Categoria: Verità
EUGENIO MONTALE, La verità
La verità è nei rosicchiamenti
delle tarme e dei topi,
nella polvere ch’esce da cassettoni ammuffiti
e nelle croste dei “grana” stagionati.
La verità è la sedimentazione, il ristagno,
non la logorrea schifa dei dialettici.
È una tela di ragno, può durare,
non distruggetela con la scopa.
È beffa di scoliasti l’idea che tutto si muova,
l’idea che dopo un prima viene un dopo
fa acqua da tutte le parti. Salutiamo
gli inetti che non s’imbarcano. Si starà meglio
senza di loro, si starà anche peggio
ma si tirerà il fiato.
EMANUELE SEVERINO, IL TRAMONTO DEL SENSO DELL’ESSERE, estratto a cura di Vasco Ursini in Amici a cui piace Emanuele Severino
IL TRAMONTO DEL SENSO DELL’ESSERE
La storia della filosofia occidentale è la vicenda dell’alterazione e quindi della dimenticanza del senso dell’essere, inizialmente intravisto dal più antico pensiero dei Greci. E in questa vicenda la storia della metafisica è il luogo ove l’alterazione e la dimenticanza si fanno più difficili a scoprirsi: proprio perchè la metafisica si propone esplicitamente di svelare l’autentico senso dell’essere, e quindi richiama ed esaurisce l’attenzione sulle plausibilità con cui il senso alterato si impone. La storia della filosofia non è per questo un seguito di insuccessi: si deve dire piuttosto che gli sviluppi e le conquiste più preziose del filosofare si muovono all’interno di una comprensione inautentica dell’essere.
Ma queste espressioni alludono a qualcosa di radicalmente diverso dall’interpretazione heideggeriana della storia della filosofia occidentale. La diversità è radicale, perché anche il pensiero dello Heidegger è una sorta di alterazione, e non meno grave, del senso dell’essere. Per lui, la più antica filososofia greca intravvede l’essere come ‘presenza’, ossia come l’apertura o l’orizzonte entro cui può giungere a manifestazione ogni determinatezza dell’ente. Resta così invertita la direzione della storiografia idealistica, che vede invece nell’orizzonte – l’attualista direbbe: nel pensiero in atto – l’ultimo risultato dello sviluppo del sapere filosofico. Ciò che per l’idealista è il risultato, per lo Heidegger è al contrario l’inizio; lo sfolgorante inizio che ben presto impallidisce e lascia il campo alla mistificazione metafisico-teologica dell’essere, nella quale l’orizzonte di ogni apparizione dell’ente diventa un ente, sia pure l’ ‘Ens supremum das Seiendste’.
L’arbitrarietà dell’interpretazione heideggeriana è ormai fuori discussione: non già perché si debba tener fermo quell’altro dogmatismo, per il quale la filosofia greca sarebbe rimasta al di sotto della consapevolezza dell’orizzonte della presenza ( e cioè sarebbe rimasta in quella situazione in cui il pensiero vede l’essere, ma non vede se medesimo), ma perché è storicamente aberrante il tentativo di ravvisare nel primissimo pensiero greco l’identificazione del significato dell’ ‘essere’ e del significato della ‘presenza’. L’intreccio tra i due c’è indubbiamente, ma appunto per questo c’è insieme la differenza. Eppure è proprio nei pochi versi del poema di Parmenide che si nasconde la parola più essenziale e più dimenticata di tutto il nostro sapere. Per rintracciarla non si richiede quel sommovimento delle discipline filologiche, che la lettura heideggeriana pretende, ma un sommovimento ben più profondo e più arduo, quelo cioè che porta alla comprensione della forza invincibile di un discorso che da millenni è saputo e pronunciato, ma che, appunto non è più stato capito. Non si tratta allora di dare significati nuovi alle parole (quasi che riportando l’essere alla presenza ci si trovasse di fronte a qualcosa di più evedente dell’essere), ma di pensare quelli vecchi, ridestarli, e in questo senso, certamente, rinnovarli sino alle ultime sorgenti.
Le parole sono pur sempre queste, che in varie guise ritornano insistenti nel poema. Il gran segreto sta pur sempre in questa povera affermazione che “L’essere è, mentre il nulla non è”, nella quale non si indica semplicemente una proprietà, sia pure quella fondamentale, dell’essere, ma se ne indica il senso stesso: l’essere è appunto ciò che si oppone al nulla, è appunto questo opporsi. L’opposizione del positivo e del negativo è il grande tema della metafisica, ma esso vive in Parmenide con quella sconfinta pregnanza che il pensiero metafisico non saprà più penetrare.
(Emanuele Severino, Essenza del nichlismo, gli Adelphi , Milano 1995, pp. 19-20)
Sorgente: Amici a cui piace Emanuele Severino
EMANUELE SEVERINO: ‘alétheia’ e ‘epistéme’, dal gruppo Amici a cui piace Emanuele Severino, a cura di Vasco Ursini
La parola greca che traduciamo con “verità” è ‘alétheia’, che propriamente significa “il non nascondersi”, e pertanto il manifestarsi, l’apparire delle cose. Ma per il pensiero greco la verità non è soltanto’ alétheia’ (come invece ritiene Heidegger): la verità è l’apparire in cui ciò che appare è l’incontrovertibile, ossia ciò che, dice Aristotele, “non può stare altrimenti di come sta e si manifesta”. Questo “stare” in modo assoluto è espresso dalla filosofia greca con la parola ‘epistéme’, dove il tema ‘steme’ (dalla radice indoeuropea ‘sta’) indica appunto lo ‘stare’ di ciò che sta e che si impone ‘su’ (‘epi’) ogni forza che voglia negarlo, scuoterlo, abbatterlo. Ciò che non può stare altrimente è l’incontrovertibile, è come le cose stanno. L’esser esposti al poter essere altrimenti, cadendo, è il tremore del pensiero. Appunto per questo Parmenide dice che il “cuore” della vertà “non trema” – sebbene egli, che per un verso appartiene e inaugura la storia dell’epistéme, per altro verso sembra volgere lo sguardo verso un senso inaudito della verità, il senso che non appartiene alla storia dei “mortali”. Il cuore dei mortali, invece, trema di fronte alla sofferenza e alla morte. Platone e Aristotele chiamano ‘thauma’ questo tremore e vedono che da ‘thauma’, cioe dall’ “angosciato stupore”, nasce la filosofia: per essere sicuri della salvezza, non ci si può accontentare del mito e la volontà (thimòs, dice Parmenide all’inizio del Poema) si protende verso il “cuore non tremante della verità”.
[ … ]
Il principio di non contraddizione, che domina l’intera storia dell’Occidente, afferma [ … ] che è necessario che gli enti siano enti, ‘quando essi sono’. ma che non è necessario che gli enti siano; il che significa che è necessario che gli enti siano stati niente, prima di essere, e tornino ad esser niente, dopo essere stati. Il principio di non contraddizione è cioè, insieme, l’affermazione che gli enti che si manifestano divengono, ossia escono dal niente e vi ritornano; e a sua volta il divenire, quale è inteso nel pensiero dell’Occidente, è insieme l’affermazione del principio di non contraddizione, ossia del principio per il quale è impossibile che, quando gli enti sono, siano niente, ma che è necessario che in un tempo diverso, gli enti siano stati e tornino ad essere niente. Nella forma teologico-metafisica dell’ ‘epistéme’ solo il divino è “sempre salvo” dal nulla (come dice Aristotele): nella distruzione di tale forma, e cioè nel pensiero della “morte di Dio”, ogni ente proviene dal niente ed è destinato a ritornarvi. Ma che gli enti in quanto enti escano dal niente e vi ritornino è la verità comune sia alla tradizione dell’Occidente, sia alla distruzione di tale tradizione.
[ … ]
La presente relazione ha inteso offrire qualche premessa sui seguenti essenziali punti.
1) L’opposizione, certo radicale, tra concezione tradizionale e concezione attuale della verità è sottesa da un ‘comune’ e decisivo tratto di fondo.
2) Esso è portato alla luce dal pensiero filosofico, ma è l’ambito in cui cresce non solo la cultura, ma l’intera civiltà dell’Occidente e ormai del Pianeta.
3) Tale tratto è, da un lato, il carattere di incontrovertibilità della verità, dall’altro lato è l’affermazione della contingenza (precarietà, storicità, temporalità, divenir altro) delle cose del mondo, cioè il loro sporgere provvisoriamente dal niente.
4) Nella cultura occidentale, questo tratto comune è espresso dal “principio di non contraddizione”.
5) Ma questo tratto è anche l’alienazione più radicale della verità. Il “principio di non contraddizione” è cioè essenzialmente contraddittorio. Pensare che gli enti escono e ritornano nel nulla (e si tratta di comprendere che appunto questo è affermato dal “principio di non contraddizione”) significa pensare che gli enti in quanto enti sono niente. In ciò consiste il senso autentico del nichilismo. Si tratta allora di comprendere al di là del modo in cui la verità si è presentata storicamente, il senso non contraddittorio della non contraddizione.
6) L’alienazione della verità è il fondamento di ogni potenza e violenza (teologica, scientifica, morale, ecc.).
7) La non alienazione della verità è l’apparire dell’impossibilità che l’ente – un qualsiasi ente . non sia; è cioè l’apparire dell’eternità di ogni ente.
8) La non alienazione è, insieme, l’apparire della necessità che il variare del mondo sia il comparire e lo scomparire degli eterni.
9) Si invita al tema fondamentale, che però in questa relazione non può essere affrontato: in che senso la negazione della contraddizione non è un dogma dell’ente.
(Emanuele Severino, Discussioni intorno al senso della vertità, Edizioni ETS, Pisa 2009, pp.11 – 22).
Sorgente: Amici a cui piace Emanuele Severino, a cura di Vasco Ursini
un Eschilo che non solo coglie nel sapere dell’epistéme “un sapere che salva” dal dolore, ma soprattutto parla di Zeus non intendendo un dio mitico, bensì il Principio di tutte le cose | da Ritiri Filosofici
Il quadro che ne emerge parla di un Eschilo che non solo coglie nel sapere dell’epistéme “un sapere che salva” dal dolore, ma soprattutto parla di Zeus non intendendo un dio mitico, bensì il Principio di tutte le cose. Proprio qui risiede il cuore della sua ricchezza filosofica: nell’aver compreso come solo attraverso la sapienza l’essere umano può essere in grado di dominare il dolore, perché conosce la Verità del senso del Tutto. Solo il conoscere con verità infatti, cioè in maniera incontrovertibile, può costituire un rimedio reale all’angoscia e al dolore, e quindi permette di oltrepassare la dimensione del mito. Ma qual è questa “dimensione del mito”? La pregnanza del passaggio è decisiva: sebbene anche in campo mitico ci si muova alla ricerca di un rimedio al dolore, il senso essenziale e complessivo del mondo che esso rivela fa sempre capo alla divinità, cioè ad una forza suprema che l’uomo deve sconfiggere per poter affermare se stesso. Finché si è nel mito quindi, ci si muove nel campo della volontà, nel campo di rimedio al dolore illusorio perché non risolutivo, solo la conoscenza della verità inatti lo può salvare, solo questa può metterlo al riparo dall’annientamento.
da L’Orestea di Eschilo secondo Severino | Ritiri Filosofici.
filosofia: “l’aver cura della verità”», Emanuele Severino
in sophós, “sapiente” (su cui si costruisce il termine astratto sophía),
risuona come nell’aggettivo saphés (“chiaro”, “manifesto”, “evidente”, “vero”),
il senso di pháos, la “luce”,
allora “filosofia” significa […] “l’aver cura della verità”»
da E. Severino, La filosofia dai Greci al nostro tempo. La filosofia antica e medievale, BUR Milano 2010, p. 22
“cacciare il dolore con verità”, ESCHILO, tradotto da EMANUELE SEVERINO, in IL GIOGO, alle origini della ragione: Eschilo, Adelphi, 1989
Emanuele Severino, SUL SENSO DELLA VERITA’, da “Le cattedre di Sophia”, 17 maggio 2013, Auditorium di Loppiano – ore 18.00. AUDIO E VIDEO
da Le “Cattedre di Sophia”: http://www.iu-sophia.org/
Emanuele Severino
“Sul senso della verità”
17 maggio 2013
Auditorium di Loppiano – ore 18.00
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Biografia del professor Emanuele Severino
Figura eminente del panorama filosofico italiano, nasce il 26 gennaio 1929 a Brescia, si laurea a Pavia nel 1950 con Gustavo Bontadini, con una tesi su “Heidegger e la metafisica”.
L’anno successivo ottiene la libera docenza in filosofia teoretica.
Dal 1954 al 1970 insegna filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Dal 1970 è ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia dove è tra i fondatori della Facoltà di Lettere e Filosofia e direttore del Dipartimento di filosofia e teoria delle scienze fino al 1989.
Tra i suoi insegnamenti anche Logica, Storia della filosofia moderna e contemporanea e Sociologia.
Nel 2005 l’Università Ca’ Foscari di Venezia lo ha proclamato Professore emerito.
Attualmente insegna Ontologia fondamentale presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
È accademico dei Lincei e Cavaliere di Gran Croce.
Da alcuni decenni collabora con il Corriere della sera. Massimo Cacciari lo definisce “un gigante” del pensiero, l’unico filosofo che nel Novecento si possa mettere a confronto con Heidegger.
Tra le sue numerosissime opere: La struttura originaria (1957), Milano, 1981; Essenza del nichilismo, Milano, 1972; Gli abitatori del tempo, Roma, 1978; Legge e caso, Milano, 1979; Téchne. Le radici della violenza, Milano, 1979; Destino della necessità. Katà tò chreòn, Milano, 1980; La tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, 1988; Tautotes, Milano, 1995; Il destino della tecnica, Milano, 1998; La gloria, Milano, 2001; Oltrepassare, Milano, 2007; Intorno al senso del nulla, Milano, 2013.
Con il preside di Sophia, Piero Coda, ha scritto: La verità e il nulla. Il rischio della libertà, Milano, 2000; si veda anche: Massimo Donà, La libertà oltre il male. Dialoghi con Piero Coda ed Emanuele Severino, Roma, 2006.
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Biografia del Prof. Coda Piero
Preside e Prof. ordinario di Teologia sistematica
Titoli di studio conseguiti
– Laurea in Filosofia della Religione, nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Torino, il 7 dicembre 1978.
– Licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Lateranense, il 28 giugno 1983.
– Dottorato in Teologia, presso la Pontificia Università Lateranense, (Summa cum laude, 90/90), il 29 ottobre 1986.
Incarichi Accademici e Scientifici
– Ha partecipato in qualità di teologo all’Assemblea ecumenica di Basilea su “Pace, giustizia e salvaguardia del creato” del 1989 e di Graz su “Riconciliazione”. Dono di Dio, sorgente di vita nuova” del 1997, e in qualità di perito all’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Europa del 1991. È stato membro del gruppo di lavoro per la redazione del Libro Sinodale del Sinodo Diocesano di Roma e relatore generale del III Convegno nazionale della Chiesa in Italia nel 1995, a Palermo;
– dal 1995 è membro del Comitato di consulenza scientifica del Progetto Culturale presso la Conferenza Episcopale Italiana;
– dal 1996 al 2000 è stato membro del Segretariato per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza Episcopale Italiana e della Commissione Teologico-Storica del Grande Giubileo del 2000;
– dal 1996 è Consultore del Pontificio Consiglio per il Dialogo tra le Religioni;
– dal 1998 al 2003 è stato Direttore dell’Area Internazionale di Ricerca Sefir (Scienza e Fede nell’Interpretazione del Reale), presso l’Università Lateranense;
– dal 2000 al 2006 ha svolto l’ufficio di Vice-decano della Facoltà di Teologia dell’Università Lateranense;
– dal 2000 è Docente stabile per l’insegnamento di Dogmatica I (Il mistero di Dio Uno e Trino) nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” presso la Pontificia Università Lateranense;
– dal 2000 è Direttore dell’Istituto Superiore di Cultura “Sophia” del Movimento dei Focolari;
– dal 2003 è membro del Comitato scientifico della Cattedra “Gloria Crucis” presso la Pontificia Università Lateranense;
– dal 2004 è membro del Comitato scientifico per il progetto STOQ (Science, Theology and the Ontological Question);
– dal 2005 è membro del Comitato di Coordinamento per la Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa nel suo insieme;
– dal 2005 è membro del Consiglio Scientifico dell’Istituto della Enciclopedia Italiana;
– è membro del Comitato di Direzione delle riviste “PATH” della Pontificia Accademia di Teologia, “Lateranum” della Facoltà di Teologia dell’Università Lateranense, “Filosofia e Teologia”, “Nuova Umanità” e “La Sapienza della Croce”; e del comitato scientifico delle riviste “Dialoghi” (promossa dall’Azione Cattolica, in collaborazione con l’Istituto “Vittorio Bachelet” e l’Istituto “Paolo VI”), “Teologia” (Madrid), “Rivista Teologica di Lugano” (Lugano), “Soter” (della Facoltà Teologica dell’Università Vytautas Magnus a Kaunas, Lituania), “Il Pensiero. Rivista di filosofia” (Napoli); dell’International Advisory Board della rivista “Irish Theological Quarterly”;
– è membro del Consiglio scientifico dell’Associazione Centro Studi Piero Rossano; del Consiglio Scientifico dell’Istituto “Veritatis Splendor” della Diocesi di Bologna e del Centro Studi e della Scuola Abbà del Movimento dei Focolari;
– dirige le collane: “Teologia”, “Contributi di Teologia” e “Universitas” presso Città Nuova, “Scrittori di Dio” (con E. Guerriero) presso la San Paolo, “Koinonia” (con A. Giordano) presso Pazzini, “Saggi di Cristologia” (con C. Pagazzi e A. Cozzi) presso Cittadella Editrice.
alle origini della parola VERITA’, secondo Giovanni Semerano
Emanuele Severino, Verità e natura umana, Festival della filosofia 2011, Video e Audio
Emanuele Severino, intervento al convegno “I nemici della conoscenza: i saperi di fronte al relativismo”, tenutosi a Modena il 24 ottobre 2008, nella ricorrenza del ventesimo anniversario dalla fondazione dell’Istituto Filosofico Studi Tomistici
Emanuele Severino su: ESSENTI e ESSERE, il tragitto del LINGUAGGIO, strati dell’ESSERE ETERNO, CERCHIO e cerchi dell’APPARIRE, MITO E FILOSOFIA, VOLONTA’ e FEDE, VERITA’ e ABITATORI DEL TEMPO, intervista a cura di Alessandro Aleotti
Emanuele Severino, La verità nel pensiero greco
Emanuele Severino, Verità e relativismo, la sfida impossibile, in Corriere della Sera 25 maggio 2012
GLI ABITATORI DEL TEMPO, lezione del filosofo Emanuele Severino, al Teatro Sociale di Bergamo Alta, incontro organizzato e curato dalla associazione Noesis, 3 aprile 2012. AUDIO DELLA LEZIONE MAGISTRALE
martedì sera, 3 aprile 2012, ho avuto il grande privilegio di essere a Bergamo, ad ascoltare la sapienza filosofica che si esprime attraverso EMANUELE SEVERINO.
Ci sono filosofi che rendono chiaro il sentiero della storia che abbiamo imparato a conoscere nella nostra evoluzione culturale e personale.
Emanuele Severino fa un’altra cosa: spalanca la vista su una strada completamente nuova e diversa
Paolo Ferrario
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3 aprile 2012, ore 20.00, al Teatro Sociale, Città Alta
Emanuele Severino
GLI ABITATORI DEL TEMPO
Le nostre vite sono le più lunghe della storia dell’umanità e, tuttavia, nella nostra società il tempo non basta mai. Il filosofo Emanuele Severino ci porta in un viaggio non nel tempo, ma nel valore del tempo per gli uomini.
In collaborazione con il XIX Corso di Filosofia, promosso dall’Associazione Culturale Noesis.
VERBA MANENT vuole essere un appuntamento fisso di alto livello culturale che non disdegna, nel suo intento di divulgazione la partecipazione di personaggi noti anche ad un pubblico più popolare. Il programma è suddiviso in slots e verrà aggiornato durante il corso dell’anno
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Audio della lezione magistrale di Emanuele Severino:
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Qui in formato mp3: AbitareTempoBG-3apr2012.mp3
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Audio di una risposta ad una domanda
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Qui in formato mp3: AbitareTempoBG-3apr2012-2.mp3
il tema è: ABITATORI DEL TEMPO
sembra che ogni riflessione che non si riferisca ai problemi concreti in cui ci troviamo infastidisca.
Perchè viviamo dentro la crisi economica, la crisi demografica, la crisi ecologica, la crisi nucleare
Sembra che di fronte alla pericolosità e incertezza del mondo sia un lusso parlare di Tempo
D’altra parte l’incertezza e il pericolo del mondo bisogna guardarli in faccia, perchè non capiti che, non sapendo dove ci si trova, succeda come a quel tizio che, stando sulla barca e non sapendo dove si trova, scende nell’acqua per fare quattro passi ed annega.
E’ essenziale sapere DOVE ci troviamo
Soprattutto è essenziale capire il SENSO dell’incertezza e del pericolo in cui l’uomo in quanto tale si trova.
Perchè il tema gli ABITATORI DEL TEMPO?
Si abita un luogo quando si è protetti da quel luogo e, insieme, lo si protegge e se ne ha cura.
Abitare un luogo, una casa è esserne protetti e, insieme, averne cura.
E allora cosa vuol dire aver cura del tempo e essere protetti dal tempo?
Perché diciamo di “abitare il tempo”?
la risposta nella sua formulazione più semplice è che: Abitiamo il tempo per poter vivere.
Andiamo con la mente ai primi passi dell’uomo. Andiamo all’uomo dal punto di vista ontogenetico
Portiamoci agli inizi dell’esser uomo.
L’uomo arcaico ( e dunque ognuno di noi da quando gli è dato essere uomo) vive in una situazione in cui deve smuovere l’ambiente in cui vive.
Di questo possiamo fare esperienza anche noi. Se ci troviamo in situazioni in cui non possiamo smuovere nè la nostra volontà, nè il contesto da cui siamo circondati non riusciamo a vivere.
Vivere significa smuovere ciò che dapprima si crede inflessibile.
L’uomo arcaico dapprima si trova in un ambiente in cui c’è una barriera davanti a lui e dentro di lui che lo irrigidisce nella sua immobilità. E se non vuol morire deve smuovere e flettere l’immobilità da cui è circondato
Vivere è: flettere il proprio ambiente
Dunque c’è una prima forma di terrore per la barriera
Si vive solo se si flettono le barriere.
Questa opera di frazionamento non è soltanto una cosa che possiamo pensare in astratto
Per esempio il pensiero mitico raccoglie un’ampia serie di racconti nei queli il mondo esiste solo se un dio è smembrato
Solo se un dio è smembrato, se c’è questo sacrificio del dio può cominciare ad esistere il mondo.
Lo smembramento del dio corrisponde a ciò che ho chiamato “flessione dell’inflessibile”
Si trovano queste tracce nei miti del Pacifico (la dea Inuele- ?-), del Medio Oriente (kiamat) , dell’Egitto (Osiride), della Grecia ( Dioniso), dell’India (Purusha, Prajapati). Tutti dei che con il loro smembramento rendono possibile la vita dell’uomo
Ma nella nostra cultura c’è l’esempio più significativo: il sacrificio di Cristo. E’ vero che quando Cristo muore il mondo c’è già, però il mondo con quel sacrificio rinasce. e viene rifondato.
La vicenda cristologica riconduce anche al momento originario vetero testamentario: quello in cui il serpente tenta Adamo
“eritis sicut dii”, sarete come dei, se mangerete il frutto proibito
Ma cosa vuol dire essere come dio? vuoldire occupare il suo posto.
Significa detronizzarlo, comunque spartire con lui un regno in cui lui prima era il padrone, il controllore.
Allora il “mangiare il frutto” ha un significato profondo. Se mangiando il frutto che è stato proibito si è come dio e cioè si uccide dio, allora anche qui abbiamo l’esempio di un tentativo di smembramento che va per il momento a finir male, perchè dio lo punisce.
Ma poi il tentativo è ripreso dall’intervento di Cristo il quale, per iniziativa divina, rende l’uomo dio.
Tutto questo per richiamare che c’è un terrore iniziale per l’immobilità cui costringe la barriera che circonda l’uomo all’inizio della nostra storia. E per richiamare che c’è un terrore che scaturisce dalle conseguenze di questa decisione che ci consente di vivere e di sopravvivere.
Di nuovo: cosa c’entra l'”abitare il tempo”? Perchè abitare il tempo?
Abitiamo il tempo per vivere. Aristotele dice che il tempo è “il numero del movimento secondo il prima e il poi” (Aristotele, Fisica, D,10 e G,11). Il tempo è impensabile senza il movimento, senza il divenire che è appunto quel sommovimento, quello smuovere per cui l’uomo comincia a vivere vive solo se flette l’inflessibile.
Abitatori del tempo perchè se non si abita il tempo, pensano gli umani, si muore di fronte alle barriere.
E questo è il primo terrore: il terrore di morire perchè non si è in grado di smuovere il luogo in cui ci si trova.
Vedere l’inflessibile significa vedere la forma originaria del dio.
Proviamo a pensare se ci trovassimo di fronte a un cristallo non scalfibile: non sarebbe possibile alcuna azione.
Allora noi possiamo agire solo se lo frantumiamo, lo smembriamo.
Lo smembramento è ciò che nella definizione aristotelica si chiama DIVENIRE
Il divenire è la forma astratta dell’indicare tutte le situazioni estremamente concrete.
Ma c’è un seconda forma di angoscia da cui è preso l’uomo quando smembra il dio.
La prima è l’angoscia per non poter respirare.
La seconda è che, operando lo smembramento, si produce proprio quell’incertezza, qualla pericolosità che scaturisce dal divenire delle cose. Nascita, morte, insondabilità della nascita e della morte.
L’uomo per vivere smembra il dio, ma ottiene un ulteriore pericolo che è dato da ciò che egli con lo smembramento ha evocato: il fluire delle cose, fino a quello che Nietsche chiama il Caos.
C’è una parola interessante con la quale il pensiero indica questa seconda angoscia, l’angoscia per l’imprevedibilità del fluire delle cose.
THAUMA
Ha una gamma di significati straordinari.
Tradotta male con “meraviglia”.
Il significato vero è:
Angosciato terrore del divenire del mondo
Volevamo arrivare qui.
C’è un primo terrore perchè non si riesce a respirare. E’ il terrore provocato dall’inflessibile.
Ma poi c’è il secondo terrore: l’incertezza per la pericolosità del mondo.
E si procede dal terrorizzante e si cerca UN RIMEDIO a ciò che terrorizza.
Il mito: mithos vuol dire “parola”, “racconto” .
Il modo in cui i greci usano la parola mithos indica il racconto su come stanno le cose.
C’è la capacità del mito di indicare che di fronte al pericolo suscitato dallo smembramento si va alla ricerca di un rimedio che è indicato dalla parola sacrificio. Che non è il sacrificio del dio, ma è il sacrificio che l’uomo fa in quanto si sente colpevole dello smembramento, della uccisione del padre.
Il tema centrale della angoscia per la vendetta dell’antenato ucciso.
Il concetto che si fa avanti con il sacrificio ha a che fare con la necessità che l’uomo sente di ricostituire le fonti iniziali di potenza che egli ha dovuto smembrare per vivere.
Smembramento
Vita
Colpa
Sentirsi in debito
Rafforzamento della fonte che si è dovuto spezzare per poter vivere.
Stiamo parlando dei modi in cui l’uomo, per vivere, abita il tempo.
Quando si parla di RIMEDIO si intende ciò che consente di sopportare la seconda forma di angoscia, cioè Thauma.
I rimedi nella storia dell’uomo sono raccoglibil in alcuni pochi tratti:
– il racconto mitico
– il Logos, la Ragione
– la Tecnica
La vita è pericolosa, è’ insopportabile, è tragica per il suo fluire, per il suo divenire, per la sua temporalità, per la imprevedibilità del divenire.
Il rimedio, cioè ciò che consente di sopravvivere al Thauma angoscia del divenire, a sopportare l’imprevedibile
Il cristiano autentico è, dopotutto, in pace con se stesso e con le cose: “siamo nelle mani di dio”. Essere nelle mani di dio significa, sentirsi nelle mani di dio, significa avere dinanzi già tutto raccolto , tutto il futuro. Perchè tutto il futuro fa parte del materiale che è nelle mani di dio.
Quindi il dolore, l’angoscia, il pericolo del mondo è reso sopportabile da questo sue essere avvolto dal senso in cui l’uomo è riuscito ad ALLEARSI CON LA POTENZA SUPREMA
Smembramento, colpa, sacrificio: il mito aggiunge la categoria della previsione, che rende sopportabile il dolore.
due modi di abitare il tempo
1 pre- ontologico: non conoscenza delle parole essere e nulla
Il divenire e il tempo conducono nel nulla
2 ontologico
tre forme di rimedio
apparato mitico: vanno e ritornano
ma con il nulla il rimedio comincia ad essere pensato in modo ontologico
si comincia a morire di fronte al nulla
apparato razionale
apparato della scienza e tecnologia
il relativismo è una concezione debole
andare nel sottosuolo
morte di dio: è morto ogni limite
si ripropone il tema dello smembramento di dio
troppo poco il mito
da cui l’alleanza con dio
eschilo
se l’uomo è deicida
il dio è originariamente omicida
giovanni 8/44
la radice dell’omicidio:
fare andare nel nulla
spingere nel nulla da dove non si può tornare
persuasione che le cose siano nulla
dio come satana
dio è il primo tecnico
demiurgo
ergon azione
crazione ex nihilo et subiecti
far uscire dal nulla le cose e la materia
dio pensa la nullità del mondo
pensa la nostra nullità e quella delle cose
poiesis
tecnica la forma più radicale di
se perpetua la scarsità delle merci e si serve della tecnica
… indefinito della potenza
Tecnica deve eliminare la scarsità può farlo finchè non c’è un limite
Il capitale deve aumentare la scarsità
Paradiso della tecnica
Viviamo un periodo intermedio
Quando prevarrà la tecnica
Verso un tempo di benessere
Più cresce la felicità più temiamo di perderla
Ma la tecnica dice che sono un sapere probabilistico e ipotetico
Felicità senza sicurezza
Manca la verità della felicità
Quello sarà il tempo
Le stelle
Un senso diverso

Emanuele Severino parla della sua filosofia, dialogo con Armando Torno, Mendrisio (Svizzera), 25 gennaio 2012, incontro organizzato dalla Associazione Mendrisio MARIO LUZI poesia del mondo, AUDIO di 98 minuti
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fonte: Associazione Mendrisio Mario Luzi Poesia del Mondo
Mercoledì 25 gennaio 2012, ospite dell’Associazione Mendrisio Mario Luzi Poesia del Mondo, Emanuele Severino ha regalato perle del suo pensiero filosofico ai numerosi ospiti accorsi per l’occasione presso la sala del Museo d’Arte di Mendrisio. L’incontro, che si è svolto dalle ore 18:00 alle 20:00 circa, ha coinvolto anche i presenti in sala, alcuni dei quali hanno avuto il privilegio di potersi rivolgere direttamente all’illustre filosofo di Brescia.
Emanuele Severino, Sul “destino” della verità
Più specifici, meno divulgativi e trasmessi con un linguaggio più complesso, questi estratti provengono dalle lezioni universitarie di Severino e propongono passi importanti della sua riflessione filosofica.
Questo brano audio è tratto dal corso “Fede, volontà, destino” tenuto da Emanuele Severino nell’anno accademico 2005-2006 al S.Raffaele di Milano. (Ed.Mimesis)
Emanuele Severino, lezione su VERITA’ E NATURA UMANA, Festival della Filosofia, 18 settembre 2011
Emanuele Severino, RAGIONE, FEDE, VERITA’ (1h 09′) [“Abitatori del tempo” 2008, a cura di R. Lissoni], rintracciato in Filosofia.it
“Ragione, fede, verità” (1h 09′)
[“Abitatori del tempo” 2008, a cura di R. Lissoni]
Emanuele Severino parla del senso greco della “verità” analizzando le parole aletheia (ἀλήθεια) ed epistème (επιστήμη)
Emanuele Severino: … di tutte le cose è necessario dire che è impossibile che non siano, cioè è necessario affermare che tutte sono eterne | da Coatesa sul Lario e dintorni. Con commento di Grazia Apisa
… la follia essenziale si esprime nella persuasione che le cose escono e ritornano nel niente. Il mortale è appunto questa volontà che le cose siano un oscillare tra l’essere e il niente.
Al di fuori della follia essenziale, di tutte le cose è necessario dire che è impossibile che non siano, cioè è necessario affermare che tutte – dalle più umili e umbratili alle più nobili e grandi – tutte sono eterne.
Tutte, e non solo un dio, privilegiato rispetto ad esse.
…
se il divenire non appare come annientamento, ma come l’entrare e l’uscire delle cose dal cerchio dell’apparire, allora l’affermazione dell’eternità del tutto stabilisce la sorte di ciò che scompare: esso continua a esistere, eterno, come un sole dopo il tramonto.
Non solo la legna fiammeggiante, le braci, la cenere, il vento che le disperde sono eterni astri dell’essere che si succedono nel cerchio dell’apparire, ma anche tutte le fasi dell’albero che
nella valle ove fresca era la fonte/e il giovane verde dei cespugli/giocava al fianco delle calme rocce/e l’etere tra i rami traluceva/e quando intorno i fiori traboccavano (Holderlin),
hanno preceduto la legna tagliata per il fuoco.
Quando gli astri dell’essere escono dal cerchio dell’apparire, il destino della verità li ha già raggiunti e impedisce loro di diventare niente.
Appunto per questo essi – tutti – possono ritornare
Emanuele Severino
in La strada. La follia e la gioia (1983), Rizzoli Bur, 2008, p. 103-104
Enunciato che sta a fondamento dell’essere stesso.
Infatti nulla si crea , nulla si distrugge , ma ciò che è continua ad essere , pur nei suoi mutamenti naturali, inerenti la sua stessa essenza.
Pertanto si deve affermare che se qualcosa è , è per sempre, è eterna.
Sconcertante, reale, vera questa asserzione, sia sul piano della realtà, sia sul piano della logica, mi affascina soprattutto per il suo aspetto poetico; in tal senso poesia viene a coincidere con l’essenza stessa ,che proprio in quanto tale è eterna.
Mi piace l’idea che hai avuto, Paolo, di scrivere questo pensiero di Emanuele Severino sulla lavagna con il segno labile del gesso…quasi a sottolineare un contrasto o una sfida tra il senso che permane ed il mezzo impermanente.
EMANUELE SEVERINO e GIOVANNI REALE, coordina Armando Torno. Voci di filosofia: DIO, a cura della Fondazione Corriere della Sera, 28 Ottobre 2010
la discussione è stata coordinata da Armando Torno
il 28 ottobre 2010
da: http://video.corriere.it/voci-filosofia–dio/9f59f3cc-e10b-11df-b5a9-00144f02aabc
Grazia Apisa, “Dal presupposto parmenideo L’ESSERE E’ IL NON ESSERE NON E’ si giunge al riconoscimento che la verità abita la soggettività umana e che ciò che più propriamente definisce l’umano è di essere il luogo in cui la verità si manifesta.”
Caro Paolo,
qualche giorno fa avevo scritto un lungo commento su Abitatori del tempo,ma nell’inviarlo, mi è sparito e non sono più riuscita a ritrovarlo. Ora cerco di prendere qualche appunto dei pensieri che mi vengono in mente ,onde poter ricostruire lo scritto.
Qui la verità , non più abitatrice del tempo, fuori dell’uomo, lontana dall’uomo, viene invece riconosciuta nel LUOGO del suo darsi specifico : l’uomo , ciascun uomo. E’ senz’altro questo l’aspetto più significativo della trattazione. La riscoperta della soggettività come luogo privilegiato del dirsi dell’essere .
Dal presupposto parmenideo L’ESSERE E’ IL NON ESSERE NON E’ si giunge al riconoscimento che la verità abita la soggettività umana e che ciò che più propriamente definisce l’umano è di essere il luogo in cui la verità si manifesta.
Direi che ci troviamo davanti ad un salto conoscitivo,un vero salto di logica che restituisce all’uomo il suo esserci nell’universo, non più condizionato ad una trascendenza fuori di lui, bensì riconosciuta in lui stesso: Distanziandosi dalla visione di sé come “finitudine”, l’uomo accede all’infinito che riconosce in se stesso ,nel proprio essere: Noi siamo abitatori della verità e al contempo dell’infinito, dal momento che è in noi che l’infinito si sperimenta, si crea, si dice e si riconosce.
Carissimo Paolo ho condiviso in F.B. il link
Grazie per la tua attenzione
Grazia
Emanuele Severino, VERITA’ E TECNICA, lezione a Monza all’interno del ciclo ABITATORI DEL TEMPO, 18 Febbraio 2011, ore 21-23
LEZIONE DI EMANUELE SEVERINO SU: VERITA E TECNICA, Monza, Teatro Manzoni, 18 febbraio, ore 21
Ho registrato la lezione magistrale.
Puoi sentirla da qui:
Oppure fare download e sentirla in cuffia da un lettore
Lunga, lunga vita a Emanuele Severino , mediatore necessario verso gli Eterni.
Paolo Ferrario
Kevin Mulligan: ”Stolto chi non cerca la verità”
Mullingan ha esaminato una serie di valori estetici, etici e politici in grado di provocare reazioni: l’ingiustizia provoca indignazione, la perdita tristezza, lo scandalo vergogna, la presenza del nemico odio. E la falsità che tipo di reazione provoca? Qual è il valore che noi oggi diamo alla verità? Ci importa veramente inseguirla? Il filosofo attraverso le sue tesi è giunto a determinare la verità come il più discreto tra i valori, anche se la sensibilità delle persone in merito è molto ridotta. Mullingan ha poi aperto una discussione sul ruolo della stoltezza, definita come un vizio, un’abitudine da non confondere assolutamente con stupidità che è l’esatto contrario di intelligenza.
Stolto, secondo la sua teoria, è colui che vuole essere ammirato e lodato anche senza una giustificazione, colui che inganna se stesso, chi vive di risentimenti, chi non vuol riflettere e per questo si affida a parlare per luoghi comuni affermando banalità. La stoltezza insomma è il vizio che si mostra con l’indifferenza e l’ostilità verso i valori cognitivi. Poiché il pensiero postmodernista è caratterizzato da una posizione scettica per quanto riguarda il valore della verità, il professore è giunto ad affermare che il filosofo postmoderna dimostra di avere un atteggiamento stolto. Per chi fosse interessato, è possibile seguire le serate in diretta streaming su www.radiobinario7.it
Emanuele Severino: Che cos’è la verità?
C’è un modo di pensare la verità che non potrà mai condurre alla verità. Si dice che l’uomo cerca la verità: si pensa che la verità sia altrove, perché se la cerchiamo non è qui con noi. Allora ci mettiamo in cammino per cercarla. Questa è l’immagine che lei ha enunciato chiaramente: questa è l’immagine di tutta la tradizione occidentale, anche scientifica. Laggiù c’è la verità, e noi ci diamo da fare per raggiungerla. Magari possiamo, a questo proposito, usare una metafora evangelica, molto bella: ci mettiamo a “bussare alla porta della verità”.
Proviamo a riflettere su ciò che implica questa immagine del cammino che si deve percorrere per raggiungere la verità. Se io domando: questo cammino, che deve arrivare alla casa della verità, questo cammino è compiuto nella verità? Può esser compiuto questo cammino nella verità, se ci mettiamo, se partiamo dal principio che la verità sia laggiù, chiusa in una casa? Se la verità è chiusa là, il cammino percorso è nella non verità. Allora se bussiamo alla porta non ci sarà aperto.
Questo che cosa vuol dire? Che se noi ci mettiamo nella prospettiva dominante, in cui la verità è qualche cosa che va ricercato, accostato, a cui ci si debba avvicinare, noi non la troveremo mai. L’alternativa è incominciare a pensare alla verità come ciò in cui noi tutti, già da sempre, siamo. Nell’altro modo il discorso è chiuso, e non arriveremo mai ad una verità lontana.
….
L’intera intervista qui:
Verità
Fulvio Papi. Cinque scherzi filosofici (per tutti), Christian Marinotti editore, 2001
p. 63-101
Verità
Umberto Galimberti, Parole nomadi, Feltrinelli, 1994
p. 216-219
Verità
Salvatore Natoli, Dizionario dei vizi e delle virtù, Feltrinelli, 1996
p. 149-152
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