Silvia Montefoschi, L’ Uno e l’Altro. Interdipendenza e intersoggettività nel rapporto psicoanalitico, Feltrinelli, 1977, p. 32-44

E’ morta Silvia Montefoschi, ricordo di Marco Garzonio

Era nata a Roma nel 1926 e lì si formò alla scuola di Ernest Bernhard, il medico che introdusse Jung in Italia, ebbe per pazienti Federico Fellini e Natalia Ginzburg e tenne rapporti con Bobi Bazlen, trai fondatori di Adelphi, grazie a cui si diffuse un sapere psicologico attento a miti, irrazionale, sapienza orientale, religiosità e autonomo verso il freudismo allora dominante. Trasferitasi a Milano, la Montefoschi rappresentò un punto di riferimento importante negli anni 70 e 80. I suoi libri, pubblicati da Feltrinelli nell’ autorevole collana di Psichiatria e di psicologia clinica diretta da Gaetano Benedetti e Pier Francesco Galli, divennero un richiamo per una generazione di studiosi e di persone alla ricerca di sé e di un senso da dare alla vita nelle tensioni anche drammatiche d’ un passaggio che fu epocale. Erano gli anni frutto del ‘ 68, del femminismo, dei movimenti di liberazione a livello internazionale, di un marxismo che intercettava ancora le esigenze di cambiamento ma non riusciva a uscire da schematismi ideologici, di un post concilio che accendeva le speranze dei cristiani. Silvia Montefoschi seppe interpretare il momento storico con scelte di vita rigorose. Lasciò il rifugio delle istituzioni analitiche per essere più libera nell’ elaborazione del suo pensiero. Tese gli sforzi a ridare funzione «sociale» alla psicanalisi riportandola al suo compito essenziale: consapevolezza e trasformazione interiore; la convinzione era che solo dai cambiamenti interiori si può immaginare che fiorisca una nuova pratica umanistica e sociale. Meta della Montefoschi fu di operare perché l’ uomo e la donna lavorassero a una continua presa di coscienza della realtà e dei condizionamenti, non solo per risolvere i propri problemi personali, ma per diventare individui responsabili, che, insieme ad altri, pongono mano al cambiamento delle relazioni intersoggettive, del collettivo, delle culture di riferimento. Di lei resta di grande attualità una incondizionata fiducia nella dialettica dei saperi, nel dialogo tra le persone, nella vita interiore arricchita dal lavoro con l’ inconscio e i sogni, nell’ autorealizzazione di se stessi come destino che accomuna uomini, generazioni, epoche.

da: Silvia Montefoschi, la psicanalista che seguì Fellini e la Ginzburg.

Grazia Apisa, “Dal presupposto parmenideo L’ESSERE E’ IL NON ESSERE NON E’ si giunge al riconoscimento che la verità abita la soggettività umana e che ciò che più propriamente definisce l’umano è di essere il luogo in cui la verità si manifesta.”

Caro Paolo,
qualche giorno fa avevo scritto un lungo commento su Abitatori del tempo,ma nell’inviarlo, mi è sparito e non sono più riuscita a ritrovarlo. Ora cerco di prendere qualche appunto dei pensieri che mi vengono in mente ,onde poter ricostruire lo scritto.
Qui la verità , non più abitatrice del tempo, fuori dell’uomo, lontana dall’uomo, viene invece riconosciuta nel LUOGO del suo darsi specifico : l’uomo , ciascun uomo. E’ senz’altro questo l’aspetto più significativo della trattazione. La riscoperta della soggettività come luogo privilegiato del dirsi dell’essere .
Dal presupposto parmenideo L’ESSERE E’ IL NON ESSERE NON E’ si giunge al riconoscimento che la verità abita la soggettività umana e che ciò che più propriamente definisce l’umano è di essere il luogo in cui la verità si manifesta.
Direi che ci troviamo davanti ad un salto conoscitivo,un vero salto di logica che restituisce all’uomo il suo esserci nell’universo, non più condizionato ad una trascendenza fuori di lui, bensì riconosciuta in lui stesso: Distanziandosi dalla visione di sé come “finitudine”, l’uomo accede all’infinito che riconosce in se stesso ,nel proprio essere: Noi siamo abitatori della verità e al contempo dell’infinito, dal momento che è in noi che l’infinito si sperimenta, si crea, si dice e si riconosce.
Carissimo Paolo ho condiviso in F.B. il link
Grazie per la tua attenzione
Grazia

Baldo Lami, ho conosciuto Parmenide con Silvia Montefoschi, poichè il suo pensiero parte dallo stesso assioma …

grazie dell’inserimento paolo e del commento di grazia in cui mi riconosco. io ho conosciuto parmenide con silvia montefoschi, poichè il suo pensiero parte dallo stesso assioma che l’essere è e il non essere non è, e che l’essere coincide col pensiero, cui attiene anche (nella montefoschi) il principio evolutivo che lo porta poi la essere ciò che è nel punto momento consapevole di sè. poi l’ho ritrovato anche in emanuele severino citato da paolo che ho approcciato dopo in ordine di tempo, col suo ritorno a parmenide come lotta di resistenza al nichilismo contemporaneo che ha ormai salde radici anche in filosofia. una cosa poi mi ha colpito del brano riportato, vi si dice a un certo punto: “perché è l’incapacità che nel loro petto dirige l’errante mente”, che mi fa pensare che anche in parmenide ci sia la cosapevolezza che la mente, forse non solo quella errante ma anche quella verace, sia governata dalla capacità del petto, ossia dalla forza cuore. ciao baldo