Petrarca è un viaggio nel ricco mondo della cultura italiana con contributi dalle redazioni regionali della TGR, una tendenza a occuparsi di fatti culturali scrutando dietro le quinte, un occhio di riguardo ad arte e culture meno frequentate
A riveder le stelle, lo speciale concerto inaugurale della stagione 2020/2021 del Teatro alla Scala di Milano
Alberto Mattioli su La Stampa: «La prima della Scala covidata più strana di tutti i tempi: niente pubblico in sala, niente opera, ma un concertone lirico per la tivù (quasi tutto registrato). Titolo: A riveder le stelle, insieme un augurio e una constatazione, dato che le stelle del canto ci sono quasi tutte. Unica certezza: sul podio, come sempre, il direttore musicale della Casa, Riccardo Chailly. Rimpianti? “Sinceramente sì. Dovevamo inaugurare con una Lucia di Lammermoor che non abbiamo nemmeno mai potuto annunciare ufficialmente. Avevamo però già fatto due settimane di prove, lo spettacolo iniziava a prendere forma. È un grande dolore, una sofferenza, non vederlo in scena. Era dal ’67, dalla famosa edizione Abbado-De Lullo, che la Scala non apriva con Donizetti. Allora c’ero, sarebbe stato bello riportare Lucia alla prima”. Parliamo di questo 7 dicembre. Il programma è lungo e in gran parte sarà registrato prima. Che effetto le fa? “Intanto bisogna venirne a capo. La gabbia organizzativa è molto complessa, con arrivi e partenze continui di cantanti che raggiungono Milano da tutto il mondo, in un momento in cui viaggiare non è esattamente facile”. […] Però non c’è l’opera, ma una specie di antologia… “L’idea è che non sia soltanto un serie di arie staccate, ma un vero percorso sia dentro i singoli titoli, con più brani di ognuno, sia attraverso un secolo di opera italiana, dal Tell di Rossini a Turandot di Puccini. Più qualche brano non italiano, come Carmen o il finale del primo atto di Walküre di Wagner. Per l’orchestra si tratta chiaramente di un impegno enorme: non solo per la quantità di musica, circa tre ore, ma anche per le differenze stilistiche, che ovviamente non bisogna appiattire. Per chi suona, un viaggio epocale”. La fine è l’inizio: il programma si chiude con l’apoteosi finale del Tell. “L’ho voluto in italiano e non nell’originale francese perché si capiscano le parole di Calisto Bassi sulla musica sublime di Rossini: “Tutto cangia, il ciel s’abbella,/ L’aria è pura, il dì è raggiante”. Un messaggio di speranza che dalla Scala si alzerà verso Milano, l’Italia e il mondo, sperando che questa pandemia non sia soltanto una tragedia ma anche una catarsi purificatrice”. Come sarà fare musica senza pubblico? “Sono sincero: non lo so. Non mi è mai capitato. Ma so che senza il calore del pubblico, senza l’applauso finale, sarà diverso, si avvertirà un vuoto. Stiamo facendo un lavoro che non è il nostro, in condizioni che non sono quelle abituali, in una situazione di emergenza dove tutto è inusuale, a cominciare dal fatto che l’orchestra suona in platea, il coro canta nei palchi e io dirigo guardando verso il palco reale. È un unicum, un’esperienza eccezionale e non ripetibile”».
Ogni giorno storie, personaggi e temi con l’intento di approfondire alcuni aspetti della complessità che ci circonda.
Dall’arte alla letteratura, dalla musica alla storia recente, dalla filosofia alla politica, Giorgio Zanchini e i suoi ospiti offrono spunti di riflessione per comprendere le mille facce di un paese meraviglioso e contraddittorio
Siamo negli anni’80 ed il detective Wayne Hays è impegnato in una discarica a sparare alle volpi e ai topi quando, pochi giorni dopo Halloween, lui e il collega Roland West vengono chiamati ad indagare sulla scomparsa del piccolo Will e della sorella Julie Purcell. Dopo il ritrovamento del cadavere del bambino, le ricerche si concentrano su due filoni distinti: capire chi lo ha ucciso e se Julie è ancora viva. Will viene rinvenuto sul finire della prima puntata in una grotta che lascia molti sospetti sulla presenza di una setta o di qualche rituale: Wayne, che nell’esercito ha svolto il compito di esploratore, ha infatti raggiunto la grotta seguendo una serie di inquietanti bambole disseminate tra i monti Ozark dove la vicenda è ambientata.
Siamo negli anni ’90 e le strade dei due detective hanno preso percorsi diversi: Wayne (Mahershala Ali, tra l’altro Remy Danton in House of cards
Già in qualche occasione avevo segnalato l’alto tasso filosofico di alcune serie televisive (basti pensare a Six feet under oppure a Lost o anche a Breaking Bad, The walking dead, House of cards, e l’elenco potrebbe continuare): un po’ perché il loro livello qualitativo è enormemente cresciuto da qualche decennio a questa parte, un po’ perché l’esplorazione del mondo – ma anche dei mondi possibili – da parte degli autori si è fatta sempre più sofisticata e sorprendente. Del resto la meraviglia di fronte al mondo (o agli infiniti mondi) non è una delle qualità essenziali del filosofare? Ricordo ad esempio che rimasi per anni fulminato da X-Files, forse per quel voler vedere quel che gli altri non vedevano – o non volevano vedere – e per gli effetti stranianti e per la messa in discussione della verità ufficiale, con quel paranoico I want to believe
True Detective è una serie che aiuta la riflessione, toccando temi sacri e profani che si intrecciano alla ricerca delle risposte giuste:
“La natura ha creato un aspetto della natura separato da se stessa. Noi siamo creature che non dovrebbero esistere, secondo le leggi della natura. Siamo solo delle cose che si sforzano sotto l’illusione di avere una coscienza […]. Penso che l’unica cosa onorevole da fare per le specie come la nostra sia rifiutare come siamo fatti. E smettere di riprodurci, procedendo tutti insieme verso l’estinzione“.
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