alle origini della parola FESTA, a partire da una lezione di Emanuele Severino

Sono partito da questo estratto da una lezione di Emanuele Severino sulla parola FESTA:

Il dizionario etimologico dice “giorno di riposo“, dal latino FESTUS, alla cui radice sentiamo FES

Ma Severino ci indica di ricercare “gruppi di significati”.

Seguiamoli.

1. le radici DHE o anche DHES che portano a “luce”

Emile Benveniste nel suo VOCABOLARIO DELLE ISTITUZIONI INDOEUROPEE (Einaudi 1976, prima edizione francese 1969) ritiene che le radici originarie indoeuropee siano:

DHA (S) e BHAS

che rimandano alla “luce divina”

benvenistedhe221

Franco Rendich ci dice che la consonante d significava “luce” e che

dalla radice di

da intendere come “moto continuo” [i] della luce [d],

derivò il corrispondente sanscrito di, didyati “brillare”, “splendere)

DHA significava “portare il fuoco”

benvenis2223

“parola divina” rappresentano lo stesso evento mistico anche secondo la Qabbalah ebraica”

Le sequenze di significati trovati da Rendich sono:

dal sanscrito BHAS, “splendere, essere luminoso”

al greco PHAS, da cui PHAOS, “luce”

al latino FAS, che “mostra la luce” e che porta a FESTUS 

bhas224

dha225

2. Ancora sulla radice DHA che attraverso DHE,  arriva a  felix, felice

Secondo Rendich (ripreso da Severino)

DHA è anche “che porta energia”,  “poppare”,  “succhiare”

DHA diventa DHE

poi THE in greco

da cui il greco Thele, “capezzolo”, “mammella”

fino al latino fe, che porta a  felix, “che ha avuto un buon rapporto con il seno materno”, “felice”

thele226

3. arrivando a  THEORIA

Il sanscrito DHI diventa in greco THE che dà origine a parole come:

THEOS

theOS228

THESPHATOS, “enunciato da un dio”, “fissato da una decisione divina”, “stabilito dagli dei”

THEORIA, come “contemplazione, meditazione” e, nella lezione di severino, “contemplazione festiva”

theoria227

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Bibliografia:

ABITATORI DEL TEMPO, nona edizione, 2013:rassegna di incontri filosofici ideata da Rosanna Lissoni,

PROGRAMMA degli incontri

EMANUELE SEVERINO – L’ISOLAMENTO DELLA TERRA

Venerdì 8 febbraio 2013
Monza – Teatro Manzoni
Via Manzoni, 23

Filosofo tra i più noti in Italia, intellettuale pubblico, a partire dai saggi giovanili è venuto articolando un organico sistema filosofico che muovendo dalla riflessione su temi come l’essere, il divenire e il nulla, fornisce un’analisi di fenomeni quali la natura della tecnica, il nichilismo, la fede religiosa.

MICHELE LENOCI – REALTÀ, APPARIRE, APPARENZA, PARVENZA: IL MONDO È FORSE UN SOGNO COERENTE?

Giovedì 14 febbraio 2013
Cesano Maderno – Teatro Excelsior
Via San Carlo, 20

Professore ordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Ontologia e metafisica e Storia della filosofia contemporanea. Sue pubblicazioni più recenti: “Le filosofie cristiane”, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani 2012, “Il materiale e il formale nell’etica: Scheler vs. Kant”, Guida 2011, “Si può amare la verità?”, Mimesis 2011.

MASSIMO CACCIARI – LA REALTÀ E I NOMI DEI MORTALI

Lunedì 25 febbraio 2013
Monza – Teatro Manzoni
Via Manzoni, 23

Filosofo, uomo politico, intellettuale pubblico, ha sviluppato, a partire da figure di riferimento quali Nietzsche e Heidegger, un percorso filosofico che ha tra i suoi motivi principali i temi del pensiero negativo e del tragico.

GIULIO GIORELLO – FILOSOFI E FANTASMI

Lunedì 4 marzo 2013
Lissone – Palazzo Terragni
Piazza Libertà

Filosofo, matematico, intellettuale pubblico, la sua riflessione ha al suo centro l&rsquointreccio tra impresa scientifica e pensiero libertario.

FRANCESCO BOTTURI – FILOSOFIA DELL’AMORE APPARENTE

Venerdì 8 marzo 2013
Giussano – Sala Consiliare
Piazzale Aldo Moro, 1

Professore ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Etica e Filosofia morale. Sue pubblicazioni più recenti: “Experience: Reason and Faith”, Peter Lang 2012, “Affettività e generatività”, il Mulino 2011, “La generazione del bene. Gratuità ed esperienza morale”, Vita e Pensiero 2009.

CLOTILDE CALABI – CHE COSA È UN’ILLUSIONE PERCETTIVA?

Venerdì 15 marzo 2013
Vimercate – Centro Omnicomprensivo
Via Adda, 6

Professore associato di Filosofia e teoria dei linguaggi presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell&rsquoUniversità degli Studi di Milano, dove insegna Teorie del linguaggio e della mente. Suoi campi di ricerca: filosofia della percezione, teorie dell’intenzionalità, filosofia dell’azione. E’ autrice di numerosi articoli su riviste internazionali; tra le sue pubblicazioni: con A. Voltolini, “I problemi dell’intenzionalità”, Einaudi 2009 e “Filosofia della percezione”, Laterza 2009.

ELIO FRANZINI – ARTE TRA APPARENZA E REALTÀ?

Venerdì 5 aprile 2013
Arcore – Teatro Nuovo
Via S. Gregorio, 25

Studioso di estetica, ha condotto le sue ricerche ispirandosi alla tradizione della fenomenologia e concentrando la sua attenzione soprattutto sul ruolo dell’immaginazione e del sentimento nell’esperienza dell’arte.

ANDREA MORO – L’EFFETTO “BABELE”. CERVELLI E GRAMMATICHE

Venerdì 12 aprile 2013
Villasanta – Teatro Astrolabio
Via Mameli, 8

Professore ordinario di Linguistica generale presso la Scuola Superiore Universitaria ad Ordinamento Speciale IUSS di Pavia dove dirige il NeTS, centro di ricerca per la Neurosintassi e la linguistica teorica e il dottorato in Neuroscienze cognitive e filosofia della mente. Oltre a molti importanti studi internazionali, è autore di: “Parlo dunque sono”, Adelphi 2012, “Breve storia del verbo essere”, Adelphi 2010, “I confini di Babele”, Longanesi 2006.

ROBERTO MORDACCI – LA LIBERTÀ NON APPARE

Lunedì 15 aprile 2013
Desio – Auditorium Liceo Scientifico E. Majorana
Via Agnesi, 20

Filosofo morale, si è occupato di questioni di bioetica e dei fondamenti della filosofia pratica, in particolare attraverso i due temi delle ragioni morali e dell&rsquoidentità personale.


Conduce gli incontri
FABIO BOTTO
Insegna scienze umane al Liceo “Legnani” di Saronno. È dottorando in Scienze dell’Educazione presso l’Università di Milano-Bicocca. Si occupa del rapporto tra nichilismo e rimozione del pensiero simbolico. Tra le sue pubblicazioni: Da Yahwèh ai Fantastici Quattro, Atì, 2008; Madre della filosofia, vol. I, Nichilismo e immaginazione, Mimesis, 2005.

 

Monza, nona edizione della rassegna filosofica ABITATORI DEL TEMPO. Tema: “Apparenza e Realtà”

Torna la seguitissima rassegna filosofica voluta da Rosanna Lissoni

Torna la seguitissima rassegna filosofica voluta da Rosanna Lissoni

Si aprirà venerdì 8 febbraio 2013 al teatro Manzoni di Monza la nona edizione della rassegna “Abitatori del tempo”, un ciclo itinerante di incontri dedicati alla riflessione sull’oggi, con la partecipazione dei più grandi filosofi e pensatori contemporanei.

La rassegna sarà introdotta da un intervento del filosofo e scrittore Emanuele Severino, docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e autore del libro “Abitatori del tempo”, che darà il via alla serie di appuntamenti destinati a diffondere  “una maggiore consapevolezza del tempo che abitiamo”. Si deve proprio ad un’intuizione della ex-allieva di Emanuele Severino – divenuta poi professoressa di filosofia al liceo classico Zucchi – Rosanna Lissoni, la nascita della Rassegna, che ha saputo offrire nel corso degli anni  uno sguardo sui grandi temi del presente e sulle questioni più vere e autentiche della dimensione umana.

L’edizione 2013 prevede un ciclo di 9 appuntamenti che termineranno il 15 aprile e saranno interamente dedicati al rapporto tra “Apparenza e Realtà“, con la direzione scientifica del preside della facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, prof. Michele Di Francesco, e la presentazione dei singoli incontri da parte del prof. Fabio Botto.

Protagonisti saranno i maggiori pensatori ed esponenti del pensiero filosofico contemporaneo in Italia: oltre ad Emanuele Severino, si avvicenderanno nelle varie location Michele Lenoci, Massimo Cacciari, Giulio Giorello, Francesco Botturi, Clotilde Calabi, Elio Franzini, Andrea Moro e Roberto Mordacci.

Rassegna seguita in modo particolare – l’edizione 2012 ha fatto registrare 4mila presenze –  si svolge in collaborazione con i comuni di Monza, Cesano Maderno, Lissone, Giussano, Vimercate, Arcore, Villasanta e, per la prima volta, Desio. Sono coinvolti anche prestigiosi atenei lombardi, dall’Università Statale di Milano all’Università Vita Salute San Raffaele, dall’Università Cattolica alla Scuola Superiore Universitaria IUSS di Pavia.

Tutti gli incontri avranno inizio alle ore 21.00, con ingresso libero fino ad esaurimento posti.

Il Calendario degli incontri 2013 – “Apparenza e Realtà”

8 FEBBRAIO 2013 – MONZA – TEATRO MANZONI – VIA MANZONI, 23
EMANUELE SEVERINO: “L’isolamento della terra”

14 FEBBRAIO 2013 – CESANO MADERNO – TEATRO EXCELSIOR
MICHELE LENOCI (PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA): “Realtà, apparire, apparenza, parvenza: il mondo è forse un sogno coerente?”

25 FEBBRAIO 2013 – MONZA – TEATRO MANZONI
MASSIMO CACCIARI: “La realtà e i nomi dei mortali”

4 MARZO 2013 – LISSONE – PALAZZO TERRAGNI –  PIAZZA LIBERTÀ
GIULIO GIORELLO: “Filosofi e fantasmi”.

8 MARZO 2013 -GIUSSANO – SALA CONSILIARE –  PIAZZALE ALDO MORO, 1
FRANCESCO BOTTURI (PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA):  “Filosofia dell’amore apparente”

15 MARZO 2013 – VIMERCATE – CENTRO OMNICOMPRENSIVO – VIA ADDA, 6
CLOTILDE CALABI (PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA): “Che cosa è un’illusione percettiva?”

5 APRILE 2013 – ARCORE – TEATRO NUOVO – VIA S. GREGORIO, 25
ELIO  FRANZINI: “Arte tra apparenza e realtà?”

12 APRILE 2013 – VILLASANTA –TEATRO ASTROLABIO – VIA MAMELI, 8
ANDREA MORO (PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA): “L’effetto “Babele”. Cervelli e grammatiche”

15 APRILE 2013 – DESIO – AUDITORIUM LICEO SCIENTIFICO E. MAJORANA – VIA AGNESI

ROBERTO MORDACCI: “La libertà non appare”

da Abitatori del Tempo: torna la seguitissima rassegna di filosofia tra “Apparenza e Realtà” Eventi a Monza.

FESTIVAL DELLA FILOSOFIA Modena (interventi e lezioni magistrali complete) – PODCAST FILOSOFIA

VAI A   FESTIVAL DELLA FILOSOFIA Modena (interventi e lezioni magistrali complete) – PODCAST FILOSOFIA.

GIORNATE DELLA FILOSOFIA 14-15 NOVEMBRE BOLOGNA

GIORNATE DELLA FILOSOFIA 14-15 NOVEMBRE BOLOGNA
Moderatore: Cristina Demaria. Maria Cecilia Guerra Sottosegretario al
Lavoro. Il welfare e la crisi. Christian MarazziSUPSI, Lugano. Crisi,
scenari, resistenze …


<http://m.unibo.it/NR/rdonlyres/5D216335-FEA0-4E3E-B3F6-7DFE34A5E930/258786/LocandinaGdF2012.pdf>

sul sito noesis di Bergamo è pubblicato il programma del corso di filosofia dell’anno 2012-2013

Corso di filosofia anno XX 2012-2013

Vedi Programma del Corso 

da Noesis.

Nicola Gardini apre lo sguardo sui CANTI di Giacomo Leopardi, in Per una biblioteca indispensabile, cinquantadue classici della letteratura italiana, Einaudi, 2011, audio lettura

Nicola Gardini apre lo sguardo sui CANTI di Giacomo Leopardi, in Per una biblioteca indispensabile, cinquantadue classici della letteratura italiana, Einaudi, 2011:

chi è REMO BODEI, profilo biografico tratto da Filosofi lungo l’ Oglio

Remo Bodei è professore di Filosofia presso la University of California (Los Angeles). Tra i massimi esperti delle filosofie dell’idealismo classico tedesco e dell’età romantica, si è occupato anche di pensiero utopico e di forme della temporalità nel mondo moderno. In una serie di lavori ha inoltre indagato il costituirsi delle filosofie e delle esperienze della soggettività tra mondo moderno e contemporaneo, pervenendo a una riflessione critica sulle forme dell’identità individuale e collettiva.

In estetica ha curato l’edizione dell’ Estetica del brutto di Johann Karl Friedrich Rosenkranz e ha analizzato in particolare concetti centrali come le categorie del bello e del tragico. Costante la sua attenzione per Sigmund Freud e gli sviluppi della psicoanalisi, per le logiche del delirio e per fenomeni in apparenza quotidiani ma sconvolgenti come l’esperienza del déjà vu. Filosofo di una ragione laica, sulla scia di Ernst Bloch, autore diAteismo nel cristianesimo, cerca di distillare anche nel teorico del compelle intrare, Agostino d’Ippona, le possibili linee di un ‘ordo amoris‘ capace di assicurarci quell’identità in cui, come vuole il Padre della Chiesa, saremmo noi stessi pienamente: dies septimus, nos ipsi erimus (il settimo giorno saremo noi stessi).

I suoi libri sono tradotti in molte lingue. Nel 1992 ha vinto il Premio Nazionale Letterario Pisa Sezione Saggistica. Inoltre, ha curato la traduzione e l’edizione italiana di testi di Hegel, Rosenkranz, Rosenzweig, Adorno, Kracauer, Foucault. Molti suoi lavori hanno per oggetto lo spessore e la storia delle domande che riguardano la ricerca della felicità da parte del singolo, le indeterminate attese collettive di una vita migliore, i limiti che imprigionano l’esistenza ed il sapere entro vincoli politici, domestici ed ideali.

Già in Scomposizioni (1987), affronta alcuni temi della genealogia dell’uomo contemporaneo e propone la metafora della geometria variabile per indagare le strutture concettuali ed espositive che, contraendosi o espandendosi sino a noi, orientano la percezione e la formulazione di problemi. La sua analisi dell’interazione di queste configurazioni mobili prosegue in Geometria delle passioni (1991) ed in Destini personali (2002) che hanno avuto rilevante successo di pubblico. Attualmente lavora sulla storia e sulle teorie della memoria. Nel 2001 gli è stata conferita la prestigiosa benemerenza di Grand’Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.

Tra i suoi libri ricordiamo: Multiversum. Tempo e storia in Ernst Bloch, Napoli, Bibliopolis, 1979 (Seconda edizione ampliata, 1983); Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno, Torino, Einaudi, 1987; Ordo amoris. Conflitti terreni e felicità celeste, Il Mulino, Bologna 1991;Geometria delle passioni. Paura,speranza, felicità: filosofia e uso politico, Feltrinelli, Milano 1991; Le forme del bello, il Mulino, Bologna 1995; Il noi diviso. Ethos e idee dell’Italia repubblicana, Einaudi,Torino 1998; Le logiche del delirio Laterza, Roma-Bari 2000; Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze, Feltrinelli, Milano 2003; Una scintilla di fuoco. Invito alla filosofia, Zanichelli, Bologna 2005; Piramidi di tempo. Storie e teorie del «déjà vu», il Mulino, Bologna 2006; La filosofia nel Novecento, Donzelli, Roma, 2006; Se la storia ha un senso, Moretti & Vitali, Milano 2007;Paesaggi sublimi. Gli uomini davanti alla natura selvaggia, Bompiani,Milano 2008; La vita delle coseLaterza, Roma-Bari 2009; Ira. La passione furiosa. I 7 vizi capitali, il Mulino, Bologna 2011.

È Presidente del Comitato Scientifico del Consorzio per il Festivalfilosofia di Modena, Carpi e Sassuolo.

Scritto da Francesca Nodari

da Filosofi lungo l’ Oglio.

DIGNITA’è il tema della VII edizione del Festival Filosofi lungo il l’Oglio, 6 giugno-23 luglioFilosofi lungo l’ Oglio

IL PROGRAMMA 
Tutti gli incontri avranno inizio alle 21:15

MERCOLEDÌ 6 GIUGNO Andrea Tagliapietra 
Natura della dignità e dignità della natura

BRANDICO (BS) – Villa Toninelli via IV Novembre (in caso di pioggia presso Chiesa S. Maria Maddalena)

«La sottomissione della natura finalizzata alla felicità umana ha lanciato con il suo smisurato successo, che coinvolge ora la natura stessa dell’uomo, la più grande sfida che sia mai venuta all’essere umano dal suo stesso agire». H. Jonas, Il principio responsabilità


DOMENICA 10 GIUGNO Marc Augé 
Degno, indegno

ERBUSCO (BS) – Cortile della Pieve di S. Maria Maggiore via Castello (in caso di pioggia presso Chiesa S. Maria Assunta)

«L’uomo è soltanto, non solo quale si concepisce, ma quale si vuole, e precisamente quale si concepisce dopo l’esistenza e quale si vuole dopo questo slancio verso l’esistere: l’uomo non è altro che ciò che si fa». J.-P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo


VENERDÌ 15 GIUGNO | Giovanni Ghiselli
La dignità degli eroi

Frontignano BARBARIGA (BS) – via V. Veneto, 10 (in caso di pioggia presso Centro Mariapoli Luce, via XI Febbraio, 2 )

«Orsù, degnatevi stender la mano a quest’uom miserando: né timor vi trattenga. I mali miei nessun, fuor ch’io, può sopportar; nessuno». Sofocle, Edipo Re


DOMENICA 17 GIUGNO | Maria Rita Parsi
Dignitoso come un bambino 

CORTE FRANCA frazione Nigoline (BS) – Palazzo Torri, via S. Eufemia, 5 (in caso di pioggia presso Auditorium 1861 Unità d’Italia, Piazzale Cattaneo)

«Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». Articolo 1, Dichiarazione Universale dei Diritti Umani


MERCOLEDÌ 20 GIUGNO | Paolo Becchi 
Il duplice volto della dignità umana 

ORZIVECCHI (BS) – Palazzo Martinengo via Martinengo, 15 (in caso di pioggia presso Chiesa SS. Pietro e Paolo

«La dignità della natura umana, il suo primato sugli altri esseri viventi, esigeva che le azioni umane fossero intraprese secondo una norma certa, senza la quale non sarebbero stati possibili ordine, civiltà e bellezza». S. Pufendorf, De iure naturae et gentium


VENERDÌ 22 GIUGNO | Luigi Zoja
Scomparsa del prossimo 

ORZINUOVI (BS)- Piazza Vittorio Emanuele II (in caso di pioggia presso Chiesa di S. Maria Assunta, Piazza Vittorio Emanuele II)

«La dignité de l’homme réside dans sa liberté qu’il s’agit de maintenir contre la pression de puissances qui l’aliènent». E. Levinas, Parole et Silence


MERCOLEDÌ 27 GIUGNO | Massimo Donà 
Dignità e identità: quale dignità per quale soggetto? 

CASTREZZATO (BS) – Piazzetta Pavoni (in caso di pioggia presso Teatro dell’Oratorio Pio XI, via A. Gatti, 28)

«L’uomo è manifestamente nato a pensare; qui sta tutta la sua dignità e tutto il suo pregio». B. Pascal, Pensieri


SABATO 30 GIUGNO | Eberhard Schockenoff 
Comprendere la dignità umana 

CHIARI (BS) – Fondazione Morcelli Repossi via Bernardino Varisco, 9

«L’IMMAGINE CHE SOLA FA DELL’HOMO DEL MONDO EUROPEO UN UOMO È SOSTANZIALMENTE DETERMINATA DALL’IDEA CHE IL CRISTIANO HA DI SÉ, QUALE IMMAGINE DI DIO». K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX


MARTEDÌ 3 LUGLIO | Marco Vannini 
Nobiltà 

OSTIANO (CR) – Ex cimitero napoleonico, via Pieve (in caso di pioggia presso Teatro Gonzaga, sito in via Castello)

«L’uomo interiore è colui a proposito del quale Nostro Signore dice : “un uomo nobile partì per un paese lontano per ottenere un regno”. Eccolo l’albero buono, quello di cui Nostro Signore dice che dà sempre buoni frutti e mai cattivi; egli, infatti, vuole la bontà, è portato alla bontà, alla bontà sospesa in se stessa, non toccata né da questo né da quello. L’uomo esteriore è l’albero cattivo che non può mai dare buoni frutti». M. Eckhart, Dell’uomo nobile


GIOVEDÌ 5 LUGLIO | Remo Bodei 
Il prezzo della dignità 

BRESCIA – Auditorium San Barnaba, c.so Magenta, 44/A

«L’IMPERATIVO GIURIDICO È PERCIÒ: SII UNA PERSONA E RISPETTA GLI ALTRI COME PERSONE». G.W.F. Hegel, Lineamenti di una filosofia del diritto


SABATO 7 LUGLIO | Bernhard Casper 
Dignità e responsabilità. Una riflessione fenomenologica 

TRAVAGLIATO (BS) – Teatro Micheletti via Vittorio Emanuele II

«L’umanità in se stessa è una dignità; infatti l’uomo non può essere trattato da nessuno (cioè da un altro e neppure da lui stesso) meramente come mezzo, ma deve sempre essere trattato nello stesso tempo come un fine, e proprio in ciò consiste la sua dignità». I. Kant, La metafisica dei costumi


DOMENICA 8 LUGLIO ORE 18.00

Cerimonia di proclamazione del vincitore 
della I edizione del Premio Internazionale di Filosofia/Filosofi Lungo L’Oglio. Un libro per il presente Lettura di passi scelti dell’opera premiata a cura dell’attore Sergio Isonni 

Hotel Iseolago, Sala Franciacorta, via Colombera 2/C – Iseo (Bs)


SABATO 14 LUGLIO | Michela Marzano
Dignità e vulnerabilità 

CORZANO (BS) – Corte Margherita via Curzio (in caso di pioggia presso Sala Polifunzionale della Scuola dell’infanzia, via Garibaldi, 61)


Modererà l’incontro Nunzia Vallini, Direttore di Teletutto

«SE IL PIL DI UN DETERMINATO PAESE CRESCE, MA NON DIMINUISCE IL NUMERO DI PERSONE DEPRIVATE DEI DIRITTI ALL’ISTRUZIONE, ALLA SALUTE E AD ALTRE OPPORTUNITÀ DI REALIZZAZIONE INDIVIDUALE, POSSIAMO DIRE CHE QUEL PAESE PROGREDISCE?» M. Nussbaum, Creare capacità


MARTEDÌ 17 LUGLIO | Salvatore Natoli 
Dignità e rispetto: l’obbligo di renderlo, il dovere di meritarlo 

VILLACHIARA (BS) – Azienda Le Vittorie, 11


Modererà l’incontro Tonino Zana, inviato speciale del «Giornale di Brescia»

«TU, NON COSTRETTO DA ALCUNA LIMITAZIONE, FORGERAI LA TUA NATURA SECONDO IL TUO ARBITRIO, ALLA CUI POTESTÀ TI CONSEGNAI» P. Della Mirandola, De dignitate hominis


VENERDÌ 20 LUGLIO | Stefano Semplici
È possibile una bioetica condivisa? 

POMPIANO (BS) – Arena Peschiera, antistante Piazza S.Andrea (in caso di pioggia presso Auditorium Comunale, via Ortaglia, 5)

«(La) dignità umana è impossibile senza la fine del bisogno umano, come la felicità conforme all’uomo è impossibile senza la fine della sudditanza vecchia e nuova». E. Bloch, Diritto naturale e dignità umana


LUNEDÌ 23 LUGLIO | Piero Coda
Dignità umana e libertà religiosa. La lezione del Concilio Vaticano II 

SONCINO (CR) – Chiesa S. Maria delle Grazie via F. Galantino

«Il concetto dignità si riferisce a qualcosa di sacrale: è in sostanza un concetto metafisico-religioso» R. Spaemann, Natura e ragione. Saggi di antropologia

vai al sito: Filosofi lungo l’ Oglio.

Gianfranco Cordì, L’ORIGINE DELLA FILOSOFIA, Casa Editrice Leonida, 2011

Autore: Gianfranco Cordì

Clicca sull’immagine per ingrandirla

 

Pagine: 88
Mese/Anno: febbraio 2011
ISBN: 978-88-95880-71-6
Dimensioni: 14 x 21 cm
Prezzo: 12,00 €
Genere: Saggistica
Collana di Filosofia «Keleythos»

 

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Breve presentazione dell’opera

L’origine della Filosofia o la Filosofia dell’origine

Dove nasce la filosofia? Quando nasce la filosofia? Come nasce la filosofia? Perché nasce la filosofia? Sono solo quattro domande, ma si potrebbe tranquillamente continuare. Da quale stato di cose si origina la scienza filosofica? Se è vero che la filosofia ha una matrice Occidentale (Hegel) e altresì vero che essa germoglia in Grecia e precisamente nelle colonie greche piuttosto che – dapprincipio – ad Atene. Che cos’è la filosofia? Anche questa è una domanda non di poco conto. In Origine ed epilogo della filosofia Ortega y Gasset afferma che «la filosofia è intanto qualcosa che l’uomo fa, e che questo costituisce la sua più caratteristica condizione e attitudine». In Che cos’è la filosofia? Gilles Deleuze e Félix Guattari dicono: «La filosofia, più rigorosamente, è la disciplina che consiste nel creare concetti».
Se è così acclarato che un luogo storico lo possediamo per la nascita della filosofia (la Grecia) è altresì pacifico che noi siamo in possesso, anche, di un tempo storico per la localizzazione dello stesso evento (il VI secolo a.C.): due informazioni che rispondono alle prime due domande dalle quali eravamo partiti.
Ma… per rispondere alla terza?
Noi oggi sappiamo che la filosofia si origina quando, per ragioni storiche e antropologiche complesse, l’umanità si allontana dal mito e dalla religiosità irriflessa e si avvicina alla ragione e alla speculazione teoretica.
Con i Presocratici la filosofia va oltre il fatto e le esperienze per (ri)cercare una ragione costante, un principio, una causa, l’elemento da cui sono formate le cose.
Nello stesso tempo, questa disciplina (in)comincia formandosi come una scienza della totalità delle cose.
L’intero è l’oggetto di interesse privilegiato per la filosofia.
Essa si interroga sulle cause e sui principi di tutta quanta la realtà. 
Tale interrogazione è portata avanti con il metodo delle domande e delle risposte.
Alla sua origine, la filosofia cerca una sorgente, un seme, una radice, una base, un capo.
Alla sua origine la filosofia cerca un’origine. 
Ovverosia, quella dalla quale scaturiscono tutte quante le cose di cui è composta la realtà.
L’origine della filosofia è una filosofia dell’origine in se stessa compiuta.
Ma c’è di più.
Tale filosofia dell’origine costituisce l’atto di nascita di una disciplina completamente nuova.
La filosofia, appunto.
I Presocratici, infatti, costruiscono un mondo di congetture e di pensieri intorno alla totalità delle cose del mondo. Alcuni si asprimono in forma poetica altri usano la forma prosastica.
Essi, per la prima volta nella storia, si lasciano dietro le spalle le religioni, i miti e la tradizione.
Il loro statuto è quello di amanti del sapere piuttosto che quello di sapienti tout court. 
Filosofia diventa perciò propriamente amore del sapere.
Dicono ancora Deleuze e Guattari: «Il tempo filosofico è quindi un grandioso tempo di coesistenza, che non esclude il prima il dopo, ma li sovrappone in un ordine stratigrafico. È un divenire infinito della filosofia, che interseca ma non si confonde con la sua storia. La via dei filosofi, e anche la parte più marginale della loro opera, obbediscono a leggi di ordinaria successione; ma i loro nomi propri coesistono e brillano, sia come punti luminosi che ci fanno riattraversare le componenti di un concetto, sia come punti cardinali di un foglio o di uno strato che non cercano di ritornare fino a noi, come la luce delle stelle morte, più viva che mai. La filosofia è divenire, non storia; è coesistenza di piani, non successione di sistemi». E Ortega: «Filosofia è un fare dell’uomo. Un fare della specie “conoscenza”. Quel tipo di “conoscenza” che comincia con una domanda essenziale o per l’essere delle cose. L’essere della cosa non è la cosa. La cosa sta qui. L’essere no. Siccome non è qui bisogna cercarlo, e questa ricerca è la conoscenza: la domanda annuncia ed inizia un cercare».
La filosofia dell’origine è anzitutto una ricerca.
Una ricerca della verità (alètheia).
I Presocratici non si fermano davanti al mero dato di fatto come fa invece la scienza.
Essi vanno oltre; alla ricerca appunto dell’origine.
Per questo la loro speculazione è già una filosofia dell’origine.
E la filosofia stessa si configura come scienza di ciò che sta al di là delle cose. Nel profondo. 
La filosofia si origina quindi come filosofia dell’origine.
Di fronte allo spettacolo della realtà il filosofo Presocratico indaga la causa di tutto quel che ha davanti. Ma l’origine delle cose era la loro natura; cioè da cui esse derivavano.
La filosofia dei Presocratici si pone quindi fin da subito una domanda intorno al «che cos’è?».
Qual è la costituzione di questa cosa che ho qui davanti?
Essa indaga sulla verità delle cose e non sulla loro apparenza fenomenica.
La filosofia dell’origine è dunque un’interrogazione razionale che supera la realtà e il mondo effettuale.
Ogni cosa possiede una sua verità.
Il filosofo Presocratico indaga infatti il principio di ogni cosa.
Egli si chiede: che cosa ho davanti a me veramente?
In questo senso: l’origine della filosofia è un concreto oltrepassamento della presbiopia della realtà. Per giungere a una filosofia dell’origine in sé compiuta che prefigura e preannuncia il vero mondo sopra e dopo quello delle cose reali. Il mondo che sta dall’altra parte, il mondo dei principi, il mondo della generazione. L’origine della filosofia è dunque un’interrogazione sui principi, sulle cause, sulle scaturigini. La filosofia dell’origine, in forma di sentenza, di poema o di opinione, sarà dunque il risultato di tale interrogare. E, nello stesso tempo, rappresenterà l’origine di una disciplina che si farà una grande strada nella storia della cultura e dell’umanità dei secoli successivi.

 

da Casa Editrice Leonida.

PHILOSOPHIA, Il cammino del pensiero, estratti dai Video del Corriere della Sera, a cura di http://www.filosofia.it

PHILOSOPHIA Il cammino del pensiero – collana dvd

 

PHILOSOPHIA. Il cammino del pensiero. Una collana in dvd sulla storia della filosofia

videovideo 1. La nascita della filosofia
videovideo 2. Pitagora
videovideo 3. Eraclito
videovideo 4. Parmenide
videovideo 5. I sofisti
videovideo 6. Socrate
videovideo 7. Platone teoretico
videovideo 8. Platone politico
videovideo 9. Aristotele Etica
videovideo 10. Aristotele Metafisica

Presentazione del volume L’ORIGINE DELLA FILOSOFIA di Gianfranco Cordì, Leonida Edizioni

Duecento termini di uso corrente nello studio della filosofia antica, da L. ROSSETTI – INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA ANTICA (1998)

L. ROSSETTI – INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA ANTICA (1998)


Glossario /1


Avvertenza // Un altro piccolo glossario

Acèfalo * Acroamatico * Aforisma * Aggiunte e correzioni * Akmé * Anacronismo * Anepígrapha * Annullamenti * Anonimi * Antígrafo *Aplografia * Apòcrifo * Apoftègma * Apògrafo * Apparato critico * Archètipo * Arcontato di Euclide * Ascriptio * Ascrizione * Asterisco* Atetèsi * Autopsia

Biblíon * Bustrofedica (scrittura)

C-D E-G H-L M-P Q-S T-Z

da Glossarietto.

‪Emanuele Severino: A vuole B. Si può voler qualcosa solo in quanto il senso del qualcosa che è voluto ci appare davanti ‬‏

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Diotima423  così riassume  il ragionamento condotto da Severino:
1) La manifestazione dei significati (di ciò che ci appare) determina l’ambito in cui si creano le azioni umane destinate a perseguire quel risultato. Quel certo significato determina, guida, configura l’ambito in cui si agisce e dà senso a tutte le azioni umane prodotte in relazione a quel significato. Per es., il falegname per trattare il legno deve sapere che tratta il legno e non il ferro, e tiene anche conto di che tipo di legno sta trattando, compirà dunque azioni pertinenti al risultato CON quel tipo di legno. L’apparire del senso determina l’ambito dell’azione.
2) Quanto più ampio è il senso tanto più ampio è il campo dell’agire che è determinato da quel senso.
3) Qual è dunque il significato più ampio? Rispetto a cui tutti gli altri significati sono sotto insiemi, quello il cui significato guida OGNI azione, ogni agire immaginabile? Quello in base al quale SIAMO ed AGIAMO? Il senso dell’esser COSA. Il tavolo, la sedia, ma anche Dio. Una qualsiasi COSA. Un CHE, una parola ha significati diversi a seconda delle lingue in cui si esprime a seconda del periodo storico.
4) I greci portano alla luce un senso dell’esser cosa in cui la cosa è qualcosa che provvisoriamente si salva dal nulla

Emanuele Severino al Festival Filosofia – Modena Carpi Sassuolo

Abitatori del tempo, riflessione sull’oggi nell’incontro con grandi filosofi, Arcor, Brugherio, Cesano Maderno, Giussano, Lissone, Monza, Nova Milanese, Villasanta, Vimercate, 2011

In crociera con Enrico Berti: Guardare il mondo con ‘gli occhi dei greci’: tra meraviglia, logos ed ethos

In vacanza con Enrico Berti

Guardare il mondo con ‘gli occhi dei greci’: tra meraviglia, logos ed ethos.

Che cos’è? ASIA è lieta di iniziare la stagione 2011 con la proposta delle Vacances de l’Esprit itineranti in collaborazione con CTM di Robintur. L’opportunità di viaggiare in una confortevole nave da crociera coniugando il fascino di una vacanza nel Mediterraneo con l’irresistibile richiamo della filosofia, della storia e della cultura greca.

Il filosofo Enrico Berti ci accompagnerà in questa rotta illuminando con le sue lezioni un viaggio ad est con destinazione Istanbul. L’itinerario della navigazione prevede la partenza da Venezia, con San Marco, il Campanile, il Canal Grande e successiva sosta a Bari. Proseguiremo per la Grecia, culla della filosofia occidentale, per raggiungere Katakolon/Olimpia e successivo arrivo in Turchia, con tappa a Smirne, e finalmente la misteriosa Istanbul, unica città che sorge su due continenti. Sulla via del ritorno, sosta a Dubrovnik e ritorno a Venezia.
Per la riflessione filosofica:
Come nasce la Filosofia? A cosa attinsero i primi filosofi della Grecia Antica per dare forma al loro pensare e domandare? Enrico Berti risponde, sulle orme di Platone e Aristotele, che alla scaturigine della filosofia e del nostro stesso agire c’è la Meraviglia. La Meraviglia come un’esperienza da vivere e riassaporare per riscoprire le fondamentali questioni proprie della Filosofia che abitano e riguardano ciascuno di noi.
“Eppure qualche volta può capitare di guardare il mondo in modo diverso, di meravigliarsi che le cose stiano in un certo modo. In questi momenti accade, come diceva il mio maestro, di guardare il mondo “con occhi greci”, ovvero con gli occhi dei Greci.”
Lasciamoci dunque accompagnare da Enrico Berti alle origini, non solo della Filosofia ma di noi stessi. Dove quella scintilla iniziale riceve ispirazione e spinta dal thàuma assumendo così la voce del logos e la tensione all’ethos.


Temi delle lezioni

Introduzione – Che cos’è la filosofia antica? Meraviglia o stile di vita?
Uno dei temi filosofici che hanno maggiormente attirato l’attenzione del pubblico negli ultimi decenni è stato quello del rapporto tra filosofia e prassi. Emblematica di questo interesse è stata la cosiddetta”riabilitazione della filosofia pratica”, verificatasi prima in Germania e poi in tutto il mondo occidentale. Un aspetto di questo tema è la reinterpretazione della filosofia antica come “stile di vita”, inaugurata da Pierre Hadot con Esercizi spirituali e filosofia antica (1981), ma ad esso è riconducibile anche la nascita delle “pratiche filosofiche” e la loro diffusione in Europa e negli USA.

I lezione – Il dibattito attuale sul carattere della filosofia antica: Hadot versus Horn
Al libro di Hadot sugli “Esercizi spirituali”, ispirato forse da Foucault, ne sono seguiti altri, come Che cos’è la filosofia antica (1995) e La filosofia come maniera di vivere (2001), ma non sono mancate le reazioni critiche, come quella di Christoph Horn, L’arte della vita nell’antichità (1998). In Italia il primo ad avanzare una tesi simile a quella di Hadot è stato G. Cambiano, La filosofia in Grecia e a Roma (1983), ma in modo molto più prudente e quindi con un’eco meno vasta. Un’alternativa, sia pure involontaria, all’interpretazione di Hadot è il libro di E. Berti, In principio era la meraviglia (2007), dove si mostra che la filosofia antica è nata dalla meraviglia, cioè dal desiderio di sapere, dalla ricerca dei princìpi.

II lezione – La nascita della filosofia dalla meraviglia
In questa lezione si mettono alla prova le opposte interpretazioni sopra citate a proposito dei primi filosofi, i cosiddetti “presocratici”, mostrando quali aspetti del loro pensiero siano riconducibili alla concezione della filosofia come stile di vita e quali invece attestino che la filosofia nasce dalla meraviglia. Si indaga inoltre sulla fondatezza della ricostruzione platonica e aristotelica dell’origine della filosofia, mettendola a confronto con quelle di Nietzsche e di Heidegger.

III lezione – Meraviglia e stile di vita nei filosofi dell’età classica
Nei filosofi dell’età classica, cioè Socrate, Platone e Aristotele, i due modi di concepire la filosofia diventano tra loro complementari, nel senso che il tipo di vita desiderato dal filosofo è caratterizzato dalla ricerca dei princìpi, sia di quelli che spiegano la realtà, sia di quelli che orientano la prassi. Nasce così l’ideale della vita teoretica, intesa non come vita contemplativa (interpretazione vulgata), ma come vita dedita alla ricerca.

IV lezione – La filosofia come stile di vita nell’età ellenistica e romana
Nell’età ellenistica e romana trova piena realizzazione la concezione della filosofia come stile di vita illustrata da Hadot, presente in tutte le scuole filosofiche del tempo (Epicurei, Stoici, Scettici) e anche nei singoli filosofi, specialmente romani (Seneca, Epitteto, Marco Aurelio). Da essa tuttavia derivano importanti conseguenze anche di carattere teoretico, che producono nuovi sviluppi nella filosofia antica (nasce, ad esempio, il cosiddetto “Dio dei filosofi”).

V lezione – L’incontro tra i filosofi e la Bibbia
Una svolta fondamentale nella storia della filosofia, non solo antica, è l’incontro tra i filosofi e la Bibbia, avvenuto in seguito alla traduzione della Bibbia in greco, che ne ha reso possibile la conoscenza da parte dei filosofi, e alla scoperta della filosofia greca da parte dei giudei (Filone) e dei cristiani (san Paolo). La diffusione del Giudaismo e del Cristianesimo nell’Impero romano, la nascita della filosofia cristiana e la reazione della filosofia pagana col neoplatonismo, nonché il successivo incontro della filosofia con l’Islam, hanno inaugurato modelli di filosofia sopravvissuti lungo tutto il corso della storia del pensiero.

VI lezione – Che cosa rimane oggi della filosofia antica?
La filosofia antica, cioè greco-romana, ha il pregio di essere la prima forma di filosofia inventata nell’Occidente e quindi conserva tutto il fascino che è proprio dell’originale rispetto alle imitazioni. In essa nascono tutte le discipline filosofiche destinate a rimanere nella storia (logica, cosmologia, antropologia, metafisica, etica, politica, retorica, estetica). Non tutti i filosofi antichi sono tuttavia ugualmente interessanti e non tutto ciò che hanno detto rimane valido: oggi si rende quindi necessario un lavoro accurato di discernimento. Soprattutto è necessario vedere se e in quale misura è ancora valido quel modo di fare filosofia.

Biografia

Enrico Berti (n. 1935) è professore emerito dell’Università di Padova. Ha insegnato filosofia nelle università di Perugia, di Padova, di Ginevra, di Bruxelles e di Lugano. È stato presidente nazionale della Società Filosofica italiana, vicepresidente dell’Institut International de Philosophie e della Fédération Internationale des Sociétes de Philosophie.
È socio nazionale dell’Accademia dei Lincei e membro della Pontificia Accademia delle Scienze.

Pubblicazioni più recenti:

  • Incontri con la filosofia contemporanea, Pistoia, Petite Plaisance, 2006;
  • In principio era la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica, Roma-Bari, Laterza, 2007;
  • Dialectique, physique et métaphysique. Études sur Aristote, Louvain-la-Neuve, Éditions Peeters, 2008;
  • A partire dai filosofi antichi (con Luca Grecchi), Padova, Il Prato, 2009;
  • Nuovi studi aristotelici, IV 1-2: L’influenza di Aristotele, Brescia, Morcelliana, 2009-2010;
  • Sumphilosophein. La vita nell’Accademia di Platone, Roma-Bari, Laterza, 2010.

Per conoscere meglio Enrico Berti:

da: In crociera con Enrico Berti.

Filosofia/Meraviglia

Salvatore Natoli, Parole della filosofia o dell’arte di meditare, Feltrinelli, 2004
p. 11-27

Il “principio speranza” secondo Ernst Bloch

……

Ne Il principio speranza, Bloch mostra come la coscienza anticipante dell’uomo, la sua capacità di anticipare i progetti più alti mettendo in moto lo sviluppo storico, si manifesti sia nelle piccole forme storiche quali: i sogni e le aspirazioni che caratterizzano la vita quotidiana, il mondo fantastico delle favole, i racconti dei films e degli spettacoli teatrali, le utopie sociali sia nelle grandi concezioni religiose, filosofiche.

In tutte queste forme della coscienza anticipante dell’uomo, l’elemento fondamentale è la speranza, la quale non è qualcosa di puramentesoggettivo ma aspetto reale dello sviluppo concreto dell’essere.

L’essere non è infatti ontologicamente definibile nella sua immediata staticità e cristallizzazione ma il vero, vitale essere è il non-essere-ancora.

Dall’analisi della natura della coscienza anticipante dell’uomo, infatti, emerge chiaramente il non-ancora come la sua verità più profonda che dà valore reale alla speranza, intesa non più come astratto sogno campato in aria, ma come docta spes, oggettivamente basata sul dinamismo della realtà.

La speranza allora, non è solo un atteggiamento sentimentale, ma concreta forza di voler costruire, con precisione razionale, la realtà. Così accade nell’arte e in particolare nella musica quando, sulla base di una rigorosa reale base matematica, essa suscita in noi un flusso di sentimenti.

Tuttavia, già nell’Introduzione alla traduzione italiana di quest’opera principale di Bloch, Remo Bodei ricorda che non tutti i miti e i filosofi hanno considerato la speranza una virtù[4]. E di ciò sembra accorgersi pure lo stesso Bloch, sia prendendo atto delle impreviste e non volute ricadute del suo pensiero sulla “Teologia della speranza” del protestante Moltmann[5], sia inserendo al capitolo 20 un’importante alternativa: la speranza non più come sguardo ottimisticamente diretto al futuro, bensì come immersione nelle potenzialità insite nel presente, quando l’uomo tenta di vivere cogliendo l’eternità nell’istante, il carpe aeternitatem in momento e il nunc aeternum dell’attimo oscuro.[6][7]

La nostra coscienza del presente, che noi crediamo chiara, in effetti è offuscata: alla base del faro non c’è luce [8] ; noi dobbiamo dirigere la sua luce della speranza su ogni attimo della nostra vita presente, altrimenti la luce del faro si perde nella notte del futuro.

….

l’intera scheda su Esnst Bloch qui:

Ernst Bloch – Wikipedia.

Ragione

GRAYLING A.C., Il significato delle cose, Il Sole 24 Ore, 2007
p. 187-192

Ragione

GRAYLING A.C., Al cuore delle cose, Longanesi, 2007
p. 95-98

Ragione

Umberto Galimberti, Parole nomadi, Feltrinelli, 1994
p. 165-167

Galimberti Umberto, Parole nomadi, Feltrinelli, 1994. Rielaborazione di articoli pubblicati sul supplemento domenicale de Il Sole 24 Ore nel 1991/1992. Il libro è stato ripubblicato nel 2023 dalla Repubblica

Max Weber (1864 -1920): ETICA DEI PRINCIPI ed ETICA DELLA RESPONSABILITA’, 1919. Scheda di Paolo Ferrario, redatta nel 2009 per un corso di formazione

Nella sua ormai famosissi­ma conferenza sul tema Politica come professione (tenuta a Mona­co il 28 gennaio 1919, un anno prima della sua morte), Max We­ber trattò in modo disincantato il tema del rapporto fra etica e politica.

La politica è il dominio della forza. Chi ha la «vocazione» per la politica (Beruf in tedesco significa sia professione sia vocazio­ne) sa di dover affrontare aspre lotte. Solo uomini astuti e dal carattere forte potranno affrontare le insidie «diaboli­che» della politica, il cui terre­no proprio è l’uso della forza.

E’ per definire questo carattere che Weber introduce la distin­zione tra

  • etica della convin­zione” — o più precisamente “eti­ca dei princìpi” (Gesinnungsethik)
  • ed “etica della responsabilità” (Verantwortungsethik).

La prima è un’etica assoluta, di chi ope­ra solo seguendo principi rite­nuti giusti in sé, indipendente­mente dalle loro conseguenze. E’ questa un’etica della testimonianza assolutizzata: “avvenga quel che avverrà, io devo comportarmi così”.

La seconda è l’etica veramente pertinente alla politica. L’etica della responsabilità si riferisce alle presumibili conseguenze delle scelte e dei comportamenti che l’individuo ed il suo gruppo di appartenenza mette in atto.

Il pro­blema, scrive Weber, è che «il raggiungimento di fini buoni è accompagnato il più delle vol­te dall’uso di mezzi sospetti», e «nessuna etica può determi­nare quando e in qual misura lo scopo moralmente buono “giustifica” i mezzi e le altre conseguenze moralmente peri­colose». Chi non tiene conto di questo — che dal bene non deriva sempre il bene e dal male non deriva sempre il ma­le — «in politica è un fanciul­lo».

Le due etiche non sono però «antitetiche ma si comple­tano a vicenda, e solo- congiun­te formano il vero uomo, quel­lo che può avere la “vocazione per la politica“», salvo ribadire che tra esse non potrà mai dar­si vera conciliazione né armo­nia a buon mercato.

La lezione di realismo di Weber si spinge così fin den­tro le pieghe dell’etica. Egli afferma che solo un atto di reponsabilità può risolvere, nell’azione, i “dilemmi etici” che il politico, e in generale chiunque abbia responsabilità verso il prossimo, si trova ine­vitabilmente di fronte. I valori sono più d’uno, ognuno ugual­mente importante nella propria sfera, e non sempre sono armo­nizzabili, ma possono scontrar­si ed entrare in conflitto quando è il momento di agire.

Questo è il senso del concetto di “politeismo dei valo­ri“.

Le precedenti annotazioni sono tratte dalle conferenze La scienza come professione e La politica come professione,  pubblicate (con il titolo Il lavoro intellettuale come professione) nei “Saggi” Einaudi, tradotti da Antonio Giolitti e con l’introduzione di Delio Cantimori.

Nel 2001 sono state ripubblicate dalle edizioni Comunità a cura di Pietro Rossi e Francesco Tuccari. Il traduttore Wolfgang Schuchter sostituisce la locuzione “etica dei princìpi” a quella di “etica della convinzione” e così ne spiega la motivazione:

La difficoltà più rilevante riguarda la coppia concettua­le Gesinnungsethik-Verantwortungsethik, che ha un ruolo centrale in Politik als Beruf. mentre il secondo termine trova una ovvia corrispondenza in «eti­ca della responsabilità», la stessa cosa non vale per il primo, data l’assenza in italiano (ma anche nelle altre lingue principali) di un equivalente preciso del tedesco Gesinnung. Esso è stato tradotto da Giolitti con «etica dell’in­tenzione», mentre in seguito si è preferito, sulla scorta della versione ingle­se e di quella francese, renderlo con «etica della convinzione». L’una e l’al­tra soluzione sono però insoddisfacenti, poiché la Gesinnungsethik weberiana non costituisce un’etica della pura intenzione in senso kantiano, né trova la propria base in una semplice «convinzione»: essa riveste per un verso un significato soggettivo, in quanto designa l’incondizionata adesione perso­nale a certi principi che devono guidare l’agire dell’individuo, e per l’altro verso un significato oggettivo, in quanto comporta il riferimento a principi assunti come incondizionatamente validi, che l’individuo assume come pro­pri scopi indipendentemente dalla considerazione dei mezzi necessari e del­le prevedibili conseguenze della loro realizzazione. Si è perciò preferito adot­tare qui un’altra versione (ancorché legata, in parte, a una diversa tradizio­ne di filosofia morale), rendendo Gesinnungsethik con «etica dei principi».

Ma leggiamo direttamente il testo:

L’etica può presentarsi in un ruolo assai deleterio da un punto di vista morale. Facciamo alcuni esempi.

Raramente troverete che un uomo, il quale abbia smes­so di amare una donna per un’altra, non senta il bisogno di giu­stificarsi con se stesso dicendo che la prima non era più degna del suo amore, o che lo aveva deluso, o adducendo altre «ra­gioni» simili. Si tratta di una mancanza di cavalleria che, al sem­plice dato di fatto che egli non la ama più e che la donna deve portarne le conseguenze, aggiunge ancora una parvenza di le­gittimità, in forza della quale egli pretende un diritto e cerca di rovesciare sulla donna, oltre all’infelicità, anche un torto. Si comporta esattamente allo stesso modo il concorrente fortuna­to in amore: il rivale deve valere di meno, altrimenti non sa­rebbe stato sconfitto.

Le cose non vanno ovviamente in modo diverso quando, dopo una qualsiasi guerra vittoriosa, il vinci­tore afferma con una tracotanza priva di dignità: ho vinto per­ché avevo ragione. Oppure, quando qualcuno crolla interior­mente di fronte agli orrori della guerra e, invece di dire sem­plicemente che era troppo, sente il bisogno di giustificare di fronte a se stesso la sua stanchezza della guerra con questo sen­timento: «Non potevo sopportarlo, perché dovevo combattere per una causa moralmente cattiva». E lo stesso accade per chi è sconfitto in guerra. Dopo una guerra, invece di andare in cer­ca del «colpevole» con una vecchia mentalità da donnicciole -quando è stata invece la struttura della società a determinare la guerra – chiunque assuma un atteggiamento virile e sobrio dirà al nemico: «Abbiamo perso la guerra, voi l’avete vinta. Questa è ormai cosa fatta: concedeteci ora di discutere su quali conse­guenze se ne debbano trarre in relazione agli interessi oggetti­vi che erano in gioco e – questa la cosa principale – in rappor­to alla responsabilità di fronte al futuro, che grava special­mente sul vincitore».

Tutto il resto è privo di dignità e ha gravi conseguenze. Una nazione perdona una ferita dei propri inte­ressi, ma non una ferita del proprio onore, e tanto meno una fe­rita inflitta con prepotenza farisaica. Ogni nuovo documento che viene alla luce dopo decenni fa sorgere nuovamente grida di sdegno, l’odio e l’ira, mentre la guerra, una volta terminata, dovrebbe essere almeno moralmente sepolta. Questo è possibile soltanto attraverso l’oggettività e la cavalleria, ma so­prattutto mediante la dignità. E mai attraverso un’« eti­ca», che in verità significa mancanza di dignità da entrambe le parti. Invece di preoccuparsi di ciò che interessa l’uomo politico – il futuro e la responsabilità di fronte a esso – l’etica si occupa della questione della colpa commessa nel passato, una questio­ne politicamente sterile perché indecidibile. Agire in que­sto modo è una colpa politica, se mai ve n’è una. E inol­tre, l’inevitabile travisamento dell’intero problema viene oc­cultato da interessi assai materiali: l’interesse del vincitore al guadagno – morale e materiale – più alto possibile, le speranze dello sconfitto di procurarsi qualche vantaggio attraverso il ri­conoscimento della propria colpa: se vi è mai qualcosa di « v o l g a r e », è proprio questo, ed è la conseguenza di un siffatto modo di utilizzare l’«etica» come pretesto per «mettersi dalla parte della ragione».

Ma qual è dunque il rapporto reale tra etica e politica ? Non hanno niente a che fare l’una con l’altra, come si è talvolta af­fermato? O è vero, al contrario, che la «stessa» etica vale per l’agire politico come per ogni altro agire?

Si è talvolta pensato che tra queste due affermazioni si ponesse un’alternativa: sa­rebbe giusta o l’una o l’altra. Ma è dunque vero che imperativi identici dal punto di vista del contenuto potrebbero esse­re formulati da qualsiasi etica al mondo per rapporti erotici e di affari, familiari e di ufficio, per le relazioni con la moglie, l’erbivendola, il figlio, il concorrente, l’amico, l’imputato? Do­vrebbe essere davvero cosi indifferente per le esigenze etiche nei confronti della politica che questa operi con un mezzo cosi specifico come la potenza, dietro cui vi è la violenza ? Non vediamo che gli ideologi bolscevichi e spartachisti, proprio in quanto fanno uso di questo mezzo della politica, giungono esat­tamente agli stessi risultati di un qualsiasi dittatore milita­re ? In che cosa, se non nella persona di chi detiene il potere e nel suo dilettantismo, si differenzia il potere dei consigli degli operai e dei soldati da quello di un qualsiasi detentore del po­tere del vecchio regime ? E in che cosa, ancora, si distingue la polemica che la maggior parte dei rappresentanti della presun­ta nuova etica ha scatenato contro i suoi avversari da quella di qualsiasi altro demagogo? Ci si dirà: per la nobile intenzione! Bene. Ma qui è dei mezzi che si sta parlando, e anche gli av­versari con cui si combatte pretendono per sé allo stesso iden­tico modo, in piena sincerità da un punto di vista soggettivo, la nobiltà delle proprie intenzioni ultime. «Chi di spada ferisce, di spada perisce», e la lotta è sempre lotta. E dunque, l’etica del sermone della montagna? Con il sermone del­la montagna – vale a dire con l’etica assoluta del Vangelo – si pone una questione assai più seria di quanto credono coloro che oggi citano volentieri questi precetti. Non va presa alla legge­ra. Per essa vale ciò che è stato detto della causalità nella scien­za: non è una carrozza che si possa far fermare a piacere per sa­lirvi o scenderne20. Al contrario: tutto oppure niente, è pro­prio questo il suo senso, se ne deve derivare qualcosa di diverso dalla banalità. Cosi, per esempio, la parabola del gio­vane ricco: «Egli se ne andò triste, poiché possedeva molte ric­chezze». Il precetto evangelico è incondizionato e univoco: dai via ciò che possiedi, semplicemente tutto. L’uomo po­litico dirà: una pretesa insensata dal punto di vista sociale, fin­tantoché non viene realizzata per tutti. E dunque: tassazioni, espropriazioni, confische, in una parola: coercizione e ordine per tutti. Ma il precetto etico non chiede affatto una cosa del genere, ed è questa la sua natura. Oppure: «Porgi l’al­tra guancia». Incondizionatamente, senza chiedere come mai spetti all’altro di colpire. Un’etica della mancanza di dignità, eccetto che per un santo. Questo è il punto: si deve essere san­ti in tutto, quanto meno nella volontà, si deve vivere come Gesù, come gli Apostoli, come San Francesco e i suoi pari, e solamente allora quest’etica è dotata di senso ed è espressio­ne di una dignità. Altrimenti no. Infatti, quando in conseguenza di un’etica acosmica dell’amore si dice: «Non opporti al male con la violenza», per l’uomo politico vale il prin­cipio opposto: devi resistere al male con la violenza, altri­menti sarai responsabile della sua affermazione. Chi intenda agi­re secondo l’etica del Vangelo, si astenga dagli scioperi – poiché essi rappresentano una forma di coercizione – e si iscriva ai sin­dacati gialli. E soprattutto non parli di «rivoluzione». Infatti quell’etica non intende certo insegnare che proprio la guerra ci­vile sia l’unica forma di guerra legittima. Il pacifista che agisca secondo i precetti del Vangelo rifiuterà o getterà via le armi, co­me veniva raccomandato in Germania, in quanto ciò rappresenta un dovere morale, allo scopo di porre fine alla guerra e dunque a ogni guerra. L’uomo politico dirà: l’unico mezzo sicuro per screditare la guerra per un periodo in qualche modo preve­dibile sarebbe stata una pace di status quo. I popoli si sa­rebbero chiesti allora: a che scopo la guerra? Essa sarebbe sta­ta ridotta ad absurdum, ciò che oggi non è più possibile. Infat­ti per i vincitori – o quanto meno per una parte di essi – essa è stata politicamente vantaggiosa. E di ciò è responsabile quella condotta che ci ha reso impossibile ogni resistenza. Quando dunque l’epoca della stanchezza sarà trascorsa, non la guerra, ma la pace sarà screditata: una conseguenza dell’etica assoluta.

Infine: il dovere della verità. E un dovere incondizionato per l’etica assoluta. Se ne è dunque dedotta la conseguenza di pubblicare tutti i documenti, soprattutto quelli che accusano il proprio paese, e sul fondamento di questa pubblicazione unila­terale di riconoscere la propria colpa unilateralmente, senza condizioni, senza riguardo alle conseguenze. L’uomo politico troverà che in tal modo non si è promossa la verità, ma la si è sicuramente oscurata attraverso l’abuso e lo scatenamento del­le passioni; che soltanto una verifica generale, condotta secon­do un piano e attraverso giudici imparziali potrebbe dare buo­ni frutti, e che ogni altro modo di procedere può avere, per la nazione che cosi agisce, conseguenze che si dovranno ancora ri­parare tra decenni. Ma è proprio sulle «conseguenze» che l’e­tica assoluta non si interroga.

Sta qui il punto decisivo. Dobbiamo renderci chiaramen­te conto che ogni agire orientato in senso etico può essere ri­condotto a due massime fondamentalmente diverse l’una dal­l’altra e inconciliabilmente opposte: può cioè orientarsi nel senso di un’«etica dei principi» oppure di un’«etica della responsa­bilità». Ciò non significa che l’etica dei principi coincida con la mancanza di responsabilità e l’etica della responsabilità con una mancanza di principi. Non si tratta ovviamente di questo.

Vi è altresì un contrasto radicale tra l’agire secondo la massima del­l’etica dei principi, la quale, formulata in termini religiosi, re­cita: «Il cristiano agisce da giusto e rimette l’esito del suo agi­re nelle mani di Dio», oppure secondo la massima dell’eti­ca della responsabilità, secondo la quale si deve rispondere delle conseguenze (prevedibili) del proprio agire. A un sinda­calista convinto che agisca in base all’etica dei principi voi po­trete mostrare in modo assai persuasivo che in conseguenza del suo agire aumenteranno le possibilità della reazione, crescerà l’oppressione della sua classe, verrà rallentata la sua ascesa: ciò non farà su di lui alcuna impressione. Se le conseguenze di un’a­zione derivante da un puro principio sono cattive, a suo giudi­zio ne è responsabile non colui che agisce, bensì il mondo, la stupidità di altri uomini, o la volontà del dio che li ha creati ta­li.

Colui che invece agisce secondo l’etica della responsabilità tiene conto, per l’appunto, di quei difetti propri della media de­gli uomini. Egli non ha infatti alcun diritto – come ha giusta­mente detto Fichte” – di dare per scontata la loro bontà e per­fezione, non si sente capace di attribuire ad altri le conseguen­ze del suo proprio agire, per lo meno fin là dove poteva prevederle. Egli dirà: queste conseguenze saranno attribuite al mio operato. Colui che agisce secondo l’etica dei principi si sente «responsabile» soltanto del fatto che la fiamma del puro prin­cipio – per esempio la fiamma della protesta conto l’ingiustizia dell’ordinamento sociale – non si spenga. Ravvivarla continua­mente è lo scopo delle sue azioni completamente irrazionali dal punto di vista del possibile risultato, le quali possono e devono avere soltanto un valore esemplare.

Ma nemmeno cosi il problema è ancora esaurito. Nessuna etica al mondo prescinde dal fatto che il raggiungimento di fi­ni «buoni» è legato in numerosi casi all’impiego di mezzi eti­camente dubbi o quanto meno pericolosi e alla possibilità, o an­che alla probabilità, che insorgano altre conseguenze cattive. E nessuna etica al mondo può mostrare quando e in che misura lo scopo eticamente buono «giustifichi» i mezzi eticamente peri­colosi e le sue possibili conseguenze collaterali.

Per la politica il mezzo decisivo è la violenza, e quanto sia grande la portata della tensione tra il mezzo e il fine da un pun­to di vista etico lo potete desumere dal fatto, noto a tutti, che i socialisti rivoluzionari (corrente di Zimmerwald) già duran­te la guerra professavano un principio che si potrebbe cosi for­mulare: « Se ci trovassimo a dover scegliere tra un anno di guer­ra ancora e poi la rivoluzione, oppure la pace subito ma senza rivoluzione, noi sceglieremmo ancora qualche anno di guerra! » All’ulteriore domanda: «Che cosa può portare questa rivolu­zione?», qualsiasi socialista dotato di una qualche preparazio­ne scientifica avrebbe risposto che non si poteva parlare di un passaggio a un’economia che si potesse definire socialista nel senso da lui inteso, ma che sarebbe sorta una nuova eco­nomia borghese, la quale avrebbe potuto soltanto far piazza pu­lita degli elementi feudali e dei residui dinastici. Dunque, per questo modesto risultato: «Ancora qualche anno di guerra! » Si potrà certo affermare che in questo caso, anche con una assai salda convinzione socialista, si potrebbe respingere il fine che richiede un tale mezzo. E tuttavia nel bolscevismo e nello spartachismo, e in generale in ogni forma di socialismo rivoluzio­nario, le cose stanno esattamente allo stesso modo, ed è natu­ralmente assai ridicolo quando da questa parte vengono moral­mente rimproverati i «politici della forza» del vecchio regime a causa dell’impiego dell’identico mezzo, per quanto possa es­sere del tutto giustificato il rifiuto dei loro fini.

Qui, in relazione a questo problema della giustificazione dei mezzi attraverso il fine, anche l’etica dei principi sembra in ge­nerale destinata al fallimento. Essa, infatti, ha logicamente sol­tanto la possibilità di respingere ogni agire che faccia uso di mezzi eticamente pericolosi. Logicamente. Nel mondo reale, tuttavia, noi sperimentiamo continuamente che colui il quale agisce in base all’etica dei principi si trasforma improvvisamente nel profeta millenaristico, e che per esempio coloro che hanno appena predicato di opporre «l’amore alla violenza», nell’istante successivo invitano alla violenza – alla violenza ultima , la quale dovrebbe portare all’annientamento di ogni violenza – cosi come i nostri militari dicevano ai soldati a ogni offensiva: questa sarà l’ultima, porterà la vittoria e poi la pace.

Colui che agisce in base all’etica dei principi non tollera l’irrazionalità eti­ca del mondo. Egli è un «razionalista» cosmico-etico. Chi di voi conosce Dostoevskij ricorderà senz’altro l’episodio del Grande Inquisitore, dove il problema è trattato con grande precisione.

Non è possibile mettere d’accordo l’etica dei principi e l’etica della responsabilità oppure decretare eticamente quale fine deb­ba giustificare quel determinato mezzo, quando si sia fatta in generale una qualche concessione a questo principio.

[ …]

Chi vuole fare politica in generale, e soprattutto chi vuole esercitare la politica come professione, deve essere consapevo­le di quei paradossi etici e della propria responsabilità per ciò che a lui stesso può accadere sotto la loro pressione. Lo ripeto ancora: egli entra in relazione con le potenze diaboliche che stanno in agguato dietro a ogni violenza. I grandi virtuosi del­l’amore acosmico per l’uomo e del bene – provengano essi da Nazareth, da Assisi o dai palazzi reali indiani – non hanno ope­rato con il mezzo politico della violenza, il loro regno «non era di questo mondo», e tuttavia agirono e agiscono in questo mondo, e le figure di Platon Karataev e dei santi dostoevskiani sono pur sempre quelle che si adattano meglio a tali modelli. Chi aspira alla salvezza della propria anima e alla salvezza di al­tre anime non le ricerca sul terreno della politica, che si pone un compito del tutto diverso e tale da poter essere risolto sol­tanto con la violenza. Il genio o il demone della politica e il dio dell’amore, anche il dio cristiano nella sua forma ecclesiastica, vivono in un intimo contrasto, che in ogni momento può tra­sformarsi in un conflitto insanabile.

[ …]

In verità: la politica viene fatta con la testa, ma di certo non con la testa soltanto. In ciò coloro che agiscono in base al­l’etica dei principi hanno pienamente ragione. Ma se si debba agire in base all’etica dei principi o all’etica della respon­sabilità, e quando in base all’una o all’altra, nessuno è in grado di prescriverlo. Si può dire soltanto una cosa: se adesso, in que­sti tempi (come voi pensate) di n o n «sterile» agitazione – ma l’agitazione non è sempre del tutto genuina passione – se ades­so improvvisamente i politici che agiscono in base al­l’etica dei principi si presentassero in massa con la parola d’or­dine: «Non io, ma il mondo è stupido e mediocre, la responsa­bilità per le conseguenze non riguarda la mia persona, ma gli altri, al cui servizio io lavoro, e la cui stupidità o volgarità io sradicherò», io dico allora apertamente che in primo luogo vor­rei interrogarmi sulla sostanza interiore che sta die­tro questa etica dei principi. Ho la sensazione che in nove casi su dieci mi troverei di fronte a degli spacconi che non sentono realmente ciò che assumono su di sé, ma si inebriano di sensa­zioni romantiche. Ciò non mi interessa molto dal punto di vi­sta umano e mi lascia del tutto indifferente. Suscita invece un’e­norme impressione sentir dire da un uomo maturo – non importa se vecchio o giovane anagraficamente – il quale sente realmente e con tutta la sua anima questa responsabilità per le conseguenze e agisce in base all’etica della responsabilità: «Non posso fare altrimenti, di qui non mi muovo». Questo è un at­teggiamento umanamente sincero e che commuove. E infatti una tale situazione deve certamente potersi verificare una volta o l’altra per chiunque di noi non sia privo di una pro­pria vita interiore. Pertanto l’etica dei principi e l’etica della re­sponsabilità non costituiscono due poli assolutamente opposti, ma due elementi che si completano a vicenda e che soltanto in­sieme creano l’uomo autentico, quello che può avere la «vo­cazione per la politica».

[ …]

La politica consiste in un lento e tenace superamento di du­re difficoltà da compiersi con passione e discernimento al tem­po stesso. E certo del tutto esatto, e confermato da ogni espe­rienza storica, che non si realizzerebbe ciò che è possibile se nel mondo non si aspirasse sempre all’impossibile. Ma colui che può farlo deve essere un capo e non solo questo, ma anche – in un senso assai poco enfatico della parola – un eroe. Pure coloro che non sono né l’uno né l’altro devono altresì armarsi di quella fer­mezza interiore che permette di resistere al naufragio di tutte le speranze, già adesso, altrimenti non saranno in grado di rea­lizzare anche solo ciò che oggi è possibile. Soltanto chi è sicu­ro di non cedere anche se il mondo, considerato dal suo punto di vista, è troppo stupido o volgare per ciò che egli vuole of­frirgli, soltanto chi è sicuro di poter dire di fronte a tutto que­sto: «Non importa, andiamo avanti», soltanto quest’uomo ha la «vocazione» per la politica.

Da: Max Weber, La scienza come professione. La politica come professione, Edizioni di Comunità, 2001, pagg. 97-113


Altre informazioni su questo argomento rintracciabili in rete:

https://tinyurl.com/2p86xbse


Pierre Hadot, Ricordati di vivere. Goethe e la tradizione degli esercizi spirituali, Raffaello Cortina, 2008

In “Ricordati di vivere”, Pierre Hadot esplora i legami tra il pensiero di Goethe e la tradizione degli esercizi spirituali dell’antichità, con un focus particolare sull’importanza di vivere nel momento presente

Hadot dimostra come Goethe si inserisca in una corrente filosofica che valorizza l’esistenza terrena, in contrasto con la ricerca della felicità in un “aldilà”

Punti chiave del libro:

  • Esercizi spirituali: Hadot definisce la filosofia antica come un insieme di esercizi spirituali mirati alla trasformazione personale piuttosto che alla mera informazione Questi esercizi aiutano a staccarsi dall’ego e ad aprirsi a una visione più ampia
  • Concentrazione sul presente: Il libro sottolinea l’importanza di concentrarsi sull’attimo presente, traendo ispirazione dagli epicurei e dagli stoici1. Hadot evidenzia come Goethe considerasse il presente come unica fonte di felicità, rifiutando la nostalgia per il passato e l’ansia per il futuro
  • Goethe e la tradizione greca: Hadot analizza come Goethe si inserisca nella tradizione della filosofia greca, specialmente per quanto riguarda la necessità di vivere nel presente
  • Consapevolezza della morte: Il libro esplora il ruolo della consapevolezza della finitezza della vita nel pensiero epicureo e stoico La pratica di immaginare ogni giorno come l’ultimo permette di apprezzare il valore infinito del piacere di esistere nel momento
  • Critica all’idealizzazione del mondo antico: Hadot critica Goethe per aver idealizzato eccessivamente l’uomo greco antico, suggerendo che anche gli antichi dovevano esercitarsi per raggiungere la felicità

In sintesi, “Ricordati di vivere” è un invito appassionato a riscoprire la saggezza degli antichi per vivere una vita più piena e consapevole nel presente3. Il libro suggerisce che la felicità non è un obiettivo da raggiungere, ma una pratica quotidiana che richiede impegno e attenzione

  1. https://www.filosofiprecari.it/wordpress/?p=1946
  2. https://www.luccasapiens.it/libri-autore/pierre-hadot.html
  3. https://www.raffaellocortina.it/scheda-libro/pierre-hadot/ricordati-di-vivere-9788860302519-1228.html
  4. https://www.ibs.it/ricordati-di-vivere-goethe-tradizione-libro-pierre-hadot/e/9788860302519
  5. https://www.libreriauniversitaria.it/ricordati-vivere-goethe-tradizione-esercizi/libro/9788860302519
  6. https://www.libreriacortinamilano.it/scheda-libro/pierre-hadot/ricordati-di-vivere-goethe-e-la-tradizione-degli-esercizi-spirituali-9788860302519-300426.html
  7. https://www.lafeltrinelli.it/ricordati-di-vivere-goethe-tradizione-libro-pierre-hadot/e/9788860302519
  8. https://www.raffaellocortina.it/autore-pierre-hadot-984.html

Pierre Hadot, La filosofia come modo di vivere. Conversazioni con Jeanne Carlier e Arnold Davidson, Einaudi, 2008

La filosofia come modo di vivere di Pierre Hadot esplora la filosofia come esperienza vissuta, in cui i discorsi filosofici degli antichi sono visti come esercizi spirituali mirati a trasformare l’individuo

Hadot narra di come la pratica filosofica abbia guidato e sostenuto ogni sua scelta esistenziale

Punti chiave del libro:

  • Filosofia come esperienza vissuta Per Hadot, filosofare è un’esperienza vissuta Racconta di un’esperienza che ha cambiato la sua vita, un’esperienza che ha avuto da ragazzo che lo ha portato a definirsi un filosofo
  • Esercizi spirituali I discorsi filosofici degli antichi sono esercizi spirituali che mirano a formare e trasformare noi stessi, non solo a informare
  • Questi esercizi coinvolgono non solo il pensiero, ma anche l’intero psichismo dell’individuo
  • Trasformazione di sé La filosofia è una conversione, una trasformazione della maniera di essere e del modo di vivere, una ricerca della saggezza1. Questo implica liberare gli individui dalle loro superstizioni, paure e pregiudizi per una vita più autentica
  • Impegno comunitario La vita filosofica comporta un impegno comunitario, agendo secondo giustizia e prendendosi cura delle relazioni con gli altri1.
  • Atteggiamenti universali Hadot identifica atteggiamenti universali dell’uomo che emergono in epoche diverse, suggerendo una struttura interiore ben precisa da scoprire e indagare
  • Coraggio di essere La filosofia richiede il coraggio di accettare consapevolmente il fatto di essere parte del mondo, trovando splendore nell’esistenza anche in situazioni difficili

  1. https://www.doppiozero.com/vivere-la-filosofia-pierre-hadot
  2. https://www.ibs.it/filosofia-come-modo-di-vivere-libro-pierre-hadot/e/9788806191382
  3. https://www.asia.it/articoli/hadot-filosofia-modo-di-vivere/
  4. https://www.librerie.coop/autori/pierre-hadot/
  5. https://www.einaudi.it/catalogo-libri/filosofia/filosofia-antica/la-filosofia-come-modo-di-vivere-pierre-hadot-9788806191382/
  6. https://www.luccasapiens.it/scheda-libro/pierre-hadot/la-filosofia-come-modo-di-vivere-conversazioni-con-jeannie-carlier-e-arnold-i-davidson-9788806191382-922613.html
  7. https://www.ninoaragnoeditore.it/opera/la-filosofia-come-modo-di-vivere
  8. https://www.mondadoristore.it/filosofia-come-modo-vivere-Pierre-Hadot/eai978880619138/

Filosofia, citazioni raccolte nei primi anni 2000 nel sito segnalo.it

da: https://www.segnalo.it/TRACCE/CIT/CIT.htm

filosofia

Gli altri formano l’uomo; io lo racconto e ne rappresento uno in particolare assai mal fatto, e il quale, se avessi da

modellare nuovamente, farei invero diverso da quel che è. Oramai, è fatto. Ora, le linee del mio ritratto non si

disperdono, benché cambino e si diversifichino. Il mondo non è che un movimento continuo. Ogni cosa vi si muove

senza tregua: la terra, le rocce del Caucaso, le piramidi d’Egitto, e del movimento pubblico e del proprio. La stessa

costanza altro non è che un movimento più languido. Non posso assicurare il mio oggetto. Se ne va fosco e

barcollante, di una ebbrezza naturale. Lo colgo in questo punto, come si presenta, nell’istante in cui me ne

interesso. Non dipingo l’essere. Dipingo il passaggio [.]. E’ un controllo di diversi e mutevoli avvenimenti cangianti e

d’immaginazioni irrisolte e, quando capita, contrarie; che io sia un altro me stesso, o che io colga i soggetti da altre

circostanze e considerazioni. Tant’è che mi contraddico talvolta, ma la verità, come diceva Demadio, non la

contraddico affatto. Se la mia anima potesse essere ferma, non mi saggerei, mi risolverei; è sempre in formazione e

in prova. Quella che propongo è una vita semplice e senza lustro, è un tutt’uno. Si può legare altrettanto bene tutta

la filosofia morale a una vita popolare e privata che a una vita di stoffa più ricca; ciascun uomo porta in sé la forma

intera dell’umana condizione.

Michel de Montaigne

Saggi (vol.III)

 

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Analisi testuale

 

Titolo:

 

Il titolo sembra perdersi nell’insieme tanto vasto quanto anonimo del genere del saggio. In realtà, il contenuto di

questo passo mostra fino a che punto esso sia significativo ed appropriato: il libro si intitola “saggio” precisamente e

 letteralmente perché lo scopo dell’autore è quello di saggiarsi attraverso la scrittura, e allo stesso tempo quello di

farsi saggiare dal lettore. Infatti, l’oggetto del libro è il racconto di sé in quanto uomo (“io racconto [l’uomo] e ne

rappresento uno in particolare”). Un riferimento chiaro al legame che c’è tra il titolo e il saggiarsi si trova alla fine del

primo paragrafo: “Se la mia anima potesse essere ferma, non mi saggerei, mi risolverei”; qui Montaigne indica

esplicitamente la ragione del suo libro, e quella della scelta del titolo.

 

Oggetto:

 

Se è vero che l’oggetto del racconto è un uomo “in particolare”, ciò non significa che esso sia “degno” di essere

“raccontato” per motivi a lui intrinseci: quest’uomo non è né particolarmente importante né in alcun modo esemplare

(“ne rappresento uno assai mal fatto” – par. 1; “Quella che propongo è una vita semplice e senza lustro” – par. 2). In

altre parole, qui non si tratta, come nel caso delle Confessioni di Rousseau (1765-70), di parlare di sé perché si

vuole rivendicare la dignità del soggetto individuale. L’IO narrante parla di sé unicamente perché appartiene al

genere umano, come uno dei tanti possibili rappresentanti dell’Uomo, perché “si può legare altrettanto bene tutta la

filosofia morale a una vita popolare e privata che a una vita di stoffa più ricca” (par. 2).

 

Forma:

 

Come abbiamo già detto, l’oggetto del libro è il racconto di sé. Ma questa osservazione necessita di alcune

precisazioni. Gli Essais (Saggi) di Montaigne non sono né un diario né un’autobiografia: infatti, a differenza del

diario, non abbiamo nessuna successione cronologica né divisione in sezioni con datazioni diverse; e a differenza

dell’autobiografia, non ci viene presentata la vita di un uomo che è importante nella sua individualità (storica, sociale,

 ecc.), raccontandola secondo uno schema ordinato e volto a dimostrare qualcosa. Gli Essais sono il risultato di una

 scrittura aperta, il cui unico scopo è quello di “raccontare” un uomo.

 

Ritmo:

 

Dato che non segue nessun ordine, né cronologico né causale, la narrazione, ci avverte Montaigne, si sviluppa

seguendo i pensieri del narratore, attraverso un movimento fluido e altalenante, retto unicamente dalla legge della

libera associazione di idee. Essa perciò sembra essere lasciata andare a briglia sciolta, in maniera disordinata e

incoerente; in realtà, è il frutto di un attento criterio stilistico, di un vero e proprio metodo sperimentale: come ha fatto

 notare un famoso critico, Auerbach*, il ritmo narrativo in Montaigne è spiegato e giustificato (dallo stesso autore-

narratore) attraverso un preciso sillogismo: 1. Io racconto un uomo particolare (me stesso) 2. Ogni cosa nel mondo

è in continuo movimento e cambiamento 3. Perciò: io, che faccio parte del mondo, sono in continuo movimento, e la

mia narrazione, che si vuole adattare al suo oggetto, è altrettanto mutevole.

 

Temi principali:

 

    *

 

      Il divenire: la maggior parte del primo paragrafo è interamente dedicata a questo tema. Attraverso la

constatazione che tutto, nel mondo, è in movimento, per motivi esterni o propri (“del movimento pubblico e del

proprio”), Montaigne arriva a spiegare come il suo oggetto (cioè se stesso) gli sfugga (“se ne va fosco e

barcollante”). L’unico modo per lui di “assicurarlo” (di catturarlo, di coglierlo) è quello di prenderlo “così come si

presenta”, cioè in movimento. Perciò può affermare di non dipingere l’essere (ciò che è stabile), ma il passaggio. Per

 lo stesso motivo lui, al contrario degli altri, non può formare l’uomo, ma soltanto raccontarlo, poiché per formarlo

bisognerebbe averne prima fissato l’essenza. Di nuovo, questa è pure la ragione per cui egli, in quanto essere


 

mutevole, non può risolversi, ma unicamente saggiarsi.

    * La semplicità: Montaigne insiste nel ribadire che egli non “racconta” se stesso perché ha particolari qualità che

lo rendono interessante in quanto individuo. Si presenta come “una vita semplice e senza lustro”, non tanto perché

ciò sia vero in pratica (Montaigne era, in effetti, un nobile ed una delle persone più in vista in Francia all’epoca in cui

ha vissuto), quanto perché così è nelle intenzioni: se avesse voluto raccontare di sé come uomo illustre, avrebbe

potuto farlo benissimo, ma ciò che gli preme è il raccontarsi come uomo. Egli richiede a se stesso una sola qualità:

l’umanità, perché tanto basta alla sua filosofia morale.

    * La verità: l’unica condizione richiesta dal suo lavoro è la sincerità nel parlare di sé. Questa condizione è seguita

in maniera molto rigorosa da Montaigne, tanto da poter affermare che persino nella sua incoerenza egli è in realtà

perfettamente coerente con la propria natura (“mi contraddico talvolta, ma la verità, come diceva Demadio, non la

contraddico affatto”).

 

Osservazioni conclusive:

 

    * La differenza tra un libro come Le confessioni di Rousseau e i Saggi di Montaigne riflette la differenza che

esiste tra due secoli tanto distanti come il ‘700 e il ‘500. Quando Rousseau, da vero pre-romantico, decide di

scrivere un libro su se stesso, l’intento principale è quello di rivendicare la dignità della propria persona in quanto

possibile oggetto di un libro (ricordiamo che Rousseau era un borghese, e che si rivolgeva ad un pubblico

principalmente aristocratico). In Montaigne non c’è alcuna rivendicazione personale ed individuale: se scrive di sé, è

 il proprio essere uomo che lo interessa, ed in questo rispecchia perfettamente il ‘500, secolo dell’Umanesimo.

    * Come abbiamo visto, gli elementi principali di questo passo sono: 1) la volontà di presentare se stessi in maniera

 semplice e al contempo rigorosa; 2) la necessità di parlare del proprio oggetto attenendosi alla verità; 3) il desiderio

di cogliere questo oggetto nella sua complessità e totalità; 4) la necessità di adeguare lo stile narrativo all’oggetto

della narrazione. Tutti questi elementi riflettono perfettamente il pensiero rinascimentale, che si contraddistingue, tra

l’altro, per il tentativo di costruire un sistema stabile al cui centro stia una visione armoniosa e completa dell’Uomo.

 

* Erich Auerbach, Mimesis (Il realismo nella letteratura occidentale), Vol. II, cap. 2.

filosofia coscienza laica

“coscienza laica: quella parte di coscienza, presente in ogni uomo, credente o non credente, che cerca la verità per

 se stessa e non peR appartenere a una istituzione; quella parte della coscienza che vuole aderire alla verità, ma

vuole farlo senza alcuna forzatura ideologica, di nessun tipo, e se accetta una cosa lo fa perchè ne è

profondamante convinta e non perchè l’abbia detto uno dei numerosi papi o uno degli altrettanto numerosi papi della

cultura laicista”

Vito Mancuso, L’anima e il suo destino, Raffeallo Cortina, 2007 p. 1

filosofia coscienza laica

“coscienza laica”:

 

“intendendo con ciò quella parte della coscienza, presente in ogni uomo, credente o non credente, che cerca la

verità per se stessa e non per appartenere a un’istituzione; quella parte della coscienza che vuole aderire alla

verità, ma vuole farlo senza alcuna forzatura ideologica, di nessun tipo, e se accetta una cosa, lo fa perché ne è

profondamente convinta, e non perché l’abbia detto uno dei numerosi papi, o uno degli altrettanto numerosi antipapi

della cultura laicista. La vera laicità significa ritenere conclusivo non il principio di autorità ma la luce della

coscienza.”

Vito Mancuso, L’anima e il suo destino, Raffaello Cortina 2007, pag 1


 

FILOSOFIA ETICA

La legge morale – dice Kant nella Critica alla ragion pratica, I, 1, 3 – deve essere concepita e accettata come un

dovere “utile e valido” in sé (questo è quanto ribadisce anche Hegel nel paragrafo 503 dell’Enciclopedia delle

scienze filosofiche). Il punto è comunque sempre relativo alla questione dell’autorità. E’ necessaria un’autorità che

parli agli altri o “per conto degli altri” sui temi della morale? E se sì, da dove questa autorità trae e legittima (vorrei

quasi dire “sussume”, visto che l’ambito morale è sempre personale) le proprie argomentazioni fino a reputarle

“legittime”? E ancora, possono queste argomentazioni avere valore universale? Se consideriamo la morale al pari

delle altre forme di conoscenza, dovremmo dire che non esiste in sé una logica che giustifichi un’autorità nel campo

della morale. Kantianamente parlando, ognuno costruisce la propria impalcatura morale inserendola nel più ampio

“spettro” delle morali altrui al fine di coabitarvi. Se invece vogliamo considerare, con Hume e i naturalisti, la morale

svincolata dalle altre forme di conoscenza umana e collocarla in un ambito più “utilitaristico”, legata cioè alle

contingenze temporali e pratiche, allora il discorso cambierebbe ancora. Ma risulta chiaro che essa perderebbe

gran parte di quei “valori” universali a cui potrebbe far riferimento, di volta in volta, una qualsiasi autorità che

volesse proporla o – peggio ancora – “imporla”.

A differenza di altri, sui temi della morale non ho certezze, anche se – ovviamente – è uno dei temi che più indago e

che più mi sta a cuore. Non credo che una vita incentrata su una morale – per così dire – “autonoma”, abbia minori

garanzie di “validità” rispetto a quella che segue principi “dettati” dall’alto. Non credo cioè sia una questione di valori

“orizzontali” o “verticali” ad informare un principio etico, quanto piuttosto la capacità di considerare che le pretese

dell’altro, se non vogliono conculcare il mio “principio particolare”, sono lecite. Diverso è quando, su molto vaghi e

fumosi “principi universali”, si vuole concentrare una vasta idea di morale; qui il rischio di sfociare in un certo

“assolutismo” del pensiero è assai probabile. Come probabile diventa anche il pericolo di una radicalizzazione delle

varie “morali”, fino al mancato riconoscimento dell’altro o – peggio ancora – alla pretesa “immoralità” di chi non

accoglie il principio etico di una autorità autoproclamatasi “morale”, anche in palese contraddizione con la propria

storia e la propria pratica quotidiana.

FILOSOFIA LOGOS

Logos in greco è un termine assai plastico, che significa abitualmente «parola», intesa nelle sue forme più diverse

(«discorso», «racconto», «detto», «resa dei conti»…). Ma vuol dire anche «ragione», «senso», e la sua radice leg-

richiama una raccolta, un nesso, un legame. Appartiene al linguaggio comune, ma da Eraclito nel VI sec. a.C., è

stato introdotto in quello filosofico per indicare il principio universale e coesivo del mondo

FILOSOFIA MICHEL DE MONTAIGNE

«Non conosco libro più calmo, e che disponga maggiormente alla serenità» scrisse Flaubert dei Saggi, e certo, tra i

grandi libri in cui si è espressa la cultura occidentale, non molti sono quelli che presentano altrettanto immediata

l’impronta di uno spirito sereno, coordinatore sovrano e misurato di un’infinita e fluttuante varietà di contenuti.

Sorretta da una curiosità che non si arresta davanti a nulla, l’indagine serrata (se pure niente affatto sistematica)

che Montaigne conduce nel suo libro vede i suoi risultati ridotti a un’unica costante che è lo studio di sé, delle proprie

 humeurs et conditions, e attraverso di esso arriva alla rappresentazione dell’uomo «dipinto per intero, e tutto nudo».

 Persuaso che tutto sia stato detto e preoccupato di dimostrare che lo spirito umano rimane sempre simile a se

stesso, egli giunge, paradossalmente, alla conclusione che nulla può dirsi che sia certo, se non che tutto è incerto.

Questo gli apre le porte per un viaggio senza fine all’interno di se stesso, solo oggetto possibile della sua ricerca

perché il solo verificabile mediante l’esperienza diretta e, in fondo, il solo interessante per lui: «Io oso non soltanto

parlare di me, ma parlare soltanto di me…». Le parti sono così rovesciate; l’uomo non deve accettare una linea di

condotta precostituita, anche se resa venerabile da una tradizione solida e ormai acquisita, né districare nella selva

di dottrine contraddittorie quella che gli serva come filo conduttore per la propria vita; egli deve piuttosto esprimere

un modo di vita che si propone appunto di essere peculiare e unico. Questa accanita, quasi puntigliosa reductio di

tutta la cultura precedente è stata indubbiamente la grande scoperta di Montaigne, e quella che ha fatto dei Saggi un

 punto fermo nella storia della cultura occidentale. Il libro è sì la grande summa in cui vengono esposte, criticate,

parzialmente accettate o respinte con stupefacente libertà di giudizio le teorie tradizionali più generalmente accolte, il

 grande serbatoio attraverso cui fluisce lo spirito classico e in cui si raccolgono, filtrate, tutte le principali correnti del

 pensiero antico, ma soprattutto è la prima grande rappresentazione moderna dell’uomo nella sua condizione tutta

umana, sradicata, parrebbe, dal suo rapporto esistenziale con la totalità – ma non da quello con la Natura –,

dell’uomo come unico punto di riferimento per ogni azione e ogni giudizio. L’uomo di Montaigne, questo soggetto

«vano, vario e ondeggiante», non è più l’eroe che cerca di superare la propria condizione in uno sforzo tragico o

mistico, ma l’uomo nuovo, l’honnête homme, che accetta se stesso, le sue potenzialità e i suoi limiti. I Saggi sono

perciò il primo grande sforzo, pienamente consapevole, di fare dell’indagine psicologica e morale la sostanza stessa

 dell’attività letteraria, giacché il chiarire a se stessi per mezzo della parola le proprie «fantasie informi» diventa in

realtà un modo di vivere più compiutamente: «Non son tanto io che ho fatto il mio libro, quanto il mio libro che ha fatto

 me, libro consustanziale al suo autore, di un’utilità personale, membro della mia vita…».

Da risvolto della edizione Adelphi


 

FILOSOFIA MICHEL DE MONTAIGNE

QUALCHE RIFLESSIONE SU MICHEL DE MONTAIGNE

Giovanni Greco

Università di Bologna

 

Il  Viaggio in Italia di Montaigne – per molte ragioni già chiarite da voci attendibili e per altre che tenterò qui di esporre

– può considerarsi un classico tout court. Così, preliminarmente, mi chiedo con Roberto Roversi: «Sono ancora i

classici il ponte di liane degli incas, tremolanti su tremendi strapiombi, che con filo di dura corda e pezzetti di legno

uniscono ripe lontane e contrapposte altrimenti inaccessibili? Resistono ancora ad essere lo specifico miracoloso di

lunga durata?». E la risposta, per me come per numerosi altri lettori, è sì: non dobbiamo, per esempio, resistere alla

tentazione di attraversare la passerella tesa fra la società organizzata e la giustizia ingiusta dell’emarginazione, o

fra le più diverse sensibilità contemporanee e le antiche tradizioni culturali. Per di più, i classici antichi e moderni ci

consentono di alimentare – è proprio Montaigne a sostenerlo persuasivamente – «un retrobottega tutto nostro,

assolutamente autonomo, ove conservare la nostra libertà, avere il nostro più importante rifugio, godere della nostra

 solitudine».   

 

Montaigne non coltiva pregiudizi di stile, ma ha il culto costante dell’antico classico, a cui consacra riflessioni di

notevole respiro, alla Sainte-Beuve per intenderci. Nel panorama del pensiero moderno poi, come si sa, occupa un

ruolo davvero centrale il nostro Michel Eyquem, signore di Montaigne, latifondista benestante e produttore di vini,

autore sostanzialmente di un’unica, incomparabile opera, i Saggi. Invero, il Viaggio in Italia di cui ora ci occuperemo –

anche leggendolo come uno specchio dell’epoca mirabile e miserabile in cui è stato steso – può considerarsi de

plano un arricchimento ed un potenziamento degli Essais, nonché una chiave con cui penetrare nell’essenza

spirituale del Rinascimento europeo.

 

Montaigne – questo inesauribile maître à penser cinquecentesco che ci accade così sovente di sentir  prossimo alla

nostra inquieta “condizione postmoderna” – soffre sì del mal della pietra, ma trova nelle ragioni terapeutiche pure un

pretesto onde intraprendere un viaggio intensamente desiderato: si reca, pertanto, nelle più rinomate stazioni termali

 dell’epoca, dai bagni di Plombières ai Bagni della Villa (l’odierna Bagni di Lucca), presso cui si sottopone alle varie

cure con una diligenza venata di scetticismo, che non sa farsi troppe illusioni su risultati e giovamenti.

 

Montaigne amava talmente viaggiare, visitare luoghi sconosciuti che, alla stessa stregua del lettore trasportato ed

avvinto dal libro che sfoglia, soffriva nel timore che l’opera stesse per giungere alla conclusione: «aveva tanto

piacere di viaggiare che odiava la vicinanza del luogo in cui si sarebbe dovuto fermare».

 

Il Viaggio in Italia non era destinato alla pubblicazione, e fu scritto in buona parte (poco meno della metà) da un

famiglio di Montaigne di cui non ci è nota l’identità, ma che – come acutamente chiarito da Fausta Garavini, esegeta

ed interprete straordinaria dell’intera opera montaignana – era tutt’altro che sprovveduto dal punto di vista culturale.

A partire dal soggiorno lucchese, Montaigne prova quindi a cimentarsi con la lingua italiana, che dimostra peraltro di

saper usare con una certa studiata familiarità.

 

Se il Viaggio in Italia di Stendhal «è uno stupendo romanzo», se quello di Montesquieu – anch’egli, come Montaigne,

grande cittadino di Bordeaux – risulta ictu oculi pieno di vita, colore e gusto, il Viaggio in Italia del nostro homme de

lettres – lo ha sostenuto con dovizia di argomenti Guido Piovene – è certamente assai meno pretenzioso, ma, fra tutti

 i libri riconducibili a questo genere oltremodo apprezzato e fortunato,  è  il più bello e il più moderno in assoluto. Non

casualmente Sergio Solmi riteneva che i lavori di Montaigne rappresentassero un’autobiografia di pensieri più che di

fatti: peraltro, già il grande Sainte-Beuve era convinto che Montaigne, autore superbo per profondità e universalità,

fosse l’ “Orazio dei francesi”: «Il suo libro è un tesoro di osservazioni morali e di esperienza. A qualsiasi pagina lo si

 apra e in qualsiasi condizione di spirito, si può star sicuri di trovarci qualche pensiero saggio espresso in modo

vivido e duraturo, che spicca immediatamente e s’imprime, un bel significato in una parola piena e sorprendente, in

una sola lega forte, familiare o grande».

 

Montaigne ha quella che è forse la dote più rilevante dell’autentico viaggiatore, ossia la consapevolezza di non

essere superiore a nessuno; non accetta che il viaggiatore girovaghi per il mondo lamentandosi di non trovare ciò a

cui è abituato: gli piace per contro adeguarsi alle varie peculiarità territoriali, e mai compirebbe un viaggio per

comprovare un preconcetto. Ciononostante, il confronto fra i paesi tedeschi e gli italiani è a nostro netto svantaggio

per l’ordine, la cucina, il benessere, l’onestà,  gli edifici, le finiture,  le finestre senza vetri,  gli alloggi, le seduzioni

inferiori alle attese, le donne etc.

 

Il “bastione Montaigne”, per utilizzare certe tipologie di Albert Thibaudet, è il bastione dell’uomo interiore, con gocce

di sangue ebraico (la madre era ebreo-spagnola), tradizionalista, moderno, cosmopolita, cattolico, antisistematico,

tant’è che «stoicismo, epicureismo, scetticismo coesistono in lui». Montaigne è, per dirla con Giovanni Macchia, il

maestro del dubbio, del dubbio inteso come antidoto onde tentare di giungere alla verità per quanto concerne sia il

passato sia il presente, il dubbio, ancora, che pervade le ombre e i contorni del futuro. Montaigne sostiene poi che

«la peste dell’uomo è il credere di sapere», e desidera discorsi che «colpiscano il dubbio là dov’è più forte»,

coltivando perciò il dubbio e le cose nella loro essenza. Non per caso Sainte-Beuve definì ore rotundo Montaigne «le

 français le plus sage qui aie jamais existé». Fra le altre cose, il nostro filosofo dirà dei commentatori dei suoi tempi

che «c’è più da fare a interpretare le interpretazioni che a interpretare le cose».

 

Montaigne, che ha conosciuto il latino come lingua madre e nutre un’autentica adorazione per la poesia, è nemico

giurato della noia e di ogni forma passiva e sterile di ozio, nonché scrittore che afferma persuasivamente di

sforzarsi di comporre la sua opera con la maggior sincerità possibile: egli sottolinea con energia quest’ultima, rara


 

qualità già nel decisivo ed incisivo incipit dei Saggi  («Questo, lettore, è un libro sincero»),  indicando così con

efficacia il percorso che intende seguire, un progetto che al centro  ha la sua stessa persona («sono io la materia

del mio libro»). Del resto, in uno dei suoi più riusciti autoritratti egli prova a spiegare come vede se stesso e perché

parli di sé in quel suo modo sconcertante e inconfondibile: «Se dico cose diverse di me, è perché mi guardo da

angolature diverse. Tutti gli opposti si ritrovano in me in qualche piega o maniera. Discuto, insolente; casto,

lussurioso; chiacchierone, taciturno; laborioso, svogliato; ingegnoso, ottuso; triste, allegro; imbroglione, sincero;

dotto, ignorante e liberale, e avaro, e prodigo, tutto ciò io lo vedo in me in qualche modo, a seconda di come mi giri; e

 chiunque si studi attentamente trova in se stesso, e anzi nel suo stesso giudizio, questa volubilità e discordanza.

Non posso dir nulla di me una volta per tutte, semplicemente e per sempre, senza confusione e mescolanza, né in

una parola».

 

Montaigne è l’uomo di provincia esemplare, è davvero uno scrittore nato, è una coscienza fine ed irrequieta legata

anche sentimentalmente alle discipline giuridiche, è un letterato che, per così dire, si consegna alla carta, è un

filosofo che ritiene l’aspirazione alla saggezza una sorta di gioia permanente. Ha una visione grosso modo laica di

quel cattolicesimo che stima una pratica virtuosa significativa, il miglior modo (forse) di cogliere elementi di autentica

religiosità.

 

E’ perfettamente consapevole, comunque, della straordinaria difficoltà, per gli uomini, di riconoscere ed afferrare la

verità, convinto com’è che la verità umana, per dirla con Spagnol, si trova più spesso arrotolata fra i panni sporchi

che non nelle pieghe delle solenni cartapecore. Gli è inoltre ben noto che, non di rado, la conoscenza del vero è

conoscenza del nero (Rigoni). Montaigne sembra persino credere che, se è opportuno tendere sempre e comunque

 alla verità, essa tuttavia va probabilmente rivelata solo di quando in quando. In piena sintonia con lui è un altro

grande moraliste, quell’Oscar Wilde persuaso del fatto che «la verità di rado è pura, e non è mai semplice». Ancora,

basta una semplice lettura dell’opera montaignana per comprendere non solo quanto gli stessero a cuore quei temi e

 problemi di natura morale e pedagogica che andava costantemente indagando nei suoi diletti libri, così come nel

proprio non meno amato percorso esistenziale, ma anche quanto fosse forte in lui – che reputava fra l’altro,

evangelicamente, l’uomo un umilissimo vaso d’argilla – il gusto per le sentenze bibliche e classiche.

 

La sua Weltanschauung sfocia nel concetto di salute fisica e morale, come acutamente sostenne in pagine famose

Sergio Solmi, che definì la “salute” di Montaigne una qualità innata, un elementare e supremo equilibrio di vita. Quindi:

 tener saldo il fisico e non consentire alcun condizionamento alla moralità, per definire un modello di vita preciso e

costruttivo. E non mi sembra davvero un caso che uomini tutt’altro che ingenui e sprovveduti abbiano deciso di

formarsi in maniera a un tempo virtuosa e serena, severa e tollerante, virile e delicata, leggendo e rileggendo

Montaigne: in verità, gli Essais sanno suscitare come ben pochi libri, nell’animo del lettore non distratto, il desiderio

autentico, la volontà di autoeducarsi in maniera equilibrata.

 

Nei Saggi – ove l’antropologo (in senso etimologico) prevale sul cronista, che la fa invece da padrone nel Viaggio in

Italia – la preoccupazione maggiore di Montaigne è, come accennato, che le sue pagine siano immediatamente

percepite come un libro sincero. Aspira perciò a presentarsi senza infingimenti ed assicura che, se si fosse trovato

 fra popoli primitivi, si sarebbe denudato completamente: «Voglio che mi si veda qui nel mio modo d’essere semplice,

naturale e consueto, senza affettazione né artificio: perché è me stesso che dipingo. Si leggeranno i miei difetti

presi sul vivo e la mia immagine naturale».


 

FILOSOFIA PSICANALISI SENSO

L’ultimo tratto di percorso del Pensiero Uno è scaturito, al termine del mio percorso, come ultima risposta

all’interrogativo che mi si era imposto fin dall’infanzia:

– Cosa vuole dire che è ciò che è?

Incalzata da questo interrogativo, durante l’adolescenza ne cercai risposta nel pensiero filosofico. Ma neppure

l’ontologia hegeliana, pur nella sua visione di sintesi, mi si presentava come esaustiva, in quanto la vita, nella sua

concreta oggettualità, ne era irrecuperabilmente esclusa. La vita stessa allora mi costrinse a cercare la risposta

nella scienza biologica, la quale immediatamente mi svelò l’ordine evolutivo delle forme viventi come l’ordine di una

dinamica evolutiva del pensiero. Mi sembrò allora giunto il momento di tornare alla filosofia, per trovare la sintesi tra

spirito e materia nella ritrovata coincidenza tra pensiero e vita. Ma ancora una volta la vita mi indicò che era un’altra

la strada da percorrere, quella della riflessione della vita su se stessa: la strada della psicoanalisi. Fu così che

scoprii anzitutto che il metodo psicoanalitico è l’attuazione concreta della dialettica hegeliana, in quanto in esso è il

soggetto umano, e non più un soggetto astratto, a prendere da sé la distanza riflessiva per conoscere se stesso; e

scoprii ancora che ciò di cui il soggetto umano fa conoscenza è lo stesso metodo del conoscersi del Pensiero che,

a partire dal primo manifestarsi dell’Essere, quale proiezione del Soggetto Pensante Uno fuori di sé, ha dato luogo a

tutto ciò che è. A questo punto un nuovo tentativo di evidenziare la sintesi tra spirito e materia in una rilettura

dialettica del pensiero filosofico fu ancora una volta reindirizzato verso una trattazione scientifica dello strutturarsi

del cosmo, a partire dal primo farsi della materia quale oggettiva-zione del Pensiero nel pensato di sé che è ancora

lui stesso. È qui che in me si fece l’esperienza vivente della originaria dualità dell’Uno e si compì un ulteriore salto

riflessivo, grazie al quale la logica della separazione tra soggetto e oggetto si risolse nella logica unitaria dell’in-

tersoggettività. Da qui in poi, grazie alla progressiva consapevolizzazione di questo più elevato livello di riflessione

come realtà concreta nella quotidiana esperienza dell’intersoggettività, il Pensiero affrontò e infine risolse il problema

 della coincidenza tra il noumenico e il fenomenico; coincidenza nella quale esso riconobbe la sua realtà di Unico

Vivente. È a questo punto che la vita mi ha risospinto infine verso la filosofia, per ripercorrere la via da essa

tracciata a partire dalla crisi del Pensiero Uno, già colta da me adolescente, scaturita all’inizio del XX secolo dalla

messa in questione del pensiero hegeliano e risolta all’inizio del nuovo millennio nella visione unitaria dell’Essere

quale punto di arrivo del pensiero psicoanalitico. E da questa visione unitaria dell’Essere è emersa l’ultima risposta

all’interrogativo essenziale della mia esistenza:

– Cosa vuole dire che è ciò che è?

– Vuole dire che ciò che è è l’esserci della presenza al cospetto d’altra presenza quale è infinito della vita.

 

In : Silvia Montefoschi, L’ultimo tratto di percorso del Pensiero Uno. Escursione nella filosofia del XX secolo, Zephyro

 Edizioni, Milano 2006

filosofia religione

Qual è la differenza tra religione e filosofia?

 

Per la filosofia la trascendenza è l’uomo stesso che, pur essendo un ente finito, è capace di pensare l’infinito. La

religione stabilisce una scissione tra immanenza e trascendenza, proponendo se stessa come tramite tra queste

due entità altrimenti tra di loro incommensurabili

 

Massimo Cacciari

Madera Romano, Vero Tarca Luigi, La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche, Bruno Mondadori, 2003

La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche è un libro di Romano Màdera e Luigi Vero Tarca, pubblicato da Bruno Mondadori nel 2003

Il libro spiega le ragioni per cui la dimensione pratica della filosofia è stata trascurata nel tempo, riproponendo questa sua peculiarità e adattandola al contesto storico odierno

I contenuti del libro

  • Filosofia come cura dell’anima Fin dalle origini, la filosofia si è presa cura dell’anima, e per Platone conoscere l’anima significava conoscere il mondo2. Per gli autori, la filosofia deve innovarsi, considerando attentamente la biografia, per ritrovare la sua vocazione di cura dell’anima
  • Filosofia e Biografia Màdera e Tarca conducono un seminario aperto di pratiche filosofiche presso l’Università di Venezia, che rappresenta un ritorno alla filosofia come pratica, ossia come stile di vita
  • L’esperienza è diventata un’attività in cui il peso dei due autori si è progressivamente ridotto, con i partecipanti che hanno assunto un ruolo sempre più centrale
  • Pratiche filosofiche La pratica filosofica non è un’attività che si conclude una volta raggiunto un risultato, ma piuttosto una maniera di vivere In questo senso, possono essere utili gli esercizi spirituali delle scuole filosofiche antiche, sviluppati nel senso di una filosofia biografica
  • Verità filosofica La filosofia contemporanea ha come esigenza primaria quella di proporre una verità filosofica differente da quella incarnata dalla scienza, riproponendo a livello filosofico lo studio delle questioni relative all’esistenza umana2. La verità della teoria filosofica dipende dal modo in cui il discorso filosofico si realizza, avvicinandosi così alla pratica artistica
  • Comunità filosofica Il darsi della verità filosofica presuppone la costituzione di una comunità filosofica guidata dal principio dell’autorealizzazione solidale, in cui gli individui si rapportano tra loro secondo le regole che incarnano i principi propri della filosofia
  • La pratica filosofica compiuta consiste in una piena integrazione dell’esistenza personale con la vita comunitaria

Romano Màdera è stato professore ordinario di Filosofia Morale e di Pratiche Filosofiche presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca, analista junghiano, fondatore e presidente della Scuola superiore di Pratiche filosofiche Philo di Milano

  1. https://www.lacicalalibri.it/la-filosofia-come-stile-di-vita/
  2. https://centrostudipsicologiaeletteratura.org/2014/02/la-filosofia-come-stile-di-vita-introduzione-alle-pratiche-filosofiche/
  3. https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/01/Romano-M224dera-il-nesso-tra-psicoanalisi-e-filosofia-ff4b552c-de86-4bc9-a52d-992fcf0db96d.html
  4. https://www.ibs.it/filosofia-come-stile-di-vita-libro-romano-madera-luigi-vero-tarca/e/9788842491446
  5. https://books.google.com/books/about/La_filosofia_come_stile_di_vita.html?id=AwSp7OcqoJsC
  6. https://www.mondadoristore.it/filosofia-come-stile-vita-Luigi-Vero-Tarca-Romano-Madera/eai978884249144/
  7. https://www.ebay.it/itm/155988019304
  8. https://www.unilibro.it/libro/madera-romano-tarca-luigi-vero/filosofia-come-stile-vita-introduzione-pratiche-filosofiche/9788842491446

Martin Buber – Confessioni estatiche (Adelphi, 1987)

Confessioni estatiche.

Martin Buber – Confessioni estatiche (Adelphi, 1987)
Pubblicato originariamente nel 1909 e rivisto nel 1921, il volume rappresenta un’antologia unica nel panorama della letteratura mistica. Buber raccoglie testimonianze eterogenee – da Plotino a Ramakrishna, da Simeone il Nuovo Teologo a figure meno note come la pastorella Alpais o la serva Armelle – unificandole attraverso il filo rosso dell’esperienza estatica vissuta come incontro sovrumano1.

Struttura e intento
Buber evita classificazioni gerarchiche o interpretazioni riduttive (psicologiche, fisiologiche), privilegiando la vox humana che tenta di dire l’indicibile16. L’opera si configura come un dialogo trans-storico dove mistici di epoche e culture diverse «parlano una sola voce», quella dell’uomo di fronte all’abisso del divino1.

Influenza culturale
Il libro ha segnato intellettuali come Jorge Luis Borges, che dichiarò: «Tutto ciò che so sull’estasi l’ho imparato da questo libro»6, e Robert Musil, il quale attinse alle Confessioni per i dialoghi mistici tra i protagonisti de L’uomo senza qualità1. Pietro Citati lo definisce «il più bel breviario di mistica» per la capacità di coniugare rigore e potenza visionaria6.

  1. https://www.adelphi.it/libro/9788845902437
  2. https://www.paolinestore.it/confessioni-estatiche.html
  3. https://shop.cavouresoterica.it/products/confessioni-estatiche-martin-buber
  4. https://www.ibs.it/confessioni-estatiche-libro-martin-buber/e/9788845925368
  5. https://www.libreriadelsanto.it/reparti/libri/autori-e-personaggi/autori/buber-martin/427.html
  6. https://www.adelphi.it/libro/9788845925368
  7. https://www.lafeltrinelli.it/confessioni-estatiche-con-saggio-di-libri-vintage-martin-buber/e/2562817141423
  8. https://www.ebay.it/itm/295453381901

Sulla personalità di LUCIEN GOLDMANN; Alcune note su LUCIEN GOLDMANN; Bibliografia essenziale di LUCIEN GOLDMANN, in Utopia n. 9/10, settembre / ottobre 1971

Marco Aurelio, nato il 26 aprile 121 d.C. a Roma

Marco Aurelio, noto come “l’imperatore filosofo”, è una figura centrale nella storia romana e nella filosofia stoica. Nato il 26 aprile 121 d.C. a Roma, da Marco Annio Vero e Domizia Lucilla, mostrò fin da giovane un forte interesse per la filosofia, in particolare per lo stoicismo, che abbracciò nel 133 d.C.[1][2].

Formazione e ascesa al potere

Marco Aurelio ricevette un’educazione completa, studiando lettere latine e greche, giurisprudenza ed eloquenza sotto la guida di Frontone. Fu adottato dall’imperatore Antonino Pio nel 138 d.C., diventando suo successore designato[2][5]. Sposò Faustina, figlia di Antonino Pio, e insieme ebbero tredici figli[3][4]. Divenne imperatore nel 161 d.C., condividendo il potere con il suo fratello adottivo Lucio Vero[1][5].

Regno e sfide

Il regno di Marco Aurelio (161-180 d.C.) fu segnato da numerose difficoltà. Nonostante la sua inclinazione pacifista, dovette affrontare conflitti militari significativi contro le tribù germaniche, come i Quadi e i Marcomanni, che minacciavano i confini dell’Impero[1][4]. Durante il suo governo, Marco Aurelio condusse ben diciassette campagne militari e si trovò a fronteggiare anche una grave epidemia di peste che decimò le sue truppe[2][6].

Marco Aurelio si distinse per la sua umanità e il suo approccio etico alla leadership. Non perseguitò i cristiani, seguendo una politica di tolleranza simile a quella del suo predecessore Traiano. Inoltre, si preoccupò delle condizioni degli schiavi e rinunciò ai lussi personali per affrontare le crisi economiche dell’epoca[1][3].

Opere filosofiche

Oltre alle sue responsabilità politiche e militari, Marco Aurelio è conosciuto per le sue opere filosofiche, in particolare per i “Pensieri”, una raccolta di riflessioni personali che esprimono la sua visione stoica della vita e della virtù. Questi scritti sono considerati tra i testi fondamentali della filosofia occidentale[4][5].

Morte e eredità

Morì il 17 marzo 180 d.C., probabilmente a causa di una peste contratta durante una campagna militare. Gli succedette il suo figlio Commodo, segnando la fine del periodo noto come “l’epoca dei cinque buoni imperatori”[1][2]. Marco Aurelio rimane un simbolo di saggezza e leadership morale, influenzando pensatori e leader attraverso i secoli con il suo esempio di governante giusto e riflessivo.

Citations:
[1] https://www.raiscuola.rai.it/storia/articoli/2022/02/Marco-Aurelio-un-intellettuale-al-potere-88954158-6bb8-47d8-a3a5-2b12cf2ceba7.html
[2] https://www.treccani.it/enciclopedia/marco-aurelio/
[3] https://www.domusweb.it/it/arte/2024/04/24/marco-aurelio-un-imperatore-filosofo.html
[4] https://www.skuola.net/storia-antica/imperatore-marco-aurelio.html
[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Aurelio
[6] https://www.romanoimpero.com/2009/07/marco-aurelio-161-180.html

Lucio Anneo Seneca, noto anche come Seneca il Giovane, nacque intorno al 4 a.C.

Lucio Anneo Seneca, noto anche come Seneca il Giovane, nacque intorno al 4 a.C. a Cordova, in Spagna, da una famiglia di rango equestre. Suo padre, Seneca il Vecchio, era un rinomato retore e filosofo. Seneca si trasferì a Roma per completare la sua educazione in retorica e filosofia, dove si distinse per le sue doti oratorie[1][2][6].

Carriera Politica e Esilio

Seneca iniziò la sua carriera politica nel 31 d.C., diventando questore e poi senatore. Tuttavia, la sua ascesa fu segnata da conflitti con gli imperatori romani. Nel 39 d.C., sotto Caligola, fu condannato a morte ma scampò grazie all’intervento di un’amante dell’imperatore che lo fece passare per moribondo[3][6]. Nel 41 d.C., fu accusato di adulterio e relegato in Corsica, dove scrisse opere significative come la “Consolatio ad Helvium” e “De Brevitate Vitae” durante il suo esilio[1][5].

Nel 49 d.C., grazie all’influenza di Agrippina, madre di Nerone, Seneca tornò a Roma e divenne tutore del giovane imperatore. Durante i primi anni del regno di Nerone (54-59 d.C.), Seneca esercitò una notevole influenza, contribuendo a quello che è conosciuto come il “quinquennio felice”, un periodo caratterizzato da un governo relativamente saggio[2][5][8].

Ritiro e Morte

Tuttavia, con il passare del tempo, il rapporto tra Seneca e Nerone si deteriorò. Nel 62 d.C., sentendosi minacciato dalla crescente ostilità dell’imperatore e dalla perdita della sua influenza, Seneca si ritirò dalla vita pubblica per dedicarsi alla filosofia e alla scrittura[4][6]. Nel 65 d.C., fu coinvolto nella congiura dei Pisoni contro Nerone; l’imperatore ordinò il suo suicidio. Seneca accettò il suo destino con la dignità che caratterizzava il suo pensiero stoico[3][5][7].

Opere e Pensiero

Seneca è celebre non solo per la sua carriera politica ma anche per le sue opere filosofiche e drammaturgiche. Tra i suoi scritti più noti vi sono le “Lettere a Lucilio”, che trattano temi etici e morali, esprimendo i principi dello stoicismo. La sua scrittura è caratterizzata da uno stile incisivo e riflessivo, che ha influenzato profondamente la filosofia occidentale[6][8].

In sintesi, Lucio Anneo Seneca rappresenta una figura centrale nella storia della filosofia romana e della letteratura, simbolo di un’epoca complessa segnata da potere, conflitti personali e profonde riflessioni morali.

Citations:
[1] https://library.weschool.com/lezione/seneca-biografia-de-clementia-consolatio-ad-helviam-matrem-consolatio-polybium-stoicismo-22008.html
[2] https://www.skuola.net/letteratura-latina-eta-imperiale/seneca-biografia124539x.html
[3] https://www.skuola.net/letteratura-latina-eta-imperiale/seneca-vita-pensiero-opere.html
[4] http://www2.classics.unibo.it/Didattica/LatBC/SenOtioIntro.pdf
[5] https://www.teche.rai.it/2021/05/vita-pensiero-seneca/
[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Lucio_Anneo_Seneca
[7] https://www.scuolafilosofica.com/3359/seneca
[8] https://www.treccani.it/enciclopedia/lucio-anneo-seneca/

Epitteto, filosofo greco, nato a Ierapoli (oggi Pamukkale, Turchia) intorno al 50 d.C

Epitteto è stato un importante filosofo greco, esponente dello stoicismo, nato a Ierapoli (oggi Pamukkale, Turchia) intorno al 50 d.C.

La sua vita è segnata da esperienze di schiavitù e successiva emancipazione, che hanno influenzato profondamente il suo pensiero filosofico.

Gioventù e schiavitù

Epitteto nacque in una famiglia di schiavi e fu acquistato da Epafrodito, un liberto di Nerone. Durante la sua giovinezza, Epafrodito gli permise di seguire le lezioni del filosofo stoico Musonio Rufo a Roma[1][2]. Nonostante la sua condizione di schiavo, Epitteto si distinse per la sua intelligenza e integrità morale. Viene descritto come una persona di salute cagionevole e si dice che fosse zoppo[6][7].

Carriera filosofica

Dopo essere stato affrancato, Epitteto iniziò a insegnare filosofia a Roma. Tuttavia, nel 93 d.C., l’imperatore Domiziano emanò un editto che espelleva i filosofi dalla città, costringendolo a trasferirsi a Nicopoli, in Epiro. Qui fondò una scuola che divenne molto popolare e influente[1][3][4]. Tra i suoi allievi più noti vi fu Arriano, che raccolse e pubblicò gli insegnamenti di Epitteto in opere come le Diatribe e il Manuale (o Enchiridion), che sintetizzano il suo pensiero stoico[2][5].

Pensiero e opere

Epitteto non scrisse opere originali; le sue idee ci sono pervenute attraverso gli appunti di Arriano.

La sua filosofia si concentra sull’etica e sulla pratica della virtù piuttosto che sulla speculazione teorica. Sosteneva che la felicità derivasse dalla capacità di distinguere tra ciò che dipende da noi e ciò che non lo fa, enfatizzando l’importanza dell’autocontrollo e della libertà interiore[1][3][4].

La sua visione stoica si caratterizza per un distacco dalle passioni e dall’attaccamento ai beni materiali, promuovendo invece un’esistenza conforme alla natura e alla ragione[2][6].

Epitteto ha avuto un’influenza duratura su pensatori successivi, inclusi Marco Aurelio e il cristianesimo stesso[4][7].

Morte

Epitteto morì intorno al 135 d.C., lasciando un’eredità filosofica che continua a essere studiata e apprezzata fino ai giorni nostri[1][3].

La sua vita e le sue opere rappresentano un ponte tra il pensiero stoico antico e le correnti filosofiche successive.

Citations:
[1] https://www.mondadorieducation.it/risorse/media/secondaria_secondo/greco/schede_sonnino/autori/epitteto.html
[2] https://liberliber.it/autori/autori-e/epictetus-epitteto/
[3] https://www.treccani.it/enciclopedia/epitteto/
[4] https://acciobooks.com/authors/epitteto
[5] https://www.scuolafilosofica.com/628/epitteto
[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Epitteto
[7] https://www.sololibri.net/Epitteto-vita-opere-analisi-Manuale.html

Orazio, poeta romano, nato l’8 dicembre del 65 a.C. a Venosa

Orazio, il cui nome completo è Quinto Orazio Flacco, è stato un illustre poeta romano, nato l’8 dicembre del 65 a.C. a Venosa, una colonia romana situata nell’attuale Basilicata. Figlio di un liberto che divenne esattore delle tasse, Orazio crebbe in una condizione economica relativamente agiata, che gli permise di ricevere un’ottima educazione[1][3][6].

Formazione e Carriera Militare

Dopo aver completato i suoi studi a Roma, Orazio si trasferì ad Atene per approfondire la filosofia e la poesia greca. Durante questo periodo, si arruolò nell’esercito di Bruto per combattere contro le forze di Ottaviano nella battaglia di Filippi nel 42 a.C., dove il suo schieramento subì una pesante sconfitta. Dopo la battaglia, Orazio tornò in Italia grazie a un’amnistia, ma scoprì che il podere paterno era stato confiscato[2][3][4][6].

Inizio della Carriera Poetica

Costretto a cercare un impiego, Orazio divenne segretario di un questore e iniziò a scrivere poesie. La sua carriera poetica decollò quando nel 38 a.C. fu presentato a Mecenate da Virgilio e Vario. Grazie al supporto di Mecenate, Orazio poté dedicarsi completamente alla scrittura[1][3][4][6].

Opere e Temi

Le sue opere più significative includono le Satire, gli Epodi e le Odi.

Le Satire riflettono una critica sociale e morale della sua epoca, mentre le Odi esprimono temi di bellezza, amore e natura, con celebri espressioni come “Carpe Diem” e “Hic et nunc” che invitano a vivere il presente[2][3][4].

Orazio è noto per il suo concetto di aurea mediocritas, che promuove un equilibrio tra gli estremi della vita.

Ultimi Anni e Eredità

Orazio ricevette da Mecenate un piccolo possedimento in Sabina nel 33 a.C., dove trascorse gran parte della sua vita in tranquillità, lontano dalla frenesia di Roma. Morì nel 8 a.C., lasciando un’eredità duratura nella letteratura latina e influenzando generazioni di poeti successivi con il suo stile lirico e i suoi temi universali[1][3][4][6].

La figura di Orazio è quindi emblematica non solo della letteratura romana, ma anche della cultura dell’epoca augustea, rappresentando un ponte tra la tradizione greca e quella latina.

Citations:
[1] https://www.skuola.net/letteratura-latina-eta-augustea/orazio-biografia-opere.html
[2] https://knowunity.it/knows/latino-orazio-6e46154a-ad79-4b6c-9e03-2858c00baf66
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Quinto_Orazio_Flacco
[4] https://sapere.virgilio.it/scuola/superiori/letteratura-storia-filosofia/letteratura-romana/orazio-vita-e-opere-del-poeta-romano
[5] https://www.skuola.net/letteratura-latina-eta-augustea/orazio-vita-opere.html
[6] https://www.sololibri.net/orazio-vita-opere-pensiero.html
[7] https://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/letteratura-latina/augusto/orazio/La-vita.html
[8] https://www.treccani.it/enciclopedia/quinto-orazio-flacco_(Enciclopedia-dei-ragazzi)/