TartaRugosa ha letto e scritto di: Camila Fabbri (2024), Sani e salvi, EdizioniAdirlab, Napoli, Traduzione di Alberto Montalto

TartaRugosa ha letto e scritto di: Alice Munro (2014), Il percorso dell’amore, Traduzione di Susanna Basso, Einaudi, Torino

TartaRugosa ha letto e scritto di: Domenico Starnone (2024), Il vecchio al mare, Einaudi, Torino

TartaRugosa ha letto e scritto di: Domenico Starnone (2024), Il vecchio al mare, Einaudi, Torino

TartaRugosa ha letto e scritto di: Domenico Starnone (2024), Il vecchio al mare, Einaudi, Torino – TARTARUGOSA

TartaRugosa ha letto e scritto di: Georges Perec (1989), Pensare/Classificare, Rizzoli, Milano, Traduzione di Sergio Pautasso

TRACCE e SENTIERI

 TartaRugosa ha letto e scritto di: 

Georges Perec (1989)

Pensare/Classificare

Rizzoli, Milano

Traduzione di Sergio Pautasso 

PENSARECLASSIFIVCARE285

Così come l’introduzione del concetto di “ limite” libera la creatività nella psiche umana, altrettanto si può affermare che, nella scrittura, la costrizione induce alla produzione di fantasia.

E’ questo il primo pensiero che mi è sopraggiunto quando, uscita dal letargo, mi sono finalmente decisa di approfondire la conoscenza dell’Ou-Li-Po Ouvroir de littérature potentielle (“Opificio di letteratura potenziale”), gruppo francese fondato da Queneau e a cui aderirono, fra altri, Georges Perec e Italo Calvino.

Perec mi “intriga” molto ed è ritornato fra le mie mani grazie all’ossessione classificatoria di TartaRugoso , così lontana dalle mie modalità che seguono altre linee di pensiero e, nonostante ciò, degne di esistere, come fra poco vedremo direttamente dalle parole di Perec.

Tornando all’Ou-Li-Po, ciò che rende affascinante l’approccio di questo opificio è lo…

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TartaRugosa ha letto e scritto di: Remo Bodei (2009), La vita delle cose, Laterza editore

TARTARUGOSA

Nella mia vita professionale, il termine “anomia” sta ad indicare l’incapacità a denominare gli oggetti e in genere è un inquietante segnale di problema cognitivo: “dammi quella cosa lì…, come si chiama?…”

Se risalgo a epoche più remote, la parola “cosa” era assai contestata dalla mia severa maestra Adriana, capace di abbassare di due voti il tema assegnato o la prova orale sostenuta, qualora tale “cosa” osasse fare una temeraria comparsa.

Con che piacere quindi immergermi nella lettura di Bodei e trovare che “Il significato di ‘cosa’ è più ampio di quello di ‘oggetto’, giacchè comprende anche persone o ideali e, più in generale, tutto ciò che interessa e sta a cuore …L’italiano ‘cosa’ (e i suoi correlati nelle lingue romanze) è la contrazione del latino causa, ossia di ciò che riteniamo talmente importante e coinvolgente da mobilitarci in sua difesa”.

Sempre etimologicamente ragionando, la parola oggetto (da

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TartaRugosa ha letto e scritto di: Philippe Delerm (1998), La prima sorsata di birra, Frassinelli, Traduzione di Leonella Prato Caruso

TARTARUGOSA

Ecco una domanda filosofica che mi assale mentre attendo l’arrivo del risveglio dal sonno invernale: assaporiamo con gli occhi, col palato, col naso o con l’insieme dei tre sensi?

Come l’opera di Proust insegna, quel gusto della madeleine bagnata nell’infuso di tè o di tiglio, scatena emozioni che fanno risalire alle immagini di un lontano episodio dell’infanzia (Così ora tutti i fiori del nostro giardino e quelli del parco di Swann, e le ninfee della Vivonne, e la buona gente del villaggio e le loro casette e la chiesa e tutta Combray e dintorni, tutto quello che vien prendendo forma e solidità, è sorto, città e giardini, dalla mia tazza di tè”).

A significare quindi che la fabbricazione della memoria necessita di agganci forniti dai canali percettivi: più agganci possiedi, più sensi utilizzi, più dettagli consideri, maggiore sarà la possibilità di raggiungere un ricordo sopito.

Negli…

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Dupont – Monod Clara, Adattarsi, Clichy editore, 2022. Scheda del libro

leggi anche

TartaRugosa ha letto e scritto di: Clara Dupont – Monod (2022), Adattarsi, Traduzione di Tommaso Gurrieri, Edizioni Clichy (FI)

TartaRugosa ha letto e scritto di: Alba Donati (2021), La libreria sulla collina, Einaudi, Torino

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Quando sulla scrivania arriva un testo come questo, i libridinosi esultano di felicità. Non solo perché pensano a quanto sarebbe bello avere una simile libreria sotto casa, ma perché, amabilmente invidiosi, vorrebbero essere loro stessi gli autori delle pagine che, sotto forma di diario, si rincorrono fra memorie, citazioni, stimolazioni sensoriali, segnalazioni di libri ed autori che già desidereresti avere sul tavolo di lettura.

E anche perché è una cronistoria che mostra come sia possibile realizzare un sogno, quando ci credi davvero.

La libreria era dappertutto, prima ancora di nascere. Aveva già iniziato a fare incantesimi quando ancora era un poggio scosceso con qualche cespo di insalata, due pali arrugginiti e un filo per stendere i panni”.

Non si tratta infatti di una libreria convenzionale: Sopra la Penna è una specie di cottage-chalet letterario di legno che trasmette il sapore di casa, che affaccia su un giardino e su…

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TartaRugosa ha letto e scritto di: Pilar Quintana (2022), La cagna, Traduzione di Pino Cacucci, Baldini Castoldi La Tartaruga, Miilano

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Quintana, con una scrittura quasi febbrile, ci trascina da subito in un ambiente che mostra in tutta la sua forza i rapporti tra mondo e natura; qui incontriamo Damaris, donna ferita da una maternità mancata, ma intensamente voluta e ricercata anche con i mezzi più ancestrali, affini alla stregoneria e fatta di unguenti e pratiche sciamaniche.

Damaris non aveva potuto avere figli. Si era messa con Rogelio ancora diciottenne e dopo un paio d’anni la gente cominciava a chiederle “A quando un bebé? A un certo punto aveva dovuto spiegare a quanti facevano domande che il problema era lei che non rimaneva incinta.

Adesso stava per compiere quarant’anni, l’età in cui le donne inaridiscono, come aveva sentito dire una volta a suo zio.

Il rapporto col marito è rude, un uomo dedito al lavoro su pescherecci, senza tante parole e dotato di quel senso pratico che a volte pare rasentare…

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TartaRugosa ha letto e scritto di: Gabriella Bernabò (2012), Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Pozzi e la sua poesia, Ancora Editrice, Milano

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E’ momento di riprendere in mano e rileggere questa biografia con quel turbamento suscitato forse da un titolo contraddittorio “per troppa vita che ho nel sangue”, così lontano dall’idea che a soli 26 anni (3 dicembre 1938) Antonia abbia deciso di abbandonare la scena della vita.

D’altronde le biografie servono proprio a mettere in luce passaggi significativi per tentare di capire il mistero che ognuno di noi nasconde.

Spiegare le ragioni di un suicidio non è mai affare agevole. Scrive Bernabò: “Far dipendere la sua decisione finale semplicemente da una delusione amorosa significherebbe non capire la complessità e la profondità del suo dramma … Antonia avvertiva in sé una straordinaria energia vitale ed era portata ad esprimerla, nella vita come nell’arte, ma si accorgeva della difficoltà di viverla appieno in un universo raggelante”.

Per tentare di comprendere meglio occorre quindi contestualizzare l’epoca della sua esistenza e…

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TartaRugosa ha letto e scritto di: Emanuele Trevi (2021), Due vite, Neri Pozza, Vicenza

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La scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti, e consiglio a chiunque abbia nostalgia di chiunque di fare lo stesso: non pensarlo ma scriverne; accorgendosi ben presto che il morto è attirato dalla scrittura, trova sempre un suo modo inaspettato per affiorare nelle parole che scriviamo di lui, e si manifesta di sua propria volontà.

Perché noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno.

Non è l’incipit del libro di Trevi, ma trovo queste frasi potentemente suggestive per descrivere il desiderio dell’autore di far riemergere…

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TartaRugosa ha letto e scritto di: Raymond Queneau (1983) Esercizi di stile, Einaudi Traduzione di Umberto Eco

TartaRugosa ha letto e scritto di: Raymond Queneau (1983) Esercizi di stile, Einaudi Traduzione di Umberto Eco

TartaRugosa ha letto e scritto di: Raymond Queneau (1983) Esercizi di stile, Einaudi Traduzione di Umberto Eco – TRACCE e SENTIERI: biografie fra Tempo, Luogo, Eros, Polis e Destino

TartaRugosa ha letto e scritto di: Edoardo Lombardo Vallauri (2010), Semplificare – Micro-Filosofie del Quotidiano, Rai-Eri | TartaRugosa

Tornando a Vallauri e al suo “Semplificare”, occorre specificare che tale testo deriva dalla trascrizione dei suoi interventi radiofonici nella trasmissione “Castelli in aria” su Rai RadioTre (puntualmente registrati e ascoltati in giorni e orari compatibili con la mia presenza in casa).

L’essenza di questo programma era di stimolare la riflessione su argomenti o comportamenti più o meno complessi della vita di ogni giorno allo scopo di aprire nuove idee sulla loro interpretazione, compito che a Vallauri decisamente riesce molto bene, sia perché il suo linguaggio è chiaro e immediato, sia perché è certamente originale la sua volontà di offrire un intrattenimento intellettuale relativamente a temi di cui spesso ci troviamo a ragionare un po’ per partito preso o per frasi fatte.

Ecco quindi che ogni oggetto dei suoi ragionamenti si presta a una massima semplificazione, grazie a esempi e domande che conducono l’ascoltatore ad allargare il campo della conoscenza e, talvolta, persino a ribaltare l’idea di partenza.

segue qui:

Sorgente: TartaRugosa ha letto e scritto di: Edoardo Lombardo Vallauri (2010), Semplificare – Micro-Filosofie del Quotidiano, Rai-Eri | TartaRugosa

TartaRugosa ha letto e scritto di: Andrée Bella (2014), Socrate in giardino, Passeggiate filosofiche tra gli alberi, Ponte alle Grazie, Salani Editore, Milano |di TartaRugosa

TartaRugosa ha letto e scritto di: Andrée Bella (2014), Socrate in giardino, Passeggiate filosofiche tra gli alberi, Ponte alle Grazie, Salani Editore, Milano

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TartaRugosa ha letto e scritto di: Andrée Bella (2014), Socrate in giardino, Passeggiate filosofiche tra gli alberi, Ponte alle Grazie, Salani Editore, Milano | TartaRugosa.

TartaRugosa ha letto e scritto di: Georges Perec (1989), Pensare/Classificare, Rizzoli, Milano, Traduzione di Sergio Pautasso

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TartaRugosa ha letto e scritto di: Pierre Bayard (2007), Come parlare di un libro senza averlo mai letto, Excelsior 1881, Milano (traduzione di Anita Maria Mazzoli) | dal blog di TartaRugosa

TartaRugosa ha letto e scritto di:

Pierre Bayard (2007)

Come parlare di un libro senza averlo mai letto

Excelsior 1881, Milano

(traduzione di Anita Maria Mazzoli)

Non leggo mai libri che devo recensire; non vorrei rimanerne influenzato(Oscar Wilde)

E’ stata una frase che mi ha fatto sobbalzare, guscio compreso.

Che vengo qui a fare, se non per raccontare a modo mio quel che leggo? Per una tartaruga lenta come me, c’è voluto un po’ di tempo per capire come si fa a parlare di qualcosa che non si conosce in maniera erudita, appropriata e soprattutto convincente per chi ascolta. Bayard non mi ha convinto del tutto, ma in alcune parti del suo ragionamento sì, eccome.

Ecco gli assiomi della non-lettura, secondo l’autore:

1)     Avere una visione d’insieme

principio fondamentale perché “leggere un libro intero è una perdita di tempo … e l’interesse troppo vivo per un libro porta ad escludere tutti gli altri”. Questo assioma è molto rassicurante per un’ossessiva come me, che quando si trova a tu per tu con un libro non perde una riga, note comprese (il che rallenta ulteriormente il mio tempo). Oltretutto l’impresa è a dir poco gigantesca. Pur leggendo poco, un numero sempre maggiore di persone scrive, e inseguire il ritmo non è facile, soprattutto quando la pila di libri si accatasta, l’altezza diventa vertiginosa e il rischio del crollo rasenta la mia sicurezza. A quel punto, inspiegabilmente, TartaRugoso provvede a ristabilire livelli di accettabilità e, per il motto “Occhio non vede, cuore non duole” posso finalmente riprendere la mia abitudine di dedicarmi ad un unico testo, senza troppo soffrire per la perdita. Devo cambiare però abitudine, perché Bayard sostiene che la cultura è soprattutto una questione di orientamento: “non aver letto un libro non ha alcuna importanza per la persona colta … perché è spesso in grado di conoscerne la collocazione, vale a dire il modo in cui si situa rispetto agli altri libri”.

La non-lettura diventa quindi “una vera e propria attività, che consente nell’organizzarsi in proporzione alla vastità dei libri, al fine di non lasciarsi sommergere da essi”. Conoscere la relazione che un libro ha con altri libri significa saperne di più che averlo letto.

2)     Orientarsi rapidamente all’interno di un libro

Secondo l’autore, sfogliare i libri senza leggerli evita di perdersi nei dettagli e “qualsiasi lettura troppo attenta, se non addirittura qualunque lettura, è un impedimento al possesso approfondito del suo oggetto”. A questo punto suggerisce due tecniche per lo sfogliare:

– lineare: si parte dall’inizio, si saltano righe e pagine e ci si dirige verso la fine

– circolare: lo sfogliare è disordinato, si saltella da una parte all’altra del libro e non se ne conclude la lettura

Questi modi di procedere sono molto più efficaci di chi passa magari ore infinite su un libro, decidendo poi di non concluderne la lettura

3)  Sentire cosa gli altri ne dicono

Moltissimi libri di cui siamo portati a parlare non sono mai passati effettivamente per le nostre mani, ma il modo in cui gli altri ce ne parlano, ci permette di farci un’idea di ciò che contengono”.

Passato il primo momento di sbigottimento, devo ammettere che alcune osservazioni sono valide, in quanto le ho potuto direttamente verificare suTartaRugoso, che si è molto rinforzato nel suo stile dopo questa lettura. In effetti per lui questi tre assiomi funzionano alla grande. Nella visione d’insieme delle librerie, lui sa sempre al primo colpo dove si colloca un testo, quali gli stanno accanto, l’argomento che tratta, nonché, spesso, la casa editrice e l’anno di pubblicazione.

Per il secondo punto, basta che io prenda un libro precedentemente letto (non letto??) da lui per notare quanto segue: sottolineature, parole  chiave a margine, asterischi nelle prime pagine, poi il testo torna ad essere intonso per rivivacizzarsi alla fine. Elementi più che sufficienti per parlare del contenuto per ore.

Quanto al terzo assioma, ho ancora nelle orecchie una sua brillante recensione di un libro corposo assolutamente non letto, ma di cui mi ero premurata io a fargli notare alcuni passaggi interessanti.

Bayard ha evidentemente ragione. Però, aggiungo io, se si tratta di un romanzo giallo, questo sistema di non leggere fa perdere tutto il fascino della scoperta dell’indizio, salvo accontentarsi di andare subito alla fine e, attraverso la quarta di copertina, assemblare sufficienti informazioni per raccontare la vicenda a chi non la conosce.

Un’altra disquisizione importante fatta da Bayard riguarda il caso della dimenticanza. Un libro può essere letto con estrema attenzione e poi dimenticato. “Non conserviamo nella nostra memoria dei libri omogenei, ma dei frammenti strappati a letture parziali, spesso mescolati gli uni agli altri, e per di più rielaborati dai nostri personali fantasmi”. Afferma, citando Montaigne, che noi dimentichiamo una percentuale altissima dei libri che abbiamo letto per davvero e in forma completa, anzi di essi ci formiamo una specie di immagine interiore costituita non tanto di quello che vi era veramente scritto, bensì di cosa ci ha suscitato nella mente.. Ecco quindi il fenomeno della de-lettura: “un movimento fatto al tempo stesso di scomparsa e di offuscamento dei riferimenti, che trasforma i libri, spesso ridotti al solo titolo o a qualche pagina approssimativa, in vaghe ombre che scivolano sulla superficie della nostra coscienza”. E anche in questo caso devo dargli ragione. L’evanescenza della memoria, dopo un po’ di anni, fa sì che nel riprendere in mano un libro si abbia la sensazione di non averlo letto, se non in alcuni passaggi che ci hanno particolarmente emozionato.

L’autore prosegue dando pure indicazioni di situazioni in cui il non-lettore deve parlare di libri che non ha letto. Quella più divertente è quando questo evento accade davanti alla persona che è autrice del libro stesso.

Molto diplomaticamente Bayard suggerisce: “parlarne bene senza entrare nei dettagli. L’autore non si aspetta affatto un riassunto o un commento argomentato dal suo libro: egli si aspetta solamente che gli si dica di avere apprezzato ciò che ha scritto”. Sarebbe comunque interessante che qualcuno si prendesse la briga di fare un elenco dei libri che per davvero vale la pena di non leggere, neppure secondo i criteri sin qui evidenziati.

Verso la fine (e questo, se uno avesse seguito le istruzioni date, avrebbe veramente risparmiato un bel po’ di tempo) si capisce la vera natura di Bayard, che oltre ad essere professore di letteratura francese, è anche psicanalista.

Non è tanto il libro come tale ad esistere, ma l’insieme di una situazione di comunicazione in cui esso circola e si modifica … è un oggetto mobile … che subisce variazioni sensibili in funzione degli scambi che si producono riguardo ad esso”.

Secondo Bayard “i libri di cui parliamo non sono solo i libri reali che un’immaginaria lettura integrale ritroverebbe nella loro materialità oggettiva, ma anche dei libri-fantasma che sorgono all’incrocio delle virtualità inespresse di ogni libro e del nostro inconscio”.

Questo significa che in ogni libro che leggiamo sarà maggiore la forza espressa dall’inconscio, piuttosto che la precisione della lettura.

Un buon lettore fa una traversata di libri, dato che sa che ciascuno di essi è portatore di una parte di se stesso e può aprirgli una strada … L’invenzione del libro di cui ci si è appropriati, in qualsiasi contesto di parola e scrittura, sarà tanto più credibile quanto più sarà condotto dalla verità del soggetto e inscritto nel prolungamento del suo universo interiore”.

Quindi una nuova forma per sviluppare creatività e immaginazione sarebbe quella di insegnare che un libro si reinventa a ogni lettura e che in ogni libro il lettore debba metterci innanzi tutto del suo.

Nessuna paura dunque a parlare con convinzione di qualcosa che “immaginiamo”: sarà la nostra abilità a renderla coerente con  il contenuto che si suppone che quel testo abbia e il gioco è fatto. Ammesso che i professori-educatori possiedano la stessa tolleranza di Bayard.

Il quale, a supporto di quanto afferma, cita opere letterarie di Musil, Valéry, Eco, Montaigne, Greene, Siniac, Murray, Lodge, Balzac, Soseki, Wilde, in una forma così dettagliata e minuziosa da contraddire se stesso.

Stephen King (2000) La tempesta del secolo, Sperling & Kupfer Traduzione di Tullio Dobner, da TartaRugosa

Questa volta Stephen King non lascia via di scampo: questa volta vince proprio il Male.

Siamo a Little Tall Island, una piccola isola davanti alla costa del Maine, un luogo che già conosciamo per avervi incontrato Dolores Claiborne, del cui marito più volte nel libro si ricorda la misteriosa morte.

E’ una piccola comunità che fa vanto della propria coesione e della propria capacità di conservare i segreti per fronteggiare i rigori di una natura ostile, soprattutto in quel 1989, quando dalla TV viene dato annuncio dell’arrivo della tempesta del secolo: “Venti da uragano lungo la costa del Maine e sulle isole … quando comincerà a cadere la neve l’intensità della precipitazione crescerà velocissimamente … Diciamo che l’entità delle precipitazioni sarà straordinaria. Un metro? Probabile. Due? Possibile anche questo”.

Affascinati anche dalla modalità narrativa – praticamente la diretta sceneggiatura di quello che diventerà un film televisivo – seguiamo pietrificati il parallelo avvicendarsi dei tre giorni di tormenta e il diabolico piano di Linoge, il Male vestito da mostro.

Mentre larghe falde di neve si infittiscono sempre più, avvolgendo dapprima strade, poi auto e furgoni, infine case e negozi, ombre di orrore si allungano nelle tenebre della notte che cala.

Le storie delle famiglie della comunità, nuclei compatti di amore ed affetto, iniziano a mostrare incrinature sottili che presto si aprono in larghe crepe, dove precipita quell’integrità di idea di famiglia perfetta.

Il primo omicidio non resta a lungo misterioso. Linoge ha voglia di essere arrestato. Fa parte del suo piano informare tutti da subito sul perché è lì:DATEMI QUELLO CHE VOGLIO E ME NE VADO.

Fuori la tempesta infuria e l’orribile presagio che mai più nulla sarà come prima è anche il cedimento del faro, simbolo di luce e orientamento.

Linoge è la diabolica creatura che proietta e contemporaneamente rispecchia il fondo buio della coscienza, là dove si ha paura di guardare.

Le scene orrorifiche che il Satana perpetra celano gli scheletri sepolti nelle storie degli apparentemente tranquilli abitanti dell’isola.

La presenza del Male come prodotto delle responsabilità individuali emerge come per incanto grazie alla sapiente regia di Linoge che SA e CONOSCE i segreti di ognuno e se ne arma le mani: “L’isola è piena di adulteri, pedofili, ladri, intemperanti, assassini, prepotenti, farabutti e avidi idioti. Io li conosco tutti … nato nel vizio, morto nel supplizio. Nato nel peccato, a entrare sia invitato”.

Mosse da una forza superiore e incontrollabile, delicate e sensibili creature soggiogate da vendetta, rancore, delusione, invidia che annebbiano vista e coscienza, diventano attori di raccapriccio e terrore, di omicidi crudeli ed efferati, punizioni terribili per peccati commessi e mai confessati.

Linoge, presentificazione del Male e della Cattiva Coscienza, porta agli uomini della comunità il suo messaggio: “Io ho vissuto a lungo, migliaia di anni, ma non sono un dio e nemmeno uno degli immortali … Calcherò ancora qualche suolo quando voi sarete sotto terra. Ma dal punto di vista della mia esistenza personale, mi resta poco tempo … Voglio qualcuno da allevare e istruire; qualcuno a cui passare tutto quello che ho imparato e tutto ciò che so; voglio qualcuno che porti avanti il mio lavoro quando io non potrò più farlo … Voglio un bambino. Uno degli otto che dormono là dietro. Non m’importa quale, sono tutti uguali ai miei occhi. Datemi quello che voglio, datemelo spontaneamente, e andrò via. … Negatemelo e i sogni che avete fatto la notte scorsa si avvereranno. I bambini cadranno dal cielo, voi andrete a gettarvi nell’oceano, a due a due, e quando la tempesta sarà finita, troveranno quest’isola vuota, deserta”.

Il Male non può permettersi di svanire senza lasciare eredi.

Sono ancora i bambini innocenti ad essere vittime del Male, irretiti dai suoi giochi e dalle sue magie, dalla testa del suo bastone che da cane lupo con la bocca insanguinata può trasformarsi in cane affettuoso, festosa guida nel cielo azzurro dietro cui Linoge vola tenendo per mano due bambini, a loro volta uniti ad altri due, fino a formare una larga V.

Se il Male sente di essere a fine corsa, deve continuare a nutrirsi, e non è detto che la vittima sacrificale se ne dispiaccia: se allevata dalla tenera età, un giorno potrà persino chiamarlo padre …

Datemi quello che voglio …” la realtà del sacrificio di un figlio è più insopportabile di qualsiasi altro scenario, ma l’alternativa (la scomparsa di tutti) è un’atrocità tragicamente superiore ad ogni tipo di incubo.

Quanto possono ancora sopportare gli abitanti di Little Tall Island?

Mike Anderson, lo sceriffo, è l’unico che disperatamente tenta di resistere, di ricompattare le forze di ognuno: “Opporglisi, uno di fianco all’altro, spalla a spalla. Dirgli di no in una voce sola. Fare quello che c’è scritto sulla porta attraverso la quale passiamo per entrare qui dentro, avere fede in Dio e ciascuno nel suo prossimo. E allora … forse … se ne andrà. Come sempre se ne vanno le tempeste, quando hanno esaurito la loro energia”.

C’è un fascino misterioso e malato nel guardare in faccia il Male.

Qualcosa che attrae e ipnotizza.

Andy: “Che scelta abbiamo. Che cos’altro possiamo fare?”

Tavia: “Tu parli come se avesse intenzione di uccidere il bambino, Mike … Come se fosse una sorta di … di sacrificio umano. A me è sembrata piuttosto una specie di adozione”.

Jonas: “Anzi, gli promette lunga vita. Se gli si vuole credere, naturalmente. E dopo aver visto io … il fatto è che io gli credo”.

Per Mike il dolore è insopportabile, folle, senza senso. Il cerchio composto della piccola comunità si sfalda e anche Molly, sua moglie, gli è contraria: “Non ci siamo mai tirati indietro davanti ai nostri doveri, Michael. Abbiamo partecipato a tutti i momenti della vita di quest’isola e ne faremo parte anche questa volta”.

Nessuno può contrastare Linoge. Ciò che hanno visto ha fatto loro capire che la sua forza soprannaturale ha la possibilità di sovvertire il corso degli eventi secondo un preciso disegno di distruzione.

Meglio accettare il mostruoso aut-aut. La pallina nera resterà fra le mani di Molly, segno che il prescelto da Linoge diventerà proprio il figlioletto di Molly e Mike.

E Linoge ringrazia.

Avete fatto una cosa difficile, amici miei, ma a dispetto di quanto possa avervi detto lo sceriffo, è anche una cosa buona. La cosa giusta. La sola cosa, in realtà, che avrebbero potuto fare persone responsabili e amorevoli, date le circostanze”.

I segreti hanno bisogno di qualcuno che li ascolti, perché se rimangono prigionieri nel cuore di chi li vive, non potrà esserci salvezza.

Mike lascia l’isola e, a distanza di anni, conosceremo l’evoluzione dei personaggi incontrati durante la famosa tempesta del secolo.

Diversamente da altri romanzi di King, qui non siamo in presenza della favola che oppone il Bene al Male. Qui la paura del nostro tempo prende il sopravvento, è come se il mondo si svelasse a se stesso tirando fuori l’Ombra annidata nei gesti più banali, nelle pareti della casa, nei sotterranei della città.

E’ un romanzo senza speranza: infine il Male ce l’ha fatta a venire a regnare sulla Terra.