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Cosa ha scoperto Severino? Un significato rivoluzionario di «ente». E in cosa consisterebbe questa rivoluzionarietà?
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Severino si rivolge al significato «ente» con il rigore e la radicalità della filosofia teoretica, che non accetta presupposti ingiustificati, e ne mette in luce il tratto fondamentale:
essere ente significa essere un certo «esser-sé»: la penna è penna, la carta è carta, eccetera.
Ma cos’è e cosa significa «esser sé»? — chiede Severino.
Con le sue parole: «Esser sé è insieme il proprio non essere altro».
Esempio: penna è penna in quanto è insieme non foglio, non tavolo, non cielo e non-niente. Se non si tenesse fermo questo, non vi sarebbe alcuna penna. Non la si potrebbe nemmeno pensare e dire.
Severino non sta dicendo nulla che la filosofia non sappia; sta solo richiamando l’attenzione su un tratto essenziale dell’ente.
Quando si dice «carta» non si dice cenere ovvero si dice già non-cenere. Ecco il rilievo di Severino: cosa succede quando si dice che la carta (bruciata) è (diventata) cenere? Si dice che la non-cenere è cenere.
Il dire (il pensare) entra immediatamente in contraddizione con sé stesso:crede di dire qualcosa, ma non dice niente .
Perché?
Perché rende impossibile il soggetto e il predicato dell’affermazione.
Toglie loro senso. Come se chi parla dicesse: Garibaldi, che è Pinocchio, è Napoleone.
Da qui l’affermazione di Severino che la storia della filosofia è stata «storia della follia». Volontà dell’impossibile. Certo, anche la volontà dell’impossibile esiste, non è niente; ma non è quello che crede di essere.
Il nucleo del pensiero severiniano è dunque semplicemente questo:
appare immediatamente che l’esser sé è insieme il proprio non essere altro.
Da ciò si deduce l’impossibilità che una qualsiasi cosa possa diventare altro da sé (trasformarsi, nascere e morire) e che dunque ogni cosa sia eterna.
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