Simondon si pone la domanda: che cosa è un individuo? Cioè, cosa distingue una parte dell’essere da tutto il resto? cosa consente qualcosa come l’individuazione, ovvero il fatto di avere un’identità ben distinta? La sua risposta è che un individuo non è un’entità, ma un processo continuo; che un individuo non è fissato mai una volta per tutte, ma che deve divenire, e in un certo senso non smette mai di divenire; e che quindi, dovremmo parlare di individuazioni, piuttosto che di individui come dati una volta per tutte.
Gilbert Simondon, filosofo francese molto caro a Gilles Deleuze, fa giustizia di numerosi luoghi comuni a proposito dell’individuo, muovendosi con agilità tra scienze della natura e scienze umane, biologia e psicologia, teoria dell’informazione e sociologia. A suo giudizio, la singolarità non è un punto di partenza, ma il risultato di un processo complicato, scandito in più fasi e non privo di crisi. Inoltre, Simondon mette in rilievo come in ogni soggetto vivente gli aspetti singolari coesistano con forze anonime, impersonali, «preindividuali». Siamo individui, sì, ma solo in modo parziale e incompleto. Ed ecco la tesi più radicale, quella che ha evidenti conseguenze politiche: secondo il filosofo francese, quando si partecipa a un collettivo, non si attenua la propria individualità; al contrario, la vita di gruppo è l’occasione di una ulteriore, più ampia individuazione. Come dire: si è davvero singolari solo quando si è in molti.
da Gilbert Simondon, L’individuazione psichica e collettiva « Appunti.
Categorie:CULTURA e ANTROPOLOGIA, Intersoggettività