Scrittore cileno. Esordì nel 1989 con Il vecchio che leggeva romanzi d’amore dedicato a Chico Mendes e scritto dopo sette mesi trascorsi nella foresta amazzonica con gli indios Shuar. «Con il secondo romanzo, Il mondo alla fine del mondo, descrisse invece ciò che gli era sembrato inevitabile dal ponte di una nave di Greenpeace, organizzazione a cui si era unito negli anni Ottanta: navi-fabbrica che trascinano a bordo balene esangui e si trasformano in mattatoi, inseguimenti tra le nebbie dell’Antartide, militanti ecologisti contro pescatori giapponesi» [Parmeggiani, Rep]. Della sua produzione si ricordano anche alcune favole, tra cui Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (pubblicato nel 1996 da Salani) che ha ispirato il film d’animazione La gabbianella e il gatto, uscito nel 1998 e diretto da Enzo D’Alò. Da ultimo ha pubblicato nel 2018 Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa. «La madre Irma, ricordava, era di origine mapuche. Per questo diceva che era fatto per resistere alle prove anche le più dure. Impegnato in tante battaglie, sempre in guerra contro un potere tiranno (i dittatori dell’America Latina ma anche le multinazionali che avevano condannato i paesi del Cono Sud a una dipendenza economica che somiglia alla schiavitù) Lucho stava dalla parte degli oppressi, quelli che la legge dei padroni considerava banditi, fuorilegge. E lui era nato fuorilegge, con “un mandato di cattura” che pendeva sulla testa di suo padre, José Sepúlveda, cuoco e comunista, che la famiglia di Irma aveva denunziato per “rapimento di minorenne e sequestro di persona”. Così era nato a Ovalle, cittadina del Nord, in una camera d’albergo che certo, rideva, non era “un hotel cinque stelle”» [Polese, CdS]. Durante la presidenza di Salvador Allende s’iscrisse al Partito Socialista ed entrò a far parte della guardia personale del presidente cileno. Arrestato nel 1973 dopo il colpo di stato del generale Augusto Pinochet, fu torturato per sette mesi e liberato dopo per le pressioni di Amnesty International. Un nuovo arresto lo condannò all’esilio. Nel 1979 in Nicaragua si unì alle Brigate Internazionali Simon Bolivar. Nel 1978 si trasferì ad Amburgo, in Germania, quindi in Francia. Dal 1996 viveva a Gijón, nelle Asturie, in Spagna. Morto alle 10 e 18 di ieri, in ospedale a Oviedo, dov’era ricoverato da fine febbraio dopo aver contratto il coronavirus al Festival letterario Correntes d’Escrita, in Portogallo. Lascia quattro figli e una moglie, la poetessa Carmen Yáñez, 66 anni, sposata due volte. Tra i due matrimoni convolò a nozze con Margarita, una donna tedesca conosciuta in Ecuador con la quale ebbe tre figli. Spiega la moglie Carmen: «Quando sarà possibile organizzeremo una piccola cerimonia di addio perché tutti i suoi figli e i suoi nipoti e i suoi amici possano salutarlo. E poi lo porteremo in Patagonia».

L’ha ripubblicato su Tracce e sentieri.
"Mi piace""Mi piace"