Quando Hannah Arendt presentò “La banalità del male” fu vivacemente contestata e, soprattutto, gravemente fraintesa. Secondo Ermanno Bencivenga, la meditazione sul male oggi è attualissima: “Riflettiamo su quanto ogni giorno ciascuno di noi sia tentato dalla stupidità, dal rifiuto di pensare, dall’immersione senza riserve in un atteggiamento strumentale, empirico, e nel male che ne è la più ovvia, regolare conseguenza. O meglio, non limitiamoci a riflettere, ma proviamo ad agire le nostre riflessioni: a praticare il pensiero, il ragionamento corretto, il giudizio e anche la virtù e il bene per dimostrare nei fatti ciò di cui il Filosofo ci ha ammonito: è abile chi sa adattare i mezzi ai fini, ma è saggio solo chi, ragionando, sa scegliere i fini giusti”.
Il male non ha dignità intellettuale. Non ci sono teorie del male che siano paragonabili, per complessità, spessore e ricchezza di dettagli, alle teorie del bene. Non c’è una logica del male che determini fra eventi e atti malvagi relazioni e legami cogenti e persuasivi come quelli determinati dalle logiche del bene e dell’accadere. Come spiega Bencivenga, il male è stupido. O banale, per usare l’espressione di Arendt: chi voglia dar conto di un suo atto malvagio lo farà usando frasi tautologiche, opache, prive di contenuto e digiune d’informazioni, inette a crescere e svilupparsi in un senso qualsiasi. E la “teoria” del male diventa immediatamente parassitaria di una teoria dell’accadere (che spieghi che cosa serve, che cosa piace o di che cosa non si può fare a meno) o di una teoria del bene (che spieghi che cosa è male). Mentre l’agente malefico riceve la medesima statura intellettuale di un rubinetto che perde o di un bambino che fa i dispetti.
Che cos’hanno in comune Adolf Hitler e Dracula, Maldoror e i personaggi del marchese De Sade, Michael Corleone e i terroristi jihadisti? Reali o immaginati, sono tutti uomini molto cattivi. E attraverso le loro storie, le loro motivazioni e perfino le loro teorizzazioni morali Ermanno Bencivenga ci conduce in un viaggio senza ritorno nel regno del male e delle sue (presunte) giustificazioni. Perché mi serve. Perché mi piace. Perché è male. Perché non posso farne a meno.
Ma esiste una logica del male? Perché, se la meditazione sul male è oggi attualissima, vale la pena domandarsi se esso abbia di per sé dignità intellettuale. No, è la risposta del filosofo. Il male è stupido. O banale, per usare l’espressione di Hannah Arendt. Non ci sono teorie del male che siano lontanamente paragonabili, per complessità, spessore e ricchezza di dettagli, alle teorie del bene. Non c’è una logica del male che determini fra eventi e atti malvagi relazioni e legami come quelli determinati dalle logiche del bene e dell’accadere.
Questo è un libro antimanicheo perché, se il male esiste, in queste pagine si prova a spiegare come non ne esista un principio ordinatore, non ci sia un piano intelligente e intellettualmente accessibile che lo spieghi. Allora, se il male è stupido, gli uomini molto cattivi hanno la medesima statura intellettuale di un rubinetto che perde o di un bambino che fa i dispetti. E il male forse è solo la tentazione della stupidità, è il rifiuto di pensare.
Che cos’è il male? È la tentazione della stupidità, il rifiuto di pensare.
