anche in
PIETRINI Daniela, presentazione di Giuseppe Antonelli, La lingua infetta. L’italiano della pandemia, Treccani, 2021 – MAPPE nelle POLITICHE SOCIALI e nei SERVIZI
da La Lettura (Corriere della Sera):
«Fin dall’inizio della crisi sanitaria le mascherine hanno conquistato un posto di rilievo nel discorso sul coronavirus.
È quindi proprio su maschera e sul derivato mascherina, dall’etimologia della parola agli usi più recenti, che si concentra questo capitolo. L’etimologia del termine maschera è incerta e tutt’altro che pacifica. L’ipotesi più accreditata è quella del prestito germanico medioevale: seguendo la ricostruzione di Nocentini (2010, s.v.), maschera deriverebbe dal germanico *maska “spettro, essere demoniaco e spaventoso”, attestato – come equivalente del latino striga “strega” – dapprima nell’Editto di Rotari (prima raccolta scritta delle leggi dei Longobardi, promulgato nel 643 d.C.) nella forma latina masca e più tardi nella forma latina medioevale mascara (cfr. anche Antonelli, 2020, pp. 60-62). Questo primo significato, molto lontano da quello odierno, è confermato dall’occitano masca “strega” (sec. XIV) e si ritrova anche nei dialetti ligure e piemontese, ma non nei testi in volgare del XIV secolo.
In tutto il Duecento e il Trecento infatti, a parte alcuni commenti danteschi in cui è glossa di “larva”, maschera significa solo “oggetto che ricopre del tutto o parzialmente il viso e la testa”, che rappresenta generalmente un volto antropomorfo o zoomorfo e si indossa per trasformare il proprio aspetto, durante una festa o, in riferimento ai tempi antichi, durante una rappresentazione teatrale (cfr. Tlio, s.v.).
La prima attestazione del termine non è, come riportato erroneamente da diversi dizionari etimologici, il Decameron di Boccaccio (“e, messagli una catena in gola e una maschera in capo […]”), ma un commento anonimo ai Rimedi d’amore di Ovidio (volgarizzamento B): “Erano i teatri i luoghi dove i poeti ricetavano dinanzi al populo loro libri con maschere e drappi ric[c]hissimi ornati, sì come inanzi è scritto nel capitolo de’ poeti”. Dalla maschera facciale o che nasconde completamente la testa si passa, per estensione, al travestimento di tutta la persona e quindi al valore semantico di “persona mascherata” (Castiglione, 1529: “Io mi piglio piacer, quando son maschera, di burlar frati”).
Quanto all’accezione originaria del termine, solo a partire dal Quattrocento si trova qualche attestazione di maschera nel senso di “apparizione maligna, ossessionante, che turba e sconvolge l’animo; strega, fantasma, spirito maligno” (cfr. Gdli s.v.), per esempio in Leon Battista Alberti (“per asuefarli a non temere né credere le maschere e favole delle vecchie”) o in Pietro Aretino (“che in coscienza fariano paura a le maschere”)».


