… la follia essenziale si esprime nella persuasione che le cose escono e ritornano nel niente. Il mortale è appunto questa volontà che le cose siano un oscillare tra l’essere e il niente.
Al di fuori della follia essenziale, di tutte le cose è necessario dire che è impossibile che non siano, cioè è necessario affermare che tutte – dalle più umili e umbratili alle più nobili e grandi – tutte sono eterne.
Tutte, e non solo un dio, privilegiato rispetto ad esse.
…
se il divenire non appare come annientamento, ma come l’entrare e l’uscire delle cose dal cerchio dell’apparire, allora l’affermazione dell’eternità del tutto stabilisce la sorte di ciò che scompare: esso continua a esistere, eterno, come un sole dopo il tramonto.
Non solo la legna fiammeggiante, le braci, la cenere, il vento che le disperde sono eterni astri dell’essere che si succedono nel cerchio dell’apparire, ma anche tutte le fasi dell’albero che
nella valle ove fresca era la fonte/e il giovane verde dei cespugli/giocava al fianco delle calme rocce/e l’etere tra i rami traluceva/e quando intorno i fiori traboccavano (Holderlin),
hanno preceduto la legna tagliata per il fuoco.
Quando gli astri dell’essere escono dal cerchio dell’apparire, il destino della verità li ha già raggiunti e impedisce loro di diventare niente.
Appunto per questo essi – tutti – possono ritornare
Emanuele Severino
in La strada. La follia e la gioia (1983), Rizzoli Bur, 2008, p. 103-104
Enunciato che sta a fondamento dell’essere stesso.
Infatti nulla si crea , nulla si distrugge , ma ciò che è continua ad essere , pur nei suoi mutamenti naturali, inerenti la sua stessa essenza.
Pertanto si deve affermare che se qualcosa è , è per sempre, è eterna.
Sconcertante, reale, vera questa asserzione, sia sul piano della realtà, sia sul piano della logica, mi affascina soprattutto per il suo aspetto poetico; in tal senso poesia viene a coincidere con l’essenza stessa ,che proprio in quanto tale è eterna.
Mi piace l’idea che hai avuto, Paolo, di scrivere questo pensiero di Emanuele Severino sulla lavagna con il segno labile del gesso…quasi a sottolineare un contrasto o una sfida tra il senso che permane ed il mezzo impermanente.