metrica – con l’espressione «ti allontano» (èirgo), proposta da alcuni studiosi, non sembra in questo caso troppo opportuno, e forse è da preferire l’espressione «comincia» (àrxei), suggerita da altri.
4. Parmenide illustra qui le conseguenze inaccettabili a cui vanno incontro coloro che, non rispettando l’insegnamento della dea, ammettono non solo l’essere, ma anche il non essere, e sono perciò paragonabili a uomini con una «doppia testa». Pretendere dunque di seguire la via «impercorribile» significa cadere in una vera e propria contraddizione. Il cenno finale all’identità degli opposti e alla reversibilità del cammino sembra contenere un implicito riferimento alle dottrine di Eraclito (cfr. Frr. 59-60), e alcuni studiosi ritengono che ciò sia effettivamente possibile.
5. Rivelatasi impercorribile la via per cui, a causa anche dell’abitudine, si attribuisce realtà al non essere, Parmenide vede nella ragione l’unico mezzo che consente di percorrere la via della Verità, ossia quella «che è».
6. Sono qui elencati alcuni caratteri dell’essere sui quali si argomenterà nelle righe immediatamente successive.
7. Anzitutto l’essere non si è generato e non può perire, ossia è eterno. Infatti, se per esempio si fosse generato, avrebbe potuto generarsi o dal non essere o dall’essere. Ma dal non essere non sarebbe stato possibile, in quanto, appunto, questo non è. Se invece si fosse generato dall’essere, allora sarebbe stato già (essere).
8. L’essere è uno e tutto pieno, in quanto è indivisibile ed è essere nella stessa misura in ogni sua parte. Se infatti in qualche parte non vi fosse essere, questa sarebbe non essere, il quale però non è.
9. L’essere è immobile, perché, se non può né nascere né morire, significa che non è soggetto a mutamento.
10. L’essere è compiuto e limitato, cioè perfetto, come la ragione ci induce necessariamente ad ammettere (la Necessità). Esso infatti non può non essere finito, ossia mancare di qualcosa, perché è tutto essere.
11. I mortali usano molti nomi, e per di più opponendoli l’uno all’altro, per indicare quella che essi ritengono sia la realtà, senza rendersi conto che quest’ultima è invece sempre e solo l’essere.
12. Per il fatto di possedere tutti i caratteri appena discussi, l’essere per Parmenide rimanda all’immagine della sfera, che in effetti nel mondo greco rappresentava la compiutezza e la perfezione.
13. Parmenide ritiene di dover esaminare, oltre alla via della Verità, anche le opinioni dei mortali, le quali cercano di dare ragione dell’aspetto sensibile della realtà, ossia di come essa «appare». Se pertanto la dea fa notare che l’ordine delle sue parole è ingannevole, ciò va inteso non nel senso che ella voglia ingannare il giovane, bensì nel senso che il discorso che si appresta a fare non è più quello relativo all’essere, e perciò alla verità, ma a ciò che «appare» agli uomini, e perciò alla semplice opinione, nel qual caso ci si può anche ingannare.
14. Le due forme sono il fuoco e la notte, nominate subito sotto. Quanto all’errore commesso dai mortali, la traduzione qui citata segue una delle possibili interpretazioni del testo, per cui il fuoco sarebbe l’espressione sensibile dell’essere e la notte quella del non essere: da ciò consegue che, poiché il non essere non è, i mortali non avrebbero dovuto ammettere, accanto al fuoco, anche la notte. Le più recenti interpretazioni invece, tendenti a rivalutare l’opinione, e quindi la fisica parmenidea, ritengono che l’errore dei mortali consista nell’aver in qualche modo tenute «separate» le due forme, «l’unità delle quali non è necessario» (traduzione alternativa) secondo loro ammettere, laddove avrebbero dovuto accorgersi che, poiché il fuoco «è» e la notte «è», allora entrambi «sono», e ciò costituisce appunto la loro necessaria unità.
15. Fuoco e notte sono dunque le due forme che, secondo l’opinione, costituiscono i princìpi del mondo sensibile («ordinamento cosmico»), sia nel senso che ne sono la spiegazione, sia nel senso che ne sono gli elementi primi.
16. Parmenide ritiene dunque che la tesi appena citata sia l’opinione più alta che i mortali possano esprimere riguardo al mondo sensibile, e in quanto tale costituisce parte integrante della rivelazione della dea (il termine «apparente» traduce il greco eikòta, e dunque va inteso nel senso di «verosimile», cioè simile al vero).

DA: Alef Archivio Educazione Filosofica, Laterza.


4 pensieri riguardo “PARMENIDE

  1. Parmenide: L’Essere è
    Il non essere non è
    Da questa fondamentale asserzione ,secondo cui l’essere coincide con il pensabile e il non essere con l’impensabile e l’inesprimibile, si giunge all’asserzione che pensare e pensare che è sono indissolubili: infatti senza l’essere non è il pensare, senza il pensare non è l’essere
    Pensare e pensare che è trattano l’identico.
    Sono la stessa cosa.
    Da questo enunciato parmenideo Aristotele formulerà il principio di non contraddizione ,su cui fonderà la Logica.
    Queste tematiche mi hanno appassionato sin dai primi incontri con il pensare filosofico. Ogni filosofo dovrà fare i conti con questa nascita
    del pensiero e percorrere le tappe della sua evoluzione in se stesso,prima ancora che nei libri di storia della filosofia.Infatti la filosofia nasce dallo stupore che pone nell’essere la domanda.Ogni soggetto umano è potenzialmente filosofo. Questo evento del pensiero riguarda tutti .

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  2. tornare alle origini del pensiero greco. e dunque alla origine del vivente che comincia a pensarsi.
    questo per me sono i presocratici e in particolare Parmenide.
    E’ Emanuele Severino che mi accompagna giorno per giorno a questo estremo confine
    grazie per la tua lettura di queste oracolari parole
    ciao, grazie
    a rileggerti
    paolo

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  3. grazie dell’inserimento paolo e del commento di grazia in cui mi riconosco. io ho conosciuto parmenide con silvia montefoschi, poichè il suo pensiero parte dallo stesso assioma che l’essere è e il non essere non è, e che l’essere coincide col pensiero, cui attiene anche (nella montefoschi) il principio evolutivo che lo porta poi la essere ciò che è nel punto momento consapevole di sè. poi l’ho ritrovato anche in emanuele severino citato da paolo che ho approcciato dopo in ordine di tempo, col suo ritorno a parmenide come lotta di resistenza al nichilismo contemporaneo che ha ormai salde radici anche in filosofia. una cosa poi mi ha colpito del brano riportato, vi si dice a un certo punto: “perché è l’incapacità che nel loro petto dirige l’errante mente”, che mi fa pensare che anche in parmenide ci sia la cosapevolezza che la mente, forse non solo quella errante ma anche quella verace, sia governata dalla capacità del petto, ossia dalla forza cuore. ciao baldo

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