da Iosif Brodskij, FONDAMENTA DEGLI INCURABILI, Adelphi 1989, pag.40 e pag. 29.
Le letture di Domenico Pelini sono tratte dal suo canale su Youtube
da Iosif Brodskij, FONDAMENTA DEGLI INCURABILI, Adelphi 1989, pag.40 e pag. 29.
Le letture di Domenico Pelini sono tratte dal suo canale su Youtube
Non conosciamo mai la nostra altezza
Finché non siamo chiamati ad alzarci.
E se siamo fedeli al nostro compito
Arriva al cielo la nostra statura.
L’eroismo che allora recitiamo
Sarebbe quotidiano, se noi stessi
Non c’incurvassimo di cubiti
Per la paura di essere dei re
Non potevo fermarmi per la Morte.
Essa, benigna si fermò per me.
Il carro noi due sole conteneva
e l’ Immortalità.
Era lento (la morte non ha fretta)
e dovetti riporre
il mio lavoro ed anche i miei trastulli
per quella visita.
Passammo oltre la scuola, dove bimbi facevano
la ricreazione, in cerchio;
ed oltre i campi d’attonito grano
e oltre il sole e il tramonto.
O piuttosto fu il sole che passò oltre di noi;
venne la guazza tremolante e fredda,
ché la mia gonna era garza sottile
e la mia mantellina solo tulle.
Sostammo ad una casa che sembrava
un rigonfio del suolo:
il suo tetto si distingueva appena;
per cornicione aveva poche zolle.
Sono passati secoli, ma ognuno
è più breve del giorno
in cui seppi che volte eran le teste
dei cavalli verso l’eternità.
Emily Dickinson
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Le cavalle che mi portano fin dove il mio desiderio vuol giungere,
mi accompagnarono, dopo che mi ebbero condotto e mi ebbero posto sulla via che dice molte cose,
che appartiene alla divinità e che porta per tutti i luoghi l’uomo che sa.
Là fui portato. Infatti, là mi portarono accorte cavalle tirando il mio carro, e fanciulle indicavano la via.
L’asse dei mozzi mandava un sibilo acuto,
infiammandosi – in quanto era premuto da due rotanti
cerchi da una parte e dall’altra –, quando affrettavano il corso nell’accompagnarmi,
le fanciulle Figlie del Sole, dopo aver lasciato le case della Notte,
verso la luce, togliendosi con le mani i veli dal capo.
Là è la porta dei sentieri della Notte e del Giorno,
con ai due estremi un architrave e una soglia di pietra;
e la porta, eretta nell’etere, è rinchiusa da grandi battenti.
Di questi, Giustizia, che molto punisce, tiene le chiavi che aprono e chiudono.
Le fanciulle, allora, rivolgendole soavi parole,
con accortezza la persuasero, affinché, per loro, la sbarra del chiavistello
senza indugiare togliesse dalla porta. E questa, subito aprendosi,
produsse una vasta apertura dei battenti, facendo ruotare
nei cardini, in senso inverso, i bronzei assi
fissati con chiodi e con borchie. Di là, subito, attraverso la porta,
diritto per la strada maestra le fanciulle guidarono carro e cavalle.
E la Dea di buon animo mi accolse, e con la sua mano la mia mano destra
prese, e incominciò a parlare cosí e mi disse:
“O giovane, tu che, compagno di immortali guidatrici,
con le cavalle che ti portano giungi alla nostra dimora,
rallegrati, poiché non un’infausta sorte ti ha condotto a percorrere
questo cammino – infatti esso è fuori dalla via battuta dagli uomini –,
ma legge divina e giustizia. Bisogna che tu tutto apprenda:
e il solido cuore della Verità ben rotonda
e le opinioni dei mortali, nelle quali non c’è una vera certezza.
Eppure anche questo imparerai: come le cose che appaiono
bisognava che veramente fossero, essendo tutte in ogni senso”.
Parmenide, SULLA NATURA, i frammenti
nella traduzione di Giovanni Reale