La storia di Elsa Morante, articolo di Matteo Moca in kobo.com, 15 gennaio 2024

vai al sito:

ria

https://www.kobo.com/it/blog/la-nostra-storia

CHIARA VALERIO ricorda l’amica MICHELA MURGIA: una vita come politica, i legami che ha creato sono più forti di noi, in La Repubblica 11 agosto 2023

letto in ediziona cartacea

cerca in

https://www.repubblica.it/cultura/2023/08/11/news/chiara_valerio_racconta_amica_michela_murgia-410721933/

la LIBRERIA VOLANTE di Lecco, via Giuseppe Bovara 30

Paolo Ferrario, commento al libro “Storie di amore e di tenebra” di AMOS OZ, video in youtube, 31 ottobre 2006

TRACCE e SENTIERI

  • commento al libro  “Storie di amore e di tenebra” di Amos Oz
  • più sotto c’è Amos Oz che si racconta

Mike Leigh e Amos Oz | Tracce e Sentieri, 5 Agosto 2004 – 8 Novembre 2011.

View original post

“DARIA BIGNARDI DIALOGA CON ANNIE ERNAUX”

La Dimora del Tempo Circolare

Annie Ernaux

Nobel Letteratura 2022

Link

La giuria del Nobel le ha assegnato il premio per “per il coraggio e l’acume clinico con cui ha svelato le radici, le rimozioni e i limiti collettivi della memoria personale”, aggiungendo che la stessa autrice crede nella forza liberatrice della scrittura, le cui opere sono assolute e scritte nella cosiddetta “une écriture plate”, una lingua piana, neutra e oggettiva, che senza troppe metafore o suggestioni esprima il suo autodichiarato “desiderio di sconvolgere le gerarchie letterarie e sociali, scrivendo allo stesso modo di oggetti considerati indegni della lingua letteraria, come i supermercati, i treni suburbani, e gli altri più nobili come i meccanismi della memoria, la sensazione del tempo”. Nelle sue opere Ernaux ha sempre indagato, anche se da diversi punti di vista e approcci, le disparità che caratterizzano i rapporti di genere, la lingua, la condizione di classe.

Link

View original post

Verso la fine d’agosto

lescritteriate

Aria di fine agosto

si respira nell’orto,

dove il seme ha creato

ciò che prima non c’era

e le foglie orlate di giallo

aspirano alla terra.

View original post

ANTONIA, di Ferdinando Cito Filomarino, con Linda Caridi, Filippo Dini

L’Antonia. Poesie , lettere e fotografie scelte e raccontate da Paolo Cognetti (Ponte alle Grazie editore). Articolo di Katia Trinca Colonel, in Corriere di Como 24 agosto 2021

Al Centro Internazionale Insubrico “Carlo Cattaneo” e “Giulio Preti” dell’Università degli studi dell’Insubria sono conservati la Biblioteca personale e l’Archivio cartaceo e fotografico di ANTONIA POZZI

“immagine”, dal latino “imago”, che vuol dire “figura” ma anche sogno, spettro, ombra, idea, in Annamaria Testa, Le vie del senso, 2021, pagina 116

alcuni libri di Emil M. CIORAN pubblicati in Italia

La Divina Commedia -Vespri danteschi interpretati da Lucilla Giagnoni, al Teatro Faraggiana di Novara – in RaiPlay

La Divina Commedia interpretata per intero, tutti i 100 canti, da una voce e uno sguardo femminile, quelli di Lucilla Giagnoni, dal Teatro Faraggiana di Novara

vai a:

La Divina Commedia – Vespri danteschi – RaiPlay

Emanuele Severino, lectio magistralis dal titolo “La fantasia e la terra”, in Rai Teche, 2009

Festival della Filosofia di Modena il filosofo Emanuele Severino tiene una lectio magistralis dal titolo “La fantasia e la terra”.

Sorgente: Lectio magistralis di Emanuele Severino a Fahrenheit – Rai Teche

per gli ottant’anni di EMANUELE SEVERINO, tracce video rintracciate da VASCO URSINI, 2009

alla radice delle parole: DISSIDIO

dis3661dis3662

LE RADICI nella LINGUA LATINA, nella LINGUA GRECA e nel sanscrito

da:

2016-11-03_185606

dis3660

PETER HANDKE, Elogio dell’infanzia, la splendida poesia con cui inizia Il cielo sopra Berlino di WIM WENDERS – da Berlino Magazine

Peter Handke, Elogio dell’infanzia

Quando il bambino era bambino,
camminava con le braccia ciondoloni,
voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume un torrente
e questa pozzanghera il mare.

Quando il bambino era bambino,
non sapeva di essere un bambino,
per lui tutto aveva un’anima
e tutte le anime erano un tutt’uno.

Quando il bambino era bambino
non aveva opinioni su nulla,
non aveva abitudini,
sedeva spesso con le gambe incrociate,
e di colpo si metteva a correre,
aveva un vortice tra i capelli
e non faceva facce da fotografo.

Quando il bambino era bambino,
era l’epoca di queste domande:
perché io sono io, e perché non sei tu?
perché sono qui, e perché non sono lì?
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?
la vita sotto il sole è forse solo un sogno?
non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo
quello che vedo, sento e odoro?
c’è veramente il male e gente veramente cattiva?
come può essere che io, che sono io,
non c’ero prima di diventare,
e che, una volta, io, che sono io,
non sarò più quello che sono?

Quando il bambino era bambino,
si strozzava con gli spinaci, i piselli, il riso al latte,
e con il cavolfiore bollito,
e adesso mangia tutto questo, e non solo per necessità.

Quando il bambino era bambino,
una volta si svegliò in un letto sconosciuto,
e adesso questo gli succede sempre.
Molte persone gli sembravano belle,
e adesso questo gli succede solo in qualche raro caso di fortuna.

Si immaginava chiaramente il Paradiso,
e adesso riesce appena a sospettarlo,
non riusciva a immaginarsi il nulla,
e oggi trema alla sua idea.

Quando il bambino era bambino,
giocava con entusiasmo,
e, adesso, è tutto immerso nella cosa come allora,
soltanto quando questa cosa è il suo lavoro.

Quando il bambino era bambino,
per nutrirsi gli bastavano pane e mela,
ed è ancora così.

Quando il bambino era bambino,
le bacche gli cadevano in mano come solo le bacche sanno cadere,
ed è ancora così,
le noci fresche gli raspavano la lingua,
ed è ancora così,
a ogni monte,
sentiva nostalgia per una montagna ancora più alta,
e in ogni città,
sentiva nostalgia per una città ancora più grande,
ed è ancora così,
sulla cima di un albero prendeva le ciliegie tutto euforico,
com’è ancora oggi,
aveva timore davanti a ogni estraneo,
e continua ad averlo,
aspettava la prima neve,
e continua ad aspettarla.

Quando il bambino era bambino,
lanciava contro l’albero un bastone come fosse una lancia,
che ancora continua a vibrare.

Peter Handke, Lied Vom Kindsein

Als das Kind Kind war,
ging es mit hängenden Armen,
wollte der Bach sei ein Fluß,
der Fluß sei ein Strom,
und diese Pfütze das Meer.

Als das Kind Kind war,
wußte es nicht, daß es Kind war,
alles war ihm beseelt,
und alle Seelen waren eins.

Als das Kind Kind war,
hatte es von nichts eine Meinung,
hatte keine Gewohnheit,
saß oft im Schneidersitz,
lief aus dem Stand,
hatte einen Wirbel im Haar
und machte kein Gesicht beim fotografieren.

Als das Kind Kind war,
war es die Zeit der folgenden Fragen:
Warum bin ich ich und warum nicht du?
Warum bin ich hier und warum nicht dort?
Wann begann die Zeit und wo endet der Raum?
Ist das Leben unter der Sonne nicht bloß ein Traum?
Ist was ich sehe und höre und rieche
nicht bloß der Schein einer Welt vor der Welt?
Gibt es tatsächlich das Böse und Leute,
die wirklich die Bösen sind?
Wie kann es sein, daß ich, der ich bin,
bevor ich wurde, nicht war,
und daß einmal ich, der ich bin,
nicht mehr der ich bin, sein werde?

Als das Kind Kind war,
würgte es am Spinat, an den Erbsen, am Milchreis,
und am gedünsteten Blumenkohl.
und ißt jetzt das alles und nicht nur zur Not.

Als das Kind Kind war,
erwachte es einmal in einem fremden Bett
und jetzt immer wieder,
erschienen ihm viele Menschen schön
und jetzt nur noch im Glücksfall,
stellte es sich klar ein Paradies vor
und kann es jetzt höchstens ahnen,
konnte es sich Nichts nicht denken

und schaudert heute davor.

Als das Kind Kind war,
spielte es mit Begeisterung
und jetzt, so ganz bei der Sache wie damals, nur noch,
wenn diese Sache seine Arbeit ist.

Als das Kind Kind war,
genügten ihm als Nahrung Apfel, Brot,
und so ist es immer noch.

Als das Kind Kind war,
fielen ihm die Beeren wie nur Beeren in die Hand
und jetzt immer noch,
machten ihm die frischen Walnüsse eine rauhe Zunge
und jetzt immer noch,
hatte es auf jedem Berg
die Sehnsucht nach dem immer höheren Berg,
und in jeder Stadt
die Sehnsucht nach der noch größeren Stadt,
und das ist immer noch so,
griff im Wipfel eines Baums nach dem Kirschen in einemHochgefühl
wie auch heute noch,
eine Scheu vor jedem Fremden
und hat sie immer noch,
wartete es auf den ersten Schnee,
und wartet so immer noch.

Als das Kind Kind war,
warf es einen Stock als Lanze gegen den Baum,
und sie zittert da heute noch.

Sorgente: L’Elogio dell’infanzia, la splendida poesia di Handke con cui inizia Il cielo sopra Berlino – Berlino Magazine

GENESIS, di Claude Nuridsany, Marie Pérennou, 2004

SIAMO RELAZIONI. PERCHE’ NON LE CURIAMO, corso di aggiornamento e divulgazione culturale del ciclo LE GRANDI CORRENTI DELLA CULTURA MONDIALE DEGLI ULTIMI VENT’ANNI, a cura di IL PAGURO, a Como da ottobre 2016 a febbraio 2017

2016-10-29_1808472016-10-29_1809022016-10-29_1809122016-10-29_1809302016-10-29_1809442016-10-29_1809592016-10-29_181013

BLAISE PASCAL, PENSIERI, antologia di testi filosofici

2016-10-29_101801

VAI A:

http://www.edarcipelago.com/freebooks/pascalpensieri.htm

Pensieri di B.Pascal (scarica da qui)

SENECA in edicola, con il quotidiano Corriere della Sera, il volume che raccoglie «La brevità della vita» e «La provvidenza» – Corriere.it

Riappropriarci di ciò che siamo: non è facile restare noi stessi quando intorno tutto cambia vorticosamente, eliminando punti di riferimento o appigli. Viene quasi da pensare che non esista qualcosa di autenticamente nostro, che possiamo chiamare legittimamente «io», perché siamo il prodotto delle interazioni sociali, il risultato della combinazione casuale degli eventi fortuiti che ci capitano. Nel mondo antico lo stoicismo è il movimento che più decisamente si è opposto a queste idee: possiamo decidere di non ascoltarla, ma dentro ciascuno c’è una coscienza morale, che parla. Siamo noi.

Sorgente: In edicola la nuova collana del “Corriere”: in viaggio con i classici greci e latini – Corriere.it

Emilio Pasquini, Il viaggio di Dante, Carocci editore

Seguendo il filo offerto dalle straordinarie miniature dei manoscritti più antichi e lasciando in primo piano il ritmo narrativo degli eventi, uno dei maggiori studiosi di Dante racconta la Commedia al pubblico non accademico, senza presupporre particolari conoscenze né rinviare a letture erudite o bibliografie accessorie. Grazie al risalto dato agli aspetti più concreti e stimolanti dell’opera, gli incontri con i personaggi e le atmosfere del poema invogliano di canto in canto ad attingere direttamente dal testo originale le emozioni e le conoscenze di cui il capolavoro dantesco si rivela, ancora e di nuovo, fonte inesauribile.

Sorgente: Carocci editore – Il viaggio di Dante

Il sabato del villaggio, Leopardi

Il sabato del villaggio, Leopardi

 

il sabato del villaggio
Il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi, introduzione, metro, testo, parafrasi, commento, analisi. Il sabato del villaggio: introduzione Questo testo fu composto a Recanati, subito dopo la Quiete dopo la tempesta, fra il 20 e il 29 settembre del 1829. Venne pubblicato per la prima volta nei Canti del 1831. Il sabato del villaggio: metro, […]

Il sabato del villaggio, Leopardi

Nel ricordo dell’aria – Alfonso Gatto

Parmenide: l’essere è e non può non essere – da Studia Rapido

MAPPE nel sistema dei SERVIZI alla persona e alla comunità

Parmenide sostiene che l’uomo possa scegliere tra due vie: quella della verità, basata sulla ragione, che porterà alla conoscenza dell’essere vero; quella dell’opinione, basata sui sensi, che porta alla conoscenza dell’essere apparente.

Il filosofo è indotto a percorrere la via della ragione, che gli rivela che l’essere è e non può non essere, mentre il non essere non è e non può non essere.

La tesi di Parmenide, secondo cui esiste solo l’essere, mentre per definizione il non essere non può esistere né venir pensato, si fonda su due principi logici che verranno codificati solo successivamente: il principio di identità, per il quale ogni cosa è se stessa, e il principio di non-contraddizione, per il quale è impossibile che una stessa cosa sia e nello stesso tempo non sia ciò che è.

Con Parmenide inizia…

View original post 19 altre parole

LA FILOSOFIA NASCE DALLA PAURA (thâuma), Emanuele Severino

LA FILOSOFIA NASCE DALLA PAURA

di Emanuele Severino

Teniamo presente quello che dice Aristotele, uno dei massimi filosofi dell’umanità: «La filosofia nasce da thâuma». Quasi sempre si traduce la parola thâuma, in modo troppo debole, con «meraviglia» fa subito pensare a una sorta di gioco filosofico in cui un individuo, chiamato poi «filosofo», si meraviglia o si stupisce di cose di cui gli altri non si meravigliano. No, così è troppo banale. Thâuma vuol dire infatti ben di più: è una parola che, nel suo significato originario, significa «terrore», «paura». Paura di cosa? Del dolore, della morte, dell’infelicità: è questo che significa thâuma. Il termine richiama il gigante Taumante, che appartiene alla sfera demoniaca o divina dei demoni ctoni, cioè della terra, tenebrosi perché incutono terrore. La filosofia nasce dunque dalla paura.

Estratto di “I presocratici e la nascita della filosofia”

lo scaffale dedicato a EMANUELE SEVERINO e il libro: VASCO URSINI, Il dilemma verità dell’essere o nichilismo?, Book Sprint Edizioni, 2013

vai anche a:

VASCO URSINI parla del suo libro: Il dilemma verità dell’essere o nichilismo?, BookSprint Edizioni, 2013, al Palafiori di Sanremo 2015 – Booksprint Edizioni

Vasco Ursini presenta il suo libro: “Il dilemma verità dell’essere o nichilismo?”, Palafiori di Sanremo 2016 – Booksprint Edizioni


DSCN4764 (FILEminimizer)DSCN4765 (FILEminimizer)

EMANUELE SEVERINO, La potenza dell’errare. Sulla storia dell’Occidente, Rizzoli, 2013

ERRARE3207ERRARE3208ERRARE3209ERRARE3210ERRARE3211

Philip Ball, L’invisibile. Il fascino pericoloso di quel che NON si vede, Einaudi, 2016

Se l’uomo potesse essere invisibile, cosa farebbe?

Sorgente: Philip Ball, L’invisibile < Libri < Einaudi

ball3128ball3129ball3130

EPICURO: sul dolore da rendere sopportabile

Dobbiamo alleviare le disgrazie del momento con il gradito ricordo dei beni perduti e riconoscere che non era possibile modificare quanto è successo

i due aspetti (opposti) dell’ARCHETIPO DEL SENEX ~ da Informazione Consapevole

TRACCE e SENTIERI

Soffermandoci per un momento sul Senex, vale ricordare che anch’esso è duplice, e che nella sua duplicità/polarità – costitutiva anche del Puer –  questo archetipo è sì freddo, lento e pesante, ma va detto che, nel contempo, questa pesantezza gli fornisce anche densità e stabilità; la sua lentezza è certo tristezza e melanconia, ma anche quiete e riflessione; è la notte che annuncia il giorno. Come il Puer è sessualmente potente (ma ricordiamo che lo è tendenzialmente fuori dalla relazione amorosa),

così il Senex è arido e impotente; ma  poiché appartiene a Saturno è contemporaneamente anche dio della terra e della fertilità; è colui che raccoglie  i frutti, ma che anche ne fa anche incetta;  che tende a conservare le cose, ma sovente soltanto per sé; e tende a farle durare per sempre. E’ vero che batte moneta ed è signore della ricchezza, ma è anche avaro e rapace; e poiché è divoratore…

View original post 115 altre parole

GIACOMO LEOPARDI, Il tramonto della luna, lettura di Arnoldo Foà

Cioran – Lo slancio verso il peggio

 

DAVIDE GROSSI, La differenza tra il discorso filosofico di Severino e quello di Cacciari, 2014

2016-03-11_155642


VAI AL FILE IN FORMATO PDF:

“… già da vivi, e da sempre, sono ciò che non sperano e non suppongono”, EMANUELE SEVERINO

2016-03-07_125604seve attendono

Video Lezione: Il Pessimismo di Schopenhauer 

 

oggi è il compleanno di EMANUELE SEVERINO, 26 febbraio 2016

scrive Vasco Ursini (dal gruppo https://www.facebook.com/groups/995555343856790/):
A nome mio personale e di tutti i membri del gruppo un istante fa ho fatto telefonicamente gli auguri a Emanuele Severino per il suo compleanno. Vi assicuro che li ha molto graditi e vi saluta affettuosamente

PALAZZO SANDRO, Eraclito e Parmenide: essere e divenire, Hachette, 2015, pp. 140

PARMENIDA2865

PARMENIDA2864PARMENIDA2866PARMENIDA2867PARMENIDA2868PARMENIDA2869PARMENIDA2870

In morte di Fernanda Pivano: declino e morte del mito americano fra gli intellettuali di sinistra, 19 agosto 2009

 

 

Fernanda Pivano ha vissuto la sua vita in modo creativo ed intenso: fortunata lei e bravo il suo angelo custode.

In una giornata piena di elogi per la sua opera, individuo una traccia minore che parla della unilateralità delle culture ideologiche e dei cicli letterari del “mito dell’America”.

Fernando Pivano negli anni Quaranta,  aiutata da Cesare Pavese, contribuì a tradurre e diffondere in Italia gli scrittori americani, che vennero usati in chiave antifascista.

Tuttavia questa fiammata, carica di soffi ispirati alla libertà individuale, durò poco. Già negli anni Cinquanta la sinistra italiana tornò al mito comunista e a collocarsi sul contraddittorio confine del totalitarismo stalinista e post-stalinista.

 

DECLINO E MORTE DEL MITO AMERICANO

 

Il mito non si presenta come un blocco compatto, ma con vette, cupole, pianure: una cupola negli anni 1930- 1935 (i grandi articoli di Pavese); una pianura fra il 1934 e il 1940, con due depressioni più accentuate, nel 1936 e nel 1938; una vetta, il punto culminante, nel 1941-42 (Americana di Vittorini); poi, una lunga esten­sione declinante in dolce pendio, interrotta qua e là da alture, quali la montagna di traduzioni nell’Italia libe­rata (1944-46), e il vulcano in eruzione del «Politecni­co» (1945-47). Dopo, è il declino irrimediabile, fino al livello dello zero raggiunto nel 1950.

[ …]

L’illusione americana, nell’euforia della Liberazione, dura ancora uno o due anni. Nel 1947, nessuno dubita che essa sia tramontata, nello stesso modo in cui ha fatto cilecca l’alleanza fra il partito cattolico e i socialisti e i comunisti. Pavese non trova più romanzi americani degni di essere introdotti in Italia … Nello stesso 1947, Vittorini inter­rompe il suo secondo discorso sull’America, quella Bre­ve storia della letteratura americana rimasta ferma al­l’epoca dei pionieri. Il fatto è che egli si persuase allora, come confesserà in seguito, che la « nuova leggenda », celebrata con tanto entusiasmo nel commento ad Ame­ricana, era morta, ed era morta bambina. « Contavo su William Saroyan; e Saroyan non ha fatto che ride­scrivere continuamente gli stessi gesti fino a renderli in poco tempo privi di ogni incentivo per chiunque, e mec­canici, vuoti. Contavo su Erskine Caldwell; e Caldwell… oggi si confonde coi più estemporanei produttori di let­teratura industrializzata ». Stessa delusione a proposito dei giovani dell’anteguerra, John Fante, Richard Wright, e dei giovani del dopoguerra, Nelson Algren, Norman Mailer, Saul Bellow, Truman Capote, Wright Morris, Flannery O’Connors.

Né Pavese né Vittorini continuano ad occuparsi di letteratura americana, dopo il 1947, se non per esprime­re i loro dubbi e i loro pentimenti. Le cause di questo di­sincanto possono essere divise in tre categorie.

 

  1. – Cause politiche

Sono le più evidenti. Il mito dell’America poggia fin dagli inizi su un paradosso: se conseguente con se stes­sa, mai la sinistra intellettuale italiana avrebbe scelto gli Stati Uniti capitalisti come terra di esilio. Li ha scelti per solidarietà sentimentale con gli emigrati di Sicilia

e per reazione contro le ingiurie rivolte dalla propaganda fascista all’indirizzo della giudeo-plutocra­zia di New York. All’indomani della Liberazione, è nor­male che la contraddizione esploda: la sinistra marxista ritrova la sua vera patria, la Russia sovietica, e gli Stati Uniti si rivelano per quello che sono: una potenza eco­nomico-finanziaria con fini imperialisti. L’inizio della guerra fredda, il calare del sipario di ferro mostrano ad ognuno che si deve scegliere tra Est ed Ovest: e siccome in quegli anni il cuore è ad Est, si ha la ten­denza a denigrare l’Occidente. ….  Pavese constatando il declino della cul­tura americana, si pone il problema sulle colonne del-YUnità, il giornale del Partito comunista italiano. « Ci pare che la cultura americana abbia perduto il magiste­ro, quel suo ingenuo e sagace furore che la metteva al­l’avanguardia del nostro mondo intellettuale. Né si può non notare che ciò coincide con la fine, o sospensione, della sua lotta antifascista… Senza un fascismo a cui op­porsi, … senza un pensiero e senza lotta progressiva, rischierà anzi [l’America] di darsi essa stessa a un fa­scismo, e sia pure nel nome delle sue tradizioni mi­gliori ».”

Notiamo il tono moderato: Pavese esprime delle per­plessità più che delle certezze. Non si assiste a una pa­linodia. Pavese è sì comunista, adesso, ma non dà certo alle fiamme ciò che ha adorato. Allo stesso modo Vit­torini, comunista anche lui, non baratta il suo mito americano per un mito dell’U.R.S.S. : non dà ragione né a Steinbeck né a Fadeev, l’uno e l’altro colpevoli, ai suoi occhi, di cadere in un conformismo post-rivolu­zionario.

Nello stesso modo in cui il mito dell’America, molto più che un’infatuazione letteraria è stato per Pavese e Vittorini un’esperienza cruciale, così il declino del mito lascia in essi un vuoto che niente più può colmare. Nel giugno 1950 scoppia la guerra di Corea. La sinistra deve abbandonare definitivamente l’America, non senza una stretta al cuore. Il 1950, in questo campo come negli altri, segna la fine di un’epoca.

 

  1. – Cause filosofiche

Fin dalla sua nascita, il mito dell’America poggia su una seconda contraddizione, che esplode pure dopo la caduta del fascismo. La nuova leggenda dell’uomo, quella che Pavese e Vittorini hanno creduto di trovare in America, è una leggenda ottimista, che celebra la di­gnità dell’uomo, la vittoria della « purezza » sulla « cor­ruzione », vittoria conquistata a caro prezzo e rimessa in discussione di continuo, ma la lotta contro le forze che soffocano e alienano l’uomo è di per sé la migliore testimonianza della rinascita dell’uomo, della fiducia in se stesso che l’uomo riacquista dopo secoli di tenebre, d’incultura e di rassegnazione.

Ora, quale nuovo avvenimento prodottosi dopo la guerra rivela l’inconsistenza di questa metafisica dell’uo­mo e, nel contempo, l’errore d’interpretazione commes­so a spese della letteratura americana? Quale nuovo av­venimento indica che l’uomo svincolato dall’umanesimo borghese non è affatto un uomo che cessa di essere alie­nato, non è affatto un uomo fiero della sua dignità di uomo, come invece piaceva credere ai cuori sentimen­tali? Quale nuovo avvenimento mostra che la letteratura americana ha contribuito meno di ogni altra a questa illusione?

L’avvenimento è il folgorante propagarsi dell’esisten­zialismo nell’ambito della cultura europea e la scoperta che, sì, c’è un uomo nuovo, in effetti, ed è un uomo i cui tratti derivano in parte dai modelli americani: ma quest’uomo è tutto il contrario del tipo che i cuori sen­timentali si attendevano, quest’uomo è un puro nulla. Sartre e Camus sviluppano al massimo le premesse filo­sofiche contenute nei romanzi americani e approdano alla descrizione di un mondo vuoto e arido, senza ani­ma e senza lacrime. …

Le intuizioni di Pavese e Vittorini, disseminate lungo vent’anni di scritti, tanto più valore hanno, in effetti, quanto meno si cerchi di codificarle troppo rigorosamen­te. Sarebbe posto in evidenza come non solo si siano « sbagliati » sull’America — ciò avrebbe poca importan­za, dopotutto — ma anche come la loro filosofia sia una chimera da sognatori. Quel che può insegnare la let­teratura americana è una visione totalmente nichilista dell’uomo: dunque è giusto riconoscere che l’esistenzia­lismo francese ha raccolto tale insegnamento, e che solo esso l’ha raccolto, quando il sentimentalismo italiano viene già a trovarsi spoglio di ogni sua speranza.

Come dubitare di questo, quando si vede Vittorini rinunciare a scrivere quasi nello stesso momento in cui rinuncia a mitizzare l’America? Dopo Le donne di Mes­sina, un grosso romanzo pubblicato nel 1949, egli in­terrompe per sempre la sua produzione romanzesca, fat­ta eccezione per un solo racconto, La Garibaldina, ap­parso nel 1956 (può darsi che si scoprano degli inediti: resta il fatto che egli avrà dubitato a tal punto di sé da non voler più consegnare al pubblico i propri lavori). Si è tentati di concludere che Vittorini rinuncia a scrivere perché, insieme con l’inconsistenza della sua chimera americana, scopre il vuoto della sua filosofìa, l’esagera­zione retorica del suo ottimismo sentimentale.

La cosa più strana però è che, malgrado la loro in­terpretazione sbagliata della « nuova leggenda », tanto Vittorini quanto Pavese riuscirono a scrivere romanzi molto più belli di quelli di Sartre o di Camus. Nessun romanzo esistenzialista francese si può paragonare a Conversazione in Sicilia o a La Luna e i falò. Se dun­que l’esistenzialismo francese ha raccolto l’insegnamento teorico degli scrittori americani, si deve fare osservare come, guidati dal loro mero istinto, i romanzieri italiani abbiano saputo trarre dal messaggio americano una le­zione più vitale, un’ispirazione più profìcua.

Forse la differenza fra l’atteggiamento francese e l’atteggia­mento italiano verso la letteratura americana si può riassumere in due nomi : Faulkner e Melville. Il mito francese si cristallizzò su Faulkner, il mito italiano su Melville. Melville è rimasto sempre il parente povero dei grandi stranieri introdotti in Francia; lo stesso si può dire per Faulkner in Italia. Dobbiamo dedurre che il largo afflato poetico di Moby Dick è più congeniale al temperamento ita­liano, come la disperazione caotica di Sanctuary è più congeniale al temperamento francese?

 

  1. – Cause psicologiche

Più aspramente deluso di Vittorini, ferito più pro­fondamente, Pavese non rinuncia soltanto a scrivere: Pavese si uccide nel 1950, e questo suicidio rivela, a quanti avrebbero potuto ignorarlo, l’angoscia in cui lo scrittore piemontese non cessò di dibattersi e il signifi­cato profondamente pessimistico della sua opera. Se egli arrivò a celebrare la virtù tonica di Melville e a cercare in America le ragioni per riacquistare la fiducia nella dignità dell’uomo, si comprende ormai che ciò non fu per intonare un peana sentimentale in gloria del genere umano, ma per riattaccarsi a un qualcosa che fosse me­no insopportabilmente sinistro della sua infelicità, per sopravvivere.

Parimenti scolastici, per lo spirito e per lo stile, sono gli articoli e i saggi dei nuovi americanisti: da Salva­tore Rosati a Fernanda Pivano, da Paolo Milano a Ga­briele Baldini. Nomi ai quali bisognerebbe aggiungere, ora, quelli di Agostino Lombardo e Vito Amoruso, di Nemi D’Agostino e Glauco Cambon, di Biancamaria Tedeschini ed Elémire Zolla. Tutti, o quasi tutti, pro­fessori nelle università italiane, hanno sovente studiato o insegnato per qualche anno in una università ame­ricana. Dal 1956 al 1964, essi pubblicano a Roma una rivista (« Studi americani ») che esamina metodologica­mente gli autori che la generazione del 1930 aveva sco­perto un po’ a casaccio, che rimette ordine, traccia pro­spettive e nel contempo rivede i giudizi espressi dagli illustri predecessori. È così che si torna a Emily Dickinson e a Henry James, per correggere la leggenda di un’America « barbara », violenta e antiumanista. È così che si assegna un ruolo più modesto a Sherwood Ander­son e a Lee Masters, a Saroyan e a Caldwell, che si rie­suma Fitzgerald e si accorda il primo posto —- senz’altro meritato — a Faulkner.

Sarebbe inutile tanto rimpiangere il caos eroico degli anni Trenta quanto rallegrarsi perché si dispone infine di un metodo storico per poter apprezzare nel loro giu­sto valore gli americani. Ciò che bisogna comprendere è questo: lo spirito dei tempi è mutato. La prima ge­nerazione di americanisti — i Cecchi, i Praz, i Linati — si era servita dell’America per illustrare una certa con­cezione dell’uomo. La seconda generazione —, i Pavese, i Vittorini, i Pintor —- se ne servì per illustrare una concezione opposta. Era inevitabile che l’ultima parola toccasse a una terza generazione, quella degli storici e dei professori, i quali studiano le cose come sono e non già secondo prevenzioni ideologiche.

 

In Dominique Fernandez, Il mito dell’America negli intellettuali italiani, Salvatore Sciascia Editore, Roma/Caltanisetta, 1969, p. 103-112

Vasco Ursini presenta il suo libro: “Il dilemma verità dell’essere o nichilismo?”, Palafiori di Sanremo 2016 – Booksprint Edizioni

Vasco Ursini da Cittaducale (RI) al Palafiori di Sanremo.

Segui l’intervista in TV del nostro autore che presenta il suo libro:

“Il dilemma verità dell’essere o nichilismo?”.

 

QUATTRO LEZIONI SUL TEMPO, alla fondazione Corriere della Sera, 9, 16, 23 febbraio 2016

trmpo

2016-02-03_000646

Nicla Vassallo. Che è accaduto alla caverna di Platone?

la BIBLIOTECA che si apre sul WEB

img_0034

introduzione alla parte dedicata al PENSIERO DELLE DONNE, di: DOMENICO KOVIELLO, Schegge del ‘900 filosofico, Oltre 100 filosofi del nostro secolo, Laura Rangoni editore, 1996

introduzione alla parte dedicata al PENSIERO DELLE DONNE

di: DOMENICO KOVIELLO, Schegge del ‘900 filosofico, Oltre 100 filosofi del nostro secolo, Laura Rangoni editore, 1996

  • VIRGINIA WOOLF
  • ROSA LUXENBURG
  • EDITH STEIN
  • HANNAH ARENDT
  • SIMONE WEIL
  • MARIA ZAMBRANO
  • LUCE IRIGARAY
  • SIMONE DE BEAUVOIR

 

pensierodonne2551pensierodonne2552

EMANUELE SEVERINO e la filosofia dell’essere, in DOMENICO KOVIELLO, Schegge del ‘900 filosofico, Oltre 100 filosofi del nostro secolo, Laura Rangoni editore, 1996, pagine 52-59

KOVIELLO2543KOVIELLO2544KOVIELLO2545KOVIELLO2546KOVIELLO2547KOVIELLO2548KOVIELLO2549KOVIELLO2550

DOMENICO KOVIELLO, Schegge del ‘900 filosofico, Oltre 100 filosofi del nostro secolo, Laura Rangoni editore, 1996, pagine 336. Indice del libro

 

KOVIELLO2539KOVIELLO2540KOVIELLO2541KOVIELLO2542

EMANUELE SEVERINO incontra PARMENIDE, Bompiani, collana interviste immaginarie, 2010

EMANUELE SEVERINO incontra PARMENIDE, Bompiani, collana interviste immaginarie

PARME


VAI A:

Emanuele Severino incontra Parmenide (pdf)


 

GIACOMO LEOPARDI, da I grandi della letteratura italiana – Rai 5, 2015

Sarà vero che Leopardi è il cantore della negatività e del pessimismo? O non sarà più corretto descriverlo come il poeta di un’altra grande forza, il Desiderio? Poeta passionale, dunque. Poeta affamato di vita. Poeta troppo innamorato della vita per non essere condannato all’insoddisfazione. La puntata racconta la vita del grande autore, facendo di tutto per rispettare la sua stessa volontà: concentrarsi sul pensiero, e non sulla sua tragica vita privata.

La location scelta è il Parco dei mostri di Bomarzo, quasi la messa in scena di pietra del mondo dell’immaginazione in cui il giovane Leopardi cercava rifugio dalla realtà.


 


I GRANDI DELLA LETTERATURA ITALIANA

La Storia della Letteratura sfogliata in Tv da Edoardo Camurri. Da Dante a Pasolini, i versi e le parole dei maggiori autori italiani. Da lunedì 9 novembre 2015 in prima serata su Rai5.

Sorgente: I grandi della letteratura italiana – Rai 5

Emanuele Severino su Occidente e Islam, da violenza e morte nel nome di dio, al Death Studies Master dicembre 2015

MAPPE nel sistema dei SERVIZI alla persona e alla comunità

violenza e morte nel nome di dio, al Death Studies Master dicembre 2015

Emanuele Severino su Occidente e Islam. Grazie a Vasco Ursini per avere rintracciato questa preziosa traccia che conferma un mia convinzione datata 11 settembre 2001: l’INFERIORITA’ CULTURALE dell’islam
Il relativismo culturale (ogni cultura è “buona” in sè) è un ERRORE.
Ci sono valori di civiltà (in particolare quelli delle soggettività individuali e delle progressive libertà individuali) che sono SUPERIORI ad altri modi di fare cultura

View original post

Francesco Cardone, NICHILISMO, TÉCHNE E POESIA NEL PENSIERO DI EMANUELE SEVERINO, Tesi di laurea in Sociologia dell’arte e della letteratura. Relatore: Prof. Stefano Benassi, Anno Accademico 2003-2004

Francesco Cardone, NICHILISMO, TÉCHNE E POESIA NEL PENSIERO DI  EMANUELE SEVERINO.

Tesi di laurea in Sociologia dell’arte e della letteratura.

Relatore: Prof. Stefano Benassi

Anno Accademico 2003-2004.

INDICE
Introduzione………………………………………………………………………………..2
I. IL SENTIERO DELLA NOTTE…………………………………………………….8

 

1.1) Nichilismo come pensiero dominante dell’Occidente: il sentiero della notte…….10

 

1.2) Téchne, il culmine del nichilismo…….………………………………………………21
1.3) Nichilismo, téchne e poíesis…………….…………………………………………….33

 

1.4) Il linguaggio, il mortale e l’agire della tecnica…………………….……………….64

 

II. IL SENTIERO DELLA NOTTE NELLA POESIA……………………………74

 

2.1) Eschilo e Leopardi: origine e compimento dell’Occidente……….…………………75

 

2.2) Tragedia ed epistéme (Eschilo)……………….……………………………………..80

 

2.3) Hýbris e Dike………….………………………………………………………………95
2.4) Prometeo: la téchne come phármakon………….…………………………………112
2.5) Divenire, nulla, illusione e poesia in Leopardi………….…………………………118
2.6) La ginestra: nulla, tecnica e poesia………….……………………………………..134
III. IL SENTIERO DEL GIORNO NELL’ARTE…………………………………158

 

3.1) L’epistéme: l’identità dell’essere eterno……………………………………….….159
3.2) Il sentiero del giorno: l’apparire dell’eterno………….…………………………..188
3.3) L’epistéme dell’arte: l’identità dell’opera d’arte………………….………………208
3.4) Il sentiero del giorno dell’arte: l’eterno apparire dell’opera d’arte…….………221
Bibliografia………………………………………………………………………………249

tutta la tesi: vai a questo link

http://www.filosofico.net/nichilsevcardonefranc.htm

Severino spiega alla “perfezione” il significato di FILOSOFIA φιλοσοφία (Audio tratto dalla conferenza titolata: Identità Occidentale, Pistoia 28 maggio 2010)

 

“cacciare il dolore con verità”, Eschilo, tradotto da Emanuele Severino

LUOGHI del LARIO e oltre ...

da l’Inno a Zeus, che sta al centro del primo canto intorno all’ara, nell’AGAMENNONE di Eschilo, nella traduzione di Emanuele Severino in Interpretazione e traduzione dell’Orestea di Eschilo, Rizzoli, 1985

agam

IMG_1408

IMG_1409

IMG_1410

eschilo375eschilo376eschilo377

da Emanuele Severino, IL GIOGO, alle origini della  ragione: Eschilo, Adelphi, 1989

View original post

The Art of Making a Book – YouTube

 

VALERIA DELLA VALLE, GIUSEPPE PATOTA, Viva la grammatica, Sperling & Kupfer

VASCO URSINI parla del suo libro: Il dilemma verità dell’essere o nichilismo?, BookSprint Edizioni, 2013, al Palafiori di Sanremo 2015 – Booksprint Edizioni

vai a una SCHEDA DEL LIBRO:

 

Di Kavafis bisogna conoscere almeno tre poesie, a cura di Andrea Di Gregorio

Di Kavafis bisogna conoscere almeno tre poesie:
In tutte si coglie lo spirito tragico del Novecento:
la scissione della coscienza,

il senso di un fato che incombe NON dall’esterno, ma dall’interno


Andrea Di Gregorio su:

aggiunge Giorgio Chiavegato :  “anche GRIGIO” non scherza”

Rimirando un opale a metà grigio

mi risovvengo d’occhi belli e grigi

ch’io vidi(forse vent’anni fa)…

Per un mese ci amammo.

Poi sparì, credo a Smirne, a lavorare.

E poi non ci vedemmo più.

Si saranno guastati gli occhi grigi

-se vive-e il suo bel viso.

Serbali tu com’erano, memoria.

E più che puoi, memoria, di quell’amore mio

recami ancora, più che puoi, stasera.

Costantino Kavafis

La fede razionale di Kant | da Ritiri Filosofici

kantCome sanno coloro che hanno una sufficiente conoscenza della storia del pensiero filosofico, Immanuel Kant rappresenta una sorta di spartiacque tra la filosofia antica/medievale e quella moderna/contemporanea. Sebbene i motivi del suo sistema siano presenti in molti dei suoi predecessori (basti pensare a Cartesio con il principio dell’Io penso, a Berkeley negatore della materia e precursore dell’idealismo fino allo stesso Hume che lo risvegliò dal sonno dogmatico), Kant ha il merito di rendere esplicita e di portare ad  estrema conseguenza l’idea secondo la quale, prima del mondo esterno e degli oggetti reali, la conoscenza è innanzitutto conoscenza della propria coscienza

Sorgente: La fede razionale di Kant | Ritiri Filosofici

TartaRugosa ha letto e scritto di: Edoardo Lombardo Vallauri (2010), Semplificare – Micro-Filosofie del Quotidiano, Rai-Eri | TartaRugosa

Tornando a Vallauri e al suo “Semplificare”, occorre specificare che tale testo deriva dalla trascrizione dei suoi interventi radiofonici nella trasmissione “Castelli in aria” su Rai RadioTre (puntualmente registrati e ascoltati in giorni e orari compatibili con la mia presenza in casa).

L’essenza di questo programma era di stimolare la riflessione su argomenti o comportamenti più o meno complessi della vita di ogni giorno allo scopo di aprire nuove idee sulla loro interpretazione, compito che a Vallauri decisamente riesce molto bene, sia perché il suo linguaggio è chiaro e immediato, sia perché è certamente originale la sua volontà di offrire un intrattenimento intellettuale relativamente a temi di cui spesso ci troviamo a ragionare un po’ per partito preso o per frasi fatte.

Ecco quindi che ogni oggetto dei suoi ragionamenti si presta a una massima semplificazione, grazie a esempi e domande che conducono l’ascoltatore ad allargare il campo della conoscenza e, talvolta, persino a ribaltare l’idea di partenza.

segue qui:

Sorgente: TartaRugosa ha letto e scritto di: Edoardo Lombardo Vallauri (2010), Semplificare – Micro-Filosofie del Quotidiano, Rai-Eri | TartaRugosa

GIORGIO ERLE MARKUS OPHÄLDERS Come passa il tempo … ovvero … il tempo passa? Tempo e musica tra Beethoven e Stockhausen, Como, Sabato 19 settembre 2015, sorgente: http://www.aduevoci.org

Sorgente: GIORGIO ERLE MARKUS OPHÄLDERS Come passa il tempo … ovvero … il tempo passa? Tempo e musica tra Beethoven e Stockhausen, Como, Sabato 19 settembre 2015, sorgente: http://www.aduevoci.org/ « POLITICHE SOCIALI e SERVIZI

I VIDEO CORSI DI ASIA

Sorgente: Prodotti | asia shop

Filo-slogan 0

La Botte di Diogene - blog filosofico

1Approfittando della recente uscita di questo piccolo libro del Melangolo sugli slogan filosofici, consegno il blog per il periodo estivo alla voce dei filosofi, e nella fattispecie ad una particolare modalità dell’espressione filosofica che parrebbe piuttosto essere quantomai antifilosofica: “Il concetto di ‘slogan’ sembra avere poco in comune con la filosofia” – scrive il curatore, Donald Draper, nella premessa, essendo piuttosto affine alla propaganda o al linguaggio politico (fin nell’etimo, dall’impronunciabile gaelico scozzese sluagh-ghairm, ovvero grido di guerra). D’altro canto, ci ricorda sempre Draper, la “massima”, dall’epoca antica fino al temibile aforisma niciano, è sempre stata una modalità attraverso cui i filosofi hanno cercato di colpire i loro uditori (masse o meno che fossero), abbandonando così la più tradizionale forma argomentativa. L’avere tuttavia tralasciato di distinguere tra slogan, motto, massima, aforisma e simili (ma non identici) ha consentito il potpourri editoriale, insieme alla presunta efficacia commerciale del titolo.
Il…

View original post 146 altre parole

Filo-slogan 0

La Botte di Diogene - blog filosofico

1Approfittando della recente uscita di questo piccolo libro del Melangolo sugli slogan filosofici, consegno il blog per il periodo estivo alla voce dei filosofi, e nella fattispecie ad una particolare modalità dell’espressione filosofica che parrebbe piuttosto essere quantomai antifilosofica: “Il concetto di ‘slogan’ sembra avere poco in comune con la filosofia” – scrive il curatore, Donald Draper, nella premessa, essendo piuttosto affine alla propaganda o al linguaggio politico (fin nell’etimo, dall’impronunciabile gaelico scozzese sluagh-ghairm, ovvero grido di guerra). D’altro canto, ci ricorda sempre Draper, la “massima”, dall’epoca antica fino al temibile aforisma niciano, è sempre stata una modalità attraverso cui i filosofi hanno cercato di colpire i loro uditori (masse o meno che fossero), abbandonando così la più tradizionale forma argomentativa. L’avere tuttavia tralasciato di distinguere tra slogan, motto, massima, aforisma e simili (ma non identici) ha consentito il potpourri editoriale, insieme alla presunta efficacia commerciale del titolo.
Il…

View original post 146 altre parole

RODIN, le penseur

rodin

ANDRES BARBA, Ha smesso di piovere, traduzione di Federica Niola, Einaudi, 2015. Recensione di Mario Fortunato

fortunato2152

VASCO URSINI, Introduzione al libro: RUGGERO PULETTI, La storia occulta, il pendolo di Foucault di Umberto Eco, Lacaita editore, 2000


Vai al file della introduzione di Vasco Ursini in formato Pdf:


Vai alla scheda del libro RUGGERO PULETTI, La storia occulta, il pendolo di Foucault di Umberto Eco, Lacaita editore, 2000: http://www.lacaita.com/biblioteca-di-studi-moderni/226-la-storia-occulta.html

image-0001 image-0002 image-0003 image-0004 image-0005 image-0006 image-0007 image-0008 image-0009 image-0010 image-0011 image-0012 image-0013 image-0014 image-0015 image-0016 image-0017 image-0018 image-0019 image-0020 image-0021 image-0022 image-0023 image-0024 image-0025 image-0026 image-0027

 

Andrea Zanzotto” Esistere psichicamente ” Interprete: Sergio Carlacchiani

 

LUCREZIO, De rerum natura – Wikiwand

vai a:

De rerum natura – Wikiwand.

L’INFINITO, di Lucio Lombardo Radice, ripubblicato dagli Editori Iuniti nel 2015

VAI AL SITO DEGLI EDITORI RIUNITI

L’infinito di Lucio Lombardo Radice.

la teoria dell’ EVENTO, da Teorie dell’evento, a cura di Edgar Morin, Bompiani 1974

MAPPE nel sistema dei SERVIZI alla persona e alla comunità

1. le caratteristiche dell’EVENTO:

MORIN EVENTO2046

  1. i tipi di EVENTO

MORIN EVENTO2047

  1. il mutamento di paradigma:

MORIN EVENTO2048

View original post

EPICURO, Convinciti che ogni nuovo giorno che si leverà, per te, sarà l’ultimo. Con gratitudine allora accoglierai ogni insperata ora …

«Convinciti che ogni nuovo giorno che si leverà, per te, sarà l’ultimo.

Con gratitudine allora accoglierai ogni insperata ora.

Riconoscendone tutto il valore affronterai ogni momento del tempo che viene ad aggiungersi come se derivasse da una incredibile fortuna»

EPICURO

da Una promessa di felicità – Il Sole 24 ORE.

Vincent Van Gogh – Un nuovo modo di vedere (Paesi Bassi, 2015, 100 minuti) di David Bickerstaff

https://i0.wp.com/www.nexodigital.it/fckeditor/userfiles/image/Eventi/EXHIBITION/VanGogh_LOC.jpg
Vincent Van Gogh – Un nuovo modo di vedere (Paesi Bassi, 2015, 100 minuti) di David Bickerstaff

È probabilmente l’artista più amato di tutto il mondo. Il più studiato, copiato, ammirato. Ed è proprio il Museo Van Gogh di Amsterdam ad aprire per la prima volta le sue porte al cinema e mostrare i suoi tesori in un film evento sorprendente che celebrerà il 125° anniversario della morte dell’artista. Grazie alla stretta collaborazione con gli esperti del Museo, gli spettatori potranno gustarsi su grande schermo i capolavori coloratissimi dell’artista mentre gli ospiti appositamente invitati getteranno nuova luce sulla figura di Vincent Van Gogh.

da

MARTEDÌ 14 APRILE – La Settimana InCom – La Provincia di Como La Provincia di Como – Notizie di Como e provincia.

VASCO URSINI, Il dilemma verità dell’essere o nichilismo?, BookSprint Edizioni, 2013

Vasco Ursini

copertina_ursiniSi affronta in questo saggio il problema se sia possibile per l’uomo pervenire alla Verità incontrovertibile. Si è tentato di affrontarlo «con l’occhio rivolto unicamente alla verità cui si anela, senza subordinarla a nessun presunto valore, a nessuna autorità, a nessuna pressione del senso comune e della forza della tradizione». La soluzione che è stata data del dilemma Verità dell’essere o nichilismo non è priva di dubbi. Una cosa però è certa: «la partita» si gioca tra l’«alternativa veritativa» e l’«alternativa nichilista». Al di fuori di questo dilemma, c’è solo la possibilità di rifugiarsi nella fede.

Acquistalo Subito su www.booksprintedizioni.it

Disponibile anche in versione E-book

Guarda anche il BookTrailer

View original post

PIETRO CITATI SU CIORAN: Un infinito diario della mente e dell’anima – da la Repubblica.it, 25 ottobre 2001

Un infinito diario della mente e dell’anima

I quaderni di Cioran Sul tavolo dell’ esile studio di Cioran ; non sembrava uno studio, ma una gabbia per uccelli, una tana per cani rimase per molti anni, dal 1957 al 1972, un quaderno chiuso, che veniva regolarmente sostituito. I quaderni erano identici: portavano un numero progressivo e una data; da uno a trentaquattro, dal 26 giugno 1957 agli ultimi giorni del 1972 il tempo dei suoi libri maggiori. Simone Boué, la donna bellissima e radiosa che condivise la maggior parte della vita di Cioran, non osò mai aprirli. Li aprì soltanto dopo la sua morte, nel 1995. Sapeva che Cioran avrebbe voluto distruggerli: «tutti questi quaderni sono da distruggere», sta scritto sulla copertina dei quaderni, I, II, IV, VIII e X. Come Kafka, Cioran li aveva conservati con cura: perché, come Kafka, desiderava che qualcuno, non lui, li pubblicasse. Così, negli anni dopo il 1995, Simone Boué li trascrisse con attenzione, sino all’ ultimo foglio: poi, quando tutto era pronto per la stampa, annegò nel mare della Vandea; certo per caso, ma anche perché il suo compito terreno era finito. Ora i Quaderni stanno qui (Quaderni, 19571972, prefazione di Simone Boué, nella eccellente traduzione di Tea Turolla, Adelphi, pagg. 1108, lire 80.000): un libro densissimo, che consiglio di leggere molto lentamente, per non venire travolti dalla complessità e dalla molteplicità della mente di Cioran. I Quaderni nascono, almeno all’ inizio, dalla costrizione. Nel giugno 1957 Cioran si obbligò a comporli riga dopo riga, riflessione dopo riflessione, per tenersi legato alle parole, per afferrarsi con le mani alla «scrittura». Se non scriveva, gli sembrava di affondare nel vuoto, che pure amava. Aveva bisogno di essere un letterato parola che detestava: cercava un peso, che lo legasse alla terra. Voleva raccogliervi l’ «essenziale» e l’ «inessenziale». Di «inessenziale» non c’ è molto: qualche incontro con gli amici, specialmente Samuel Beckett, che venerava, visite di conoscenti rumeni, qualche aneddoto, qualche giudizio sui contemporanei, qualche battuta, qualche passeggiata notturna a Parigi o nelle campagne, qualche alba ma qui tocchiamo già l’ essenziale. Per il resto, abbiamo per la prima volta l’ impressione di vivere non in un libro di Cioran, ma dentro la sua mente: ne condividiamo i lampi, le angosce, le estasi, gli andirivieni , e il legame delle idee con le sensazioni e il corpo. «Questo è il mio corpo che pensa», avrebbe potuto scrivere come motto. Per millecentotre pagine, Cioran parla quasi soltanto di sé stesso. I Quaderni sono una «continua riflessione sul mio stato», egli scrive. L’ occhio fissa la mente e l’ anima: tutte le luci sono concentrate su di esse. Sebbene ammiri i creatori come Dostoevskij e Tolstoj, egli non possiede il dono del romanziere, che senza fatica estrae una moltitudine di persone dal suo io; e nemmeno quella del vero critico, simile all’ «attore che muta ogni sera, il costume, il volto, la parte». Qualcuno ha accusato Cioran, affermando che egli era un ossesso del proprio io la meno amabile delle ossessioni. Con la sua tendenza all’ autodenigrazione, Cioran si addossa questa colpa: si sente chiuso dalle pareti del proprio io , soffocato dalla ripetizione. Non ha aria per respirare: vuole uscire nel mondo, amare gli altri, diventare gli altri, abbracciare l’ infinito, comunicare con la natura. Subito dopo, Cioran confessa di essere infelice quando il sole splende liberamente sul suo capo. Ha bisogno che un fitto strato di nuvole lo separi dal mondo e dal cielo, costringendolo a concentrarsi sempre più intimamente in se stesso. Se legge gli altri Marco Aurelio, Montaigne, Pascal, Swift, Baudelaire, la Dickinson , lo fa soprattutto per conoscere la propria anima. Così conclude con una bellissima riflessione di timbro agostiniano: «Non è parlando degli altri, ma curvandosi su di sé, che ci è possibile incontrare la Verità. Perché ogni cammino che non conduce alla nostra solitudine o non ne proceda, è deviazione, errore, perdita di tempo». L’ io di Cioran è un vastissimo scenario teatrale. In questo scenario , egli proietta quasi tutte le figure della letteratura, del pensiero, della storia, del cielo, della natura. Quasi niente è escluso. L’ io si trasforma in moltitudine, assumendo sempre nuove maschere. Senza saperlo, Cioran diventa il romanziere e il mitografo della propria mente. Così l’ effetto dei Quaderni è il contrario di quello che Cioran temeva. Non c’ è nessuna ossessione. In pochi libri, respiriamo così liberamente, abitiamo con tale gioia, camminiamo con tale piacere, perché quasi tutte le pagine sono immerse nella vita degli esseri umani, si chiamino Buddha o Pascal o Beckett. *** Nei Quaderni, specie nella loro ultima parte, Cioran parla con orrore e ammirazione della propria giovinezza: quando abitava la Romania o Berlino. Se lo fissa con gli occhi degli anni maturi, quel tempo gli sembra un Inferno: ma, al tempo stesso, pensa che la sua vita, dopo di allora, non sia stata che una caduta: «sono un riflesso insignificante, perfino la caricatura di quei lontani anni di febbre e di follia». Quello era, in primo luogo, il tempo dell’ Insonnia; e, nell’ insonnia, o nel sonno brevissimo, da cui lo risvegliavano incubi, si annidavano l’ entusiasmo, la disperazione, la furia, l’ eccesso di sensazioni, la felicità sovrumana (o almeno l’ aspirazione a questa felicità), le estasi mistiche, la visione, l’ orgoglio demenziale, una sete di autodistruzione che si rivolgeva verso l’ esterno, e una pietà fino alle lacrime per se stesso e il mondo. Avrebbe potuto diventare un santo o un fondatore di religioni: o un trascinatore di folle. Cercava di superare tutti i limiti del mondo e dell’ intelligenza. Lo attendeva una pericolosa libertà assoluta: o una esplosione della mente, capace di precipitarlo nella follia, come Nietzsche. Di questo giovane furibondo e disperato, molto resta ancora nelle pagine dei Quaderni, scritte dal saggio amaro e ironico che passeggiava per le strade intorno a place de l’ Odéon. A volte, c’ è una crudeltà mentale che ci spaventa: una dismisura, che i Greci avrebbero condannato; un bisogno di terrore. L’ aggressività esplode: ora verso se stesso, verso il miserabile io, che egli detesta e calunnia; ora verso gli altri i passanti, gli amici, i vicini di casa, le negozianti presso casa. Questa piccola Apocalisse è isterica e ridicola; e Cioran si pente, subito dopo aver aggredito. Malgrado il rimorso, la violenza quotidiana accenna a una violenza fondamentale. «Per me, egli dice, scrivere è vendicarsi. Vendicarsi contro il mondo, contro di me». E poi: «Il pensiero, nella sua essenza, è distruzione. Più esattamente: nel suo principio. Si pensa, si comincia a pensare per rompere i legami, per dissolvere le affinità, per compromettere l’ ossatura del “reale”». E l’ effetto dell’ opera d’ arte non è la conciliazione, come pensavano i Greci: o il velo intessuto di luce e di ombra, con cui Goethe intravedeva l’ assoluto e mitigava le angosce umane. Chi scrive, deve avere «un’ anima dura, per poter condurre un pensiero sino alle sue ultime conseguenze». «Un libro deve scavare nelle piaghe, provocarne perfino… Deve costituire un pericolo… Chiamo poesia ciò che vi colpisce come un coltello al cuore… Conta solo il libro piantato come un coltello nel cuore del lettore…». Sono quasi le stesse frasi che Kafka ha scritto nei Diari, una generazione prima; e non credo che Cioran le conoscesse. Quest’ uomo sempre sui limiti dell’ esplosione e della follia è stato salvato da una lingua. Credo che sia l’ unico caso nella storia della letteratura, in cui una lingua abbia liberato un uomo dalla distruzione, pur continuando a custodirla dentro di sé. Nell’ estate del 1947, Cioran abbandonò il rumeno per il francese. Con il suo rigido codice formale, il francese gli insegnò a rifiutare, a escludere, a dire di no, a porsi dei limiti, a rinunciare: «Sapersi limitare tale è il segreto» del vero scrittore. Giunse a dire scherzosamente (ma non troppo) che «la grammatica guarisce dalla malinconia». Cominciò una battaglia terribile con il francese, un’ agonia nel senso vero della parola: vittorie e disfatte si alternarono; per anni, e forse sino alla morte, Cioran si sentì in una camicia di forza <\-> costretto, contratto, impacciato da regole che lo torturavano. «Sono <\-> aggiungeva ancora più ironicamente <\-> un profeta folgorato dalla grammatica ». Ma, sebbene Cioran non l’ abbia mai interamente compreso, fu in primo luogo una grandiosa vittoria. Invece di impazzire e di esplodere, distruggendo sé stesso e il mondo, Cioran diventò un saggio, che collochiamo accanto ai suoi Marco Aurelio, Montaigne, Pascal e La Rochefoucauld; e conquistò l’ assoluto dopo avervi rinunciato. Il vecchio uomo, in lui, non era morto. Continuò a protestare contro i libri <\-> erano una diminuzione della sua essenza, una perdita della sua anima <\->; e contro le parole, in nome del silenzio e del grido. Disse: «Tutto ciò che ho scritto non serve a niente e non porta a niente»: ciò che è probabilmente vero per qualsiasi libro. Liberandosi dal rumeno, diventò un signore della forma: il maggior scrittore francese della sua generazione, insieme a Beckett. Aveva il dono dello stile: un dono impareggiabile, come testimoniano queste mille pagine, quasi senza correzioni, dove il pensiero trova subito, all’ improvviso, la sua forma definitiva. Amava la densità, la formula, l’ omissione: «non lasciar correre la propria penna, indietreggiare davanti alle parole, esecrare l’ abbondanza, strangolarsi a forza di scorci». Rimase mobilissimo, vivacissimo; uccise il lirismo, che aveva dominato i suoi libri rumeni: uccise in apparenza la poesia romantica che lo aveva nutrito: spoetizzò la prosa; e la poesia rimase implicita, involontaria, segreta, e quasi impercettibile, o presente come nostalgia e rimpianto, in ciascuna delle sue righe. @AR Tondo:Come Kafka nei mesi trascorsi a Zürau, Cioran conosce un solo vero luogo: il Paradiso. Subito all’ inizio dei Quaderni , scrive: «Non ho mai potuto dimenticare il paradiso»; «Ho un piede nel paradiso; come altri ne hanno uno nella tomba». Con orgoglio, afferma che qualche volta ci vive, e scorge l’ innocenza, <\-> allora l’ uomo non aveva ancora mangiato il frutto della conoscenza del bene e del male. Come i grandi romantici, si nutre di origini, vorrebbe raggiungerle, riposarvi, inabissarsi nelle loro profondità, fino a toccare il luogo ignoto che sta prima della creazione. Ma non è possibile: proprio perché abita in paradiso, sa di esserne stato cacciato, e dentro di sé rinnova quella cacciata, impugnando la spada sfolgorante dell’ angelo che impedisce all’ uomo di rientrare nell’ Eden». Ha solo un’ arma: il rimpianto, la nostalgia, il sospiro, il veleno dell’ angelo caduto, che intride di lacrime, come ai tempi della giovinezza, la sua nervosa prosa francese. Dio si cela: «Gridare, verso chi? Tale fu il solo ed unico problema della mia vita». Dio non risponde: «Non c’ è nessuno al mondo più vicino a te, né più lontano. Un briciolo di certezza, un nulla di consolazione è tutto quello che ti domando. Ma tu non puoi rispondere, non puoi» <\-> sebbene non l’ uomo ma soltanto lui sia l’ unico confidente, consolatore e interlocutore che noi possediamo. Questo Dio non è il creatore della Bibbia, e nemmeno il Cristo: ma l’ Altro, l’ oscura, irraggiungibile Figura della mistica. Nella preghiera, e soprattutto ascoltando musica, ci sono momenti in cui la Figura sembra presente. «Ascoltando un oratorio di Händel: come credere che queste implorazioni esaltanti, queste grida di strazio e di tripudio non si rivolgano a nessuno, che non ci sia nulla dietro di loro, che debbano perdersi per sempre nell’ aria . «Se è così, Dio esiste, l’ universo esiste, e tutto ha un senso. Sono momenti altissimi, tesissimi, nei quali la prosa di Cioran sta per incrinarsi. Ma subito egli si ritrae: nega, non crede; ripete che «non si può vivere né con Dio né senza Dio». Dunque non si può vivere affatto. Un’ altra forma di Dio è il Vuoto. Con una passione che lo insegue per anni, Cioran legge i testi buddhisti; e, per qualche tempo, l’ indemoniato, lo scorticato vivo diventa simile a un eremita tibetano. «Giornate intere, passate in una tensione vuota, senza nessuna idea, al di qua del pensiero, al di qua dello Spirito. Una vacuità lucida, il niente che contempla indefinitamente se stesso». Vive al di fuori di ogni cosa, senza contatti, senza complicità col mondo dell’ illusione: senza io, senza nome, senza possesso. Allora conosce la luce (che tuttavia, uomo delle nuvole, teme): un’ eterna assenza luminosa, un vuoto raggiante, che dispensa attorno a sé «una felicità senza materia». Quasi solo tra i suoi contemporanei, Cioran capisce che il vuoto non è un’ esperienza negativa, ma una cosa compatta, piena, perfetta come una sfera, sebbene priva di contenuti. Dimenticando i propri furori, attraversa un’ esperienza che il Cristianesimo non gli darà mai: la quiete , che è il contrario dell’ indifferenza. «Provo una sensazione di benessere solo quando nessun pensiero sfiora il mio spirito». Come in un grandioso mito gnostico, cominciano le fasi della Caduta. Ecco il peccato originale, che nessun Cristo ha mai redento: il senso di colpa, di cui Cioran soffre acutamente come Dostoevskij e Kafka. Ecco il dolore: il dono di convertire ogni fatto e pensiero in sofferenza: l’ ansia che si impadronisce di ogni pretesto: la disperazione portata nel sangue e percepita perfino nella materia: il gusto di cenere nella bocca, la tristezza da insetto, il terrore innato, la malattia reale e immaginaria: «più che il mio corpo, il mio esseremi fa male». Ecco lo scacco: la vita fallita, la patria odiosa e perduta, i libri disgustosi <\-> pensieri che lo perseguitano ogni istante. Come accade quasi sempre in Cioran, la caduta si rovescia, a momenti, in ascesa, perché il dolore intollerabile redime la vita e ci fa conquistare il sapere; e ogni scacco è, per lui, una conquista. «Dopo ogni sconfitta mi riaffermo, riprendo gusto alla vita». L’ ultima esperienza della Caduta è quella del tempo, a cui Cioran consacra le pagine forse più belle dei Quaderni . Aveva avuto la piena rivelazione a cinque o a sei anni, un pomeriggio d’ estate. All’ improvviso tutto si vuotò attorno a lui, e non gli restò che la sensazione di un passaggio senza contenuto, di una fuga, di uno scorrimento che gli fece paura. «Non c’ era più mondo , non c’ era più che tempo». A partire da quel momento, specialmente di notte, Cioran percepisce fisicamente, con i sensi tesi, la caduta di ogni istante nell’ irreparabile: l’ istante, che è appena trascorso, appartiene senza rimedio al passato, che si forma, cresce, si ispessisce, acquista peso e grandezza davanti ai suoi occhi. Questa trasformazione lo ghiaccia di terrore. « Gare du Nord . Un orologio a pendola indica i minuti: 16 e 43. In quel minuto, pensai che esso non ritornerà mai, che è scomparso per sempre, che è sprofondato nella massa anonima dell’ irrevocabile… Tutto scompare per sempre. Non rivedrò mai quest’ istante. Tutto è unico e senza importanza». Qualche volta, Cioran ha l’ impressione che il tempo si sia coagulato nelle sue vene: dunque il tempo è dentro di lui, è lui . Più sovente, gli sembra che esso gli sia completamente esterno: non sa cosa cercarvi, ogni incursione gli è proibita; e intanto quella cosa esterna lo uccide, passando accanto a lui, «accanto, cioè a mille leghe». Esistono fori nel tempo. E, attraverso di essi, l’ anima incrinata e lesa di Cioran entra in contatto con l’ assoluto a cui, un istante prima, aveva voltato le spalle. Il tempo tace. È il 22 novembre 1964: Cioran segna con precisione la data, perché la ritiene decisiva per lui. Non riesce a dormire. Si alza alle cinque e trenta di mattina e passeggia: un’ ora dopo, nell’ avenue de l’ Observatoire, sente un uccello, il primo risvegliato, che si esercita a cantare ; nelle luci di prima del giorno <\-> la luce pura, vergine, silenziosa. Il canto dell’ uccello immerge Cioran in una grande esultanza; e non importa che poi tutto degradi nel disastro del tempo e dell’ uomo. NeiQuaderni , ci sono altri momenti come questi: folgorazioni, assalti di una felicità inaudita, rapide visioni, attacchi di euforia; allora la desolazione diventa luminosa, la negazione scintilla, la tragedia suscita letizia. C’ è, soprattutto, la rarissima esperienza della gioia celeste. Anche questa volta Cioran segna la data: 28 marzo 1967. «La grazia è quella gioia che, senza che noi sappiamo da dove venga, s’ impadronisce di noi durante un’ ora o due. La gioia, quella che ci sommerge e alla quale nessuno potrebbe resistere, come ammettere che proceda dai nostri organi e che non abbia la sua fonte in Dio? Come non assimilarla alla grazia?». @AR Tondo:Quando Cioran, la mattina, si guarda allo specchio, identifica il proprio cappotto, la sciarpa, il cappello, ma non riesce a riconoscere se stesso. «Chi è quest’ uomo?», si chiede. E un giorno, scrivendo il proprio nome su un formulario, gli pare di averlo scritto per la prima volta. «Il giorno, l’ anno della mia nascita, tutto mi sembrò nuovo, e inesplicabile, senza nessuna relazione con me». Cioran non si identifica dunque con il proprio io: tra lui e se stesso, resta sempre un intervallo, che non può cancellare. Per questo, legge con tanta passione i testi buddhisti, che gli annunciano come tutto nel mondo <\-> anche la sua geometrica e razionale Parigi <\-> sia irreale e illusorio. « Il mondo esiste, ma non è reale ». «Quando si è compreso che nulla ha una realtà intrinseca, che nulla è, e che non si può accordare alle cose nemmeno uno statuto di apparenze, non si ha più bisogno di essere salvati: si è salvati, <\-> e infelici per sempre». Davvero infelici, o soltanto infelici? Subito dopo essersi convinto che lo spettacolo cosmico è una buffoneria, Cioran capisce che l’ unica risposta possibile è il riso: un riso senza limiti né misure; una buffoneria egualmente cosmica, alle spalle dell’ universo. Così Cioran legge con passione gli scritti degli scettici greci. «Amo sempre meno <\-> scrive <\-> i pensatori deliranti. Preferisco loro i saggi e gli scettici, i non ispirati per eccellenza, coloro che nessun dolore eccita né sconvolge. Amo i pensatori che evocano dei vulcani raffreddati». Quando scrive queste parole, anche lui è un vulcano raffreddato , sebbene percorso dal ricordo delle antiche fiamme ed esplosioni. Si nutre di dubbi. Quando ne trova uno, non importa quale, si precipita sopra di lui, lo divora, lo incorpora nella sua sostanza, lo digerisce. Ormai tutte le religioni <\-> persino il buddhismo <\-> gli sembrano nascere dal più folle orgoglio umano. Non ha più ambizioni: la sua giovinezza gli sembra un delirio; vive chiuso in un modesto intervallo, dubitando della sua missione e di ogni missione. Per lui, il saggio è un distruttore placato, in pensione: o uno spettatore rattristato, che non partecipa allo spettacolo della vita. Ma nemmeno questa volta, il vecchio Cioran è morto: perché il suo dubbio è anche una droga, che porta sino alla vertigine, o gli permette di uscire dal mondo. Il dubbio gli insegna ad amare più profondamente quello che aveva sempre desiderato: la piccola vita quotidiana, che passa e non ha domani, soffio incantevole ed effimero. Giunge a dire: «Il vero scrittore ama appassionatamente le apparenze, non cerca la Verità»: legge biografie, memorie, diari, confidenze, epistolari, che gli ricordano ciò che è transitorio. Una volta, corregge ironicamente: «Mi piacciono gli aneddoti e la metafisica indù»; ma anche la metafisica, tra le mani di un buddhista zen, può diventare una minima, squisita opera buffa. Come Chardin, che abitava non lontano da lui, Cioran passeggia nelle vie attorno a place de l’ Odéon: guarda le vetrine, i passanti, i banchi all’ aperto <\-> gli spettacoli minimi, accettando con amara e spiritosa rassegnazione l’ esistenza, che aveva (anche) detestato con forza. Riconosce di aver sempre posseduto una vocazione per la frivolezza («per ciò che è serio non ho nessun talento»), sebbene la sua frivolezza sia ossessionata dal Niente. Qualche volta, il Niente è dimenticato. Allora ride volentieri, a gola spiegata, chiudendo gli occhi. Gode le gioie della conversazione: brilla, scintilla, come un Voltaire più intelligente: scocca mortali aforismi sugli amici e i nemici; e persino la tragedia universale gli ispira una specie di ilarità. «La condizione di cui ho più bisogno <\-> dice <\-> è l’ esultanza. Senza di lei non si può fare nulla di vivo». Cioran furibondo, distruttore, rumeno, francese, smisurato, limitato, percosso dal dolore, innamorato del Paradiso, mistico, estatico, buddhista, scettico, ilare, saggio: ho elencato soltanto qualcuno dei volti di questo grande volto. Cioran vive di contraddizioni: «Mi piace contraddirmi fino alla demenza; no, non si tratta di un piacere, ma di una fatalità; non posso fare altrimenti». «Sono il contrario dell’ uomo intero , cioè non aderisco a una cosa che parzialmente… Non mi identifico con nulla, se non con il ritmo delle mie pretese convinzioni, sposo sino in fondo le mie incertezze». Ma queste contraddizioni non sono mai ferme. Ciò che entusiasma neiQuaderni è l’ incessante mobilità del pensiero, il passaggio da un estremo all’ altro, il gioco dei contrari, le associazioni improvvise, l’ andirivieni, gli ondeggiamenti dell’ acqua. Conosce un solo esempio simile: Montaigne. Ogni aforisma è in rapporto con tutti gli altri: ogni verità si nutre drammaticamente delle verità che la negano. Cioran mistico è scettico, lo scettico mistico, il limitato tentato dalla dismisura, lo sventurato è ilare, l’ empio religioso, il rumeno francese, il francese rumeno: l’ uomo furioso e disperato è un angelo devastato dallo humour . @AR~Tondo:Nota: Cioran è nato in Romania nel 1911, ed è morto a Parigi nel 1955. Tutti i suoi libri sono pubblicati in italiano da Adelphi.

PIETRO CITATI

da Un infinito diario della mente e dell’anima – la Repubblica.it.

Sinonimo | da Una parola al giorno

Termine simile a un altro per significato

dal greco synònymos, composto da syn insieme e onoma nome.

TUTTA LA SCHEDA QUI:

Sinonimo, etimologia, definizione e significato | Una parola al giorno.

Tecnica e Politica – Conferenza del Professor Emanuele Severino, 12 febbraio 2015 | RadioRadicale.it

MARCO PELLEGRINO, La Materie Prime della coscienza, 2015

martedì 10 febbraio 2015

Pubblicazione de “Le Materie Prime della coscienza”

Per acquistare direttamente dal sito della casa editrice (in attesa che il libro venga inserito anche negli altri store online): http://www.youcanprint.it/youcanprint-libreria/saggistica/le-materie-prime-della-coscienza.html

Titolo: Le Materie Prime della coscienza
Sottotitolo: con un Manuale di storia della Filosofia, agli occhi della verità autentica
Pagine: 756
Data di pubblicazione: febbraio 2015
Prezzo di copertina: 38 euro

“Indice”: http://marcopellegrino.blogspot.it/2014/12/indice-de-le-materie-prime-della.html

“Prefazione” (di Alberto Maso): http://marcopellegrino.blogspot.it/2015/01/le-materie-prime-della-coscienza.html

“Quarta di Copertina” (di Andrea Berardinelli): http://marcopellegrino.blogspot.it/2015/01/quarta-di-copertina-de-le-materie-prime.html

Un estratto della “Introduzione” de Le Materie Prime della coscienza: http://marcopellegrino.blogspot.it/2015/01/su-le-materie-prime-della-coscienza-un.html

Gorgia (estratto de Le Materie Prime della coscienza):  http://marcopellegrino.blogspot.it/2015/01/gorgia-estratto-de-le-materie-prime.html

Un altro estratto de Le Materie Prime della coscienza: http://marcopellegrino.blogspot.it/2013/07/rapporto-tra-lautentica-filosofia-e-le.html

Come accostarsi ai miei scritti e a quelli di Severino: http://marcopellegrino.blogspot.it/2015/02/come-accostarsi-ai-miei-scritti-e.html?spref=fb

Sulla morte, ulteriori delucidazioni, dopo Le Materie Prime della coscienza: http://marcopellegrino.blogspot.it/2015/02/sulla-morte-ulteriori-delucidazioni.html

da Filosofare: la struttura concreta dell’infinito: Pubblicazione de “Le Materie Prime della coscienza”.

Intervista al prof. Emanuele Severino e alla prof.ssa Ines Testoni, Dal programma “Musica Maestro” di Armando Torno su Radio 24 andato in onda domenica 14 settembre

Intervista al prof. Emanuele Severino e alla prof.ssa Ines Testoni

DSC01826Dal programma Musica Maestro” di Armando Torno su Radio 24 andato in onda domenica 14 settembre alle 21.00

segui l’intervista al prof. Emanuele Severino e alla prof.ssa Ines Testoni,

su temi inerenti il congresso “Seeing beyond in facing death”

VAI A

Intervista al prof. Emanuele Severino e alla prof.ssa Ines Testoni.

I CHING, il libro della versatilità: testi oracolari con concordanze, nella edizione Eranos, a cura di Rudolf Ritsema, Shantena Augusto Sabbadini. Progetto grafico di Paolo Giomo, coordinamento editoriale di Maurizio Rosenberg, Red edizioni, Como 1996

La migliore edizione AL MONDO dell’  I CHING, è stata pubblicata a Como nel 1996

I CHING, il libro della versatilità: testi oracolari con concordanze,

nella edizione Eranos, a cura di Rudolf Ritsema, Shantena Augusto Sabbadini.

Progetto grafico di Paolo Giomo, coordinamento editoriale di Maurizio Rosenberg,

Red edizioni, Como 1996

I CHING1691I CHING1692I CHING1693I CHING1694I CHING1695I CHING1696I CHING1697I CHING1698I CHING1699I CHING1700

in rilettura: Emanuele Severino, DALL’ISLAM A PROMETEO, Rizzoli, 2003

DSCN1543[1]

Eraclito, Parmenide, Empedocle, da La grande sapienza individuale (Mneme)

VAI A

La grande sapienza individuale (Mneme).

Parmenide e Eraclito, schede audio di Enrico Galavotti