Categoria: Romanzi
Porru Matteo, Il dolore crea l’inverno, Garzanti, 2022

scheda dell’editore:
https://www.garzanti.it/libri/matteo-porru-il-dolore-crea-linverno-9788811003854/
Intorno c’è solo neve. E bianco. La neve copre le cose, le case, le persone. Anzi, alle persone la neve cade dentro e il freddo le circonda ma, soprattutto, si diffonde nelle ossa, negli occhi e nei pensieri.
Elia Legasov è nato in un paese circondato dal bianco, e da lì non è mai andato via. Il suo lavoro è spalare la neve, liberare strade su cui nessuno camminerà. La neve è sua amica, fino a quando non lo tradisce. Finché non fa emergere qualcosa dalle sue profondità. Qualcosa che ha a che fare con la sua famiglia e che doveva restare sepolto.
Da quel momento, nella mente di Elia si affollano ricordi che aveva soffocato. Parlano di un padre, scomparso tanti anni prima, e di una madre, partita per sempre. Sono parole dolci, gesti delicati, sorrisi sinceri. Ma anche duri come il ghiaccio. E dolorosi.
Elia capisce allora che quello che si dice dei membri della sua famiglia è vero: la neve non li protegge, ma li tenta, li provoca, per vedere se sono capaci di dimenticare, perché tutti dimenticano, ma i Legasov ricordano, sempre. Ora è venuto il suo turno di ricordare. Qualunque sia il prezzo. Qualunque cosa venga a galla. Perché è nelle case che il passato nidifica. È nelle famiglie che si riproduce, nei giorni bianchi e nei giorni neri. Perché il dolore crea l’inverno. Ma ogni inverno è diverso da quello precedente e da quello successivo.
A soli diciotto anni, Matteo Porru ha vinto il premio Campiello Giovani. Per la stampa è uno dei venticinque under-25 più promettenti al mondo. Ora arriva in libreria con un romanzo sospeso nel tempo e nello spazio che parla di legami familiari, rimpianti e vissuti indelebili. Un romanzo che ci ricorda che siamo tutti fatti di carne e neve.


Niccolò Ammaniti, La vita intima, Einaudi, 2022
Maria Cristina Palma ha una vita all’apparenza perfetta, è bella, ricca, famosa, il mondo gira intorno a lei. Poi, un giorno, riceve sul cellulare un video che cambia tutto.
Nel suo passato c’è un segreto con cui non ha fatto i conti.
Come un moderno alienista Niccolò Ammaniti disseziona la mente di una donna, ne esplora le paure, le ossessioni, i desideri inconfessabili in un romanzo che unisce spericolata fantasia, realismo psicologico, senso del tragico e incanto del paradosso.
scheda dell’editore:




Candurro Miriam, La settima stanza, Sperling & Kupfer, 2022. Con video di presentazione
scheda dell’editore:
«Un giorno ci verrà ridato tutto il tempo perso, i baci che non ci siamo dati, i tramonti che non abbiamo visto insieme. Verrà il giorno in cui ci perdoneremo le vite vissute, le scelte fatte, le fughe in direzioni opposte. Fino a quel giorno io ti aspetterò qui. Nella nostra stanza a picco sul mare.»
Ci sono momenti che restano indelebili. È a questo che pensa Giovanni mentre percorre la litoranea che lo porta a casa. Una casa da cui vuole stare lontano e in cui non torna da vent’anni. Vent’anni di assenza, di silenzio, di sensi di colpa.
Tutto è cominciato lì, a Villa Rosa, di fronte a un mare immenso e cristallino: una sera d’estate l’adolescente Giovanni, affacciato alla finestra della sua stanza, aveva visto una ragazza lottare tra le onde. Senza pensarci, era corso in spiaggia e si era buttato in acqua per salvarle la vita.
Quel momento aveva cambiato tutto: Giovanni ancora non lo sapeva, ma il suo destino e quello della ragazza sarebbero stati inesorabilmente legati. Ora, mentre i cancelli di Villa Rosa si riaprono, i ricordi riaffiorano vividi, prepotenti, e Giovanni si trova a fare i conti con il passato e con un sentimento che, forse, non ha mai dimenticato.
Dalla sorprendente penna di Miriam Candurro, una storia delicata e feroce al tempo stesso. Un romanzo di formazione in cui luce e ombra si fondono in modo magistrale per dare vita a personaggi indimenticabili.
Miriam Candurro è nata a Napoli nel 1980. Attrice e volto noto del piccolo schermo, Miriam ha partecipato a popolari serie tv come, per esempio, Capri e I Bastardi di Pizzofalcone ed è una delle protagoniste più amate della soap cult di Rai 3 Un posto al sole. Questo è il suo romanzo per adulti d’esordio
Ferrari Gian Arturo, Storia confidenziale dell’editoria italiana, Marsilio, 2022
scheda dell’editore:
Chi racconta questa storia di scrittori e editori, stampatori e mecenati, talenti e miserie è stato un protagonista dell’editoria italiana del Novecento. Ha lavorato in case editrici medie e grandissime, si è occupato di patrie lettere e letterature straniere, soprattutto ha incontrato persone e cose, attraversato epoche, inventato collane, assunto e licenziato.
Chi racconta somiglia abbastanza all’editoria italiana, elegante e iraconda, generosa e umbratile, colta e commerciale. Perché l’editoria, si legge in queste pagine, è figlia dell’intellettualità e del commercio, non appartenendo in fondo a nessuno dei due.
E poi, annosa questione, sono gli editori capitani d’azienda? Esistono ancora come i primi trent’anni del Novecento ce li hanno consegnati?
Chi racconta ricostruisce con passione e puntualità una storia che si suppone magmatica, casuale, con accelerazioni improvvise e sacche, costellata di invidie e affetti, rabbie e riconciliazioni, amori e antipatie.
Chi racconta sa che attraverso l’editoria si può raccontare la storia d’Italia, quella tra le due guerre e quella degli anni di piombo, quella dei magnifici anni Ottanta e la più recente, quando i protagonisti sono forse meno eroici ma più inattesi.
Con tono epico e comico, affettuoso e tagliente, con occhi distanti e nel contempo vicinissimi, Gian Arturo Ferrari ci accompagna nelle avventure umane e culturali degli uomini e delle donne che si sono occupati di scegliere come, quando e quali libri pubblicare in un paese in cui tutti scrivono e pochi leggono.

Luigi Guarnieri, Il segreto di Lucia Joyce, La Nave di Teseo, 2022. recensione di Federica Manzon in La Stampa/TuttoLibri 16 apr 2022
vai alla scheda dell’editore:
http://www.lanavediteseo.eu/item/il-segreto-di-lucia-joyce/?msclkid=a2d6c378bd8f11ecb1ccdabbeb97ec70
Lucia nasce a Trieste nel 1907. Secondogenita di James e Nora Joyce, vive la sua infanzia con i genitori e il fratello Giorgio in precarie condizioni economiche. Dopo Trieste inizia un peregrinare continuo tra Parigi, la Svizzera – soprattutto Zurigo – e qualche breve ritorno in Irlanda. È a Parigi che Joyce entra in contatto con scrittori, artisti, esponenti dell’alta borghesia e generose benefattrici.
In questo contesto – un tenore di vita al di sopra delle reali possibilità dello scrittore, un successo che stenta a decollare ma un fervente interesse per la sua opera da parte di alcuni estimatori di eccezione, una routine familiare delirante – Lucia e Giorgio crescono in uno strano rapporto di simbiosi. Così il matrimonio di Giorgio è vissuto come un abbandono da Lucia, che viene anche rifiutata da tre uomini nel giro di breve tempo (tra cui Beckett e lo scultore Calder). L’unico ambito in cui riesce a esprimere se stessa è la danza: frequenta corsi teatrali e coreutici, stringe amicizie femminili che le sono di ispirazione e si inserisce in ambienti artistici molto lontani da quelli del padre. Il primo crollo psichico segna per lei l’inizio di un calvario che, tra cliniche e manicomi, terapie sperimentali, psicanalisi junghiana, diagnosi contraddittorie e mai verificate, durerà tutta la sua vita. Scoprire il segreto dell’oscura malattia mentale di Lucia, della quale Joyce continuerà sempre a sentirsi colpevole, diverrà per l’autore dell’Ulysses una vera ossessione, che non gli darà mai tregua e rischierà di distruggerlo.
recensione di Federica Manzon in La Stampa/TuttoLibri 16 apr 2022
La follia rubata alla figlia fece grande l’arte di Joyce
Sostiene Pereira – Antonio Tabucchi

Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell’imbarazzo di mettere su la pagina culturale, perché il “Lisboa” aveva ormai una pagina culturale, e l’avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte. Quel bel giorno d’estate, con la brezza atlantica che accarezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte.
Dal libro Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi
INFORMAZIONI GENERALI:
- TITOLO: Sostiene Pereira
- AUTORE: Antonio Tabucchi
- GENERE: Romanzo civile
- VOTO:
IL LIBRO:
Proprio questo è l’incipit di un…
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I grandi CLASSICI riveduti e scorretti. 50 libri che non potete non conoscere raccontati come nessun altro potrebbe fare, Longanesi editore, 2018. Indice del libro
il catalogo delle Edizioni «Via del Vento» – Via Vitoni, 14 – 51100 Pistoia (PT)
Massimo Gramellini, C’era una volta adesso (Longanesi), 2020
Massimo Gramellini, C’era una volta adesso (Longanesi)
vai alla recensione di Teresa Ciabatti
Alessio Torino, Al centro del mondo, Mondadori, 2020
vai a questa recensione:

Charles Dickens, David Copperfield. Trama in Wikipedia
Luis Sepúlveda (1949-2020)
Scrittore cileno. Esordì nel 1989 con Il vecchio che leggeva romanzi d’amore dedicato a Chico Mendes e scritto dopo sette mesi trascorsi nella foresta amazzonica con gli indios Shuar. «Con il secondo romanzo, Il mondo alla fine del mondo, descrisse invece ciò che gli era sembrato inevitabile dal ponte di una nave di Greenpeace, organizzazione a cui si era unito negli anni Ottanta: navi-fabbrica che trascinano a bordo balene esangui e si trasformano in mattatoi, inseguimenti tra le nebbie dell’Antartide, militanti ecologisti contro pescatori giapponesi» [Parmeggiani, Rep]. Della sua produzione si ricordano anche alcune favole, tra cui Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (pubblicato nel 1996 da Salani) che ha ispirato il film d’animazione La gabbianella e il gatto, uscito nel 1998 e diretto da Enzo D’Alò. Da ultimo ha pubblicato nel 2018 Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa. «La madre Irma, ricordava, era di origine mapuche. Per questo diceva che era fatto per resistere alle prove anche le più dure. Impegnato in tante battaglie, sempre in guerra contro un potere tiranno (i dittatori dell’America Latina ma anche le multinazionali che avevano condannato i paesi del Cono Sud a una dipendenza economica che somiglia alla schiavitù) Lucho stava dalla parte degli oppressi, quelli che la legge dei padroni considerava banditi, fuorilegge. E lui era nato fuorilegge, con “un mandato di cattura” che pendeva sulla testa di suo padre, José Sepúlveda, cuoco e comunista, che la famiglia di Irma aveva denunziato per “rapimento di minorenne e sequestro di persona”. Così era nato a Ovalle, cittadina del Nord, in una camera d’albergo che certo, rideva, non era “un hotel cinque stelle”» [Polese, CdS]. Durante la presidenza di Salvador Allende s’iscrisse al Partito Socialista ed entrò a far parte della guardia personale del presidente cileno. Arrestato nel 1973 dopo il colpo di stato del generale Augusto Pinochet, fu torturato per sette mesi e liberato dopo per le pressioni di Amnesty International. Un nuovo arresto lo condannò all’esilio. Nel 1979 in Nicaragua si unì alle Brigate Internazionali Simon Bolivar. Nel 1978 si trasferì ad Amburgo, in Germania, quindi in Francia. Dal 1996 viveva a Gijón, nelle Asturie, in Spagna. Morto alle 10 e 18 di ieri, in ospedale a Oviedo, dov’era ricoverato da fine febbraio dopo aver contratto il coronavirus al Festival letterario Correntes d’Escrita, in Portogallo. Lascia quattro figli e una moglie, la poetessa Carmen Yáñez, 66 anni, sposata due volte. Tra i due matrimoni convolò a nozze con Margarita, una donna tedesca conosciuta in Ecuador con la quale ebbe tre figli. Spiega la moglie Carmen: «Quando sarà possibile organizzeremo una piccola cerimonia di addio perché tutti i suoi figli e i suoi nipoti e i suoi amici possano salutarlo. E poi lo porteremo in Patagonia».
Romanzo di formazione: caratteristiche, autori, titoli – in Studia Rapido
FONTANA Giorgio, Prima di noi, Sellerio editore, 2020
BACKMAN Fredrik, L’uomo che metteva in ordine il mondo (2012), Mondadori, 2018. Incipit e prima pagina. Da questo romanzo è stato tratto il film: MR. OVE, di Hannes Holm, con Rolf Lassgard, Bahar Pars, I. Engvoli, 2015
Da questo romanzo è stato tratto il film:
MR. OVE, di Hannes Holm, con Rolf Lassgard, Bahar Pars, I. Engvoli, 2015
DAL NOVECENTO A OGGI. I fatti attraverso i personaggi letterari del romanzo del Novecento, di Ciro RAIA, Mursia, 1987. Indice del libro
FERRANTE ELENA, L’AMICA GENIALE, 4 volumi, edizioni E/O, 2011/2014
I grandi autori della letteratura italiana in lezioni multimediali, in I Classici Italiani – Treccani
Da Francesco d’Assisi a Italo Calvino: i classici della nostra letteratura spiegati da docenti universitari, studenti e testimonial d’eccezione, in lezioni da guardare ed ascoltare. Per ognuno si ripercorrono vita, opere e influenza letteraria attraverso testi, audio, video, voci enciclopediche, mappe e cronologie interattive. Oggi il canale offre percorsi dedicati ad autori dell’Otto-Novecento, ma si arricchirà nel tempo con i classici dei secoli precedenti.
Alessandro Manzoni, La conversione dell’Innominato, recita di Salvo Randone e Mario Feliciani, regia di Sandro Bolchi, 1967
Haruki Murakami, A Sud del confine a Ovest del sole (1992), Feltrinelli, 2005, riflessione di Paolo Ferrario
Haruki Murakami è, per me, un autore generazionale.
Intendo per generazionale uno che ha attraversato il mio stesso arco di tempo: quello della seconda metà del novecento.
Murakami ha preso la distanza, un po’ come hanno fatto (rispetto alla loro storia) alcuni protagonisti tedeschi del ciclo Heimat di Edgar Reitz, dalla tradizione giapponese, dai loro rituali imperiali, dalle loro culture così difensive verso l’esterno del mondo.
Murakami è un autore che parla di adolescenze, di maturità, di adultità, di musicalità transculturali. Un suo alter ego si racconta così:
”Sono nato il quattro gennaio 1951, nella prima settimana del primo mese del primo anno della seconda metà del ventesimo secolo. Lo si potrebbe quasi considerare un evento da commemorare ed è per questo che i miei genitori mi hanno chiamato Hajime, che significa “inizio” “
A Sud del confine, a Ovest del sole, pag. 9
In questo romanzo Hajime trascorre la prima adolescenza con Shimamoto. Ascolta con lei le sinfonie di Rossini, la Pastorale di Beethoven, il Peer Gynt. Ma ascoltano anche Nat King Cole, Bing Crosby.
Poi i due ragazzi si perdono di vista.
Hajime , nell’età dei licei, “uscirà” con Izumi, scoprendo i primi contatti dei corpi nudi. Poi farà l’amore con la cugina di Izumi: “nei nostri incontri andavamo subito al sodo. Consumavo con avidità quello che avevo davanti e così lei”.
Tutti figli unici questi giovani: c’è questo ad accomunarli.
Studierà, parteciperà alla stagione delle lotte politiche giovanili, comincerà a lavorare, si sposerà con Jukiko, farà carriera.
Ma ad un certo momento il Daimon del destino riunisce ancora Hajime e Shimamoto.
Le pagine seguenti segnano i caratteri fra l’irreale e l’esperienziale di quell’incontro. C’è anche Duke Ellington ad incidere quei momenti.
“Sai, Shimamoto,” dissi. “Per tutto questo tempo ho desiderato incontrarti, per poter parlare un po’ con te. Volevo dirti tante cose.”
“Anch’io volevo rivederti, alla fine tu non ti sei più fatto vivo. Ti ricordi? Quando abbiamo iniziato le medie e ti sei trasferito nell’altra città, ho aspettato a lungo che venissi a trovarmi. Perché sei scomparso così? Ero molto triste. Pensai che avessi fatto altre amicizie in quel nuovo ambiente e che ti fossi dimenticato di me.”
Shimamoto spense la sigaretta nel portacenere. Le sue unghie erano ricoperte da un velo di smalto trasparente. Erano così levigate e perfette che sembravano l’opera raffinata di un artigiano.
“Avevo paura,” dissi.
“Paura?” fece lei. “E di che cosa? Avevi forse paura di me?”
“No, non di te. Temevo solo che potessi respingermi. Sai, ero ancora un ragazzino e non potevo immaginare che tu mi stessi aspettando. Ero davvero terrorizzato all’idea di essere rifiutato da te. Temevo che, venendo a casa tua, sarei stato di disturbo e così decisi di allontanarmi da te. Pensavo: piuttosto che rimanere ferito, è meglio conservare il ricordo dei giorni felici trascorsi insieme.”
Shimamoto chinò leggermente la testa. Poi prese un anacardio e lo fece rotolare nel palmo della mano.
“Le cose non vanno mai come vorremmo!”
“E proprio così,” dissi io.
“Eravamo destinati a rimanere amici per molto più tempo! A essere sincera non ho avuto più nessun amico, né alle medie, né alle superiori e nemmeno durante l’università. Sono rimasta sempre sola. Ho sempre pensato a come sarebbe stato bello se ci fossi stato tu vicino a me, mi sarebbe bastato anche solo poterti scrivere qualche lettera. Molte cose sarebbero andate diversamente e sarebbero state più facili da sopportare.” Rimase per un po’ in silenzio, poi continuò: “Non so perché, ma dalle medie in poi ho iniziato ad andare male a scuola. E più non riuscivo a farcela, più mi chiudevo in me stessa. Era come un circolo vizioso”.
Annuii.
“Fino alle elementari sono riuscita a cavarmela abbastanza bene, ma poi è stato un disastro. Mi sentivo come prigioniera in fondo a un pozzo.”
Anch’io avevo provato una sensazione simile, nei dieci anni dall’inizio dell’università fino al matrimonio con Yukiko. Se qualcosa comincia ad andare storta trascina con sé il resto. Tutto sembra andare sempre peggio, non si riesce a trovare alcun rimedio, a meno che qualcuno non riesca a tirarti fuori.
“Innanzitutto, avevo quel difetto alla gamba e molte cose, che per gli altri erano normali, per me erano impossibili. E così passavo il mio tempo a leggere libri e me ne stavo sempre per conto mio. Inoltre, avevo, come dire, un aspetto che non passava certo inosservato. Quindi quasi tutti mi consideravano una persona complessa e superba. O forse ero diventata davvero così.”
“Forse eri troppo bella,” dissi. Prese una sigaretta e se la mise in bocca: gliela accesi con un fiammifero.
“Pensi davvero che io sia bella?” mi domandò.
“Lo penso davvero e credo che te lo sia sentito ripetere tante volte.”
Shimamoto scoppiò a ridere. “No, non è vero. A essere sincera, non è che il mio viso mi piaccia tanto. Perciò sono contenta di sentirmi dire questo da te,” disse. “Comunque sia, non piaccio molto alle donne. Purtroppo. Spesso ho pensato a come sarebbe stato meglio poter essere una ragazza comune, avere degli amici come tutti, anche a costo di sentirmi dire che non sono bella.”
Shimamoto allungò una mano e sfiorò leggermente la mia sul bancone. “Ma mi fa piacere sapere che sei felice!”
Io rimasi in silenzio.
“Perché sei felice, o sbaglio?”
“Non lo so. Di sicuro non mi sento infelice, né solo,” dissi, aggiungendo poco dopo: “A volte, però, mi è capitato di pensare che il periodo più felice della mia vita è stato quando noi due ce ne stavamo nel tuo soggiorno ad ascoltare la musica”.
“Sai, quei dischi li conservo ancora adesso. Nat King Cole, Bing Crosby, Rossini, il Peer Gynt e altri. Li ho ancora tutti. Me li ha lasciati mio padre prima di morire, come suo ricordo. Li avevamo custoditi con tanta cura che ancora adesso non hanno neanche un graffio. Ti ricordi come maneggiavo con delicatezza quei dischi?”
“E così tuo padre è morto?”
“E morto cinque anni fa, per un cancro all’intestino retto.
È stata una morte terribile. E pensare che era una persona così piena di vita!”
Avevo incontrato diverse volte il padre di Shimamoto. Sembrava un uomo forte e solido come la quercia che stava nel giardino di casa sua.
“E tua madre sta bene?” le domandai.
“Sì, suppongo di sì.”
Notai qualcosa di particolare nel suo tono di voce. “Non vai d’accordo con tua madre?”
Shimamoto finì il suo daiquiri, poggiò il bicchiere sul banco e chiamò il cameriere. Poi mi domandò: “Dai, consigliami un cocktail speciale della casa!”.
“Ci sono diversi cocktail originali. Il più apprezzato è quello che porta il nome del locale, il ‘Robin’s Nest’. E una mia invenzione, è a base di rum e vodka. Si fa bere subito, ma è molto forte.”
“L’ideale per far cadere una donna fra le proprie braccia!” “Tu non lo sai, Shimamoto, ma i cocktail sono fatti proprio per questo.”
Scoppiò a ridere e disse: “Allora ne assaggerò uno”. Dopo che le portarono il cocktail, rimase per un po’ a osservarne il colore. Ne bevve un sorso e chiuse gli occhi, per poterlo assaporare meglio. “Ha un gusto molto particolare,” disse. “Né dolce, né amaro. Ha un sapore semplice e delicato, ma si sente anche una certa corposità. Non sapevo che avessi questo talento.”
“Non sono capace di costruire neanche una mensola, non so cambiare il filtro dell’olio della macchina, né attaccare un francobollo dritto. Spesso sbaglio perfino a digitare i numeri di telefono, però sono stato capace di creare diversi cocktail originali, molto apprezzati dai miei clienti.”
Shimamoto poggiò il suo cocktail sul piattino e rimase a fissarlo per un po’. Lo inclinò e il riflesso delle luci del soffitto oscillò debolmente.
“Non vedo mia madre da tantissimo tempo. Circa dieci anni fa abbiamo avuto dei contrasti e da allora non ho quasi più avuto contatti con lei. Ci siamo incontrate solo al funerale di mio padre.”
Il trio jazz aveva finito di suonare un proprio blues originale e il pianoforte aveva attaccato Star-Crossed Lovers. Quando io ero nel locale, il pianista suonava spesso per me questa ballata, sapendo che mi piaceva. Non era uno dei pezzi più famosi di Duke Ellington e non era neanche legato a un mio particolare ricordo personale. Mi era solo capitato di sentirla una volta e da allora mi dava sempre una forte emozione. Sia da studente, sia quando lavoravo alla casa editrice, la sera ascoltavo infinite volte il pezzo Star-Crossed Lovers dell’LP Such Sweet Thunder. C ‘era un assolo delicato e raffinato di Johnny Hodges. Quando ascoltavo quella bellissima e languida melodia, mi tornavano sempre in mente quei giorni. Non era stato certo un periodo felice della mia vita, con tutte le aspirazioni insoddisfatte che avevo allora. Ero molto più giovane, pieno di desideri e molto più solo. Ero la stessa persona, ma come “ridotta all’osso” e resa sensibilissima. La musica che ascoltavo allora e i libri che leggevo, li sentivo penetrare dentro di me, nota per nota, riga per riga. I miei nervi erano tesi e affilati come cunei e nel mio sguardo c’era una luce così penetrante che sembrava quasi voler trafiggere gli altri. Quando riascoltavo Star-Crossed Lovers mi tornavano in mente sempre quei giorni e i miei occhi riflessi nello specchio.
“A essere sincero, una volta, quando ero in terza media, sono venuto a trovarti. Provavo un senso di solitudine insopportabile,” le dissi. “Avevo cercato di telefonarti, ma il numero era cambiato. Allora presi il treno e venni fino a casa tua, ma sulla targhetta del tuo portone c’era un altro nome.”
“Due anni dopo il tuo trasferimento, andammo ad abitare a Fujisawa, vicino a Enojima, dove mio padre era stato mandato per lavoro. Da allora ho vissuto sempre lì, fino a quando non ho cominciato l’università. Dopo essermi trasferita, ti ho scritto una cartolina con il nuovo indirizzo. Non ti è arrivata?”
Scossi la testa: “Se l’avessi ricevuta, ti avrei risposto. Che strano! Ci deve essere stato sicuramente qualche errore”.
“Forse siamo noi due a essere sfortunati!” disse Shimamoto. “Per una serie di contrattempi, finiamo sempre per perderci. Ma parlami un po’ di te, di che cosa hai fatto finora.”
“Non è che ci sia molto di interessante da dire,” risposi io.
“Non importa, voglio sapere lo stesso.”
Le feci un resoconto generale della mia vita. Le dissi che avevo avuto una ragazza negli anni del liceo, con la quale, però, alla fine mi ero comportato molto male. Non le raccontai i particolari della storia, ma solo che, ferendo in quel modo i suoi sentimenti, avevo finito per fare del male anche a me stesso. Le parlai dell’università a Tokyo, del lavoro alla casa editrice e della solitudine che aveva accompagnato quel periodo della mia vita. Non avevo amici e le ragazze con cui ero uscito qualche volta non mi avevano reso felice. Dalla fine del liceo fino a trent’anni, cioè fino a quando non incontrai e sposai Yukiko, non avevo amato veramente nessuna donna. Le dissi anche che, in quel periodo triste della mia vita, avevo pensato spesso a lei e desiderato moltissimo poterla incontrare e parlarle, anche solo per un’ora. A queste parole sorrise.
“Hai pensato spesso a me?” mi domandò. “Certo,” risposi.
“Anch’io ti ho pensato spesso. Quando attraversavo momenti difficili, pensavo sempre a te. Forse sei stato l’unico amico che abbia mai avuto.”
Si appoggiò al bancone con una mano sotto il mento e chiuse gli occhi per un po’, come priva di forza. Notai che non portava nessun anello al dito. Ogni tanto sembrava che le ciglia fossero attraversate da un impercettibile tremito. Poco dopo aprì lentamente gli occhi e guardò l’orologio che aveva al polso. Era già quasi mezzanotte.
Prese la borsa e, con un leggero movimento, scese dallo sgabello.
“Buonanotte, è stato bello rivederti,” disse.
La accompagnai alla porta di ingresso e le chiesi: “Ti chiamo un taxi? Ti sarà difficile trovarne uno con questa pioggia!”.
Shimamoto scosse la testa e aggiunse: “Non preoccuparti. Posso cavarmela da sola”.
“Veramente, non sei rimasta delusa?” le domandai.
“Di te?”
“Sì, di me.”
“No che non sono rimasta delusa,” disse con un sorriso. “Non preoccuparti. Ma sei sicuro che il tuo completo non è di Armani?”
Mi accorsi che Shimamoto non zoppicava più. Non camminava molto velocemente e a guardarla con attenzione, si notava che c’era qualcosa di artificioso nella sua andatura. Per il resto, però, era quasi del tutto normale.
“Quattro anni fa, mi sono sottoposta a un’operazione e sono guarita,” disse Shimamoto, come per giustificarsi. “Non è che la gamba sia perfetta, ma è migliorata molto. E stato un intervento difficile, ma è andato tutto bene. Mi hanno tagliato diverse ossa e me le hanno riattaccate.”
“Incredibile. Adesso il difetto alla gamba non si vede più.”
“Sì, è vero,” disse lei. “Ho fatto bene a prendere questa decisione, anche se forse avrei dovuto farlo molto prima.”
Presi il suo cappotto dal guardaroba e la aiutai a infilarselo. Quando mi si avvicinò, mi accorsi che non era molto alta. Sembrava che la sua statura non fosse cambiata da quando aveva dodici anni e questo mi fece una strana impressione.
“Shimamoto, ci rivedremo ancora?”
“Forse,” disse lei. Sulle sue labbra apparve un lieve sorriso, come un fumo sottile che si leva in una tranquilla giornata senza vento. “Forse.”
Poi aprì la porta e uscì. Dopo quasi cinque minuti, anch’io salii su per le scale per cercare di raggiungerla sulla strada. Temevo che non trovasse facilmente un taxi. La pioggia continuava a cadere e Shimamoto non era più lì. La strada era deserta, si vedevano solo le luci dei fari delle macchine sull’asfalto bagnato.
Forse era stato solo un sogno, pensai. Rimasi lì fermo a guardare la pioggia. Mi sembrava di essere tornato il ragazzino di dodici anni che nelle giornate piovose restava spesso a fissare immobile l’acqua che scendeva. Quando guardavo la pioggia, senza pensare a nulla, avevo l’impressione che il mio corpo si sciogliesse e che il mondo reale si allontanasse da me. Sentivo che la pioggia aveva un particolare potere sulle persone, quasi ipnotico.
Ma non era stato un sogno. Tornato nel locale, vidi che dove si era seduta Shimamoto c’erano ancora il suo bicchiere e il posacenere. Dentro erano rimasti i mozziconi di sigaretta che lei aveva spento delicatamente, sporchi di rossetto. Mi sedetti accanto al suo sgabello e chiusi gli occhi. A poco a poco, l’eco della musica cominciò a svanire e rimasi solo. In quella vellutata oscurità, la pioggia continuava a cadere silenziosa.
A Sud del confine, a Ovest del sole, pag. 92-99
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