Marco Serrani, Al di qua dello sguardo – Elegia della vita schiva




Il blog chiamato Al di qua dello sguardo. Elegia della vita schiva è situato al seguente indirizzo:

Io chiamo ‘sguardo’ il contatto con l’altro: collocarsi ai confini dello sguardo, cioè nell’istante eterno che unisce ma che scioglie anche.
Al di qua si situa Marco Serrani. Apparentemente, prima dell’amore e del dolore, dell’identità e della memoria. Lo spazio breve che delimita il suo modo di consistere sarà dilatato, per dare voce al suo non detto. Dopo tutto, la cooperazione del ‘lettore’, che è alla base del patto narrativo, vale anche per il cinema.


Ogni viandante è condannato a chiedersi a cosa conduca la scia accennata da lui, quali esiti siano possibili e verosimili. Ma soprattutto, chi sia il soggetto amoroso che parla.

Un’elegia, cioè l’abbandono fiducioso al desiderium, al sentimento ‘luttuoso’ che prende per aver perduto ciò che non si è posseduto mai. Forse, una poetica dell’età irraggiungibile.





Pari intervallo, cioè una distanza che si misura non da me a lei, ma anche da lei a me. E poi, ciò che separa e ciò che unisce non è una linea di confine. Là dove si dà incontro è solo uno sfiorarsi, non esercizio di un possesso, addirittura di un’appropriazione. L’oggetto del desiderio non è un oggetto, bensì un soggetto. Il suo ritrarsi e il suo sottrarsi alla vista non è mero capriccio, né solo gioco d’amore. Non scaramucce né schermaglie su improbabili arene. Lo spazio che ci separa dalla felicità non è terra né cielo, né passato né futuro. Il tempo dell’incontro è più che occasione e fortuna. Lo spazio in cui si consuma il tempo vissuto è sito, incerto consistere, errante radice. Si dà vero incontro là dove la qualità dell’accordo è la giusta intonazione dei giorni. Si può vivere anche nella disarmonia e nel disincanto, ma non al di fuori dell’incanto della voce e del gesto, del volto e del passo di danza con cui si va incontro alla vita per dire.

L’intervallo dell’attesa e del silenzio, le pause dell’anima, il perplesso esitare germogliano da un chiaro inizio, dall’intenzione di avanzare nella direzione di lei. La luce del volto e il sorriso fuggitivo costringono a procedere, oltre ogni indugio e sconcerto: l’oltranza della bellezza non consente infiniti rinvii, nonostante il tremendo della sua epifania. Piuttosto, è la giusta attesa il tempo dell’accordo, la qualità del mio in armonia come del suo. Non un astratto corrispondersi qui si dà. Piuttosto, la tacita intesa, la promessa taciuta, la timida ala della speranza che non rinuncia a tessere trame di fumo, arabeschi di luce per lei, perché a sua volta resti impigliata nella rete del tempo, ignara di sé e del suo stupefatto esistere.

Al di qua dello sguardo – Elegia della vita schiva

Cadavrexquis: Del futuro e del passato: pensierino della sera


Leggo un aforisma di Cioran che dice: “Ho una percezione così diretta dei disastri che ci riserva l’avvenire che mi domando dove io trovi ancora la forza d’affrontare il presente” e mi domando: come si affronta il futuro, allora? A piccole dosi, poco a poco. Solo così è accettabile. Come a piccoli morsi si mangia una pietanza che altrimenti risulterebbe indigesta. Se penso al futuro in termini di anni, di tempi lunghi, mi viene voglia di suicidarmi subito, tanto è il timore per quello che potrebbe riservarmi. Quasi ad anticipare il boia prima che questo cali l’ascia.
Ma la stessa cosa potrei dire per il passato: se butto lo sguardo troppo in là, gli anni passati mi sembrano un abisso e ancora più spaventosa è la velocità con cui sono passati. Per non parlare poi dell’accelerazione impressa al tempo man mano che il tempo stesso passa: guardavo qualche giorno fa la pigna di libri che ho alla mia sinistra. Ancora da leggere, alcuni li ho comprati – ricordavo – l’anno scorso a Londra. Ho avuto un soprassalto: è già trascorso un anno, un altro anno è scivolato via, così. Mi sento mancare, è una sensazione prossima alla vertigine.
Eppure, mi dico, c’è qualcosa di paradossale in questo timore per il futuro e, contemporaneamente, nella sensazione che il tempo ci sfugga tra le mani. Ho un bel cercare di coltivare la pianticella asfittica del mio ottimismo, ma non riesco a togliermi dalla mente che, andando avanti, le cose sono destinate solo a peggiorare. Perché è nella nostra natura di uomini che invecchiano – e con la vecchiaia prendono il sopravvento il progredire della decadenza, i malanni e, infine, l’assottigliarsi di quel tempo residuo che ora, pensato in astratto come “avvenire”, fa paura. Arriva il punto in cui il tempo si fa scarso, sempre più scarso finché non ce n’è più: in quel momento s’insedia definitivamente l’irrimediabile, in senso proprio. Meglio avere paura del futuro che non aver più futuro, dunque?

cadavrexquis: Del futuro e del passato: pensierino della sera

Emanuele Severino, Quando la tecnica si arrende alla natura …

Quando la tecnica si arrende alla natura

Secondo la scienza l’Universo è incominciato con un’immane catastrofe, il big bang che ha squarciato i «sovrumani silenzi», e terminerà con un’altra non meno gigantesca catastrofe, l’entropia, la degradazione dell’energia, che a quei silenzi riconduce. Nel frattempo altre catastrofi devastano l’Universo e la Terra. Tra l’una e l’altra, intervalli che all’uomo sembrano lunghissimi e nei quali, d’altra parte, e frequenti, altre «minori» catastrofi si producono, quelle che uccidono migliaia di persone e di cui danno notizia i mass media. Il potenziale tecnico dell’uomo non è ancora in grado di fronteggiarle. Come sta accadendo con l’eruzione del vulcano islandese. Quel potenziale è invece in grado di gareggiare con la distruttività del fenomeno entropico: se scoppiasse un conflitto nucleare tra Stati Uniti e Russia la terra sarebbe distrutta tanto quanto potrebbe esser distrutta dalla «Natura». Sul piano della distruttività Tecnica e Natura si combattono alla pari.
E dire che la Natura «si ribella» ha senso solo in relazione ai progetti dell’uomo. La sua ribellione, inoltre, può essere ben più radicale di quelle a cui ci è dato di assistere. A volte ci si trova di fronte ad affermazioni che sembrano inoffensive. Ad esempio questa, che le leggi della scienza (da cui la Tecnica è guidata) sono ipotetiche, cioè non sono verità assolute. Spesso gli scienziati se ne dimenticano. Ma l’ipoteticità delle leggi scientifiche significa ad esempio che un corpo, abbandonato a sé stesso, da un momento all’altro, invece di cadere verso il basso potrebbe andare verso l’alto. Qui la ribellione possibile della Natura è ben più radicale. La provvisorietà della destinazione della Tecnica al dominio del mondo è ancora più marcata.
Si fa avanti, in tutta la sua gravità, il problema della salvezza dell’uomo. Chi ci pensa? Quelli che si danno da fare per uscire dalle crisi economiche e politiche? Sì, a quel problema le religioni si rivolgono. Ma con la fede. E la fede è ipotetica come le leggi della scienza. Ma l’uomo è destinato ad aver a che fare soltanto con ipotesi e a soppesare soltanto con ipotesi il pericolo da cui è circondato?

in Il Corriere della sera 18 aprile 2010

da: Tracce e Sentieri

Blogged with the Flock Browser

MORO ANDREA, Breve storia del verbo essere. Viaggio al centro della frase, Adelphi, 2010

MORO3035MORO3036MORO3037MORO3038MORO3039

Le temps qui reste, Serge Reggiani

rintracciato da Gabriele De Ritis

“Ci sono istanti che bastano da soli a dare il senso a una vita. Non sono casuali e vanno coltivati. Seguendo il principio di piacere, ma senza egoismo”: le istruzioni per l’uso di Romano Madera*

“Ci sono istanti che bastano da soli a dare il senso a una vita. Non sono casuali e vanno coltivati. Seguendo il principio di piacere, ma senza egoismo”: le istruzioni per l’uso

di Romano Madera*
Basta un attimo solo per rendere la vita degna di essere vissuta. Non un attimo di piacere isolato, ma un attimo capace di imprimere un senso, di regalare una prospettiva. Ci sono istanti che non passano, forti e pregnanti al punto da non essere eliminati: sono centri di luce. Nella vita ce ne sono, come i momenti di commozione, o di illuminazione intellettuale, o di riconoscimento del dolore. Ricordate il film La storia del cammello che piange, dove una cammella, per il troppo dolore provato durante il parto, non riconosce il suo piccolo? La musica, il suono di un violino, la fa commuovere e avvicinare al cucciolo, finalmente riconosciuto e accolto? Questo riconoscimento dell’altro ci è necessario anche soltanto a sopravvivere. E a vivere. Due persone che si commuovono, si “muovono con”: e per accettare il dolore, a volte basta che un altro lo riconosca. Sono momenti fondamentali nella vita, anche se dolorosi, anche se le persone li fuggono. Questi momenti perfetti, attimi che ci cambiano, sono senza “ego”, nel senso buddista: ovvero senza egoismo, ma non senza consapevolezza. Ricordo la prima volta che lessi il verso di Keats: “qualcosa di bello è una gioia per sempre”.

tutta la sintesi della relazione qui:
Calcolo dei minuti perfetti | Dmemory

Blogged with the Flock Browser

Baldo Lami, “Sento di trovarmi nel punto più prossimo a realizzare quella “forza del carattere” …

“Sento di trovarmi nel punto più prossimo a realizzare quella “forza del carattere” di cui parla Hillman, che si raggiunge man mano che ci si inoltra nella seconda metà della vita, quando non si ostacola la tendenza naturale alla suo manifestarsi quale unicum in cui appunto consistiamo (daimon).

È solo qui che ci possiamo veramente sentire a casa nostra (ethos), con la piena titolarità della cose che vi si trovano dentro e di cui nessuno può venirci a dire come “devono” essere. Una delle cose più importanti e centrali di questa mia casa, assimilabile a quel centro che una volta era costituito dal focolare, è il rapporto con i cosiddetti pazienti, che per me, secondo il mio orientamento di ricerca, non è solo qualcosa che riguarda la teoria e la prassi psicoanalitiche, ma qualcosa di abbastanza totale, poichè tutte le scienze umane vi sono coinvolte. Questa forza, allora, è anche quella che ci può permettere di “individuarci”, che per Jung è quel processo di differenziazione coscienziale dai valori collettivi, di omologazione sociale, che adesso possono essere percepiti anche con orrore, in quanto comportano la “strage degli innocenti” di tutti quei progetti esistenziali dei singoli (chiamati anche “anime”) la cui annichilazione o standardizzazione costituisce il carburante elettivo al procedere della macchina sociale sui vecchi binari conservativi. Ma questo è anche il luogo in cui può veramente realizzarsi quella dialettica individuo-società che sola può permettere agli stessi poli, considerati antinomici secondo tutta una tradizione di pensiero, di elevarsi su piani socio-individuativi più elevati con un maggior progresso e benessere sociale e individuale, oltre le concrezioni più consolidate dei loro lati oscuri. Il raggiungimento di questo piano non è però senza costo, perché può comportare l’alienazione e a volte anche l’inimicizia di chi è rimasto organico e integrato ai valori collettivi anzidetti, che può scambiare, proiettivamente, per giudizio, condanna morale, autoritarismo o individualismo antisociale quella forza del carattere che, viceversa, è solo forza d’amare, d’amore di sé e dell’altro da sé, quindi proprio del sociale.

Ma non c’è gioia più grande di aver trovato la propria strada. Grazie a tutti gli amici di facebook con cui ho scambiato anche una sola parola o la semplice accettazione d’amicizia.”

Baldo Lami

Il tempo secondo i Greci – Concezione ciclica del tempo [Il Caffè Filosofico, Vol. 3]

Blogged with the Flock Browser

Sigmund Freud, Caducità e eternità

Non molto tempo fa, in compagnia di un amico silenzioso e di un poeta già famoso nonostante la sua giovane età, feci una passeggiata in una contrada estiva in piena fioritura. Il poeta ammirava la bellezza della natura intorno a noi ma non ne traeva gioia. Lo turbava il pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire, che col sopraggiungere dell’inverno sarebbe scomparsa: come del resto ogni bellezza umana, come tutto ciò che di bello e nobile gli uomini hanno creato o potranno creare. Tutto ciò che egli avrebbe altrimenti amato e ammirato gli sembrava svilito dalla caducità cui era destinato.
Da un simile precipitare nella transitorietà di tutto ciò che è bello e perfetto sappiamo che possono derivare due diversi moti dell’animo. L’uno porta al tedio universale del giovane poeta, l’altro alla rivolta contro il presunto dato di fatto.
No! è impossibile che tutte queste meraviglie della natura e dell’arte, che le delizie della nostra sensibilità e del mondo esterno debbano veramente finire nel nulla. Crederlo sarebbe troppo insensato e troppo nefando. In un modo o nell’altro devono riuscire a perdurare, sottraendosi a ogni forza distruttiva.
Ma questa esigenza di eternità è troppo chiaramente un risultato del nostro desiderio per poter pretendere a un valore di realtà: ciò che è doloroso può pur essere vero. Io non sapevo decidermi a contestare la caducità del tutto e nemmeno a strappare un’eccezione per ciò che è bello e perfetto. Contestai però al poeta pessimista che la caducità del bello implichi un suo svilimento.
Al contrario, ne aumenta il valore! Il valore della caducità è un valore di rarità nel tempo. La limitazione della possibilità di godimento aumenta il suo pregio. Era incomprensibile, dissi, che il pensiero della caducità del bello dovesse turbare la nostra gioia al riguardo. Quanto alla bellezza della natura, essa ritorna, dopo la distruzione dell’inverno, nell’anno nuovo, e questo ritorno, in rapporto alla durata della nostra vita, lo si può dire un ritorno eterno. Nel corso della nostra esistenza vediamo svanire per sempre la bellezza del corpo e del volto umano, ma questa breve durata aggiunge a tali attrattive un nuovo incanto. Se un fiore fiorisce una sola notte, non per ciò la sua fioritura ci appare meno splendida. E così pure non riuscivo a vedere come la bellezza e la perfezione dell’opera d’arte o della creazione intellettuale dovessero essere svilite dalla loro limitazione temporale. Potrà venire un tempo in cui i quadri e le statue che oggi ammiriamo saranno caduti in pezzi, o una razza umana dopo di noi che non comprenderà più le opere dei nostri poeti e dei nostri pensatori, o addirittura un’epoca geologica in cui ogni forma di vita sulla terra sarà scomparsa: il valore di tutta questa bellezza e perfezione è determinato soltanto dal suo significato per la nostra sensibilità viva, non ha bisogno di sopravviverle e per questo è indipendente dalla durata temporale assoluta.
Mi pareva che queste considerazioni fossero incontestabili, ma mi accorsi che non avevo fatto alcuna impressione né sul poeta né sull’amico. Questo insuccesso mi portò a ritenere che un forte fattore affettivo intervenisse a turbare il loro giudizio; e più tardi credetti di aver individuato questo fattore. Doveva essere stata la ribellione psichica contro il lutto a svilire ai loro occhi il godimento del bello. L’idea che tutta quella bellezza fosse effimera faceva presentire a queste due anime sensibili il lutto per la sua fine; e, poiché l’animo umano rifugge istintivamente da tutto ciò che è doloroso, essi avvertivano nel loro godimento del bello l’interferenza perturbatrice del pensiero della caducità.
Il lutto per la perdita di qualcosa che abbiamo amato o ammirato sembra talmente naturale che il profano non esita a dichiararlo ovvio. Per lo psicologo invece il lutto è un grande enigma, uno di quei fenomeni che non si possono spiegare ma ai quali si riconducono altre cose oscure. Noi reputiamo di possedere una certa quantità di capacità di amare che chiamiamo libido la quale agli inizi del nostro sviluppo è rivolta al nostro stesso Io. In seguito, ma in realtà molto presto, la libido si distoglie dall’Io per dirigersi sugli oggetti, che noi in tal modo accogliamo per così dire nel nostro Io. Se gli oggetti sono distrutti o vanno perduti per noi, la nostra capacità di amare (la libido) torna ad essere libera. Può prendersi altri oggetti come sostituti o tornare provvisoriamente all’Io. Ma perché questo distacco della libido dai suoi oggetti debba essere un processo così doloroso resta per noi un mistero sul quale per il momento non siamo in grado di formulare alcuna ipotesi. Noi vediamo unicamente che la libido si aggrappa ai suoi oggetti e non vuole rinunciare a quelli perduti, neppure quando il loro sostituto è già pronto. Questo è dunque il lutto.

La mia conversazione col poeta era avvenuta nell’estate prima della guerra. Un anno dopo la guerra scoppiò e depredò il mondo delle sue bellezze. E non distrusse soltanto la bellezza dei luoghi in cui passò e le opere d’arte che incontrò sul suo cammino; infranse anche il nostro orgoglio per le conquiste della nostra civiltà, il nostro rispetto per moltissimi pensatori ed artisti, le nostre speranze in un definitivo superamento delle differenze tra popoli e razze. Insozzò la sublime imparzialità della nostra scienza, mise brutalmente a nudo la nostra vita pulsionale, scatenò gli spiriti malvagi che albergano in noi e che credevamo di aver debellato per sempre, grazie all’educazione che i nostri spiriti più eletti ci hanno impartito nel corso dei secoli. Rifece piccola la nostra patria e di nuovo lontano e remoto il resto della terra. Ci depredò di tante cose che avevamo amate e ci mostrò quanto siano effimere molte altre cose che consideravamo durevoli.
Non c’è da stupire se la nostra libido, così impoverita di oggetti, ha investito con intensità tanto maggiore ciò che ci è rimasto; se l’amor di patria, la tenera sollecitudine per il nostro prossimo e la fierezza per ciò che ci accomuna sono diventati d’improvviso più forti. Ma quali altri beni, ora perduti, hanno perso davvero per noi il loro valore, perché si sono dimostrati così precari e incapaci di resistere? A molti di noi sembra così, ma anche qui, ritengo, a torto. Io credo che coloro che la pensano così e sembrano preparati a una rinuncia definitiva perché ciò che è prezioso si è dimostrato perituro, si trovano soltanto in uno stato di lutto per ciò che hanno perduto. Noi sappiamo che il lutto, per doloroso che sia, si estingue spontaneamente. Se ha rinunciato a tutto ciò che è perduto, ciò significa che esso stesso si è consunto e allora la nostra libido è di nuovo libera (nella misura in cui siamo ancora giovani e vitali) di rimpiazzare gli oggetti perduti con nuovi oggetti, se possibile altrettanto o più preziosi ancora. C’è da sperare che le cose non vadano diversamente per le perdite provocate da questa guerra. Una volta superato il lutto si scoprirà che la nostra alta considerazione dei beni della civiltà non hanno sofferto per l’esperienza della loro precarietà. Torneremo a ricostruire tutto ciò che la guerra ha distrutto, forse su un fondamento più solido e duraturo di prima.
1915

(da SIGMUND FREUD, Opere. 1915-1917 Volume 8°, BORINGHIERI 1976)

Tempo

Umberto Galimberti, Parole nomadi, Feltrinelli, 1994
p. 204-206

Galimberti Umberto, Parole nomadi, Feltrinelli, 1994. Rielaborazione di articoli pubblicati sul supplemento domenicale de Il Sole 24 Ore nel 1991/1992. Il libro è stato ripubblicato nel 2023 dalla Repubblica

Tempo

MICHEL MAFFESOLI, L’istante eterno. Ritorno del tragico nel postmoderno, LUCA SOSSELLA EDITORE 2003

Tempo

MARTIN HEIDEGGER, Essere e tempo, UTET 1969

MARTIN HEIDEGGER, Essere e tempo, LONGANESI & C. 2005
MARTIN HEIDEGGER, Essere e tempo, MONDADORI 2006 (i Meridiani)

Tempo

PAUL RICOEUR, Ricordare, dimenticare, perdonare, IL MULINO 2004

Tempo

PAUL RICOEUR, La memoria, la storia, l’oblio, RAFFAELLO CORTINA EDITORE 2003

Titolo originale: La mémoire, l’histoire, l’oubli, EDITIONS DU SEUIL 2000

Tempo

EVIATAR ZERUBAVEL, Mappe del tempo. Memoria collettiva e costruzione sociale del passato, IL MULINO 2005

Tempo

GIACOMO MARRAMAO, Cielo e terra. Genealogia della secolarizzazione, LATERZA 1994

Tempo

GIACOMO MARRAMAO, Kairòs. Apologia del tempo debito, LATERZA 1992

Tempo

GIACOMO MARRAMAO, Minima temporalia. Tempo, spazio esperienza, IL SAGGIATORE 1990

Tempo

GIACOMO MARRAMAO, Potere e secolarizzazione. Le categorie del tempo, EDITORI RIUNITI 1983

L’idea di una antologia del tempo che resta

“La conversazione è un edificio al quale si lavora in comune.
Gli interlocutori devono sistemare le loro frasi
pensando all’effetto d’insieme,
come fanno i muratori con le pietre”

André Maurois (1885-1967)

L’idea di una antologia del tempo che resta nasce da un dialogo fra due persone:

Uno dice: “ah, quante cose mi piacerebbe leggere … ma il tempo è così poco …”

Altro risponde: “Ci vorrebbe una antologia, come quella degli adolescenti.
Se a quella età abbiamo imparato la letteratura e la filosofia, forse ora, da adulti, possiamo imparare ancora comunicandoci le pagine che ci sembrano importanti per il cammino …

Da qui l’idea della antologia e di questo blog a più teste, cuori e mani.
Uno spazio senza coordinatori: una pagina bianca a disposizione di chi sente questo desiderio.

Uno presenta uno scritto di un autore e poi gli dà la parola.

Altro legge e, a sua volta, presenta uno scritto di un autore e poi gli dà la parola.

Uno legge e …


Citazioni sul tempo in Giacomo Leopardi

Giacomo Leopardi, uno dei più grandi poeti italiani, ha riflettuto profondamente sul tema del tempo e della sua fugacità. Le sue opere esprimono un’intensa consapevolezza della transitorietà della vita e dell’inevitabilità del passare del tempo. Ecco alcune citazioni significative che illustrano il suo pensiero:

Citazioni sul Tempo

  • Fugacità della vita: In “A Silvia”, Leopardi scrive:

“Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi?”
Questi versi evocano la bellezza e la gioventù, sottolineando come il tempo porti via le speranze e le illusioni giovanili[1].

  • Riflessione sulla giovinezza: Nella poesia “Alla luna”, Leopardi afferma:

“Oh come grato occorre nel tempo giovanil, quando ancor lungo la speme e breve ha la memoria il corso.”
Qui si evidenzia la dolcezza della giovinezza, contrapposta alla tristezza che il passare del tempo porta con sé[4].

  • La percezione del tempo: Leopardi osserva:

“Quanto più del tempo si tiene a conto, tanto più si dispera d’averne che basti; quanto più se ne getta, tanto par che n’avanzi.”
Questa riflessione mette in luce la nostra relazione complessa con il tempo: più lo consideriamo prezioso, più ci sembra di non averne mai abbastanza[5].

  • Malinconia e speranza: In uno dei suoi pensieri, Leopardi scrive:

“Il riso dell’uomo sensitivo e oppresso da fiera calamità è segno di disperazione già matura.”
Qui il poeta suggerisce che la consapevolezza del dolore e della fugacità del tempo può portare a una forma di malinconia profonda[2].

Riflessioni sul Tempo

Leopardi non solo descrive il passare del tempo, ma esplora anche le emozioni e le esperienze umane ad esso collegate. La sua poesia spesso riflette una tensione tra speranza e disperazione, evidenziando come la bellezza della vita sia sempre accompagnata dalla consapevolezza della sua brevità. La malinconia diventa un tema centrale nella sua opera, rappresentando un modo per affrontare l’inevitabile scorrere del tempo.

In sintesi, Leopardi ci invita a riflettere su come viviamo il nostro tempo, sull’importanza dei ricordi e sulla necessità di abbracciare sia la gioia che il dolore che esso porta con sé.

Citations:
[1] https://libreriamo.it/frasi/frase-giacomo-leopardi-fugacita-vita/
[2] https://www.frasicelebri.it/frasi-di/giacomo-leopardi/
[3] https://www.ilcuoredelmondonellarte.it/giacomo-leopardi-zibaldone-di-pensieri-malinconia/?doing_wp_cron=1732995124.4357669353485107421875
[4] https://www.frasicelebri.it/frase/giacomo-leopardi-oh-come-grato-occorre-nel-tempo-g/
[5] https://sapere.virgilio.it/aforismi/autori/giacomo-leopardi