. Antonio Gnoli su la Repubblica: «Occorre una certa temerarietà per riuscire a far convivere il remoto e il vicino, il Calasso autore con il Calasso che si abbandona al dondolio ipnotico dell’infanzia. Ma il risultato è sorprendente se ricondotto ai due libretti, […] talmente scarni e incisivi da far pensare all’essenzialità di un graffito che spunta improvviso da una grotta della memoria. Si tratta di Memè Scianca (un soprannome sibillino che l’autore in qualche modo non sa ricostruire con esattezza) e di Bobi. Mentre il primo ha un’ambientazione nell’infanzia fiorentina, l’altro ci consegna gli anni romani e l’incontro fondamentale con Bazlen. C’è una chiara contiguità biografica tra i due libri (ed è giusto leggerli in sequenza), ma è come se ciascuno si alimentasse di una trasparenza originaria che solo il luogo che la contiene riesce a rendere evidente. Firenze, dicevo. Arricchita da alcuni episodi che rivelano la storia di un bambino in equilibrio tra normalità ed eccezione: il campetto di calcio su cui nasce l’amicizia con Enzo Turolla (che lo istraderà alla lettura di Proust), le figurine, avidamente comprate all’edicola, le prime travolgenti letture (Cime tempestose, l’Orlando furioso, i gialli, Simenon ma anche gli angloamericani come Van Dine, Wallace, Stout, Cheyney), la scoperta della mitologia, i versi di Baudelaire che il bambino manda a memoria. È il Roberto nato durante la guerra, che attende con occhi impazienti, dalla finestra dello studio paterno, il giorno del passaggio delle Mille Miglia. La sua è un’infanzia colta, a tratti solitaria, arricchita dai primi sofisticati interessi musicali, vissuta attraverso la presenza di un padre, straordinario giurista, e di una madre che si è laureata su Plutarco con Giorgio Pasquali e che gestisce con fermezza e apprensione le difficoltà che la famiglia vive negli anni duri del conflitto. Fino alla rivelazione dell’episodio più drammatico: l’arresto – insieme a Renato Biasutti e Ranuccio Banchi Bandinelli – di Francesco Calasso, accusato dell’omicidio Gentile. Seguono settimane di angoscia e la quasi certezza di un’esecuzione imminente. Le testimonianze favorevoli di Benedetto Gentile, figlio del filosofo, e del console tedesco in Italia Gerhard Wolf salvano i tre ostaggi. La scrittura di Calasso sembra fatta da colpi di vento che, per un attimo, spalancano le vite di personaggi solo sfiorati» (leggi qui).
