Qual è il significato originario del termine pólis, che rimanda alla definizione aristotelica dell’uomo come animale politico?
Questo è un altro termine essenziale, poiché ne è derivata una cosa tanto importante come la politica.
Il termine “politica” è la traduzione, o meglio la traslitterazione, di un aggettivo greco: politiké. Téchne politiké è la teoria della pólis, e la pólis era per i Greci uno spazio reale, un luogo, un topos, in cui si viveva.
Ma, oltre ad esprimere questo concetto di realtà storica, fisica, nella quale si abita, pólis significava anche reticolo: un sistema di relazioni fra gli uomini, una forma di organizzazione della vita delle persone, degli individui che risiedevano in un certo territorio, che calcavano quel territorio, quella pólis, quella città.
Non è strano quindi che Aristotele abbia definito l’uomo, in modo così radicale e deciso, come zoon politikón, animale politico. Un animale esattamente uguale a tutti gli altri animali: un mammifero che respira, che digerisce, che vede, che sente, che è dotato di sensi esattamente come qualsiasi altro mammifero. Ma con una differenza essenziale: che deve vivere insieme ad altri, in comunità. È vero che ci sono altri animali – e Aristotele lo rammenta nel medesimo contesto dellaPolitica – che vivono in comunità, ma il modo di vivere in comunità di questi animali è un modo gregario – dice Aristotele – mentre l’uomo non vive gregariamente in una comunità, ma la costruisce, costruisce il suo sistema di relazioni, un sistema per rivolgersi agli altri, per organizzare gerarchicamente o in condizioni di eguaglianza i suoi rapporti con gli altri. Per questo è importante ricordare che Aristotele, nella stessa pagina in cui definisce l’uomo come animale politico, lo definisce anche come zoon logon echon, che significa, traducendo alla lettera, “animale dotato di parola”, o per meglio dire: “animale dotato dilogos.
È singolare che questa definizione aristotelica dell’uomo abbia dato origine all’altra famosa definizione “l’uomo è un animale razionale”. Non era questo che Aristotele intendeva. Egli voleva dire soltanto che l’uomo è un essere che parla, che muove la lingua – quella cosa così reale e così fisica che è la lingua – e muovendola produce un suono semantico, dei suoni che creano comunità, che creano polis, uno spazio collettivo. Dunque è interessante osservare che le due grandi definizioni aristoteliche dell’uomo – animale politico e animale dotato di logos – sono unite, poiché la politica ed il possesso del logos si necessitano reciprocamente.
Non esisterebbe politica, non esisterebbe reticolo collettivo, spazio di intelligenza collettiva, né gli uomini potrebbero vivere in società, in modo comunitario, se non parlassero o, per meglio dire, se non comunicassero fra loro. Questo punto di vista è interessante anche in una società come la nostra. Considerando l’ideologia che sottostava alle definizioni di Aristotele, non credo che il filosofo greco approverebbe il nubifragio, l’inondazione di parole, di termini ai quali non pensiamo e coi quali a mala pena comunichiamo nell’epoca delle comunicazioni di massa. Penso alla solitudine che la vita contemporanea comporta.
Mai come oggi l’uomo ha avuto tanti mezzi di comunicazione, e tante possibilità per essere in contatto con gli altri (il telefono, la radio, la televisione, la stampa). Ma, nonostante l’immensa quantità di tali mezzi, l’uomo è più solitario, più indifeso, più scoraggiato e disperato che mai. I filosofi, gli intellettuali, gli scrittori, e in generale ogni persona cosciente del nostro mondo dovrebbe a mio avviso affrontare questo problema così doloroso, importante e difficile.
La filosofia – e mi riferisco in particolare alla riflessione sul linguaggio, alla riflessione sulla capacità degli uomini di comunicare fra loro – è sempre stata una coscienza critica all’interno della storia, una riflessione sulla vita, sui problemi concreti degli uomini. Sempre, in ogni epoca, il pensiero filosofico è sorto dal rapporto dell’uomo con il suo mondo. E perciò, per quanto la filosofia sia progredita o si sia professionalizzata, non c’è nulla di più sbagliato dell’opinione che il filosofo sia un personaggio immerso in un mondo di idee che nessuno comprende, di problemi che non interessano nessuno. Questo è assolutamente falso. Qualsiasi pensiero filosofico, qualsiasi questione filosofica è sorta in rapporto con il reale, con gli uomini.
Molti sono gli esempi che potremmo riportare a questo proposito. Penso al famoso testo di Epicuro, dove si legge che sarebbe cattiva la filosofia che non servisse per curare alcune malattie degli uomini. È chiaro che oggi le malattie degli uomini si curano con la medicina e non con la filosofia. Ma la scienza – la medicina, la fisica, la chimica – dovrebbe basarsi su un sostrato che, in qualche modo, si ponga i problemi dell’umanesimo. È vero che la parola “umanesimo” è molto decaduta: è stata usata molto e molto spesso è stata svenduta e corrotta. Ma l’ideale dell’umanesimo, l’ideale dell’illuminismo, oggi più che mai, va resuscitato.