Paolo Ferrario, prove di SCRITTURA AUTOBIOGRAFICA: A PAOLA, 2017

Ricordi ?

Nel periodo fra l’inverno e la primavera del 2015 hai partecipato a un gruppo di autobiografia.

Già dal primo incontro hai imparato qualcosa che non sapevi: che costruire una propria autobiografia consiste, innanzitutto, provare a guardarti da fuori e a vederti come un personaggio che attraversa il suo ciclo di vita.

Era interessante quel gruppo di “allievi”: 12 uomini e 3 donne. Dicono sempre che è il contrario. Dicono che “le donne si raccontano di più”.

Hai anche letto la dispensa del docente è sei subita stata attirata dalla “autobiografia come patchwork”: Questo modo di rappresentarti ti ha tranquillizzata davanti alla paralisi della pagina bianca.

Allora: guardarsi da fuori e provare a concentrarsi sul carattere. Anzi, sugli aspetti più negativi del carattere.

Non è difficilissimo: Luciano, mio marito, è un perfetto aiuto per provare a “vedermi”. I suoi giudizi oscillano costantemente tra due poli. Quello positivo è nell’apprezzare le mie curiosità, la mia voglia di imparare sempre, le mie passioni letterarie e culturali. Apprezza perfino il fatto che mi piace il jazz: non appartengo dunque a quelle “donne che non capiscono il jazz” cantate da Paolo Conte.

Il polo negativo, a suo dire, consiste nel fatto che sono molto permalosa, più esattamente sono una che è capace di legarsela al dito per tutta la vita se qualcuno mi fa un torto o mi contraddice. Quando vuole andare sul tecnico, Luciano mi dice che sono una esperta della comunicazione “simmetrica”. La cosiddetta comunicazione complementare è quella basata sul “ma anche, ma forse, è vero ma …”. Quella simmetrica, invece, sfocia nel conflitto se non si condividono le stesse idee. Spesso Luciano mi sottolinea che sono pure esosa nel volere i complimenti.

A me non sembra di possedere tutte queste caratteristiche, ma probabilmente qualcosa di vero c’è, visto che una amica di università una volta mi ha detto che sono “fumantina”, ossia propensa ad accendermi.

La questione è allora qual è il mio carattere. James Hillman, un autore che amiamo entrambi, afferma che il carattere “conferma, anzi esalta ciò che è unico, singolare, strano”. Mi piace pensare il carattere come una scorza esterna della mia personalità. Voglio dire che la personalità è più ampia e profonda, è fatta di tante sfumature, mentre il carattere è ciò che appare, la scorza per l’appunto.

Tornando all’aspetto per il quale io sono una che se la lega al dito, mi vengono in mente due episodi che mi consentono di raccontare come io vedo da dentro la questione e come invece viene vista da fuori.

Ricordo vent’anni fa, quando eravamo a Carloforte, in Sardegna, con Luciano ed Enzo e Maria. Noi due stavamo insieme da più di una decina di anni. Come fosse oggi rivedo il tavolino, i pini e la vista sul mare. Improvvisamente la discussione finì sulle culture orientali. Enzo era uno per il quale tutto il meglio è da un’altra parte (Oriente), mentre tutto il peggio è da noi (Occidente). Disse che là, in India, i fachiri potevano stare sott’acqua senza respirare anche per intere ore. La mia obiezione era: “Guarda che è impossibile, ci sarà un trucco”. Ricordo, devo dire vagamente, gli sguardi di commiserazione, come se a essere fuori fosse io e non quel racconto. Quella volta neppure Luciano mi diede ragione. Probabilmente la pensava come me, ma non voleva attizzare conflitti. Ancora oggi credo che la frase giusta avrebbe dovuto essere: “E allora gli saranno cresciute le branchie”, ma davvero non penso proprio riuscii a proferire quella frase.

Ora il punto è: sono fumantina io che non sopporto argomentazioni del tipo “ci sono le scie chimiche” o sono fuori di testa loro che pretendono di costruire un mondo o una verità che non esiste.

L’altro ricordo si riferisce alle audiocassette. Per lungo tempo (almeno dieci anni) a Natale regalavo agli amici una raccolta di quelli che ritenevo essere i migliori pezzi musicali dell’anno. Era un lavoro che mi impegnava molto, sia nella scelta che nella produzione della cassetta. A un certo punto dovetti smettere proprio perché uno dei destinatari (per l’esattezza Enzo) disse che la qualità dei brani era veramente scadente. Insomma: prendevo l’iniziativa e dedicavo tempo a costruire una scelta musicale e me la smontavano.

Conclusione: probabilmente è vero che sono una “fumantina”. Tuttavia anche a distanza continua a sembrarmi di non avere ancora tutti i torti nel ricordare con una certa voglia di vendetta questi episodi.

Hillman dice che il carattere è sempre una rappresentazione della persona e che richiede un linguaggio descrittivo, come gli aggettivi “tirchio, acuto, saccente”.

Sì, forse io sono permalosa

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