Poesia greca del Novecento, a cura di Nicola Crocetti e Filoppomaria Pontani. Presentazione di Vincenzo Guarracino

Come non pensare a ciò che diceva Bertolt Brecht, e cioè che «quando l’uomo di ferro le batte / le Muse gridano più forte»? Dinanzi all’esperienza della Grecia, alla ricchezza e fertilità della sua letteratura, una simile affermazione viene subito in mente, soprattutto dacché ci è dato finalmente attraversare la sua poesia per mezzo del ricchissimo Meridiano ad essa dedicato per le cure di Nicola Crocetti e Filippomaria Pontani. Una poesia che, senza dimenticare il suo straordinario passato, ha saputo rispondere come poche altre allo “spirito del Tempo”, alle domande che la storia ha proposto, svincolandosi, diversamente da quanto altrove è avvenuto, dal ruolo di esercizio squisitamente letterario o di riflessione intimistica e ripiegata su se stessa, soprattutto in considerazione degli eventi in cui è stata giocoforza coinvolta, nell’epoca della guerra e delle dittature militari, per riflettere sulle proprie responsabilità storiche e sul destino di un popolo. Basti, per capirlo, la forza e fierezza che traspare dai versi di Michalis Katsaròs: “Resistete all’Ufficio Stranieri e passaporti / alle orrende bandiere nazionali e alla diplomazia / alle fabbriche di materiale bellico / a quelli che definiscono lirica le belle parole / ai canti marziali / ai lamenti delle canzoni sdolcinate / agli spettatori / al vento / a tutti gli indifferenti e i saggi / agli altri che si definiscono vostri amici / persino a me, pure a me che vi racconto resistete. / Forse allora ci avvieremo sicuri verso la libertà».
A tal riguardo è quanto mai illuminante e pertinente la precisazione fatta in apertura dal Pontani, secondo cui «la poesia in Grecia non si è ridotta all’espressione anarchica e monodica di un sentimento personale” e neppure “si è confinata nell’ardua lirica d’avanguardia”, smarrendo i vincoli spazio-temporali con il mondo esterno. Al contrario, “i versi sono rimasti ben piantati entro un quadro di riferimento collettivo, a cominciare dal loro carattere saliente: la lingua”, al punto da conferire ad essa, alla lingua parlata, il cosiddetto  “demotico”, una dignità letteraria assoluta facendola assurgere a emblema della conquista della stessa indipendenza politica. Un “quadro di riferimento collettivo”: come dire che si tratta di una poesia in cui un popolo, una collettività con la sua coscienza critica, può riconoscersi e sa essere “civile” andando al passo del tempo, nella fedeltà al monito, che era poi quello dei poeti della Megàle Ellàs, di credere e vivere nel “kairòs”, nell’occasione, intesa nella sua accezione più nobile.
Oggi, poi, che la Grecia è agli onori delle cronache per via delle sue condizioni economiche sull’orlo del baratro, rendersi conto di queste cose, verificarle attraverso un catalogo vastissimo di proposte, quale è quello che è qui riproposto in ottime traduzioni, è quanto mai importante.
Ecco dunque una poesia che ha saputo essere, di volta in volta, “crepuscolare”, “esistenziale” e “impegnata” (sono questi i parametri entro cui possono inquadrarsi i diversi interpreti e protagonisti), offrendoci frutti di straordinaria maturità, non solo nelle figure più celebrate (Konstandinos P. Kavafis, Ghiannis Ritsos, Ghiorgos Seferis e Odisseas Elitis, gratificate dalla fama e da riconoscimenti, come il Nobel per gli ultimi due), ma anche in quelle di altri poeti, quali Kostas Uranis, Tellos Agras e Maria Poliduri, Ghiannis Skarimbas, Alèxandros Baras, Ghiorgos Kotziulas, Nikos Kavaddìas, Takis Papatsonis e poi via via Ghiorgos Themelis, Zoi Karelli, Ghiorgos Sarandaris, Ghiorgos Vafòpulos, Melissanthi, Takis Varvitsiotis, fino alle più giovani generazioni, a vario titolo rappresentativi di istanze civili e morali, senza comunque preoccuparsi eccessivamente, come raccomanda sempre Pontani, di periodizzazioni e categorizzazioni, visto che in Grecia non ci si è preoccupati mai di formalizzarsi dietro etichette o bandiere letterarie. Sorprendente e niente affatto marginale, infine, in siffatto panorama, il ruolo giocato dalle donne, tra le quali Maria Poliduri, Kikì Dimulà e la raffinata Anghelaki-Rooke, risaltano per originalità e forza.
Un libro, dunque, da leggere e custodire: un libro prezioso e necessario, la cui lettura è capace di accompagnarci “sicuri verso la libertà”. Perché in esso possa riflettersi la storia di un popolo e il destino stesso dell’Europa, e tale da poter davvero “rifar la gente” a saperlo leggere, come auspicava per ogni vero libro il nostro ottocentesco Giuseppe Giusti.

da: Lo spirito del tempo che si nutre di poesia – Cultura e Spettacoli – La Provincia di Como.

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