Così come l’introduzione del concetto di “ limite” libera la creatività nella psiche umana, altrettanto si può affermare che, nella scrittura, la costrizione induce alla produzione di fantasia.
E’ questo il primo pensiero che mi è sopraggiunto quando, uscita dal letargo, mi sono finalmente decisa di approfondire la conoscenza dell’Ou-Li-Po Ouvroir de littérature potentielle (“Opificio di letteratura potenziale”), gruppo francese fondato da Queneau e a cui aderirono, fra altri, Georges Perec e Italo Calvino.
Perec mi “intriga” molto ed è ritornato fra le mie mani grazie all’ossessione classificatoria di TartaRugoso , così lontana dalle mie modalità che seguono altre linee di pensiero e, nonostante ciò, degne di esistere, come fra poco vedremo direttamente dalle parole di Perec.
Tornando all’Ou-Li-Po, ciò che rende affascinante l’approccio di questo opificio è lo…
Qui si parlerà della metamorfosi di una canzone. Ossia di come una canzone popolare, nata in una particolare situazione storica, diventa vent’anni dopo musica d’arte, cioè “musica” senza genere e senza aggettivi.
Per fare una simile trasformazione occorre attraversare un confine e occorre qualcuno che sappia fare dei sortilegi. Nina Simone (1933-2003) sa fare sortilegi e sa attraversare i confini:I Put a Spell on You, dice il testo di un’altra sua canzone. Lei ha percorso tutti i generi della musica popolare del secondo Novecento: blues, pop, jazz, soul. Eppure lei è inclassificabile in ciascuno di essi.
Ma come attraversa queste linee di confine?
Lei lo fa con l’interpretazione del testo. Nina canta il testo della canzone. Lo trascolora, lo ricolora, lo prende e lo rivolta per catturare ciascuno di noi attraverso la testa, il cuore e la pancia.
È questa la chiave per accostarsi a You’d Be…
Un Manzoni trasgressivo, lontano dalla figura impolverata e un po’ bigotta che, purtroppo, a volte si spiega a scuola. Che Eleonora Mazzoni ci racconta nel suo libro Einaudi intrecciando le pagine dei Promessi sposi con una biografia costellata di slanci arditi, delusioni cocenti e brucianti amori
L’antica legge del maggiorasco prevedeva l’indivisibilità dei beni patrimoniali, spettanti unicamente al primogenito maschio, destinato a sua volta a procreare dei figli «per tormentarsi a tormentarli nella stessa maniera».
Una norma arbitraria, a scapito di cadetti e femmine. Ma mentre per i primi esisteva la possibilità di mettersi al servizio del fratello maggiore o arruolarsi negli eserciti, poverette restavano soprattutto le donne.
Chi è davvero Roland Baines? È il bambino pieno di talento che subisce le attenzioni morbose della maestra di pianoforte, ma anche il banale pianista di piano-bar che ha rinunciato alle sue ambizioni. È la vittima di una donna geniale ed egoista che lo ha abbandonato con un figlio neonato, ma anche il fallito che passa da un’esperienza all’altra a motore spento, sospinto dalla sola forza dei venti. Quali lezioni gli hanno impartito la sua storia e la Storia che si dipana sullo sfondo? Nella vita senza qualità del suo personaggio, McEwan ha disegnato il profilo del nostro tempo tragico e inquieto, affidando ai suoi lettori un romanzo di sconvolgente maestria e luminosa intensità emotiva.
«Hai venticinque anni e ventinove denti, tre camicie e otto calzini, qualche libro che non leggi più e qualche disco che non ascolti più. Sei seduto e vuoi soltanto aspettare». – G. P.
Terzo romanzo di Georges Perec, Un uomo che dorme è la storia di uno studente che la mattina dell’esame, invece di alzarsi, lascia suonare la sveglia e richiude gli occhi. Segue il racconto della sua vita ordinaria, in cui giorno dopo giorno si educa all’indifferenza per tutto: non voler più niente, vagare, dormire, perdere tempo; tenersi lontano da ogni progetto e da ogni smania; essere senza desideri, senza risentimenti, senza ribellione; leggere «le Monde» dall’inizio alla fine, senza saltare una riga, annunci matrimoniali e necrologi compresi. Un uomo che dorme è un romanzo in cui chiunque, leggendolo, riconosce quell’oscuro desiderio di ritirarsi dal mondo senza scomparire del tutto; e fa spavento quanto sia facile e a portata di mano diventare indifferente a ogni cosa, un fantasma trasparente che, come il protagonista del libro, vaga per Parigi senza aprire bocca, senza desiderare più nulla, tra la folla dei Grands Boulevards, per i caffè, le panchine dei giardinetti, i lungosenna, i musei, i monumenti, sonnambulo turista in casa propria.
L’AUTORE
GEORGES PEREC
Georges Perec (1936-1982), è una delle maggiori glorie della letteratura francese contemporanea. Venuto giovanissimo agli onori letterari con il suo romanzo d’esordio, Le cose (1965), dal 1967 membro dell’ Oulipo (Ouvroir di Litterature Potentielle), è autore, tra gli altri, de La disparition (1969), W ou le souvenir d’enfance (1975), Je me souviens (1978); il suo romanzo più celebre, La vita istruzioni per l’uso (1978) è stato tradotto in tutto il mondo. Nato e vissuto a Parigi, figlio di ebrei polacchi, Georges Perec aveva un’inconfondibile barbetta crespa e molta passione per l’enigmistica.
Ho tradotto il primo romanzo di Ian McEwan 36 anni fa, nel 1987. Non potevo capacitarmi della fortuna che mi era toccata. Non mi capacito neppure adesso. Avevo 32 anni, ero incinta, e il ricordo della mia gravidanza è indissolubilmente legato a quel libro.
E per finire, posso ricordare di aver tradotto Macchine come me nel silenzio bianco del lockdown, mentre Ian McEwan, nel suo lockdown, dava inizio alla stesura di Lezioni.
Ancora una volta vorrei farmi guidare dalle parole di Yves Bonnefoy sulla traduzione:
«E forse, dopo tutto, è così che bisogna tradurre, con l’oscura coscienza cioè che in ogni traduzione non si è che sé stessi, nel nostro proprio giorno, e che questa transitorietà avvolge tuttavia una testimonianza».
…
Dopo Bambini nel tempo, di Ian McEwan, ho tradotto:
Quel che succede ogni giorno, in che modo descriverlo?
Un libricino pieno di semplici genialità, come riesce di norma a Perec, parlando dell’ordinario quotidiano.
Ad esempio del quotidiano cibarsi, e fa l’inventario, comico e indigesto nella sua riassuntiva catalogazione, di tutto ciò che ha ingurgitato nel corso di un anno, il 1974: sette galline bollite con riso, settantacinque formaggi, sette zampini di maiale ecc.
Poi come scrivere automaticamente duecentoquarantatré cartoline, tutte diverse, di ordinari saluti estivi usando solo cinque frasi elementari in tre varianti.
E l’osservazione di una via di Parigi in sei date diverse, i negozi, le insegne, le scritte occasionali, le facciate, un gatto che passa, cioè tutto ciò che è sotto gli occhi, così ovvio che non lo si nota, ma esiste per un attimo poi sarà perduto per sempre.
Questi scritti pubblicati tra il 1973 e il 1981 sono stati raccolti in libro…
„Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire partecipare. Chi vive veramente non può non essere cittadino partecipe. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Io partecipo, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, partecipo. Perciò odio chi non partecipa, odio gli indifferenti.“ — Antonio Gramsci
“Questo libro raccoglie sessanta delle moltissime lettere che i lettori di ‘D la Repubblica delle Donne’ settimanalmente mi inviano, ponendo delle domande che poi vengono discusse in quella maniera un po’ anomala, che non è quella di rispondere alla domanda, ma di radicalizzarla, andando il più possibile in fondo, dove si annida il radicamento. Questo modo di procedere talvolta può apparire irritante, talvolta difficile, talvolta delusivo, ma è meglio deludere l’attesa di una risposta immediata che isterilire una domanda, impoverirla, non tenerla all’altezza di ciò che chiede. I miei commenti alle lettere qui riportate non vogliono essere un ricettario per i problemi della vita, perché questo comporterebbe che io capissi la mia e anche quella degli altri, mentre la bellezza della vita è proprio nella sua imperscrutabilità, è nel gioco indicato dai suoi enigmi che non si concedono a facili soluzioni.”
Ecco una domanda filosofica che mi assale mentre attendo l’arrivo del risveglio dal sonno invernale: assaporiamo con gli occhi, col palato, col naso o con l’insieme dei tre sensi?
Come l’opera di Proust insegna, quel gusto della madeleine bagnata nell’infuso di tè o di tiglio, scatena emozioni che fanno risalire alle immagini di un lontano episodio dell’infanzia (Così ora tutti i fiori del nostro giardino e quelli del parco di Swann, e le ninfee della Vivonne, e la buona gente del villaggio e le loro casette e la chiesa e tutta Combray e dintorni, tutto quello che vien prendendo forma e solidità, è sorto, città e giardini, dalla mia tazza di tè”).
A significare quindi che la fabbricazione della memoria necessita di agganci forniti dai canali percettivi: più agganci possiedi, più sensi utilizzi, più dettagli consideri, maggiore sarà la possibilità di raggiungere un ricordo sopito.
Asor Rosa è stato uno dei protagonisti del dibattito politico e intellettuale italiano. Ma a scandire la sua vita è stato soprattutto l’insegnamento universitario
Questa mattina, a Milano Bicocca, ho acquistato questo folgorante libro che era ben esposto sul tavolo della Libreria Cortina:
Ella Berthoud, Susan Elderlin, CURARSI CON I LIBRI: rimedi letterari per ogni malanno, edizione italiana a cura di Fabio Stassi, Sellerio editore, Palermo, 2013
Di ritorno, sul treno, l’ho sfogliato ed ho letto alcune schede di miei e nostri autori prediletti.
So che questo libro avrà un posto stabile e duraturo nelle nostre vite.
Vi si sentono le biografie delle autrici e del curatore italiano. Loro hanno saputo trasmettere, in schede talvolta perfette per equilibrio di linguaggio e capacità di riassunto, il distillato della creazione letterarie degli autori e delle autrici.
Mi viene meglio parlarne in due audio, proprio per catturare all’istante questa sensazione di avere in mano qualcosa di prezioso…
Quando dico “ti amo” che cosa sto dicendo di preciso? E soprattutto, chi parla? Il mio desiderio, la mia idealizzazione, la mia dipendenza, il mio eccesso, la mia follia? Non c’è parola più equivoca di “amore” e più intrecciata a tutte quelle altre parole che, per la logica, sono la sua negazione. Tutti, chi più chi meno, abbiamo fatto esperienza che l’amore si nutre di novità, mistero e pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall’idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l’amore in un affetto privo di passione o nell’amarezza della disillusione. Qui Freud ci pone una domanda: “Quanta felicità barattiamo in cambio della sicurezza?”.
DAL 16 NOVEMBRE 2022
Il libro delle emozioni
Vol.
2
La mente e il cuore. Platone invita a privilegiare la mente razionale, capace di governare le passioni del cuore. Ma noi non possiamo dimenticare che anche il cuore ha le sue ragioni. Anzi, prima che la mente giungesse a guidare la vita dell’uomo, per i nostri antenati la vita era governata dal cuore, che con le sue sensazioni arrivava a capire, come peraltro fanno gli animali, in modo rapido e senza riflettere, che cosa fosse vantaggioso e che cosa fosse pericoloso per il mantenimento della vita. Il cuore, infatti, promuove le azioni più rapidamente della ragione e senza troppo indugiare sul da farsi, perché il mondo non è ospitale e i pericoli, che sono a ogni passo, richiedono decisioni immediate. Le decisioni del cuore sono promosse da emozioni come la paura di fronte al pericolo o come il desiderio, che approda all’accoppiamento per la preservazione della specie. Tutto questo senza riflettere, perché la luce della ragione ancora non c’è.
DAL 23 NOVEMBRE 2022
La parola ai giovani
Vol.
3
Nel 2007 Umberto Galimberti ha pubblicato un libro, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, in cui descriveva il disagio giovanile da imputare, a suo parere, non tanto alle crisi psicologiche a sfondo esistenziale che caratterizzano l’adolescenza e la giovinezza, quanto a una crisi da lui definita “culturale”, perché il futuro che la cultura di allora prospettava ai giovani non era una promessa, ma qualcosa di imprevedibile, incapace di retroagire come motivazione a sostegno del proprio impegno nella vita. A distanza di anni cos’è cambiato di quell’atmosfera che Galimberti aveva definito “nichilista”? Non granché, fatta eccezione per una percentuale forse non piccola di giovani che sono passati dal nichilismo passivo della rassegnazione al nichilismo attivo di chi non misconosce e non rimuove l’atmosfera pesante del nichilismo senza scopo e senza perché, ma non si rassegna. E dopo un confronto serrato con la realtà, si promuove in tutte le direzioni, nel tentativo molto determinato di non spegnere i propri sogni.
DAL 30 NOVEMBRE 2022
I miti del nostro tempo
Vol.
4
“Chi non ha il coraggio di aprirsi alla crisi, rinunciando alle idee-mito che finora hanno diretto la sua vita, si espone a quella inquietudine propria di chi più non capisce, più non si orienta.” Giovinezza e intelligenza, felicità e amore materno. E poi moda e tecnica, sicurezza e potere, e ancora mercato, crescita economica, nuove tecnologie… Sono i miti del nostro tempo, le idee che più di altre ci plasmano come individui e come società. Quelle che la pubblicità e i mezzi di comunicazione di massa propongono come valori e impongono come pratiche sociali, fornendo loro un linguaggio che le rende appetibili e desiderabili.
DAL 7 DICEMBRE 2022
I vizi capitali e i nuovi vizi
Vol.
5
Umberto Galimberti prende le mosse dai vizi capitali: Accidia, Avarizia, Gola, Invidia, Ira, Lussuria, Superbia. Identificati come “abiti del male” da Aristotele, come “opposizione della volontà dell’uomo alla volontà divina” nel Medioevo, come espressione della tipologia umana nell’Età dei lumi, essi appaiono infine come manifestazione psicopatologica nel Novecento. “E così, fuoriescono dal mondo morale per fare il loro ingresso in quello patologico. Non più vizi, ma malattie dello spirito.” Alla luce di questa sequenza storica, Galimberti “ambienta” i vizi nel panorama contemporaneo conflittualmente compresi tra la funzionalità (anche del male) propria dell’età della tecnica e l’urgenza dell’etica.
DAL 14 DICEMBRE 2022
L’ospite inquientante
Vol.
6
Un libro sui giovani, perché i giovani, anche se non sempre lo sanno, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui. Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare. Solo il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma è la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una qualche promessa.
DAL 21 DICEMBRE 2022
Il corpo
Vol.
7
Organismo da risanare, forza lavoro da impiegare, carne da redimere, inconscio da liberare: nel corpo, nella repressione della sua naturale ambivalenza, è leggibile la storia culturale dell’Occidente. Un libro affascinante e fondamentale, la proposta di una psicologia che, togliendo la scissione anima/corpo sui cui si fonda, cominci a pensarsi contro se stessa.
In un’epoca di nostalgia, politica e non solo, ha vinto il premio Nobel per la Letteratura Annie Ernaux, la scrittrice che si è occupata in maniera vasta e ossessiva della memoria.
Affrontare i libri di Annie Ernaux è un’esperienza fondamentale per un lettore, e lo è per le ragioni profonde che legano la letteratura all’esistenza.
Molte persone che non hanno mai letto Ernaux si chiedono da dove iniziare: iniziate da dove volete, forse ricreando come meglio riuscite il percorso delle origini, dei traumi e dei successivi sviluppi, al quale ha dedicato la parte maggiore dei propri sforzi.
C’è il libro sul padre, Il posto, quello sulla madre, Una donna. C’è L’altra figlia, che parla della sorella morta prima che Ernaux nascesse, e di cui Ernaux scopre l’esistenza per caso, da bambina, ascoltando una conversazione: «I genitori di un figlio morto non sanno ciò che il loro dolore fa a quello vivo». La sorella, in questo senso, diventa un simbolo dell’indicibile, dell’anti linguaggio. Di tutto quello che Ernaux cerca di superare, e pensarci è terribile.
Poi c’è il libro sull’età indifesa, i dodici anni: La vergogna. I genitori mandano la piccola Annie in una scuola cattolica privata, è l’unica del suo mondo ad andarci. Da allora Ernaux assocerà sempre la parola “privato” alla paura e alla chiusura. E scrivere diverrà il contrario del privato. «Scrivere è una cosa pubblica».
In Memoria di ragazzatroviamo Annie diciottenne che va a fare l’educatrice in una colonia estiva, qui scopre il sesso e soprattutto il giudizio degli altri. Accanto a questo libro, per relativa prossimità temporale, quello sull’aborto giovanile, L’evento (che gran titolo). E anche il libro su come Ernaux apprende la propria disparità di donna, la catastrofe della disuguaglianza: La donna gelata. Per arrivare all’autobiografia impersonale del suo romanzo più esteso, che è anche una cronaca collettiva, la sua opera più nota in Italia, forse: Gli anni.
«Tutte le immagini scompariranno», dice Ernaux, e mentre lo dice noi ci sentiamo soffocare, ci sembra di trovarci già dopo la fine del mondo. Le immagini scompariranno, e noi con loro, e di noi non resterà nulla. E siamo grati a Ernaux quando ci mostra tutto il male e tutto il bene della memoria: le strade che percorriamo, le gerarchie sociali e morali, il chiacchiericcio, i gesti piccoli, le violenze.
Ernaux recupera la storia dal letto di un fiume dove si sono depositati gli oggetti perduti, usando la scrittura di chi dà le notizie essenziali, ma senza la certezza di saperle dare. Scriviamo con un perenne senso di mancanza. Fino a «salvare qualcosa del tempo in cui non saremo mai più».
Chi si interessa di scrittura autobiografica ieri ha festeggiato l’assegnazione del Premio Nobel ad Annie Ernaux. Noi lo facciamo oggi, con le parole di gratitudine di Duccio Demetrio.
Grazie Annie…!
“Ciò che c’ è di appassionante nel mestiere di scrivere è non sapere dove si finirà, perché si cerca una risposta d’ amore di cui non abbiamo certezza”.
Quando ho appreso che Annie Ernaux aveva vinto il premio Nobel per la letteratura, questa frase di Roland Barthes mi è tornata all’ improvviso alla mente.
Riassume un tratto importante della filosofia esistenziale alla quale la scrittrice francese ha dedicato il suo scrivere. In primo luogo, ogni suo libro – sempre autobiografico, diaristico, romanzesco, sociologico, storiografico al contempo – è una voce alla ricerca di risposte d’ amore affidate alla letteratura, alla poesia: seppur nella perenne incertezza di saperlo ricevere e di saperlo offrire.
Ma, nondimeno, ancora Barthes ci avverte che “il mestiere di scrivere” ( e di vivere direbbe Cesare Pavese ) quando sia mosso da autentica passione ( e questa tensione abita, anzi da essi tracima, in tutti i libri celebri o meno noti di Annie Ernaux ) non può che sfidare la nostra vana e illusoria ricerca della quiete dinanzi alle tragicità individuali e storiche della contemporaneità.
Sarà per questo motivo, ben noto a chiunque si cimenti con la scrittura di sé, che opere sue come “Gli Anni” , vanno arricchendo le forme dell’ approccio alle realtà storico-sociali quando si adotti la scrittura di sé non soltanto per narrarle, ma per farle intimamente proprie.
I suoi libri sono stati definiti non per nulla “autobiografie impersonali “. Una espressione che Ernaux – e invito i nostri lettori a ritrovarla senz’ altro – ha rivendicato per sé anche nel corso di una intervista ormai celebre pubblicata nel testo “Scrivere è un dare forma al desiderio” ( Castelvecchi, 2020 ); oppure, ne “L’ evento”, dove l’ Autrice si immerge nel riesame del proprio passato e lo trasforma in un racconto collettivo.
Come Libera Università dell’ autobiografia di Anghiari non possiamo che applaudire, calorosamente, al conferimento ad Annie Ernaux del celebre Premio. Perché oltre ad averci invitato ad approfondire le nozioni di cura attraverso gli atti, i modi, le scoperte che la scrittura ogni volta ci dischiude; oltre ad averci mostrato che la strenua difesa della memoria è dovere e diritto civile, non soltanto un esercizio introspettivo e di carattere estetico, è nostro compito fare dello scrivere un metodo “socialmente utile”.
Ed anche qualcosa di più: come stamane ( 7 ottobre ) ha scritto su la Repubblica Michela Marzano, in quanto si tratta nondimeno di un “ atto politico” e soggettivo insieme; il quale ci invita a comprendere tutto il valore di una condotta etica che ci spinge a comprendere tutta l’ importanza e “ La necessità di lasciare una traccia, appunto attraverso una scrittura che scava dentro, nomina le mille sfaccettature dell’ esistenza, e rende magnificamente testimonianza della vulnerabilità della condizione umana”.
La scrittrice francese Annie Ernaux, molto amata anche dal pubblico italiano, ha vinto il Premio Nobel per la letteratura 2022, “per il coraggio e l’acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale”.Pubblicata in Italia da L’Orma (oltralpe da Gallimard), Ernaux è nata a Lillebonne (Senna Marittima) nel 1940
Quando scriviamo, la gioia di esprimerci sembra più pura: cogliamo un pensiero, afferriamo un’immagine e cerchiamo di fermarli per sempre -netti, definitivi. Sappiamo bene che la gioia maggiore non è nella precisione: ma nella voce lontana, che parla in noi, nel remoto vento che ci trascina, giungendo da chissà dove. E ci obbliga a dire cose che non sapevamo.
Quando scriviamo, la gioia di esprimerci sembra più pura: cogliamo un pensiero, afferriamo un’immagine e cerchiamo di fermarli per sempre -netti, definitivi. Sappiamo bene che la gioia maggiore non è nella precisione: ma nella voce lontana, che parla in noi, nel remoto vento che ci trascina, giungendo da chissà dove. E ci obbliga a dire cose che non sapevamo.
Due sono state le passioni di Antonia Pozzi: in primis la poesia (per la quale è conosciuta), quindi la fotografia. I suoi scatti possono essere considerati poesie con la macchina fotografica e hanno pari valenza qualitativa delle produzioni letterarie.
Il saggio è strutturato come segue:
Biografia di Antonia Pozzi (a cura di Onorina Dino)
Saggio introduttivo (a cura di Ludovica Pellegatta)
70 foto in bianco e nero/color seppia con relative didascalie a destra; commenti, poesie, citazioni a sinistra
Quando scriviamo, la gioia di esprimerci sembra più pura: cogliamo un pensiero, afferriamo un’immagine e cerchiamo di fermarli per sempre -netti, definitivi. Sappiamo bene che la gioia maggiore non è nella precisione: ma nella voce lontana, che parla in noi, nel remoto vento che ci trascina, giungendo da chissà dove. E ci obbliga a dire cose che non sapevamo.
Una precisazione cronologica, questa, che mi aveva incuriosito non poco, posto proprio all’inizio dell’ultima fatica poetica di Carlo Ferrario, ossia il “romanzo in versi” intitolato Paganus, in cui si racconta la storia di un’iniziazione alla vita sul teatro di un’età aurea che si avvia ad un tempo grigio di rovine e di violenza.
Posta come dicevo all’inizio della seconda delle 34 strofe di cui il poemetto si compone, mi ha indotto a interrogarmi sulla sua consistenza, sulle ragioni della sua perentoria verità, per darmi conto che si tratta di un atto in un certo modo fondativo. Come tutte le date che si rispettino assume infatti un carattere per così dire sacrale, da momento su cui si costituisce una piccola e privata storia sacra, come di un qualcosa da cui la vita dell’individuo acquista…
E’ momento di riprendere in mano e rileggere questa biografia con quel turbamento suscitato forse da un titolo contraddittorio “per troppa vita che ho nel sangue”, così lontano dall’idea che a soli 26 anni (3 dicembre 1938) Antonia abbia deciso di abbandonare la scena della vita.
D’altronde le biografie servono proprio a mettere in luce passaggi significativi per tentare di capire il mistero che ognuno di noi nasconde.
Spiegare le ragioni di un suicidio non è mai affare agevole. Scrive Bernabò: “Far dipendere la sua decisione finale semplicemente da una delusione amorosa significherebbe non capire la complessità e la profondità del suo dramma … Antonia avvertiva in sé una straordinaria energia vitale ed era portata ad esprimerla, nella vita come nell’arte, ma si accorgeva della difficoltà di viverla appieno in un universo raggelante”.
Per tentare di comprendere meglio occorre quindi contestualizzare l’epoca della sua esistenza e…
” Nella politica italiana il ruolo dell’adolescenza inguaribile, incapace di evolvere verso la vita adulta, salvo rare e individuali eccezioni, è interpretato, sin dal tempo della sua nascita, dal M5S.
Questo movimento ha ereditato le caratteristiche personologiche e antropologiche del suo fondatore:
il disprezzo per le istituzioni,
la pratica costante dell’insulto e del dileggio degli avversari,
la denigrazione in toto del sistema dei partiti,
la barzelletta come narrazione,
una concezione purista e fondamentalista della propria identità, il rifiuto della politica come arte delle mediazione,
la predicazione populista di slogan retorici per fronteggiare problemi complessi,
l’assenza di identità e di memoria culturale,
l’arroganza che non conosce dubbi, la pretesa profetica di leggere il futuro,
l’incompetenza eletta a ideale,
la postura dell’anima bella che pretende di giudicare dall’alto del suo essere senza macchia il mondo marcescente della storia.
Tutti atteggiamenti che incontriamo nella nostra pratica clinica in ogni cristallizzazione patologica dell’adolescenza. “
quesiti pervenutici su temi legati al genere: uso dell’asterisco, dello schwa o di altri segni che “opacizzano” le desinenze maschili e femminili; possibilità per l’italiano di ricorrere a pronomi diversi da lui/lei o di “recuperare” il neutro per riferirsi a persone che si definiscono non binarie; genere grammaticale da utilizzare per transessuale e legittimità stessa di questa parola
«Ed allora poniamo mente a ciò che ci può procurare la felicità, dato che quando la possediamo nulla ci manca e, per contro, in sua assenza mettiamo in atto tutto quel che è necessario per ottenerla.»
Per Epicuro, la felicità è da ricercare nella dimensione privata del “vivere nascostamente”: l’uomo “basta a se stesso”, non necessita delle divinità o dello Stato per sperimentarla. La felicità si realizza nel piacere al quale conduce la ragione che ha dominato le passioni.
A partire dalla Lettera a Meneceo, Maggi compie un excursus dalla filosofia classica ai giorni nostri e sottolinea il legame tra etica e felicità nella storia del pensiero, osservando come nel corso del tempo «l’uomo abbia barattato un po’ della sua felicità per un po’ di sicurezza» fino a fare della prima una questione politico-sociale.
Un ritorno alla filosofia del Giardino è allora da intendere come ripresa della dimensione privata e interiore della felicità quale ars vivendi: capacità di plasmare e dare forma alla propria vita.
«Ed allora poniamo mente a ciò che ci può procurare la felicità, dato che quando la possediamo nulla ci manca e, per contro, in sua assenza mettiamo in atto tutto quel che è necessario per ottenerla.» Per Epicuro, la felicità è da ricercare nella dimensione privata del “vivere nascostamente”: l’uomo “basta a se stesso”, non necessita delle divinità o dello Stato per sperimentarla. La felicità si realizza nel piacere al quale conduce la ragione che ha dominato le passioni.
A partire dalla Lettera a Meneceo, Maggi compie un excursus dalla filosofia classica ai giorni nostri e sottolinea il legame tra etica e felicità nella storia del pensiero, osservando come nel corso del tempo «l’uomo abbia barattato un po’ della sua felicità per un po’ di sicurezza» fino a fare della prima una questione politico-sociale.
Un ritorno alla filosofia del Giardino è allora da intendere come ripresa della dimensione privata e interiore della felicità quale ars vivendi: capacità di plasmare e dare forma alla propria vita.
Emanuele Severino, in questa intervista ampliata con nuovi testi, mostra come il modello classico di educazione – la volontà di trasformare l’altro – riproduca la radice del nichilismo e quindi della civiltà della tecnica: credere che il divenire sia un venire dal e un trapassare nel nulla. Di qui l’andamento teso delle domande e delle risposte, dove i principali concetti – scuola, verità, vita, fede, linguaggio, memoria – che sembravano rassicuranti mostrano il loro aspetto inatteso: nichilistico. All’orizzonte si profila un’altra esperienza di educazione: educare al pensiero per risvegliare il senso profondo delle cose, un senso che ne svela, a chi pensi con rettitudine, il volto eterno. Un libro che è la più chiara introduzione al pensiero di Severino.
Emanuele Severino (1929-2020) è stato uno dei maggiori filosofi contemporanei. Nel catalogo Morcelliana ricordiamo: Democrazia, tecnica, capitalismo (2010); Piazza della Loggia. Una strage politica (2015); Istituzioni di filosofia (2020, II…
Lucia nasce a Trieste nel 1907. Secondogenita di James e Nora Joyce, vive la sua infanzia con i genitori e il fratello Giorgio in precarie condizioni economiche. Dopo Trieste inizia un peregrinare continuo tra Parigi, la Svizzera – soprattutto Zurigo – e qualche breve ritorno in Irlanda. È a Parigi che Joyce entra in contatto con scrittori, artisti, esponenti dell’alta borghesia e generose benefattrici. In questo contesto – un tenore di vita al di sopra delle reali possibilità dello scrittore, un successo che stenta a decollare ma un fervente interesse per la sua opera da parte di alcuni estimatori di eccezione, una routine familiare delirante – Lucia e Giorgio crescono in uno strano rapporto di simbiosi. Così il matrimonio di Giorgio è vissuto come un abbandono da Lucia, che viene anche rifiutata da tre uomini nel giro di breve tempo (tra cui Beckett e lo scultore Calder). L’unico ambito in cui riesce a esprimere se stessa è la danza: frequenta corsi teatrali e coreutici, stringe amicizie femminili che le sono di ispirazione e si inserisce in ambienti artistici molto lontani da quelli del padre. Il primo crollo psichico segna per lei l’inizio di un calvario che, tra cliniche e manicomi, terapie sperimentali, psicanalisi junghiana, diagnosi contraddittorie e mai verificate, durerà tutta la sua vita. Scoprire il segreto dell’oscura malattia mentale di Lucia, della quale Joyce continuerà sempre a sentirsi colpevole, diverrà per l’autore dell’Ulysses una vera ossessione, che non gli darà mai tregua e rischierà di distruggerlo.
recensione di Federica Manzon in La Stampa/TuttoLibri 16 apr 2022
La follia rubata alla figlia fece grande l’arte di Joyce
« Capita alle persone veramente sapienti quello che capita alle spighe di grano: si levano e alzano la testa dritta e fiera finché sono vuote, ma quando sono piene di chicchi cominciano a umiliarsi e ad abbassare il capo. »
Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
Giovanni, III, 19
Qui su l’arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null’altro allegra arbor nè fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti. Anco ti vidi
de’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
che cingon la cittade
la qual fu donna de’ mortali un tempo,
e del perduto impero
par che col grave e taciturno aspetto
faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
lochi e dal mondo abbandonati amante,
e d’afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
di ceneri infeconde, e ricoperti
dell’impietrata lava,
che sotto i passi al peregrin risona;
dove s’annida e si contorce al sole
la serpe, e dove al noto
cavernoso covil torna il coniglio; fur liete ville e…
sto allestendo un DIZIONARIO LEOPARDIANO, al quale invito a partecipare quanti amano Leopardi, che siano specialisti o semplici appassionati della sua poesia e della sua “avventura” intellettuale.
Chi vorrà partecipare, può farlo scegliendo dall’elenco allegato una “voce” da definire in prosa, in un massimo di 2000 battute, da spedirmi entro la fine di APRILE.
Chiedo comunque che preventivamente mi si informi della disponibilità e che si alleghi, all’eventuale voce realizzata, una essenziale scheda bio-bibliografica.
Con cordiali saluti e l’augurio di una serena primavera.
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