Dante Alighieri: L’episodio di maometto nella nona fossa di Malebolge (Inferno, XXVIII, 22-63)

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L’episodio di M. nella nona fossa di Malebolge (If XXVIII 22-63)

Maometto in “Enciclopedia Dantesca” – Treccani – Treccani

https://www.treccani.it/enciclopedia/maometto_%28Enciclopedia-Dantesca%29/

Dante vede un dannato che avanza ed è tagliato dal mento sino all’ano, proprio come una botte che ha perso le doghe del fondo: le interiora gli pendono tra le gambe e sono visibili il cuore e lo stomaco.

Il poeta lo osserva e lui si apre il petto con le mani e lo invita a guardare bene: si presenta come Maometto e indica il dannato che lo precede come Alì, tagliato dal mento alla fronte.

Il dannato spiega che tutti loro sono stati seminatori di scandalo e scisma, perciò sono tagliati a pezzi; un diavolo armato di spada mozza loro parti del corpo e poi le ferite si richiudono, finché non tornano davanti a lui

Nella Divina Commedia, Dante colloca Maometto tra i dannati nell’Inferno, precisamente nella nona bolgia dell’ottavo cerchio, destinata ai seminatori di discordia.

Perché Maometto è all’Inferno?

Dante, essendo cristiano e seguendo la teologia del suo tempo, considerava l’Islam come un’eresia e Maometto un falso profeta. Per questo motivo, nella Commedia, il poeta lo punisce condannandolo all’Inferno tra coloro che hanno fomentato discordie e divisioni nel mondo.

Come viene descritto Maometto?

Dante descrive Maometto in maniera cruenta e grottesca, sottolineando la sua condizione di dannato orribilmente mutilato. Viene rappresentato con il petto squarciato da cui pendono le viscere e con una ferita profonda che gli taglia il viso dalla fronte al mento.

Qual è il significato della pena di Maometto?

La pena di Maometto rappresenta la condanna della sua dottrina, considerata da Dante come scismatica e pericolosa per l’unità della fede cristiana. La sua mutilazione simboleggia la lacerazione che le sue azioni hanno provocato all’interno della comunità dei fedeli.

Il tunnel, di Abraham Yehoshua, Einaudi

scheda dell’editore

Come può un uomo come Zvi Luria, che è sempre stato affidabile e solido, un punto di riferimento per famiglia e amici, un ingegnere che costruiva strade e tunnel, scendere a patti con il proprio inevitabile declino mentale? Come possono farlo sua moglie e i suoi figli? Come ci si comporta di fronte alla razionalità che lentamente svanisce?

E come si affronta la paura? Yehoshua costruisce intorno a queste domande una toccante meditazione sull’identità e sull’amore, sui gesti che è necessario compiere prima di congedarsi.

Una vicenda intima e privata che s’intreccia a doppio filo con quella collettiva e politica del popolo palestinese e di quello israeliano, vicinissimi eppure cosí distanti dal trovare un modo per esistere insieme.

Emanuele Severino su Occidente e Islam, da violenza e morte nel nome di dio, al Death Studies Master dicembre 2015

Avatar di Paolo FerrarioMAPPE nel sistema dei SERVIZI alla persona e alla comunità, a cura di Paolo Ferrario

violenza e morte nel nome di dio, al Death Studies Master dicembre 2015

Emanuele Severino su Occidente e Islam. Grazie a Vasco Ursini per avere rintracciato questa preziosa traccia che conferma un mia convinzione datata 11 settembre 2001: l’INFERIORITA’ CULTURALE dell’islam
Il relativismo culturale (ogni cultura è “buona” in sè) è un ERRORE.
Ci sono valori di civiltà (in particolare quelli delle soggettività individuali e delle progressive libertà individuali) che sono SUPERIORI ad altri modi di fare cultura

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Giovanni Sartori, Una replica ai pensabenisti sull’Islam – Corriere della Sera

… il mio articolo (editoriale del 20 dicembre «La integrazione degli islamici») si limitava a ricordare che gli islamici non si sono mai integrati, nel corso dei secoli (un millennio e passa) in nessuna società non-islamica. Il che era detto per sottolineare la difficoltà del problema. Se poi a Boeri interessa sapere che cosa «ho deciso», allora gli segnalo che in argomento ho scritto molti saggi, più il volume «Pluralismo, Multiculturalismo e Estranei» (Rizzoli 2002), più alcuni capitoletti del libriccino «La Democrazia in Trenta Lezioni » (Mondadori, 2008).

…. ho sempre scritto che le società liberal- pluralistiche non richiedono nessuna assimilazione. Fermo restando che ogni estraneo (straniero) mantiene la sua religione e la sua identità culturale, la sua integrazione richiede soltanto che accetti i valori etico-politici di una Città fondata sulla tolleranza e sulla separazione tra religione e politica. Se l’immigrato rifiuta quei valori, allora non è integrato; e certo non diventa tale perché viene italianizzato, e cioè in virtù di un pezzo di carta ….

io seguo l’interpretazione della civiltà islamica e della sua decadenza di Arnold Toynbee, il grande e insuperato autore di una monumentale storia delle civilizzazioni (vedi Democrazia 2008, pp. 78-80).

nelle scienze sociali lo studioso deve procedere diversamente, deve isolare la variabile a più alto potere esplicativo, che spiega più delle altre. Nel nostro caso la variabile islamica (il suo monoteismo teocratico) risulta essere la più potente. S’intende che questa ipotesi viene poi sottoposta a ricerche che la confermano, smentiscono e comunque misurano. Ma soprattutto si deve intendere che questa variabile «varia», appunto, in intensità, diciamo in grado di riscaldamento. Alla sua intensità massima produce l’uomo- bomba, il martire della fede che si fa esplodere, che si uccide per uccidere (e che nessuna altra cultura ha mai prodotto). Diciamo, a caso, che a questo grado di surriscaldamento, di fanatismo religioso, arrivano uno-due musulmani su un milione. Tanto può bastare per terrorizzare gli infedeli, e al tempo stesso per rinforzare e galvanizzare l’identità fideistica (grazie anche ai nuovi potentissimi strumenti di comunicazione di massa) di centinaia di milioni di musulmani che così ritrovano il proprio orgoglio di antica civi

Ecco perché, allora, l’integrazione dell’islamico nelle società modernizzate diventa più difficile che mai. Fermo restando, come ricordavo nel mio fondo e come ho spiegato nei miei libri, che è sempre stata difficilissima.

l’intero articolo qui:

Giovanni Sartori, Una replica ai pensabenisti sull’Islam – Corriere della Sera