E’ considerato il fondatore del neoparmenidismo. Nella sua concezione filosofica l’essere non può finire nel nulla, perché eterno. La visione del nichilismo da lui intesa ha fatto scuola. Giustifica la condizione di subordinanza odierna dell’uomo alla tecnica come conseguenza della forza e dell’attualità della filosofia. Una condizione, a suo modo di intendere, irreversibile. Una “follia” di questi tempi, dice, destinata a durare negli anni. E quanto a Dio, come è comunemente inteso, nel suo pensiero non c’è posto. Stiamo parlando di Emanuele Severino, uno dei pensatori di spicco nel quadro filosofico della modernità.
Prof. Severino, perché la filosofia dovrebbe essere di grande attualità?
Fin dall’inizio della civiltà occidentale la filosofia porta alla luce i significati di fondo entro i quali si sviluppa ogni forma del pensiero e dell’agire umani. Il concetto di essere, di nulla, di divenire, di ente, di causa, di relazione e così via, restano definitivamente alla base di ciò che si andrà sviluppando come storia dell’occidente. Questo vuol dire che la dimensione aperta dal filosofare è sempre presente. E’ la circolazione sanguigna che ci tiene in vita, anche inconsapevolmente. Soprattutto la filosofia ha posto alla base del pensiero occidentale una determinazione di fondo: cioè che la trasformazione delle cose è il loro provenire dal nulla e andare nel nulla. Una cosa si trasforma se perde parte di ciò che essa è. Tale perdita vuol dire annullamento. Il concetto della trasformazione delle cose sostiene ogni ambito della cultura e della prassi della nostra civiltà. E’ l’aria che respiriamo e senza la quale non muoveremo un passo.
Il filosofare quindi chiarisce come tale trasformazione abbia senso solo se intesa come il non esser più e non essere ancora da parte delle cose del mondo, uomo compreso?
Questo è un primo significato di “attualità” della filosofia. Ma c’è un secondo aspetto che ci riguarda più da vicino. E’ quello per il quale la civiltà dell’occidente sta diventando la civiltà della tecnica. La tecnica tende a dominare forme di azione e di pensiero che sono apparse via via lungo la strada dell’occidente. Il cristianesimo, l’umanesimo, il comunismo e il capitalismo stesso, hanno inteso o intendono servirsi della tecnica per incrementare la loro forza. Il capitalismo si serve dell’operare tecnologico per incrementare il profitto. Il cristianesimo capisce che non può più svolgere un’attività di carità planetaria, senza un’organizzazione tecnica della carità.
La tecnica prospetta il suo
dominio sull’universo
Quindi, la conflittualità esistente tra queste forze fa sì che ognuna, per prevalere sull’altra, usi proprio la potenza della tecnica?
Esatto. Ma ancora, tale progressivo rafforzamento della tecnica fa sì che si riduca lo spazio disponibile per lo scopo che ognuna di queste forze intende raggiungere. Si sta arrivando a un punto in cui non si userà più la tecnica per realizzare un incremento indefinito del capitale, ma si userà il capitale per un incremento infinito delle potenzialità tecnologiche. In questa situazione la tecnica prospetta l’universo intero come dominabile da essa. Significa che la tecnica, rafforzando la propria potenza, non considera più come limiti invalicabili i valori proposti dalle forze tradizionali che intendono servirsi della tecnica. Essa progettando il dominio del mondo è convinta che non esista alcun limite al progressivo allargamento del regno da lei instaurato. Nella tradizione dell’occidente il limite di tutti i limiti è Dio. Ora, perché la tecnica possa operare incondizionatamente è necessario che alcun limite si possa frapporre a essa, Dio compreso. Certo, non si può dimostrare scientificamente che Dio è morto, occorre un sapere che dimostri l’inevitabilità della morte di Dio, e tale sapere ce lo offre proprio la filosofia degli ultimi due secoli, che aveva dichiarato la necessità della morte di Dio.
Significa che la tecnica può progettare il dominio totale solo se ascolta la voce della filosofia del nostro tempo.
L’attualità della filosofia è data dall’essere la condizione della potenza reale della tecnica. Ciò smentisce quanti sostengono che la filosofia sia una scienza astratta che non ha nulla a che vedere con i processi del mondo reale.
Ma al contempo, così come la filosofia offre alla tecnica argomenti per credere nella propria forza e nella capacità di dominio sulle cose, può, per inverso, offrire all’uomo le prospettive, le condizioni e i valori necessari per non essere dominato dalla tecnica, ma esserne il dominatore.
Se l’uomo pensa di progettare un mondo che non sia il mondo che la tecnica intende controllare totalmente, quest’uomo è l’uomo ideologico appartenente a quelle ideologie che abbiamo visto destinate a essere travolte dalla tecnica. L’aver mostrato il senso della radicale attualità della filosofia, non vuol dire che quanto la filosofia ha manifestato lungo la strada dell’occidente sia la verità. Anzi. La filosofia, proprio per essere stata estremamente utile, ci mette in guardia dal credere che l’utilità sia verità. La filosofia è attuale e anche utile, ma è l’utilità di Lucifero, che è il portatore di luce ma anche il negativo assoluto. Il concetto che la filosofia è l’attualità assoluta è anche la follia del filosofare, che è diventata la follia della nostra civiltà.
La follia di divinizzare la tecnica…
Dio è il primo tecnico. La tecnica è l’ultimo dio. L’uomo prima evoca Dio per essere salvato. Dio è lo strumento di cui l’uomo si serve per essere salvato. Ma se si rende conto che lo strumento per essere salvato non è potente, allora ha la necessità di potenziare lo strumento. Che si riconosca a Dio la funzione di non essere semplice strumento per la felicità o la salvezza dell’uomo, fa sì che l’uomo capisce che per salvarsi deve dire a Dio: “sia fatta la tua volontà”. Se l’uomo dice: no, Dio, salvami per fare la mia volontà, non potrà essere salvo. Analogamente, l’uomo oggi dice alla tecnica: “salvami, perché ho bisogno di te per vivere, per vivere bene, per fare tutto ciò che voglio”.
Anche qui si riproduce la situazione precedente.
Chiaro. Se cioè la tecnica è uno strumento che deve servire all’uomo per salvarsi, ciò può accadere unicamente se lo strumento è sempre più rafforzato. Quindi, solo se l’uomo non dice più alla tecnica: “rafforzati per fare la mia volontà di essere salvo”, ma chiede a essa quello che chiedeva a Dio, cioè: “sia fatta la tua volontà”. Non possiamo più considerare l’uomo come l’avente il diritto di essere il padrone della tecnica, ma è la tecnica che ha il diritto d’essere padrona dell’uomo. Con i mezzi che oggi abbiamo a disposizione non possiamo dire alla tecnica: fermati perché io ho le mie esigenze”. Rimane un’illusione.
Non siamo messi proprio bene…
Indubbiamente, ma questa è la storia dell’occidente. L’esigenza dell’individuo passa in secondo piano rispetto a quella della tecnica, che in questo momento, e non solo in questo momento, è destinata ad avere il sopravvento su tutto.
Il problema del nulla
E alle potenzialità della tecnica l’uomo demanda il superamento del nulla.
La tecnica è la forma più radicale di trasformazione del mondo, portata alla luce dalla filosofia. Non è un concetto astratto, perché prima del filosofare non si è ancora in rapporto al nulla e l’uomo vive la propria morte in modo del tutto diverso da quando incomincia a viverla pensando che essa sia annullamento. Tanto è vero che nel tempo del mito i morti vanno via ma tornano e anche i vivi temono il ritorno dei morti e tendono a farseli amici. La morte non è vissuta come la chiusura definitiva dei conti, determinata dall’annientamento della vita. Quando il clima filosofico inizia a espandersi e il tema del nulla a presentarsi in ogni campo dell’attività dell’uomo, questo pensa che la morte sia la fine del tutto. Tale pensiero fa sì che l’uomo cominci a morire in modo diverso rispetto a prima.
Si è allora andati alla ricerca dei rimedi concettuali o religiosi che ci permettessero di liberarci dal nulla, di non essere definitivamente conquistati dal nulla.
Termina l’evocazione mitica di un dio e inizia quella degli dei che sono il modo in cui Dio è presente nel mondo. Anche il capitalismo in tal senso è un dio. Perché intende i rapporti di mercato come legge naturale eterna. Un altro modo di essere un dio che rispecchia nel mondo il Dio teologico è il diritto naturale. L’affermazione cioè che esiste uno statuto giuridico naturale che non può essere violato da alcuna azione dell’uomo. Oggi non si vive più nel diritto naturale ma in quello positivo.
Lei ha detto che siamo sempre scontenti di ciò che siamo e abbiamo. E’ stato sempre così o è il risultato di questi tempi?
L’uomo è scontento da quando il serpente gli dice: “sarai come Dio”. Egli è scontento della situazione in cui si trova, per ciò che è e ha. Cercherà in tutti i modi di emulare Dio. Non riuscendoci.
Non crede che questa inquietudine possa derivare dalla imperfetta conoscenza che abbiamo della potenzialità dell’amore, inteso come sentimento per un tutto frutto di un dono, elemento capace di posizionare l’uomo in una dimensione non materiale e quindi più vicina allo spirito e alla serenità d’animo?
Personalmente preferisco una civiltà fondata sull’amore ad una lontana da questa concezione. Ma il mio desiderio conta poco. “Amore” è una di quelle parole, come “libertà”, che fa breccia nel cuore di tutti. E’ una delle forme più radicali di volontà di trasformare il mondo. Ma l’amore oggi si può sottrarre alla volontà di potenza della tecnica di mutare il mondo?
Il nostro rapporto con il tempo è troppo spesso condizionato dal fare. Non bisognerebbe invece recuperare il tempo interiore, quello del pensarsi e del pensare. Utile alla crescita personale e anche a quella professionale, cioè, del fare?
E’ una variante di quello che prima lei ha detto sull’amore. Un fare senza il pensare è caduco e ottiene poco. Il fare si potenzia se si appoggia al pensare. Ma è un pensare disposto sempre al fare alla fine. Siamo comunque in presenza del dominio assoluto del tutto da parte della tecno-scienza.
Sì, ma se il mio fare è condizionato da un pensiero che tenga conto di ciò che può determinare “il bene” dell’uomo, esso sarà migliore di un fare assolutamente finalizzato all’utilitarismo economico-materiale. Sarà un fare che giunge al risultato economico o tecnologico, senza aver trascurato, o leso addirittura, un segmento della sfera etica umana. E se questo non potrà essere possibile, la conseguenza sarà la rinuncia del fare.
Il concetto da me espresso non è certo l’espressione dell’ultima parola. E’ l’assurdo degli assurdi di questi tempi, purtroppo. E’ la tensione di cercare, attraverso le forme più disparate governate dalla tecnica, di voler essere come Dio. E’ un aspetto subordinato di ciò che prima ho chiamato “follia”.
Ha ragione Seneca quando afferma che solo il presente ha una verità ontologica?
No. Perché significherebbe dare al passato e al futuro la definizione di nulla.
Addirittura, l’affermazione di Seneca per essere vera non può escludere il valore della memoria e dell’esperienza vissuta. Altrimenti il presente non offrirebbe quei presupposti necessari per vivere al meglio il momento.
E’ così.
Gentile, uno dei massimi
pensatori della modernità
Lei ha spesso parlato di Giovanni Gentile come uno dei massimi pensatori della modernità. Ci spieghi perché, visto che il pensiero di Gentile è stato costretto all’oblio da una sconsiderata e faziosa vulgata filosofica che ne ha offuscato la portata e la lungimiranza.
Gentile è uno dei più grandi filosofi in senso assoluto. E’ un lungimirante, perché è una di quelle voci che sanno dire al mondo che Dio è morto. Gentile non è distante dalla scienza e dalla tecnica, contrariamente a quel che si crede, perché affermando la morte del vecchio Dio, consente alla tecnica di progettare il dominio del mondo.
Anche se Gentile diceva di essere cattolico.
Ma il suo cattolicesimo era tutt’altra cosa. Il dio di cui parla non è il vecchio Dio che egli distrugge, ma è l’atto del nostro pensare. E’ la capacità di trasformare il mondo in cui consiste il nostro pensare. Chiama Dio noi, in quanto atto del pensare.
Siamo tutti debitori a Nietzsche?
Certo. Anche se Gentile è più rigoroso di Nietzsche. Io poi, con Gentile e Nietzsche metterei anche Leopardi. Dimenticato ingiustamente dalla filosofia internazionale. Solo ora il mondo anglosassone comincia ad accorgersi della grandezza di Leopardi. E’ tardi, ma non mai troppo, per fortuna.

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