La parola greca che traduciamo con “verità” è ‘alétheia’, che propriamente significa “il non nascondersi”, e pertanto il manifestarsi, l’apparire delle cose. Ma per il pensiero greco la verità non è soltanto’ alétheia’ (come invece ritiene Heidegger): la verità è l’apparire in cui ciò che appare è l’incontrovertibile, ossia ciò che, dice Aristotele, “non può stare altrimenti di come sta e si manifesta”. Questo “stare” in modo assoluto è espresso dalla filosofia greca con la parola ‘epistéme’, dove il tema ‘steme’ (dalla radice indoeuropea ‘sta’) indica appunto lo ‘stare’ di ciò che sta e che si impone ‘su’ (‘epi’) ogni forza che voglia negarlo, scuoterlo, abbatterlo. Ciò che non può stare altrimente è l’incontrovertibile, è come le cose stanno. L’esser esposti al poter essere altrimenti, cadendo, è il tremore del pensiero. Appunto per questo Parmenide dice che il “cuore” della vertà “non trema” – sebbene egli, che per un verso appartiene e inaugura la storia dell’epistéme, per altro verso sembra volgere lo sguardo verso un senso inaudito della verità, il senso che non appartiene alla storia dei “mortali”. Il cuore dei mortali, invece, trema di fronte alla sofferenza e alla morte. Platone e Aristotele chiamano ‘thauma’ questo tremore e vedono che da ‘thauma’, cioe dall’ “angosciato stupore”, nasce la filosofia: per essere sicuri della salvezza, non ci si può accontentare del mito e la volontà (thimòs, dice Parmenide all’inizio del Poema) si protende verso il “cuore non tremante della verità”.
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Il principio di non contraddizione, che domina l’intera storia dell’Occidente, afferma [ … ] che è necessario che gli enti siano enti, ‘quando essi sono’. ma che non è necessario che gli enti siano; il che significa che è necessario che gli enti siano stati niente, prima di essere, e tornino ad esser niente, dopo essere stati. Il principio di non contraddizione è cioè, insieme, l’affermazione che gli enti che si manifestano divengono, ossia escono dal niente e vi ritornano; e a sua volta il divenire, quale è inteso nel pensiero dell’Occidente, è insieme l’affermazione del principio di non contraddizione, ossia del principio per il quale è impossibile che, quando gli enti sono, siano niente, ma che è necessario che in un tempo diverso, gli enti siano stati e tornino ad essere niente. Nella forma teologico-metafisica dell’ ‘epistéme’ solo il divino è “sempre salvo” dal nulla (come dice Aristotele): nella distruzione di tale forma, e cioè nel pensiero della “morte di Dio”, ogni ente proviene dal niente ed è destinato a ritornarvi. Ma che gli enti in quanto enti escano dal niente e vi ritornino è la verità comune sia alla tradizione dell’Occidente, sia alla distruzione di tale tradizione.
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La presente relazione ha inteso offrire qualche premessa sui seguenti essenziali punti.
1) L’opposizione, certo radicale, tra concezione tradizionale e concezione attuale della verità è sottesa da un ‘comune’ e decisivo tratto di fondo.
2) Esso è portato alla luce dal pensiero filosofico, ma è l’ambito in cui cresce non solo la cultura, ma l’intera civiltà dell’Occidente e ormai del Pianeta.
3) Tale tratto è, da un lato, il carattere di incontrovertibilità della verità, dall’altro lato è l’affermazione della contingenza (precarietà, storicità, temporalità, divenir altro) delle cose del mondo, cioè il loro sporgere provvisoriamente dal niente.
4) Nella cultura occidentale, questo tratto comune è espresso dal “principio di non contraddizione”.
5) Ma questo tratto è anche l’alienazione più radicale della verità. Il “principio di non contraddizione” è cioè essenzialmente contraddittorio. Pensare che gli enti escono e ritornano nel nulla (e si tratta di comprendere che appunto questo è affermato dal “principio di non contraddizione”) significa pensare che gli enti in quanto enti sono niente. In ciò consiste il senso autentico del nichilismo. Si tratta allora di comprendere al di là del modo in cui la verità si è presentata storicamente, il senso non contraddittorio della non contraddizione.
6) L’alienazione della verità è il fondamento di ogni potenza e violenza (teologica, scientifica, morale, ecc.).
7) La non alienazione della verità è l’apparire dell’impossibilità che l’ente – un qualsiasi ente . non sia; è cioè l’apparire dell’eternità di ogni ente.
8) La non alienazione è, insieme, l’apparire della necessità che il variare del mondo sia il comparire e lo scomparire degli eterni.
9) Si invita al tema fondamentale, che però in questa relazione non può essere affrontato: in che senso la negazione della contraddizione non è un dogma dell’ente.
(Emanuele Severino, Discussioni intorno al senso della vertità, Edizioni ETS, Pisa 2009, pp.11 – 22).
Sorgente: Amici a cui piace Emanuele Severino, a cura di Vasco Ursini
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