Una confessione e un cantico, una collezione di tesori, di parole, di espressioni, esperienze e intuizioni che ha il profumo del bosco, dei funghi essiccati, dei fiori impaginati della quotidiana avventura che è la vita. Il nuovo canto di Peter Handke, pellegrino al muro del Tempo.
Questi taccuini originali, scritti a mano con matita, pennarello o biro di diversi colori, ornati di disegni – e segnati dalle tracce del vento, delle intemperie e delle bestiole selvatiche, – sono per me i diari più belli e preziosi dell’ultimo secolo, anche per la bellezza indomita e selvaggia delle forme che prende la scrittura. Hans Höller, Der Standard
Nel tempo prolungato e sospeso che si confà alla durata e alle ore della sera, Peter Handke raccoglie frammenti di pensieri che brillano come pagliuzze d’oro e generano la luce magica più adatta ad animare gli arabeschi delle ombre. Scrive d’amore, “in cui ci si può solo perdere”, scrive di quel sentimento che nasce dalla comunione di amore e di volontà, l’entusiasmo, “che si può solo condividere”. Scrive anche delle “nefandezze della fretta”, dell’impazienza e dell’altro tempo, il tempo della natura, quello che ha a che fare con il vorticare delle foglie, l’oscillare dell’erba, il tremolio della rugiada, soglie più precise dell’alternarsi delle stagioni… Scrive infine del ritmo dell’anima (“sta lì la durata”)… Sono note che hanno il carattere della confessione, della rivelazione e i tratti, le vibrazioni della preghiera propria di un asceta laico. Note che Handke accompagna, intervalla, incastona con disegni (qui riprodotti e che fanno del volume un piccolo libro d’arte), diorama che sono danze di luce e pittura su vetro. Diario di uno scrittore autentico, preso di sorpresa, di notte, nell’ombra, taccuino di un cronista della durata, di un uomo che abita nella durata, che ha stretto amicizia con il tempo e si dice: “Smettila di immaginarti di essere giovane – Perché?”. Proprio la semplicità, la chiarezza, il nitore costituiscono la cifra stilistica di questi appunti che fanno sussultare il cuore ad ogni passo. Un libro che andrebbe imparato a memoria riga per riga.
La vita è breve, la filosofia è lunga: lunga una, due, cento vite.
In questi libri si fa breve per avvicinare ai grandi pensatori chi non li ha ancora incontrati e vuole conoscerli meglio e vuole ascoltare parole distillate, parole di sapienza che arrivano da lontano.
«Ed allora poniamo mente a ciò che ci può procurare la felicità, dato che quando la possediamo nulla ci manca e, per contro, in sua assenza mettiamo in atto tutto quel che è necessario per ottenerla.»
Per Epicuro, la felicità è da ricercare nella dimensione privata del “vivere nascostamente”: l’uomo “basta a se stesso”, non necessita delle divinità o dello Stato per sperimentarla. La felicità si realizza nel piacere al quale conduce la ragione che ha dominato le passioni.
A partire dalla Lettera a Meneceo, Maggi compie un excursus dalla filosofia classica ai giorni nostri e sottolinea il legame tra etica e felicità nella storia del pensiero, osservando come nel corso del tempo «l’uomo abbia barattato un po’ della sua felicità per un po’ di sicurezza» fino a fare della prima una questione politico-sociale.
Un ritorno alla filosofia del Giardino è allora da intendere come ripresa della dimensione privata e interiore della felicità quale ars vivendi: capacità di plasmare e dare forma alla propria vita.
Un libro non è un video. Un video vive da solo, è un’entità completa, funzionante. Un libro è un oggetto silenzioso e inerte, invece, incapace di funzionare senza la collaborazione del lettore. Un libro, dunque, è ciò che nasce dal lavoro di chi scrive e di chi legge. Leggere comporta più sforzo rispetto a guardare un video, e questo non significa che guardare un film sia un’attività inferiore, meno arricchente, anche perché l’arricchimento dipenderà dal libro, dal film, dalla qualità dell’opera.
Significa che per leggere siamo costretti a pagare un prezzo più alto in termini di accesso, una specie di pedaggio. Dobbiamo, appunto, collaborare in modo significativo. Dobbiamo metterci del nostro.
Impressione, levar del sole (Impression, soleil levant) è un dipinto del pittore francese Claude Monet, realizzato nel 1872. Al dipinto si attribuisce l’origine stessa del movimento impressionista. L’opera è esposta al Musée Marmottan Monet di Parigi
«Ed allora poniamo mente a ciò che ci può procurare la felicità, dato che quando la possediamo nulla ci manca e, per contro, in sua assenza mettiamo in atto tutto quel che è necessario per ottenerla.» Per Epicuro, la felicità è da ricercare nella dimensione privata del “vivere nascostamente”: l’uomo “basta a se stesso”, non necessita delle divinità o dello Stato per sperimentarla. La felicità si realizza nel piacere al quale conduce la ragione che ha dominato le passioni.
A partire dalla Lettera a Meneceo, Maggi compie un excursus dalla filosofia classica ai giorni nostri e sottolinea il legame tra etica e felicità nella storia del pensiero, osservando come nel corso del tempo «l’uomo abbia barattato un po’ della sua felicità per un po’ di sicurezza» fino a fare della prima una questione politico-sociale.
Un ritorno alla filosofia del Giardino è allora da intendere come ripresa della dimensione privata e interiore della felicità quale ars vivendi: capacità di plasmare e dare forma alla propria vita.
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