“Sì, è ora che parli della mia anima. La mia anima è la terra: in tutti i sensi, la grande Terra; e quella piccola, il minuscolo acro bastante appena a tener viva la mia fame”, ci dice DAVID MARIA TUROLDO nel suo libro “La mia vita per gli amici, gennaio 2002”.
… “La Terra, passione di Dio e dell’uomo, dal cui fango siamo formati: per ritornare dispersa cenere, in una commistione di vita e di morte senza fine: con tutta la Terra.
Dicevo della mia piccola terra… del mio Friuli, dove sta una gente silenziosa e forte: gente raminga della mia terra, dispersa per il mondo. Così almeno fino a ora, fino al grande terremoto. Sradicati e stranieri dovunque, come zingari. Con i loro fagotti di emigranti, gonfi di tristezza più che di miseri stracci pur se dignitosi e lindi, stracci ancora freschi di lisciva. E ancor più carichi di nostalgia… .
E io più ramingo ed emigrante di loro, vagabondo di Dio, con l’idea di tornare sempre alla mia casa come alla mia cuna.
Una terra che ho sempre pensato fosse il centro dell’universo. Ero ancora un fanciullo, alle prime classi elementari: ricordo la solitudine che regnava su tutto il paese; e io che volevo sapere a che punto del mondo mi trovavo. Fu così che un giorno, nella tarda mattinata, salii da solo sul campanile, fino alla cella campanaria, e mi misi a guardare in direzione dei quattro punti dell’universo.
Ricordo che parlavo a voce alta; e poiché il paese era avvolto nella prima foschia fino a velare quasi completamente le montagne, ecco che mi dissi con piena fermezza: “Tanto di distanza di qua; tanta di là; e tanta dall’una e dall’altra parte”: così mi convinsi con gioia e paura insieme della domanda che più mi tormentava: dove fosse il mio paese! E trovavo che il mio paese era il centro dell’universo.
E’ questa una delle cose più vere per capire tutta la mia anima. Io ho portato con me tutto il mio paese: convinto che ognuno porta in sé un baricentro. Convinto che se scavi nelle tue profondità, trovi precisamente sempre la tua terra; per questo essa è il centro del tuo universo. … E la famiglia…
Chiunque vorrà leggermi troverà nelle mie poesie più care questa preistoria che è uno degli elementi più sicuri a capirmi; e meglio ancora, a capire quanto io non sia riuscito a esprimere, a cantare come avrei voluto il vero canto dei poveri. …
E io, uscito forse dalla casa più povera, anche oggi orgoglioso di essere stato così povero. Non con questo che voglia nascondere il dramma della mia infanzia, che ho narrato nel racconto che ha per titolo “Ma io non ero un fanciullo”, dal quale poi ho realizzato il film Gli ultimi.
E’ a questa povertà che devo tutto: povertà che penso sia la salvezza non soltanto degli individui, ma della stessa società. Non ci salveremo se non da poveri.
[…]
Un anno fa mi trovavo in Friuli, inaspettatamente. Mi prende subito il proposito di tornare al mio piccolo paese… . Mi venne il desiderio di aggirarmi almeno per il cortile della mia infanzia… . Vedendo quel giorno che non c’era nessuno per tutto il borgo e la casa era abbandonata, d’istinto volli entrare almeno in cucina.
Era tutto come più di cinquant’anni prima: stessa porta, stessa caligine, stessa finestra sconnessa, stesso focolare e lavello… Solo che era spento il fuoco… Ma c’era mia madre!… Sì per me c’era! Come se fosse ancora lì! E io ancora fanciullo… Mi venne allora, tra un fiotto improvviso di lacrime e un singulto, un pensiero: sì, che non esiste la morte! che non c’è la morte! che tutto vive, che non è vero che loro sono di là e noi di qua; ma che anche loro sono qui, ancora qui, con noi; qui a continuare, tutti, sulle stesse strade: mai soli!”
… Solo dopo mesi mi venne all’improvviso, sorgiva, di cantare così:
E lasciamo il pianto
E lasciamo il pianto
Che mi sgorgò sulle mani
Dopo i cinquanta e più anni
Che non vi entravo: qui
Dalla mia casa almeno
Può dirsi: è stata bandita!
Ancora infatti l’umile porta,
ancora quella la finestra:
a camino per il fumo che a nembi
si addensava contro il soffitto,
e tu come allora
dentro la nuvola.
– “Pai” (babbo) già dall’alba
E fino a sera
Era a dissodare
I duri campi in affitto
O a falciare prati
Per altri… –
Più densa intorno agli stipiti
La caligine colava anche in giorni
Di vento secco:
e le fessure nell’impiantito
di sopra, e le crepe
nei muri e sul solaio:
no, qui nessun vento
soffiava sui divani
qui né tempo né morte avevano
più nulla da rapire o rodere.
Mancava solo il poco rame, unico
Oggetto lucente, oltre, madre,
i tuoi occhi sempre umidi
sul minuscolo lavello.
Mancavamo noi, volati
Via come uccelli
Non più tornati al nido.
Sola variante
La corte fattasi
Più deserta.
Non fosse che le case ora
Come dopo una peste
Siano tutte intonacate,
di calce, direi:
“Morte, non esisti!”.
E là tu stai “sudore plebis”
Mia casa
A sassi di fiume,
lacrime raggrumate da secoli.
E lei
Dalla piccola finestra
A salutarmi:
“Mandi, frut” (Addio, figlio).
Mentre riprendo la strada…
Mia natura
Mia natura è di essere
presente: amare
la realtà che sento: toccare,
divenire queste morenti cose
salvarle nel mio gesto
di pietà. Mia tristissima
gioia di questi possedimenti
sempre dispersi: di queste
inesistenze: amore di case
che debbo lasciare; di questa
mia perita città.
(Da: “Io non ho mani” in “O sensi miei… “ Poesie 1948-1988)
Questa ragione
E pregare: noi siamo sassi, Iddio,
polvere di strade: passeranno
gli altri su noi e sugli altri
gli altri, fino all’ultimo giro.
Un’anima hanno le pietre,
un cuore, un destino pietoso.
Saranno domani prigioni e case
O mense d’altari ove sanguina
La Vita.
Polvere saranno, alla fine,
con la cenere degli uomini.
Cristo è il solo confine immobile,
l’abisso ove s’annulla l’eterno
e non ha più onda il tempo.
Questa ragione invece
Una scogliera sull’infinito.
(dalla raccolta “Gli occhi miei lo vedranno”, anno edizione 1955)
Ha dunque un volto
– e piange –
… e non un segno dell’universo
Può dire che sia
Se
Non sia la tua coscienza
A dire di Lui:
“ecco, tu sei”
Lui
L’Illimite (no, è impossibile)
Il Nulla e il Tutto insieme
L’impossibile Immaginario:
Essere e Idea insieme
Ha dunque
Un volto
E una voce
E parla e
Piange…
Già dirlo è un prodigio:
dire che altra risposta
non esiste:
Ragione:
è necessitata a credere
ma prodigio ancora più grande
è credere
(Da: “Anche Dio è infelice”, 1991)
Ballata del pellegrino
Andiamo di primo mattino
usciamo dalla notte
lavate le mani e il cuore
e sul volto riflessa la gloria
della sua Schekinah (manifestazione)!
Andiamo senza turbare
la luce che sorge e il canto
degli uccelli lungo la via.
Andiamo col passo del Pellegrino,
nel sacco appena un tozzo di pane
che inzupperemo all’acqua di fonte
sull’altipiano: la necessaria
eucaristia di Natura
avanti di assiderci a sera
per l’ultima Cena.
E come usavano gli antichi oranti
dal “Tetto del mondo”, ognuno
appenda al proprio bastone
il velo della sua sospirata preghiera
e il vento la porti
nella direzione che vuole.
Andiamo leggeri, prodigiosa-
mente leggeri,
per non offender la terra,
e nulla alteri il ritmo
del misurato respiro.
E con l’alito appena
a bolle di luce diciamo
”Gesù, figlio di Dio”
”abbi pietà di noi”
perché tutta la terra
sia irrorata dalla
infinita pietà.
Tutte le ferite fasciate
sozzure e immondizie
bruciate nella Geenna,
colmate
tutte le solitudini.
O anche senza a nulla pensare,
lasciare libero Iddio
che usi grazia
cole a Lui piace:
perché noi non sappiamo,
non sappiamo!
E’ già grazia
essere amati, e più ancora
lasciarsi amare; e scendere
al centro del cuore
e portare la veste nuziale
e tornare all’innocenza premeva,
tornare ad essere in pace.
Ricondurre la mente
al centro del cuore dove
finalmente celebrare l’incontro:
poiché là Egli innalza
la sua preferita dimora
la tenda dei suoi ozi,
per i giochi d’amore.
E fare del corpo
il castello
delle nozze!
Amen.
(Da: “Nel segno del Tau” in “O sensi miei… “)
… Uno dei segni per non disperare e per non lasciarsi morire, è che non muoia la Poesia. Fin quando l’uomo canta, e tornerà a cantare, c’è ancora speranza, non solo per l’individuo, ma per la stessa società. La poesia, quando è poesia, è sempre un evento universale, un evento per il mondo, per la storia: poesia come luce; ultima forma di conoscenza; come intelligenza d’amore che sta proprio nel cuore della disperazione; poesia come voce dell’anima di un popolo; cuore del poeta quale conchiglia degli oceani; maceramento per l’assenza-presenza dell’Eterno; poesia che scaturisce da amore per il prossimo… .
… “Io non ho… mani che mi accarezzino il volto… “… Cominciavo così a seguirti…
Io non ho mani
Io non ho mani
che mi accarezzino il volto,
(duro è l’ufficio
di queste parole
che non conoscono amori)
non so le dolcezze
dei vostri abbandoni:
ho dovuto essere
custode
della vostra solitudine:
sono
salvatore
di ore perdute.
(Da: “O sensi miei”)
Poesia
Poesia
è rifare il mondo, dopo
Il discorso devastatore
del mercadante
(Da: “Nel segno del Tau”, 1988)
O infinito silenzio
Signore, per te solo io canto
Onde ascendere lassù
Dove solo Tu sei,
gioia infinita.
In gioia si muta il mio pianto
Quando incomincio a invocarTi
E solo di Te godo,
paurosa vertigine.
Io sono la Tua ombra,
sono il profondo disordine
e la mia mente è l’oscura lucciola
nell’alto buio,
che cerca di Te, inaccessibile Luce;
di Te si affanna questo cuore
conchiglia ripiena della Tua Eco,
o infinito Silenzio
(Da: “ Udii una voce” in “O sensi miei”)
… Tra le infinite cose di cui David conservava memoria, aveva scelto come suo modo nuovo di essere “cattolico” queste parole di papa Giovanni XXIII:
“Se nella notte non sai dove andare, sappi che alla mia finestra c’è sempre un lume acceso; bussa, bussa e io scenderò ad aprirti; né ti chiederò se sei cattolico o no”.
Uno dei doni che più hanno inciso su tutta la sua vita, e confortato in ogni battaglia, è stato il dono dell’amicizia…
E domani
Ve ne siete andati, amici.
Ora nuovamente solo
conto i vostri passi
( prima insieme a scendere
le scale, ad accomiatarci
sul sagrato, più tardi
possibile) e poi solo
a sentire i vostri motori
in corsa verso la pianura.
Solo, come ieri e come domani,
come questa notte di luna
sul colle così familiare e assente.
E’ mezzanotte, è l’una,
per me è sempre mezzanotte
e sempre è l’una e le due
e poi l’alba.
Solo, per i secoli dei secoli amen.
E tornerete domani e dopodomani
a rapirmi altre gocce di gioia
con fatica aggrumata
nella mia arnia d’inverno,
raccolta da qualche fiore sulle pietre,
tra spini e un gioco di bimbi:
anima mia come ape in volo
dall’alba all’alba
nel lungo giorno e nella lunga notte,
e poi ancora in volo
sulle nude scogliere dei sensi,
nel devastato giardino dei ricordi,
ovvero con la paura che le ali si frangano
sugli abissi di Dio.
Ancora qualche gioia
e poi altre rapine:
e così per sempre.
Tale il mio sacerdozio;
pur felice
che torniate, amici.
Ciò non segna importanza alcuna
purché torniate
e domani e dopodomani,
o amici”.
(Da: “Il sesto angelo” in “O sensi miei”)
Fratello ateo, nobilmente pensoso
alla ricerca di un Dio che io non so darti,
attraversiamo insieme il deserto.
Di deserto in deserto
andiamo
oltre la foresta delle fedi
liberi e nudi verso
Il nudo Essere
e lì
dove la Parola muore
abbia fine il nostro cammino.
(Da: “Oltre la foresta delle fedi”, 1996)
Colloquio notturno
E quando la notte fonda
ha già inghiottito uomini e case,
una cella mi accoglie
esule del mondo. Gli altri
nulla sanno di questa mia pace,
di questi appuntamenti.
Forse neppure io stesso
saprei rifare l’itinerario del giorno,
ripetere la danza del mio Amore.
Quasi nulla avanza di me
la sera: poche ossa, poca carne
odorosa di stanchezze,
curvata sotto il peso
di paurose confidenze.
Allora Egli mi attende solo,
a volte seduto sulla sponda del letto,
a volte abbandonato sul parapeto
della grande finestra. E iniziamo
ogni notte il lungo colloquio.
Io divorato dagli uomini, da me stesso,
a sgranare ogni notte il rosario
della mia disperata leggenda.
Ed Egli a narrarmi ogni notte la
Sua infinita pazienza.
E poi all’indomani io, a correre
a dire il messaggio incredibile
ed Egli fermo al margine delle strade
a vivere d’accattonaggio.
(Da: “Da udii una voce” in “O sensi miei… “)
Canti ultimi…
Sera a sant’Egidio
Tornata è la quiete,
anche il vento riposa,
non c’è più nessuno
nell’Abbazia:
ma io non chiuderò le porte:
Qualcuno, sono certo, verrà:
così attendo sereno la Notte.
(Da: “Canti ultimi”, 1991)
Sempre dilaniato
Sempre dilaniato dal “doppio pensiero” (Dostoevskij):
questo male non voluto
e voluto: conflitto e finzione
che durano da una vita:
figlio prodigo e fratello maggiore insieme
e tu,
a dare fondo alla tua pietà.
(Da: Ultime poesie, 1991-1992)
Una silenziosa camminata insieme all’amico Sandro in una pineta nei dintorni di Bressanone, nell’agosto del 1988, gli ispirò questa poesia:
Ti sento, Verbo, risonare dalle punte dei rami
dagli aghi dei pini, dall’assordante
silenzio della grande pineta
– cattedrale che più ami – appena
velata di nebbia come
da diffusa nube d’incenso il tempio.
Subito muore il rumore dei passi
come sordi rintocchi:
segni di vita o di morte?
Non è tutto un vivere e insieme
un morire? Ciò che più conta
non è questo, non è questo:
conta solo che siamo eterni
Non so come, non so dove, ma tutto
perdurerà: di vita in vita,
e ancora da morte a vita
come onde sulle balze
di un fiume senza fine.
Morte necessaria come la vita,
morte come interstizio
tra le vocali e le consonanti del Verbo,
morte, impulso a sempre nuove forme.
Mai di te
Mai di te sapremo:
. Suono
. Silenzio
. Parola
che tu sia,
oppure Occhio che riflette
tutta la terra come una perla;
e mai nulla di definito sapremo
neppure di noi…
(Da: “ Il grande male” in “O sensi miei…”)
Profezia Antica
E il già detto è ancora
da ridire, Qohelet:
mai la stessa onda si riversa
nel mare, e mai
la stessa luce si alza sulla rosa:
né giunge l’alba
che tu non sia
già altro!
(Da: Ultime poesie, 1991-1992)
Da: “Mia Apocalisse”
Tempo verrà
Tempo verrà che non avrete un metro
di spazio per ciascuno:
lo spazio di un metro
che sia per voi. Tutti
vi dovrete rannicchiare:
nemmeno coricati!
Se pure non sarete
accatastati uno sull’altro.
Allora uno resterà soffocato
dal ribrezzo dell’altro.
Non avrà spazio
neppure il pensiero
e tutto sarà nel Panottico:
pupilla di un
Polifemo
fissa al centro del cielo:
non ci sarà un solo angolo,
un remoto angolo
per il più segreto
dei pensieri.
Il cuore sarà cavo
come il buco nero
in mezzo alle galassie.
La mente di tutti
una lavagna nera…
Un groviglio di fili
senza corrente
i sentimenti
a terra.
David, è scaduto il tempo
David, è scaduto il tempo d’imbarco!
Ora il tuo posto
è la lista d’attesa.
Grazia rara è
se ancora qualcuno conservi
(con molte incertezze) memoria
del tuo nome, almeno
il sospetto
che tu sia esistito.
Premono formicai di anonimi
alle stazioni della metropolitana.
Moltitudini che urlano
invocando di salire,
a grappoli.
Tutti sconosciuti l’uno all’altro
ignoto il proprio volto
perfino a te stesso,
e il volto del proprio padre:
anche lui anche lui sbarcato
a forza del predellino
dell’ultimo tram
nella notte.
Non c’è approdo
E poi sempre finito
nel grande Vuoto,
e cantare
evanescenze…
Ora come un tempo, solo
con più amarezza: il gioco
non incanta più.
Non so se altri passino
per uguali gorghi
di vertigini:
essere-non essere, avvertire
di esistere appena:
e il corpo
che non ha confine,
e tu
perduto nell’illimite…
E consistere mai!
Non c’è approdo,
non c’è fine…
E’ vero invece
Non è vero che Dio è
la Lucidità.
E’ vero invece che ti appare
appena Occhio che avverti,
e di spalla
E lo senti incombere muto,
d’un silenzio che ti assorda:
frastuono d’acque
immense.
Divina è la confusione degli elementi
l’attrazione dei pianeti e di ogni vita,
e il peso di gravità delle cose
e questa coesione della pietra…
Dio, Unità e Divisione insieme:
penso che la stessa
morte a nulla
approderà
E non è vero
E non è vero che è
il Razionale:
quando non posso mai dire
perché son nato io e non un altro;
e in questo modo son nato,
e tempo, e luogo, e non altrove…
(Da: Nel segno del Tau)
Ieri, all’ora nona
Ieri all’ora nona mi dissero:
il Drago è certo, insediato nel centro
del ventre come un re sul trono.
E calmo risposi: bene! Mettiamoci
in orbita: prendiamo finalmente
la giusta misura davanti alle cose;
con serenità facciamo l’elenco:
e l’elenco è veramente breve.
Appena udibile, nel silenzio,
il fruscio delle nostre passioncelle
del quotidiano, uguale
a un crepitare di foglie
sull’erba disseccata.
(Da: Canti ultimi, 1991)
… A chi ha “conservato memoria” lascio questa sua poesia:
Crociera sul lago
Tutto, dunque, indistinto, trasognato.
Ci avvolge una sola luce
e il fischio dell’approdo. Scendiamo,
(la città ci viene incontro sull’onde)
ognuno col suo bagaglio.
Il giro è finito. Domani lo stesso viaggio.
Un veliero ora parte carico di gente;
un altro ritorna incrociando al porto.
Solo contrasto le onde che s’infrangono
annullandosi. La gente dalla tolda
saluta la gente che resta.
Il sole indifferente
è sdraiato sulle colline.
Solo un po’ di vento al largo.
Ora un velo nasconde le montagne
e il lago assente sopporta, tace.
I pensieri come vele bianche
gonfi di nulla. Lo stridore del gabbiano
unico segno rimasto di vita:
anche noi indistinti, finalmente, in sonnolenza.
Finalmente e uomini e cose
e lucertole rovesciati nel sole.
Forse non uno pensa. Qualcuno
come un automa sorseggia una bevanda gelida.
Si parla in un angolo piano
ma forse nessuno attende alle parole.
Dalla spiaggia i villani guardano da secoli;
quante volte videro l’avvio e l’approdo!
E dalla nave anche noi guardiamo
la gente che ci guarda. E così
chissà per quanto tempo ancora,
forse per sempre.
(Da: “Udii una voce” in “O sensi miei… “)
Cara monica tenevo molto ad avere sulla nostra antologia condivisa una tua personale scelta delle sue poesie.Nei miei ormai lontani primi anni ’70 frequentavo un gruppo di impegno cattolico che si riuniva qualche volta nella sua abbazia . ho di lui il nitido ricordo di un omone grande e forte. Il suo stesso corpo era un canto.L’ho pi rivisto negli anni ‘80 a gravedona: leggeva le sue poesie., fra cui una scritta nei tempi della resistenza al fascismo. Parlava di una pesca … sì del frutto della pesca.Qui tu mi fai pensare ad alcune sue forti coordinate esistenziali.Gli affetti familiari, il rapporto con la terra, il lavoro contadino, la qualità del suo rapporto con il presente:“Mia natura è di essere presente: amare la realtà che sento: toccare, divenire queste morenti cose salvarle nel mio gesto di pietà.”Il suo modo di vivere la religione:“Ha dunque Un volto E una voce E parla e Piange… Già dirlo è un prodigio: dire che altra risposta non esiste: Ragione: è necessitata a credere ma prodigio ancora più grande è credere”“Non è vero che Dio è la Lucidità.E’ vero invece che ti appare appena Occhio che avverti, e di spalla E lo senti incombere muto, d’un silenzio che ti assorda:frastuono d’acque immense.”La poesia come appiglio nel cammino sul corso della vita:“… Uno dei segni per non disperare e per non lasciarsi morire, è che non muoia la Poesia. Fin quando l’uomo canta, e tornerà a cantare, c’è ancora speranza, non solo per l’individuo, ma per la stessa società.”La solitudine del compito (molto commovente):Io non ho mani che mi accarezzino il volto, (duro è l'ufficio di queste parole che non conoscono amori) non so le dolcezze dei vostri abbandoni: ho dovuto essere custode della vostra solitudine: sono salvatore di ore perdute.Il rapporto intersoggettivo:“Fratello ateo, nobilmente pensoso alla ricerca di un Dio che io non so darti, attraversiamo insieme il deserto.Di deserto in deserto andiamo oltre la foresta delle fedi liberi e nudi verso Il nudo Essere e lì dove la Parola muore abbia fine il nostro cammino”Quel riferirsi alla “parola”: un mistero per me. Il logos della montefoschi, il rapporto con la parola rivelata ed udita in david turoldo, come ancora qui:“Ti sento, Verbo, risonare dalle punte dei rami dagli aghi dei pini, dall'assordante silenzio della grande pineta – cattedrale che più ami – appena velata di nebbia come da diffusa nube d'incenso il tempio”Il tempo dato, il tempo che resta, il ricordo negli ancora vivi:“David, è scaduto il tempo d’imbarco! Ora il tuo posto è la lista d’attesa. Grazia rara è se ancora qualcuno conservi (con molte incertezze) memoria del tuo nome, almeno il sospetto che tu sia esistito”E ancora il tempo dato e l’immortalità:“Ti sento, Verbo, risonare dalle punte dei rami dagli aghi dei pini, dall'assordante silenzio della grande pineta – cattedrale che più ami – appena velata di nebbia come da diffusa nube d'incenso il tempio.Subito muore il rumore dei passi come sordi rintocchi: segni di vita o di morte?Non è tutto un vivere e insieme un morire? Ciò che più conta non è questo, non è questo: conta solo che siamo eterni”Cara Monica ho ripercorso in questo modo i passi da te segnati.Ti ringrazio per la tua proposta di lettura
"Mi piace""Mi piace"
Caro Paolo ti ringrazio per averci fatto partecipe del tuo incontro con David Maria. Forse ho trovato la poesia scritta nei tempi della resistenza al fascismo.. che parlava di una pesca.. la lascio qui: SENTI CHE E' DI TROPPO Senti che è di troppo il sapore di una pescain questa povertàdi case diroccate; senti che non ti è lecito provare questo dolciored'anima emigratadalla strada della tua umanità. Sposata hai una pena di non sentire mai dolcezza alcuna che non sia di tutti; ed ora ti tenta questo profumo di pesche e di aranci, ed ora ti seduce questo langotre di tigli, ed ora vorresti andartene in pace in quest'orlo di città in queste ghirlande di bimbi a dimenticare. E invece è tuo soltanto il grido della cittàdisfatta sotto il sole, e tu solo puoi rianimare i corpi abbattuti ai piedi delle piante nell'afosità dell'estate. Ah tu non puoiconcederti a queste momentanee paci. Tu sei la possibilità di una viva solitudine; e il tuo sacerdozio è un'oasi ove essi hanno il diritto d'approdare dalle loro fatiche. (Da: "Io non ho mani") .. e poi, mentre cercavo questa poesia ho trovato questo frammento di "floreale dolcezza"… In Smateriate le cose: «Ora tutto il mio essere è in fiore; / il sangue a fiotti germoglia / al bacio di questo / primo sole di maggio: / ora anche le pietre / sono in amore, o Primavera. // Iddio come un uccello / tiene suo nido fra queste / selve: noi siamo piantagioni / di carne, maturate nel solco delle case / ed egli canta tra i nostri rami. // E noi pure cantiamo: / la vita è pianto che ora / trasuda dalle nostre mani / gonfie d'allegri sogni / soavi di profondo amore. / Smateriate le cose sono / in gioiose doglie» (Da: "Io non ho mani" in Poesie)Serena notte a tutti.
"Mi piace""Mi piace"
bellissima anche questa.ma non è quella del ricordo.c'erano (credo) le parole "com'era dolce"
"Mi piace""Mi piace"