SILVIA RONCHEY incontra JAMES HILLMAN, VIDEO di 48 minuti

CAFFO LEONARDO, La vita di ogni giorno. Cinque lezioni di filosofia per imparare a stare al mondo, Einaudi, 2016

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EMANUELE SEVERINO: interventi registrati da RADIO RADICALE

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EMANUELE SEVERINO, FESTA E POESIA: TRA DANTE E LEOPARDI, Accademia Lunigianese di Scienze “Giovanni Capellini”, La Spezia, 28 maggio 2016, AUDIO di circa 2 ore


fonte informativa:

https://www.accademiacapellini.it/severino.html

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Emanuele Severino, LE LEZIONI raccolte da Diotima Quattroduetre, 2013. Raccolta dei VIDEO

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o LE LEZIONI – YouTube – pamalteo@gmail.com – Gmail

Bibliografia di EMANUELE SEVERINO

* SEVERINO EMANUELE, (2016), Storia, Gioia, Adelphi

* SEVERINO EMANUELE, (2015), Piazza della Loggia. Una strage dimenticata,

* SEVERINO EMANUELE, (2015), In viaggio con Leopardi. La partita sul destino

dell’uomo, Rizzoli

* SEVERINO EMANUELE, (2015), Dike, Adelphi

* SEVERINO EMANUELE, SCOLA ANGELO, a cura di Ines Testoni e Giulio Goggi, (2014),

Il morire tra ragione e fede, Marcianum Press

* SEVERINO EMANUELE, (2014), Sul divenire. Dialogo con Biagio De Giovanni, Mucchi

editore

* SEVERINO EMANUELE, (2013), INTORNO AL SENSO DEL NULLA, ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, a cura di Nicoletta Cusano, (2013), Techne, A lezione da

Emanuele Severino, Mimesis

* SEVERINO EMANUELE, (2013), LA POTENZA DELL’ERRARE, Sulla storia dell’Occidente,

RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2012), NICHILISMO E DESTINO, BOOK TIME

* GALIMBERTI UMBERTO, SEVERINO EMANUELE, VATTIMO GIANNI, (2012), ESSERE,

CORRIERE DELLA SERA

* SEVERINO EMANUELE, (2012), Capitalismo senza futuro, Rizzoli

* SEVERINO EMANUELE, (2012), A lezione da Emanuele Severino: Pòlemos, ovvero le

origini della violenza, MIMESIS EDITORE

* SEVERINO EMANUELE, intervista di Sara Bignotti, (2012), Educare al pensiero, La

Scuola

* SEVERINO EMANUELE, a cura di Nicoletta Cusano, (2012), Polemos, Mimesis, Con

lezioni audio Mp3

* SEVERINO EMANUELE, VITIELLO VINCENZO, (2012), Il Decalogo. Ricordati di

santificare le feste, AlboVerso Edizioni, libro + Cd audio

* SEVERINO EMANUELE, (2012), NASCERE e altri problemi della coscienza religiosa,

RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, a cura di Iris Tion e Giorgio Brianese, (2011), DEL BELLO,

MIMESIS

* SEVERINO EMANUELE, (2011), LA MORTE E LA TERRA, ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (2011), LA BILANCIA. Pensieri sul nostro tempo (articoli sul

Corriere della Sera 1990-1992), RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2010), MACIGNI E SPIRITO DI GRAVITA’, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, a cura di Ugo Perone, (2010), VOLONTA’, DESTINO,

LINGUAGGIO. Filosofia e storia dell’Occidente, ROSENBERG & SELLIER

* SEVERINO EMANUELE, (2010), TECHNE. Le radici della violenza, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, a cura di Luca Taddio e con un saggio di Giorgio Brianese,

(2010), LA GUERRA E IL MORTALE (CON 2 Cd Rom e file Mp3), MIMESIS

* SEVERINO EMANUELE, (2010), PENSIERI SUL CRISTIANESIMO, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2010), Crisi della tradizione occidentale, Christian Mariotti

editore

* SEVERINO EMANUELE, (2010), L’ INTIMA MANO, ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (2010), ISTITUZIONI DI FILOSOFIA, MORCELLIANA

* SEVERINO EMANUELE, (2009), L’ IDENTITA’ DEL DESTINO. Lezioni veneziane (2000-

2001), RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2009), Democrazia, tecnica, capitalismo, Morcelliana

* SEVERINO EMANUELE, (2009), DISCUSSIONI INTORNO AL SENSO DELLA VERITA’,

Edizioni ETS

* SEVERINO EMANUELE, (2009), GLI ABITATORI DEL TEMPO. La struttura dell’Occidente

e il nichilismo, RIZZOLI BUR

* SEVERINO EMANUELE, (2008), LA TENDENZA FONDAMENTALE DEL NOSTRO TEMPO,

ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (2008), LA STORIA, L’ALDILA’, IL DESTINO, 12 Lezioni, ASIA

edizioni

* BONCINELLI EDOARDO, SEVERINO EMANUELE, (2008), DIALOGO SU ETICA E

SCIENZA, EDITRICE SAN RAFFAELE

* SEVERINO EMANUELE, (2008), LA BUONA FEDE. Sui fondamenti della morale, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2008), LA STRADA. La follia e la gioia, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, a cura di Davide Grossi, saggio introduttivo di Massimo Donà,

(2008), VOLONTA’, FEDE E DESTINO, Lezioni 2005/2006 alla Università Vita-Salute

San Raffaele di Milano, MIMESIS

* SEVERINO EMANUELE, (2007), LA STRUTTURA ORIGINARIA. Nuova edizione ampliata,

ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (2007), L’ IDENTITA’ DELLA FOLLIA. Lezioni veneziane (2000),

RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2007), OLTREPASSARE, ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (2007), OLTRE IL LINGUAGGIO, ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (2006), LA Filosofia futura. Oltre il dominio del divenire, Rizzoli

* SEVERINO EMANUELE, (2006), IMMORTALITA’ E DESTINO, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2006), COSA ARCANA E STUPENDA: L’OCCIDENTE E

LEOPARDI, RIZZOLI BUR

* SEVERINO EMANUELE, (2006), Il muro di pietra. Sul tramonto della tradizione

filosofica, Rizzoli

* SEVERINO EMANUELE, a cura di Ines Testoni, (2006), LA FOLLIA DELL’ANGELO,

Mimesis

* SEVERINO EMANUELE, (2006), COSA ARCANA E STUPENDA: L’OCCIDENTE E

LEOPARDI, RIZZOLI BUR

* SEVERINO EMANUELE, (2005), Sull’embrione, Rizzoli

* SEVERINO EMANUELE, (2005), Il Giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Adelphi

* SEVERINO EMANUELE, (2005), FONDAMENTO DELLA CONTRADDIZIONE, ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (2005), ESSENZA DEL NICHILISMO, ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (2005), ANTOLOGIA FILOSOFICA DAI GRECI AL NOSTRO

TEMPO, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2004), LA FILOSOFIA DAI GRECI AL NOSTRO TEMPO la

filosofia contemporanea, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2004), LA FILOSOFIA DAI GRECI AL NOSTRO TEMPO la

filosofia antica e medioevale, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2004), IL NULLA E LA POESIA. ALLA FINE DELL’ETA’

MODERNA: LEOPARDI, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2004), LA FILOSOFIA DAI GRECI AL NOSTRO TEMPO la

filosofia moderna, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2004), IL DESTINO DELLA TECNICA, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2004), IL NULLA E LA POESIA. ALLA FINE DELL’ETA’ DELLA

TECNICA: LEOPARDI, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2003), TECNICA E ARCHITETTURA, RAFFAELLO CORTINA

* SEVERINO EMANUELE, (2003), DALL’ISLAM A PROMETEO, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (2002), Oltre l’uomo e oltre Dio, Il Melangolo

* SEVERINO EMANUELE, (2002), LEGGE E CASO, ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (2002), LEZIONI SULLA POLITICA. I GRECI E LA TENDENZA

FONDAMENTALE DEL SECOLO, MARINOTTI

* SEVERINO EMANUELE, (2001), IL MIO RICORDO DEGLI ETERNI. Autobiografia,

* SEVERINO EMANUELE, (2001), LA GLORIA. Risoluzione di “Destino della necessità”,

ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (2000), LE LEGNA E LA CENERE, RIZZOLI

* SEVERINO EMANUELE, (1999), L’ ANELLO DEL RITORNO, ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (1999), L’ ANELLO DEL RITORNO, ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (1995), TAUTOTES, ADELPHI

* SEVERINO EMANUELE, (1993), La follia dell’Occidente, in ZAVOLI SERGIO, DI QUESTO

PASSO, NUOVA ERI

* SEVERINO EMANUELE, (1958), LA STRUTTURA ORIGINARIA. Edizione anastatica

pubblicata nel 1958, ADELPHI


 

Il mio ricordo degli eterni. Dialogo con : Emanuele Severino: Vincenzo Milanesi, Ines Testoni,  25 set 2016, Master in Death Studies & The End Of Life. VIDEO di 1 ora e 11 minuti

Emanuele Severino, EDUCARE AL PENSIERO, a cura di Sara Bignotti, La Scuola editrice, 2012. Indice del libro

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Emanuele Severino, IL FOCOLARE CHE NON SI SPEGNE MAI, Corriere della Sera 24 dicembre 1983

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Blog dedicato al PENSIERO FILOSOFICO DI EMANUELE SEVERINO, a cura di VASCO URSINI e realizzato con l’aiuto di Paolo Ferrario, 2 gennaio 2017

Blog dedicato al PENSIERO FILOSOFICO DI EMANUELE SEVERINO

Conterrà:

  • bibliografie
  • citazioni
  • audio
  • video
  • ….

centrati sui contenuti da lui trattati nel corso del tempo.

Il Blog è stato pensato da VASCO URSINI

ed è realizzato con l’aiuto di Paolo Ferrario

2 gennaio 2017

VAI A:

Sorgente: Informazioni – Il pensiero filosofico di Emanuele Severino

Emanuele Severino: “si E’ a casa” (da L’uomo in debito cerca la libertà, Corriere della sera 13 gennaio 2014)

Avatar di Paolo FerrarioTRACCE e SENTIERI

Un altro amico, e fraterno, se ne è andato.

Dove?

Ognuno di noi abita una «casa» , chiamiamola così. Attorno, a perdita d’occhio, la brughiera. Il fuoco è acceso, la tavola imbandita. Ma capita, guardando verso la finestra, che il vento ci faccia credere di trovarci là fuori — e ci si dimentichi di dove siamo davvero.

Si è «a casa».

Sin da prima dell’inizio dei tempi. Ci rimarremo in eterno; la casa sarà sempre più accogliente. E invece crediamo di vivere nella terra inospitale che ci ha ghermito col vento. 

Stando là fuori diciamo: «Ecco il mondo; questa è la vita che ci è toccata». Ci crediamo mortali. Ma quando si muore non si va da qualche parte. Ci si risveglia accanto al fuoco. Non più ingannati dal vento. Né intimoriti delle ombre e dal gelo della brughiera.

Una povera favola? Non direi; ma una metafora sì: dello…

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Emanuele Severino sul THAUMA

EMANUELE SEVERINO, Storia, Gioia, Adelphi, 2016, p. 250

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scrive VASCO URSINI in https://www.facebook.com/vasco.ursini?fref=nf

In molti suoi scritti, e ancora più direttamente in questo suo fresco di stampa “Storia, Gioia”, Emanuele Severino delinea un senso della “storia” abissalmente diverso da quello rappresentato dalla varie forme di cultura: la storia è l’infinito e sempre più ampio apparire degli “eterni” in ciascuno dei cerchi dell’apparire del destino della verità, Ciascun cerchio è l’essenza di ciò che chiamiamo “uomo”. Conseguentemente gli “eterni” non sono “res gestae”. La “follia estrema” consiste appunto nel credere che esistano “res gestae”, cioè cose che sono fatte esistere e che poi escono dall’esistenza. Per Severino, dunque, solo gli “eterni” hanno storia. Solo essi possono “morire” e rimanere “eterni”. La loro Storia prosegue all’infinito anche dopo la loro morte. “La totalità infinita degli eterni è la Gioia, la Pianura che dà spazio all’infinito, e sempre pi ampio, apparire degli eterni nella “costellazione” dei cerchi”.

Emanuele Severino, lectio magistralis dal titolo “La fantasia e la terra”, in Rai Teche, 2009

Festival della Filosofia di Modena il filosofo Emanuele Severino tiene una lectio magistralis dal titolo “La fantasia e la terra”.

Sorgente: Lectio magistralis di Emanuele Severino a Fahrenheit – Rai Teche

Emanuele Severino sul tramonto della tradizione filosofica – in Rai Teche

Il filosofo Emanuele Severino conversa con Barbara Palombelli e presenta il suo saggio “ll muro di pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica”.

Sorgente: Emanuele Severino sul tramonto della tradizione filosofica – Rai Teche

EMANUELE SEVERINO, Il parricidio mancato, Adelphi Edizioni, 1985. Presentazione su Rai Teche

Emanuele Severino

Il parricidio mancato

Sorgente: Il parricidio mancato | Emanuele Severino – Adelphi Edizioni

Presentazione su Rai Teche:

http://www.teche.rai.it/2015/01/il-parricidio-interpretato-da-emanuele-severino/


EMANUELE SEVERINO, “l’uomo non è soltanto vita, cioè fede, ma è, originariamente, l’apparire della verità non smentibile”, citazione estratta da Vasco Ursini in Amici a cui piace Emanuele Severino

Per vivere è necessario credere (nel senso più ampio). Vivere è credere – credere di esistere e di agire, innanzitutto. E credere è stare al di fuori della verità non smentibile. Credere è errare. Ma se l’uomo fosse soltanto un vivere, cioè un credere, sarebbe soltanto un credere anche l’affermazione che vivere è credere – affermazione condivisa peraltro da gran parte della cultura non solo filosofica del nostro tempo. E invece questa affermazione non è un credere, ma è una verità non smentibile. Ciò significa che l’uomo non è soltanto vita, cioè fede, ma è, originariamente, l’apparire della verità non smentibile. All’interno della verità appare la vita, cioè la fede. La verità a cui si è rivolta l’intera storia dell’Occidente non è riuscita ad essere la verità non smentibile – la verità che d’altra parte s’illumina nel fondo più nascosto di ogni uomo. A volte il linguaggio la indica; la chiama “destino della verità”. Ma che questo linguaggio sia l’agire di qualcuno, che qualcuno ne sia l’autore, questo è daccapo uno dei contenuti in cui la vita potrebbe giungere a credere (come crede che l’uomo esista ed agisca nel mondo e che sia l'”autore” dei linguaggi che parlano del mondo).

(Emanuele Severino, Prefazione al libro di Nicoletta Cusano, ‘Emanuele Severino – Oltre il nichilismo, Morcelliana, Brescia 2011, p. 5).

Sorgente: (2) Amici a cui piace Emanuele Severino

SPAZI D’OCCIDENTE. L’umanità in cammino, quale destino per l’Europa?, corso di filosofia 2016/2017, NOESIS , Bergamo, www.noesis-bg.it

vai al sito

www.noesis-bg.it

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Vasco Ursini seleziona un testo: Ecco le parole che aprono in “Essenza del nichilismo” il saggio “Ritornare a Parmenide” di EMANUELE SEVERINO

Ecco le parole che aprono in “Essenza del nichilismo” il saggio “Ritornare a Parmenide”, parole inaudite e per molti versi sconcertanti, che però ben si inquadrano nel destino della verità:

“La storia della filosofia occidentale è la vicenda dell’alterazione e quindi della dimenticanza del senso dell’essere, inizialmente intravisto dal più antico pensiero dei Greci. E in questa vicenda la storia della metafisica è il luogo ove l’alterazione e la dimenticanza si fanno più difficili a scoprirsi: proprio perché la metafisica si propone esplicitamente di svelare l’autentico senso dell’essere, e quindi richiama ed esaurisce l’attenzione sulle plausibilità con cui il senso alterato si impone. La storia della filosofia non è per questo un seguito di insuccessi: si deve dire piuttosto che gli sviluppi e le conquiste più preziose del filosofare si muovono all’interno di una comprensione inautentica dell’essere”.

Non sfuggì allo sconcerto nemmeno Gustavo Bontadini, maestro di Emanuele Severino. Quando lesse queste parole. gli scrisse una lettera nella quale tra l’altro affermò quanto segue:

“Confesso che, quando lessi la prima volta le Tue pagine, non volli credere ai miei occhi, tanto che me li sfregai energicamente a più riprese, poi toccai gli oggetti solidi intorno a me, tanto temevo di sognare, finalmente cercai di comporre nella mia fantasia l’immagine di una dattilografa burlona, che avesse cambiato i caratteri sulla carta. Niente, Non mi rimase che arrendermi, non riuscendo a trovare altra lettura”.

Sorgente: (10) Amici a cui piace Emanuele Severino

EMANUELE SEVERINO: “La civiltà occidentale, che pure ha orrore del niente, pensa nel proprio inconscio che le cose sono niente”, citazione estratta da Vasco Ursini, in Incontri con Emanuele Severino

Sostengo da molto tempo che la storia dell’Occidente – e ormai di tutta la terra – è la storia del nichilismo. La civiltà occidentale, che pure ha orrore del niente, pensa nel proprio inconscio che le cose sono niente. Pensa questo, nel proprio inconscio, perché, alla superficie, pensa che le cose sorgono dal niente e vi ritornano.

(Emanuele Severino)

Sorgente: (4) Incontri con Emanuele Severino

L’INCONSCIO SECONDO EMANUELE SEVERINO, estratto  a cura di Vasco Ursini, in Amici a cui piace Emanuele Severino

L’INCONSCIO SECONDO EMANUELE SEVERINO

Come abbiamo visto, Severino ritiene che il nichilismo si basi sulla persuasione inconscia che le cose siano nulla.
In AAHOEIA egli non si pone il problema se il pensiero che supera il nichilismo, affermando l’eternità di tutte le cose, possa sussistere esplicitamente, in una forma consapevole di sé, o se implichi anch’esso un inconscio, o addirittura se sia di per sé inconscio. Il suo discorso è orientato esclusivamente a evidenziare come la persuasione nichilista che le cose siano nel tempo implichi un inconscio.
In “Destino della Necessità”, invece, se da una parte il concetto di inconscio appare negli stessi termini in cui due anni dopo ritorna in AAHOEIA, dall’altra si presenta in un’accezione e una valenza completamente diverse.
Come abbiamo visto, secondo Severino, l’uomo occidentale non si rende conto di come al di sotto della persuasione che le cose siano temporali soggiace la persuasione che le cose siano nulla. Ma, naturalmente, secondo Severino, l’uomo occidentale non si rende conto neanche dell’eternità di tutte le cose. L’eternità di tutte le cose è ciò che primariamente ed essenzialmente gli sfugge. Anche questo, dunque, è il suo inconscio. E Severino, appunto, lo rileva: “Nell’autocoscienza dell’Occidente e del mortale non appare ciò che l’Occidente e il mortale sono nello sguardo del destino della verità. Ciò che essi in verità sono è il loro inconscio. Il loro inconscio si mostra nello sguardo del destino. L’inconscio, qui, è ciò che non appare all’interno dell’apparire in cui l’Occidente, come interpretazione dominante, consiste” (Destino della necessità, p. 432). Nell’autocoscienza dell’Occidente non appare la verità, che sappiamo essere l’eternità di tutte le cose, dunque ciò che anche l’Occidente è. Ciò vale anche per il mortale, cioè per chi considera le cose, e dunque anche se stesso, temporali: “anche l’esser mortale è eterno” (ivi, p, 422). Questo essere eterni anche dell’Occidente e del mortale stessi, dunque questa verità che l’Occidente e il mortale stessi sono, al di là della loro tendenza a negarla, è “il loro inconscio”.
In questo caso, dunque, l’inconscio non è qualcosa che partecipa alla negazione della verità. Al contrario è qualcosa che racchiude la verità in sé, che la custodisce. Più ancora: è esso stesso la verità negata dall’Occidente, inteso come “interpretazione dominante”, poiché è esso stesso l’affermazione dell’eternità di tutte le cose.
In un capitolo successivo, Severino afferma: “L’inconscio più profondo e più nascosto è la chiarità estrema dell’illuminarsi del tutto” (ivi, p. 392). Abbiamo già visto come Severino rilevi che la parte risplende in virtù del suoi legame con il tutto, in quanto avvolta dal tutto. In questo caso è il tutto stesso a risplendere.
Ciò non esclude il risplendere della parte, ma ne costituisce l’espressione più compiuta. Non soltanto, infatti, la parte risplende in quanto “attraversata” e “avvolta dal tutto” (Essenza del nichilismo, p. 23) ma in quanto la “parte ‘è’ il Tutto, nel senso che il Tutto è l’esser veramente sé della parte” (ivi, p. 390).
[ … ]
Secondo Severino, dunque, per un verso l’inconscio è proprio della ragione alienata del nichilismo e interpreta le cose come nulla, per un altro verso racchiude il superamento di tale alienazione e interpreta le cose completamente libere dal nulla, dunque come assoluto essere: da una parte è oscuramento, dall’altra è “chiarità estrema”.
Del resto, il concetto di inconscio corrisponde all’idea di un accecamento, e l’accecamento può derivare dall’assenza di luce. Severino riconduce appunto l’inconscio a queste due possibili matrici.
Nella sua opera, cioè, il concetto di inconscio si presenta in due accezioni opposte, con due determinazioni opposte. Un passo del libro del 1983 ‘La strada’ fa esplicito riferimento a tale duplicità: “se il nichilismo è l’inconscio dell’Occidente, non si dovrà dire forse che il paese che sta oltre i confini dell’Occidente e dal quale proviene il linguaggio che indica l’inconscio dell’Occidente, è “l’inconscio dell’inconscio dell’Occidente?”

( Lo scritto è tratto da: Gabriele Pulli, Freud e Severino, Moretti e Vitali Editori, Bergamo 2000, pp. 63-66).

EMANUELE SEVERINO, Aristotele dice che la filosofia nasce dal ‘thauma’. Comunemente si traduce questa antica parola greca con “meraviglia”. E si va completamente fuori strada, perché ‘thauma’, nel suo significato originario significa “terrore”, “angosciante stupore”, citazione selezionata da Vasco Ursini, da E. Severino, Scuola e tecnica, Università degli Studi di Parma, Facoltà di Architettura, 2005, pp. 30-32

ARISTOTELE: “THAUMA”.

Aristotele dice che la filosofia nasce dal ‘thauma’. Comunemente si traduce questa antica parola greca con “meraviglia”. E si va completamente fuori strada, perché ‘thauma’, nel suo significato originario significa “terrore”, “angosciante stupore”. Per che cosa? Per questa nostra esistenza, per la vita in cui ci troviamo e la cui durezza raggiunge tutti e tutti fa soffrire e tutti angoscia. Poi, sì, ci potrà essere anche quella forma di ‘Thauma’ che è il fenomeno derivato per il quale il filosofo, magari protetto da una fittizia tranquillità, “si meraviglia” di ciò che per l’uomo comune è qualcosa di ovvio. (E non diremo certo che questa “meraviglia” sia qualcosa di superfluo). Quando Nietzsche afferma che la scienza nasce dalla paura non fa che ripetere Platone e Aristotele. E per secoli la scienza moderna concepisce la “verità” delle proprie leggi secondo il senso che alla verità è stato assegnato dalla tradizione filosofica.
La filosofia nasce perché il modo in cui il mito tenta di proteggere l’uomo fallisce. Tenta di proteggerlo dicendogli che nonostante il dolore e la morte egli vive all’interno di un senso unitario e divino – e dunque protettivo, se ci si pone nel giusto rapporto con esso. Ma ad un certo momento il mito non basta più. C’è di mezzo quel che più preme, Che cosa ci preme di più di noi stessi, della nostra esistenza sofferente, inevitabilmente sofferente? E allora, poiché della nostra esistenza si tratta, ecco che il dio del mito non basta più: occorre un ‘vero’ dio, un dio che la verità mostra alla ragione dell’uomo, il dio della filosofia, che nonostante tutto sta più avanti e non più indietro di quel dio di Abramo, Isacco, Giacobbe che si è voluto contrapporre al dio dei filosofi ma che è pur sempre un dio del mito, cioè un dio inaffidabile.
Ma questo grande passato dell’Occidente – questo senso grandioso dell’esistenza, dove la verità del dio protegge l’uomo dominando e unificando tutte le cose, producendole e raccogliendole in sé – è tramontato, o se ne vedono soltanto le ultime luci. Gli ultimi duecento anni dell’Occidente sono il dispiegarsi del tramonto. [ … ] Il grande passato dell’Occidente tramonta ad opera, innanzitutto, della punta di diamante della ragione moderna: è la stessa filosofia del nostro tempo a mostrare l’impossibilità di un “vero” dio – e dunque l’impossibilità di quel dio cristiano che è stato innestato sul dio della filosofia.

(E. Severino, Scuola e tecnica, Università degli Studi di Parma, Facoltà di Architettura, 2005, pp. 30-32).

Sorgente: (16) Amici a cui piace Emanuele Severino

SPIEGARE IL PENSIERO DI EMANUELE SEVERINO, citazione raccolta da Vasco Ursini, da Luigi Vero Tara, La rete e il mare, sta in R. Panikkar- E. Severino, Parliamo della stessa realtà?, Jaca Book, Milano 2014, pp. 47-49

SPIEGARE IL PENSIERO DI EMANUELE SEVERINO

La filosofia di Emanuele Severino costituisce la testimonianza della verità assolutamente innegabile, quella verità – così l’ho sentito spesso esprimersi nel corso delle sue lezioni – che “né dèi né uomini possono negare”. Tale verità viene testimoniata dal discorso filosofico che possiede la struttura tradizionalmente chiamata “elenctica”, quella cioè che fornisce la fondazione ultima del valore di un discorso. Il procedimento detto elenctico, infatti, mostra l’assoluta, incontrovertibile verità di ciò la cui negazione è autonegazione, quindi contraddizione. Per esempio – per richiamarci al fondamentale scritto ‘Ritornare a Parmenide’ – l’affermazione (p) “Il positivo si oppone al negativo” è innegabile perché chi intendesse negarla – dicendo per esempio “Non è vero che il positivo si oppone al negativo” (non-p) – con ciò stesso sarebbe costretto ad affermare che quel positivo in cui consiste la sua affermazione (non-p) si oppone al proprio negativo, ovvero a (p); ma in tal modo egli stesso sarebbe costretto ad affermare proprio ciò che a parole intende negare, e sarebbe quindi costretto a negare il contenuto dell’affermazione che pronuncia. Naturalmente la questione, guardata da vicino, risulta più complessa – e per certi versi anche molto, molto più complessa – di quanto questa sintetica formulazione potrebbe lasciare intendere;
e tuttavia tale presentazione è sufficiente a farci cogliere il senso di questo fondamentale tratto dell’impostazione severiniana.
Del resto tale aspetto (cioè la fondazione che abbiamo chiamata elenctica) costituisce solo un primo, sia pur decisivo, momento della filosofia di Severino. Il secondo aspetto – altrettanto decisivo – consiste nel rilevare che, se si tiene fermo ‘in generale’ che il positivo si oppone al negativo, ovvero che “l’essere non è non essere”, allora da ciò segue immediatamente che tutto l’essere è eterno; proprio nel senso che ogni sia pur minimo aspetto dell’essere – ovvero qualsiasi ente, anche il più infimo – è eterno. Infatti negarne l’eternità equivarrebbe ad affermare che vi può essere un momento del tempo in cui esso (che in quanto è qualcosa è essere e non niente) non è, e quindi è non essere, è niente. Sempre da questo segue inesorabilmente che non vi è divenire, se con questo termine si intende il passaggio dall’essere al nulla o, viceversa, dal nulla all’essere. Ma se non vi è il divenire, allora non vi può essere nemmeno qualcosa come una trasformazione degli enti: nulla può trasformarsi in qualcosa d’altro da ciò che è (da ciò che eternamente è), perché altrimenti si realizzerebbe l’annullamento almeno di quegli aspetti il cui venir meno costituisce appunto la condizione della possibilità della trasformazione.
Questa verità consente di gettare uno sguardo nuovo e sorprendente sulla vicenda umana e la sua storia: Per esempio consente di comprendere come, all’interno della fede nichilistica che le cose possono trasformarsi e quindi in ultima istanza annullarsi, l’ultima parola spetti alla Tecnica (dal momento che questa è la rigorizzazione massima dell’illusoria persuasione di poter trasformare le cose); ma poi anche come la Tecnica stessa, costituendo una dimenticanza radicale del senso autentico dell’essere (cioè la sua eternità), sia destinata a tramontare nello sguardo della verità. La fede in cui consiste le Tecnica è – dal punto di vista della verità severiniana – una follia, appunto perché è convinta che l’agire umano possa trasformare la realtà facendola diventare altro da ciò che essa è. Attenzione, però: bisogna guardarsi dall’idea che allora il pensiero di Severino costituisca un invito a operare in modo da superare l’agire tecnico, perché invece, dal suo punto di vista, qualsia “fare” è espressione della volontà di trasformare la realtà, e quindi è espressione della follia nichilistica. In altri termini, nello sguardo della verità qualsiasi agire costituisce il problema piuttosto che la soluzione: il tramonto della Tecnica e sì destinato ad accadere, ma non come risultato di una volontà e di un conseguente agire da parte degli umani.

(Luigi Vero Tara, La rete e il mare, sta in R. Panikkar- E. Severino, Parliamo della stessa realtà?, Jaca Book, Milano 2014, pp. 47-49).

Sorgente: Amici a cui piace Emanuele Severino

PER INTRODURRE ALLE DISCUSSIONI INTORNO AL SENSO DELLA VERITA’: ‘alétheia’; ‘epistéme’; ‘thauma’, tratto dal gruppo Amici a cui piace Emanuele Severino, curato da Vasco Ursini

Nel nostro tempo è sempre più dominante la convinzione che la verità, qualsiasi forma di verità, abbia un carattere storico e pragmatico: la verità non è al di sopra del tempo e della storia, ma è un certo stato provvisorio e controvertibile della conoscenza, che permane ed è affermato sino a che esso sia in grado di realizzare certi scopi. Questa prospettiva è la negazione del carattere di incontrovertibilità, universalità, necessità, che a partire dalla filosofia greca, lungo la tradizione dell’Occidente, e non solo nell’ambito del pensiero filosofico, è stata assegnata alla verità. Oggi, conoscenza vera è quella che in certe circostanze spazio-temporali determinate riesce a prevedere e trasformare il mondo più di altre forme di conoscenza. La verità è potenza, azione, prassi vincente e nel nostro tempo la potenza vincente è ritenuta la tecnica guidata dalla scienza moderna.
E si ritiene che la crescita della potenza scientifica sia determinata dalla progressiva modificazione e sostituzione delle teorie scientifiche, che tendono tutte – anche quelle che un tempo erano intese come verità incontrovertibili – ad acquistare il carattere di leggi statistico-probabilistiche, ossia di verità storiche e pragmatiche. Anche la matematica riconosce che i propri principi sono postulati, ipotesi che non pretendono avere un valore assoluto, incontrovertibile.
D’altra parte la tesi che ogni verità ha un carattere storico-pragmatico non può evitare il cosiddetto “argomento contro lo scettico”, per il quale questa tesi, presentandosi come verità incontrovertibile, smentisce se stessa. Per evitare questa conseguenza – cioè questa contraddizione – la tesi del carattere storico-pragmatico della verità ha finito col presentare se stessa come verità storico-pragmatica, controvertibile. Molto prima che questa prospettiva fosse affermata da filosofi dell’area anglosassone come Richard Rorty, essa è stata affermata in Italia da filosofi come Ugo Spirito, discepolo di Giovanni Gentile. Va comunque osservato che è proprio perché non si rinuncia alla tesi della controvertibilità di ogni verità che ci si propone di darle una forma non contraddittoria, riconoscendo il carattere controvertibile, storico-pragmatico di questa stessa tesi. Dove però è chiaro che, in questa forma apparentemente radicale di negare l’incontrovertibilità, si riconosce un carattere di verità incontrovertibile all’argomento contro lo scettico; e poiché questo argomento mostra la presenza di una contraddizione nella tesi assoluta del carattere controvertibile di ‘ogni’ verità, in quella forma apparentemente radicale di negazione dell’incontrovertibile si riconosce un carattere di incontrovertibilità anche al principio di non contraddizione.
Con queste considerazioni si intende dire che la forma ‘autenticamente’ più radicale – anche se tendenzialmente inosservata – della filosofia del nostro tempo è un’altra: non è né scetticismo né quella forma apparentemente’ radicale di negare la verità che riconosce la propria controvertibilità, storicità, pragmaticità. Nella sua forma autenticamente più radicale la filosofia del nostro tempo non nega ogni verità incontrovertibile, ma nega ogni verità incontrovertibile e immutabile che pretenda porsi al di sopra dell’unica fondamentale verità incontrovertibile, e permanente fino a che qualcosa esiste, consistente nella tesi che ogni verità diversa da questa tesi è travolta dal tempo, dalla storia, dal divenire del mondo.
A questo punto si tratterebbe di vedere ‘perché’ questa sia l’unica fondamentale verità incontrovertibile. Giacché non basta ‘asserire’, come oggi per lo più accade, che non esiste alcuna verità metastorica, metafisica, assoluta, definitiva, che non esiste alcun Essere immutabile e necessario, alcun Fondamento, alcun Centro assoluto, alcun Senso assoluto del mondo. Oggi si dà per lo più come scontato tutto questo. Ma nella sua essenza più profonda la filosofia del nostro tempo mostra determinatamente la ‘necessità’ di tutto questo, e lo mostra sul fondamento della fede che l’esistenza del divenire e della storicità di ogni cosa e di ogni verità, sia la suprema verità incontrovertibile, essa stessa destinata ad annientarsi quando non esisterà più alcuna coscienza del mondo.
E, tuttavia, non solo c’è una ‘dimensione che è comune sia alla concezione tradizionale della verità, sia alla distruzione di tale concezione’ (alla distruzione operata appunto dall’essenza del pensiero filosofico del nostro tempo), ma, al di là di questa dimensione, la verità è ‘destinata’ a un senso che ‘non’ appartiene alla storia dell’Occidente (e tanto meno dell’Oriente) ma che già da sempre appare in ciò che vi è di più profondo in ognuno di noi. Noi siamo questo ‘destino’.
(Emanuele Severino, Discussioni intorno al senso della verità, Edizioni ETS, PISA 2009, pp. 9 – 11) (Il discorso sarà ripreso e sviluppato in prossimi post fino a presentare le risposte di Severino alle critiche che da più parti gli vengono rivolte).


PER INTRODURRE ALLE DISCUSSIONI INTORNO AL SENSO DELLA VERITA’ (2)

La parola greca che traduciamo con ” verità ” è ‘alétheia’ che propriamente significa “il non nascondersi”, e pertanto il manifestarsi, l’apparire delle cose. Ma per il pensiero greco la verità non è soltanto ‘alétheia’ (come invece ritiene Heidegger): la verità è l’apparire in cui ciò che appare è l’incontrovertibile, ossia ciò che, dice Aristotele, “non può stare altrimenti di come sta e si manifesta” (mè endéchetai àllos échein).

Questo ” stare ” in modo assoluto è espresso dalla filosofia greca con la parola ‘epistéme’, dove il tema *steme (dalla radice indoeuropea *sta) indica appunto lo ” stare ” di ciò che sta e si impone ” su ” (‘epi’) ogni forza che voglia negarlo, scuoterlo, abbatterlo. Ciò che non può stare altrimenti è l’incontrovertibile, è come le cose stanno. L’esser esposti al poter essere altrimenti, cadendo, è il tremore del pensiero.

Appunto per questo Parmenide dice che il ” cuore ” della verità ” non trema ” – sebbene egli, che per un verso appartiene e inaugura la storia dell’ ‘epistéme’, per altro verso sembra volgere lo sguardo verso un senso inaudito della verità, il senso che non appartiene alla storia dei ” mortali “. Il cuore dei mortali, invece, trema di fronte alla sofferenza e alla morte. Platone e Aristotele chiamano ‘thauma’ questo tremore e vedono che da ‘thauma’, cioè dall’ “angosciato stupore “, nasce la filosofia: per essere sicuri della salvezza, non ci si può accontentare del mito e la volontà (‘thymòs’, dice Parmenide all’inizio del Poema) si protende verso il ” cuore non tremante della verità “.
Da tempo il pensiero filosofico si è reso conto che la definizione tradizionale della verità come ‘adaequatio intellectus et rei’ (“adeguazione dell’intelletto e della cosa”, “adeguazione dell’intelletto alla cosa”) ha un carattere subordinato, Infatti, per sapere che l’intelletto è adeguato alla cosa, è necessario che la cosa sia manifesta, appaia, e appaia non come contenuto di un’opinione o di una fede, ma nel suo non poter stare altrimenti, cioè nella sua incontrovertibilità. Idealismo, neoidealismo, fenomenologia sono consapevoli del carattere derivato o addirittura alterante del concetto di ‘adaequatio’; le stesse filosofie della cosiddetta ” svolta linguistica “, sebbene fatichino a riconoscerlo, vanno in questa direzione. Lo stesso pensiero greco, in cui si forma la definizione della verità come adeguazione, risale all’indietro di questa definizione e, come si è rilevato, concepisce la verità come unità di ‘alétheia’ ed ‘epistéme, dove le cose del mondo che innanzitutto si manifestano sono incontrovertibilmente mutevoli, vanno dal non essere all’essere – e in questo senso possono stare altrimenti di come stanno -, tuttavia, fino a che stanno in un certo modo, è impossibile che stiano altrimenti, e anche in quest’altro senso sono anch’esse incontrovertibili. L’ ‘epistéme’ ritiene inoltre che a partire da ciò che si manifesta sia necessario pervenire all’affermazione dellEnte immutabile e divino e delle strutture e forme immutabili che nel mondo diveniente in qualche modo rispecchiano l’immutabilità del divino (le cosiddette ” leggi di natura”, o ” diritto naturale “, la ” morale naturale “). Nell’ ‘epistéme’ lo stare del Dio e del suo rispecchiarsi nel mondo differisce dunque dalle stabilità e permanenze affermate dal mito, ossia dalla volontà di far stare un certo senso del mondo. Un Ente supremo, divino, è autenticamente immutabile solo in quanto la sua esistenza immutabile sia affermata dal sapere incontrovertibile. La filosofia vuole la verità, vuole che la verità sia l’incontrovertibile: il mito vuole (crede) che il mondo abbia un certo senso e non vede la fermezza secondo la quale il proprio volere vuole – la fermezza che, se fosse pensata, dovrebbe avere il carattere del non poter essere altrimenti da parte di ciò che è voluto e che dunque non potrebbe più essere un voluto ma qualcosa che di per se stesso ‘sta’, è incontrovertibile.
(Emanuele Severino, Discussioni intorno al senso della verità, cit., pp. 11 – 12. ).

Sorgente: (1) Amici a cui piace Emanuele Severino

Il sabato del villaggio, Leopardi

Il sabato del villaggio, Leopardi

 

il sabato del villaggio
Il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi, introduzione, metro, testo, parafrasi, commento, analisi. Il sabato del villaggio: introduzione Questo testo fu composto a Recanati, subito dopo la Quiete dopo la tempesta, fra il 20 e il 29 settembre del 1829. Venne pubblicato per la prima volta nei Canti del 1831. Il sabato del villaggio: metro, […]

Il sabato del villaggio, Leopardi

Che cos’è la STRUTTURA ORIGINARIA?, di Nicoletta Cusano, Capire Severino, Mimesis Filosofie, Milano 2011, pp. 55 – 57. Citazione segnalata da Vasco Ursini

 

La struttura originaria è la struttura originaria dell’essere, ciò che è necessariamente presente in quanto un essente è e appare. Senza la presenza di tale struttura nessun essente potrebbe essere e apparire. In altre parole essa è lo scheletro dell’essere, la sua grammatica di base, la sua ‘sintassi’ fondamentale. Poiché tale sintassi non è un unico significato ma un ‘intreccio inscindibile di significati’, essa è una ‘struttura’, cioè un complesso logico-semantico consistente nella totalità delle determinazioni che devono essere presenti affinché un essente possa apparire. Si può quindi dire che la struttura originaria è la ‘forma essenziale’ di ogni essente, ciò che ogni essente ‘formalmente’ “è”, o meglio, ciò con cui esso è necessariamente “in relazione”.
In quanto l’essere è l’immediatamente innegabile e l’innegabilmente immediato, la struttura originaria dell’essere è la struttura originaria della “necessità”, dove il termine ‘necessità’ – dal latino ne-cedo – esprime il senso assoluto dell’innegabilità quale autonegatività immediata del proprio negativo. In quanto il proprio negativo è l’immediatamente autonegativo, la struttura originaria è ciò che “sta”, innegabilmente ed eternamente; in altre parole, essa non è “un prodotto teorico dell’uomo o di Dio, ma il luogo già da sempre aperto della Necessità”. E’ lo stare innegabile dell’essere-significare.
In quanto l’essenza dell’essere è quella di essere ‘innegabile’ nel senso suddetto, “l’intento dell’intera indagine contenuta ne “La struttura originaria” è di determinare in maniera rigorosa il senso dell’opposizione del negativo e del positivo”. [ … ]
In quanto la verità originaria dell’essere consiste nell’innegabilità quale identità dell’esser sé e dell’immediata autonegatività del proprio non esser sé, essa non è un significato semplice ma un complesso predicazionale, un intreccio inscindibile di significati, cioè una “struttura”. essa “è la struttura delle determinazioni necessarie di ciò che con verità può essere affermato” e senza di cui “nessun essere può apparire”.
Queste ultime affermazioni ribadiscono che la struttura originaria è ciò che deve apparire affinché qualcosa possa essere e apparire, e cioè che essa è il “fondamento dell’essere: un essente è e appare in quanto è presente “una certa dimensione dell’essente […] costituita dalle determinazioni che competono con necessità a ogni essente e nelle quali consiste appunto il destino”. Queste determinazioni, che sono la ‘forma’ dell’essente, dalla ‘Struttura originaria’ alla ‘Gloria’ sono chiamate determinazioni “persintattiche”. Esse sono “l’esser sé dell’essente, il suo non esser altro da sé, il suo non poter diventare ed essere altro da sé, il suo essere eterno, e, ancora, l’essere dell’apparire infinito, la necessità che gli essenti della terra, sopraggiungendo, siano accolti dagli essenti dello sfondo, e la necessità che il sopraggiungere della terra sia la Gloria, cioè si dispieghi senza fine – e a queste determinazioni dello sfondo si aggiungano tutte quelle che gli competono e che costituiscono la dimensione stessa a cui si rivolgono i miei scritti, indicandole” (E. Severino, Oltrepassare, p. 179).
In questo passaggio compare il termine “sfondo” che è un altro modo di nominare la “sintassi” originaria dell’essere evidenziandone l’essere contenuto necessariamente ‘originario’ e ‘costante’ dell’apparire, l’insieme di determinazioni che non sopraggiunge e non tramonta mai all’interno dell’apparire trascendentale, ossia all’interno di quell’orizzonte che ospita l’apparire empirico e particolare degli essenti. Lo sfondo è appunto la “permanenza non sopraggiungente”. Come si nota, l’illustrazione della struttura originaria chiama direttamente in causa l’apparire.

(Nicoletta Cusano, Capire Severino, Mimesis Filosofie, Milano 2011, pp. 55 – 57).

EMANUELE SEVERINO, Pòlemos, al Festival Filosofia di Modena, Carpi, Sassuolo, 18 settembre 2016

Emanuele Severino è professore emerito di Filosofia teoretica presso l’Università di Venezia e insegna Ontologia fondamentale presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È Accademico dei Lincei. Ha offerto un’interpretazione della filosofia che sottolinea lo scacco del pensiero metafisico da Platone a Nietzsche e Heidegger. Per superare le aporie nichilistiche della tradizione metafisica evidenti anche nel discorso moderno della tecnica, ha promosso un ritorno a una filosofia dell’Essere che escluda rigorosamente il non-essere e il divenire. Fra le sue opere recenti: La gloria (Milano 2001); Nascere e altri problemi della coscienza religiosa (Milano 2005); Fondamento della contraddizione(Milano 2005); La filosofia futura. Oltre il dominio del divenire (Milano 2006); La tendenza fondamentale del nostro tempo (Milano 2008);Immortalità e destino (Milano 2008); La buona fede. Sui fondamenti della morale (Milano 2008); L’identità del destino. Lezioni veneziane(Milano 2009); Il destino della tecnica (Milano 2009); Democrazia, tecnica, capitalismo (Brescia 2009); Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia(Milano 2011); La potenza dell’errare. Sulla storia dell’Occidente (Milano 2013); In viaggio con Leopardi. La partita sul destino dell’uomo (Milano 2015);  Dike (Milano 2015). La Casa Editrice Adelphi pubblica la collana “Scritti di Emanuele Severino”.

Sorgente: Festival Filosofia – Pòlemos

Parmenide: l’essere è e non può non essere – da Studia Rapido

Avatar di Paolo FerrarioMAPPE nel sistema dei SERVIZI alla persona e alla comunità, a cura di Paolo Ferrario

Parmenide sostiene che l’uomo possa scegliere tra due vie: quella della verità, basata sulla ragione, che porterà alla conoscenza dell’essere vero; quella dell’opinione, basata sui sensi, che porta alla conoscenza dell’essere apparente.

Il filosofo è indotto a percorrere la via della ragione, che gli rivela che l’essere è e non può non essere, mentre il non essere non è e non può non essere.

La tesi di Parmenide, secondo cui esiste solo l’essere, mentre per definizione il non essere non può esistere né venir pensato, si fonda su due principi logici che verranno codificati solo successivamente: il principio di identità, per il quale ogni cosa è se stessa, e il principio di non-contraddizione, per il quale è impossibile che una stessa cosa sia e nello stesso tempo non sia ciò che è.

Con Parmenide inizia…

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Emanuele Severino: la FEDE, ogni fede, è VIOLENZA

Prigioniero della volontà, l’intelletto del credente assume come incontrovertibile il controvertibile, come indubitabile il dubitabile, come certo l’incerto, come visibile l’invisibile, come chiaro l’oscuro.

Anche per questo motivo nei miei scritti si sostiene che la fede – ogni fede (e oggi tutto è diventato fede) – è violenza e che l’essenza della violenza è la volontà che vuole l’impossibile, la contraddizione.

Anche per questo motivo, ogni fede – religiosa, scientifica, politica – che oggi tenta di salvare l’uomo è animata da quella stessa violenza che essa intende combattere.
(Emanuele Severino, Pensieri sul cristianesimo, Rizzoli, Milano 1995, pp. 108 – 109)

LA FILOSOFIA NASCE DALLA PAURA (thâuma), Emanuele Severino

LA FILOSOFIA NASCE DALLA PAURA

di Emanuele Severino

Teniamo presente quello che dice Aristotele, uno dei massimi filosofi dell’umanità: «La filosofia nasce da thâuma». Quasi sempre si traduce la parola thâuma, in modo troppo debole, con «meraviglia» fa subito pensare a una sorta di gioco filosofico in cui un individuo, chiamato poi «filosofo», si meraviglia o si stupisce di cose di cui gli altri non si meravigliano. No, così è troppo banale. Thâuma vuol dire infatti ben di più: è una parola che, nel suo significato originario, significa «terrore», «paura». Paura di cosa? Del dolore, della morte, dell’infelicità: è questo che significa thâuma. Il termine richiama il gigante Taumante, che appartiene alla sfera demoniaca o divina dei demoni ctoni, cioè della terra, tenebrosi perché incutono terrore. La filosofia nasce dunque dalla paura.

Estratto di “I presocratici e la nascita della filosofia”

EMANUELE SEVERINO: L’INEVITABILE VIOLENZA (IN NOME DI DIO) – 2014

Emanuele Severino, Due anime abitano nel nostro petto. La gioia, il dolore e la necessità, Corriere della Sera, 2 gennaio 1980

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EMANUELE SEVERINO, La potenza dell’errare. Sulla storia dell’Occidente, Rizzoli, 2013

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Emanuele Severino: Giacomo Leopardi. “LA GINESTRA” da “Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche. L’universo della conoscenza”, intervista del giugno 1993 (trascrizione integrale della video-lezione)

 

Emanuele Severino

Giacomo Leopardi. “La ginestra”

da “Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche. L’universo della conoscenza”, intervista del giugno 1993
(trascrizione integrale della video-lezione).

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Sorgente: Severino, “La ginestra” di Leopardi

DESTINO DELLA NECESSITA’, Note biografiche di Vasco Ursini , da Amici a cui piace Emanuele Severino

in “Destino della necessità” Severino espone una autentica concezione del tempo inteso come l’apparire e lo scomparire degli eterni

Sorgente: (13) Amici a cui piace Emanuele Severino

EMANUELE SEVERINO, IL TRAMONTO DEL SENSO DELL’ESSERE, estratto a cura di Vasco Ursini in Amici a cui piace Emanuele Severino

IL TRAMONTO DEL SENSO DELL’ESSERE

La storia della filosofia occidentale è la vicenda dell’alterazione e quindi della dimenticanza del senso dell’essere, inizialmente intravisto dal più antico pensiero dei Greci. E in questa vicenda la storia della metafisica è il luogo ove l’alterazione e la dimenticanza si fanno più difficili a scoprirsi: proprio perchè la metafisica si propone esplicitamente di svelare l’autentico senso dell’essere, e quindi richiama ed esaurisce l’attenzione sulle plausibilità con cui il senso alterato si impone. La storia della filosofia non è per questo un seguito di insuccessi: si deve dire piuttosto che gli sviluppi e le conquiste più preziose del filosofare si muovono all’interno di una comprensione inautentica dell’essere.
Ma queste espressioni alludono a qualcosa di radicalmente diverso dall’interpretazione heideggeriana della storia della filosofia occidentale. La diversità è radicale, perché anche il pensiero dello Heidegger è una sorta di alterazione, e non meno grave, del senso dell’essere. Per lui, la più antica filososofia greca intravvede l’essere come ‘presenza’, ossia come l’apertura o l’orizzonte entro cui può giungere a manifestazione ogni determinatezza dell’ente. Resta così invertita la direzione della storiografia idealistica, che vede invece nell’orizzonte – l’attualista direbbe: nel pensiero in atto – l’ultimo risultato dello sviluppo del sapere filosofico. Ciò che per l’idealista è il risultato, per lo Heidegger è al contrario l’inizio; lo sfolgorante inizio che ben presto impallidisce e lascia il campo alla mistificazione metafisico-teologica dell’essere, nella quale l’orizzonte di ogni apparizione dell’ente diventa un ente, sia pure l’ ‘Ens supremum das Seiendste’.
L’arbitrarietà dell’interpretazione heideggeriana è ormai fuori discussione: non già perché si debba tener fermo quell’altro dogmatismo, per il quale la filosofia greca sarebbe rimasta al di sotto della consapevolezza dell’orizzonte della presenza ( e cioè sarebbe rimasta in quella situazione in cui il pensiero vede l’essere, ma non vede se medesimo), ma perché è storicamente aberrante il tentativo di ravvisare nel primissimo pensiero greco l’identificazione del significato dell’ ‘essere’ e del significato della ‘presenza’. L’intreccio tra i due c’è indubbiamente, ma appunto per questo c’è insieme la differenza. Eppure è proprio nei pochi versi del poema di Parmenide che si nasconde la parola più essenziale e più dimenticata di tutto il nostro sapere. Per rintracciarla non si richiede quel sommovimento delle discipline filologiche, che la lettura heideggeriana pretende, ma un sommovimento ben più profondo e più arduo, quelo cioè che porta alla comprensione della forza invincibile di un discorso che da millenni è saputo e pronunciato, ma che, appunto non è più stato capito. Non si tratta allora di dare significati nuovi alle parole (quasi che riportando l’essere alla presenza ci si trovasse di fronte a qualcosa di più evedente dell’essere), ma di pensare quelli vecchi, ridestarli, e in questo senso, certamente, rinnovarli sino alle ultime sorgenti.
Le parole sono pur sempre queste, che in varie guise ritornano insistenti nel poema. Il gran segreto sta pur sempre in questa povera affermazione che “L’essere è, mentre il nulla non è”, nella quale non si indica semplicemente una proprietà, sia pure quella fondamentale, dell’essere, ma se ne indica il senso stesso: l’essere è appunto ciò che si oppone al nulla, è appunto questo opporsi. L’opposizione del positivo e del negativo è il grande tema della metafisica, ma esso vive in Parmenide con quella sconfinta pregnanza che il pensiero metafisico non saprà più penetrare.
(Emanuele Severino, Essenza del nichlismo, gli Adelphi , Milano 1995, pp. 19-20)

Sorgente: Amici a cui piace Emanuele Severino

EPICURO: sul dolore da rendere sopportabile

Dobbiamo alleviare le disgrazie del momento con il gradito ricordo dei beni perduti e riconoscere che non era possibile modificare quanto è successo

VASCO URSINI, interviste sul libro IL DILEMMA: VERITA’ DELL’ESSERE o NICHILISMO?, BookSprint Edizioni

GIACOMO LEOPARDI, Il tramonto della luna, lettura di Arnoldo Foà

DAVIDE GROSSI, La differenza tra il discorso filosofico di Severino e quello di Cacciari, 2014

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 EMANUELE SEVERINO: ‘alétheia’ e ‘epistéme’, dal gruppo Amici a cui piace Emanuele Severino, a cura di Vasco Ursini

La parola greca che traduciamo con “verità” è ‘alétheia’, che propriamente significa “il non nascondersi”, e pertanto il manifestarsi, l’apparire delle cose. Ma per il pensiero greco la verità non è soltanto’ alétheia’ (come invece ritiene Heidegger): la verità è l’apparire in cui ciò che appare è l’incontrovertibile, ossia ciò che, dice Aristotele, “non può stare altrimenti di come sta e si manifesta”. Questo “stare” in modo assoluto è espresso dalla filosofia greca con la parola ‘epistéme’, dove il tema ‘steme’ (dalla radice indoeuropea ‘sta’) indica appunto lo ‘stare’ di ciò che sta e che si impone ‘su’ (‘epi’) ogni forza che voglia negarlo, scuoterlo, abbatterlo. Ciò che non può stare altrimente è l’incontrovertibile, è come le cose stanno. L’esser esposti al poter essere altrimenti, cadendo, è il tremore del pensiero. Appunto per questo Parmenide dice che il “cuore” della vertà “non trema” – sebbene egli, che per un verso appartiene e inaugura la storia dell’epistéme, per altro verso sembra volgere lo sguardo verso un senso inaudito della verità, il senso che non appartiene alla storia dei “mortali”. Il cuore dei mortali, invece, trema di fronte alla sofferenza e alla morte. Platone e Aristotele chiamano ‘thauma’ questo tremore e vedono che da ‘thauma’, cioe dall’ “angosciato stupore”, nasce la filosofia: per essere sicuri della salvezza, non ci si può accontentare del mito e la volontà (thimòs, dice Parmenide all’inizio del Poema) si protende verso il “cuore non tremante della verità”.
[ … ]
Il principio di non contraddizione, che domina l’intera storia dell’Occidente, afferma [ … ] che è necessario che gli enti siano enti, ‘quando essi sono’. ma che non è necessario che gli enti siano; il che significa che è necessario che gli enti siano stati niente, prima di essere, e tornino ad esser niente, dopo essere stati. Il principio di non contraddizione è cioè, insieme, l’affermazione che gli enti che si manifestano divengono, ossia escono dal niente e vi ritornano; e a sua volta il divenire, quale è inteso nel pensiero dell’Occidente, è insieme l’affermazione del principio di non contraddizione, ossia del principio per il quale è impossibile che, quando gli enti sono, siano niente, ma che è necessario che in un tempo diverso, gli enti siano stati e tornino ad essere niente. Nella forma teologico-metafisica dell’ ‘epistéme’ solo il divino è “sempre salvo” dal nulla (come dice Aristotele): nella distruzione di tale forma, e cioè nel pensiero della “morte di Dio”, ogni ente proviene dal niente ed è destinato a ritornarvi. Ma che gli enti in quanto enti escano dal niente e vi ritornino è la verità comune sia alla tradizione dell’Occidente, sia alla distruzione di tale tradizione.
[ … ]
La presente relazione ha inteso offrire qualche premessa sui seguenti essenziali punti.
1) L’opposizione, certo radicale, tra concezione tradizionale e concezione attuale della verità è sottesa da un ‘comune’ e decisivo tratto di fondo.
2) Esso è portato alla luce dal pensiero filosofico, ma è l’ambito in cui cresce non solo la cultura, ma l’intera civiltà dell’Occidente e ormai del Pianeta.
3) Tale tratto è, da un lato, il carattere di incontrovertibilità della verità, dall’altro lato è l’affermazione della contingenza (precarietà, storicità, temporalità, divenir altro) delle cose del mondo, cioè il loro sporgere provvisoriamente dal niente.
4) Nella cultura occidentale, questo tratto comune è espresso dal “principio di non contraddizione”.
5) Ma questo tratto è anche l’alienazione più radicale della verità. Il “principio di non contraddizione” è cioè essenzialmente contraddittorio. Pensare che gli enti escono e ritornano nel nulla (e si tratta di comprendere che appunto questo è affermato dal “principio di non contraddizione”) significa pensare che gli enti in quanto enti sono niente. In ciò consiste il senso autentico del nichilismo. Si tratta allora di comprendere al di là del modo in cui la verità si è presentata storicamente, il senso non contraddittorio della non contraddizione.
6) L’alienazione della verità è il fondamento di ogni potenza e violenza (teologica, scientifica, morale, ecc.).
7) La non alienazione della verità è l’apparire dell’impossibilità che l’ente – un qualsiasi ente . non sia; è cioè l’apparire dell’eternità di ogni ente.
8) La non alienazione è, insieme, l’apparire della necessità che il variare del mondo sia il comparire e lo scomparire degli eterni.
9) Si invita al tema fondamentale, che però in questa relazione non può essere affrontato: in che senso la negazione della contraddizione non è un dogma dell’ente.
(Emanuele Severino, Discussioni intorno al senso della vertità, Edizioni ETS, Pisa 2009, pp.11 – 22).

Sorgente: Amici a cui piace Emanuele Severino, a cura di Vasco Ursini

Appunti e tracce di analisi sul concetto di TERRA ISOLATA DAL DESTINO di Emanuele Severino. Audio di Paolo Ferrario tratto da una conversazione con Doriam Battaglia, 10 marzo 2016

AUDIO in base alla mia PARZIALE capacità di capire questo potente pensiero filosofico

Questo post nasce da una conversazione fra Paolo Ferrario e Doriam Battaglia


da EMANUELE SEVERINO, La potenza dell’errare. Sulla storia dell’Occidente, Rizzoli, 2013

da pag. 134:

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da : A lezione di EMANUELE SEVERINO, Volontà, fede e destino a cura di Davide Grossi, 2 CD ROM e FILE AUDIO mP3, Mimesis, 2008

pag. 69:

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da LUCA GRECCHI, Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino, Petite Plaisance editrice, 2005

p. 37:

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da GIULIO GOGGI, Emanuele Severino, Lateran University Press, 2015

pag. 221:

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La struttura concettuale che fonda l’esistenza del dispiegamento infinito della terra – e l’esistenza di una molteplici-

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stralci da: EMANUELE SEVERINO, La morte e la terra, Adelphi,  2011

da pag. 180:

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da pag. 184:

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da pag 250:

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da pag. 333:

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da pag 476:

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“… già da vivi, e da sempre, sono ciò che non sperano e non suppongono”, EMANUELE SEVERINO

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EMANUELE SEVERINO, I fondamenti del metodo scientifico Contraddirsi? A volte aiuta – Corriere.it, 5 marzo 2016seve

I due contributi fondamentali della fisica contemporanea — teoria della relatività e fisica quantistica mostrano — almeno sinora, di essere tra loro in contraddizione. Ma nessun fisico rinuncerebbe per questo a servirsi di entrambi. E se Kurt Gödel ha dimostrato la possibilità che lo sviluppo del sapere matematico abbia a implicare delle contraddizioni, qualora ciò avvenisse i matematici non volterebbero le spalle alla matematica esistente. L’esperimento che ha fatto osservare l’esistenza delle onde gravitazionali è stato salutato con legittima soddisfazione perché non smentisce la teoria della relatività. Ma che cosa significa non smentirla? Significa che non l’ha contraddetta. Se l’avesse contraddetta, i fisici avrebbero incominciato a dubitare della sua validità ma non smetterebbero di praticarla. In questo modo la fisica mostra la volontà di non contraddirsi. La quale è insieme volontà che la realtà non sia contraddittoria: volontà, pertanto, che i «fatti» che smentiscono il contenuto di una teoria e questo contenuto non abbiano a coesistere

Sorgente: Onde gravitazionali: la conferma scientifica dell’intuzione di Einstein e il dibattito sul metodo scientifico – Corriere.it

oggi è il compleanno di EMANUELE SEVERINO, 26 febbraio 2016

scrive Vasco Ursini (dal gruppo https://www.facebook.com/groups/995555343856790/):
A nome mio personale e di tutti i membri del gruppo un istante fa ho fatto telefonicamente gli auguri a Emanuele Severino per il suo compleanno. Vi assicuro che li ha molto graditi e vi saluta affettuosamente

PALAZZO SANDRO, Eraclito e Parmenide: essere e divenire, Hachette, 2015, pp. 140

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Tecnica e Politica – Conferenza del Professor Emanuele Severino, Roma 12 febbraio 2015

Tecnica e Politica – Conferenza del Professor Emanuele Severino

Sorgente: Tecnica e Politica – Conferenza del Professor Emanuele Severino (12.02.2015)

Luca Taddio intervista Emanuele Severino sull’idea di Europa, su cosa sia rimasto della cultura europea e cosa è rimasto dell’idea di Europa oggi – Rai Storia

Luca Taddio intervista Emanuele Severino sull’idea di Europa, su cosa sia rimasto della cultura europea e cosa è rimasto dell’idea di Europa oggi

Sorgente: Emanuele Severino. Ripensare l`Europa – Rai Storia

DAL SASSO ANDREA, Creatio ex nihilo. Le origini del pensiero di Emanuele Severino tra attualismo e metafisica, Mimesis edizioni

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Uno spaccato sulla storia della filosofia italiana del Novecento, interpretata alla luce del significato ontologico della creatio ex nihilo nel dibattito tra attualismo, problematicismo e metafisica, con il proposito di introdurre il lettore al pensiero di Emanuele Severino, mediante l’analisi delle sue origini e delle maggiori influenze (Gentile, Bontadini). L’analisi storica è affiancata all’intento teoretico di problematizzare l’inizio del filosofare severiniano, allo scopo di esplicitare le condizioni di possibilità per un ripensamento radicale del significato della prassi e dell’etica al di fuori di una comprensione nichilistica del divenire.

Andrea Dal Sasso (Feltre 1982) è dottore di ricerca in Filosofia. Nel 2009-2010 è stato borsista presso l’Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli. È autore del volume Dal divenire all’oltrepassare. La differenza ontologica nel pensiero di Emanuele Severino (Roma 2009) e di vari articoli su riviste internazionali. I suoi interessi sono rivolti alla filosofia italiana del Novecento nelle sue relazioni con la filosofia europea, con particolare riferimento all’ontologia e alla metafisica.

Sorgente: Creatio ex nihilo

Culture simboliche per le professioni dell’arte, dell’educazione e della cura, Master del Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano-Bicocca, 2016

“Culture simboliche per le professioni dell’arte, dell’educazione e della cura” è un master di primo livello, al momento l’unico in Italia, che forma figure professionali in funzione progettuale, conservativa e promozionale nell’ambito del turismo culturale, all’interno dei servizi educativi del patrimonio di musei e istituzioni culturali pubbliche o private.

Il Master è organizzato dal Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” Immagine Link Esterno dell’Università di Milano-Bicocca, con la direzione scientifica di Romano Madera e Paolo Mottana, rispettivamente docente di Filosofia Morale e di Filosofia dell’Educazione

tre moduli:

– Teoria dell’immagine, del simbolo e della cultura, con analisi del pensiero di Carl Gustav Jung, Gaston Bachelard, James Hillman, Gilbert Durand, Ernst Cassirer, Susanne Langer, Aby Warburg;

– Le tradizioni simboliche, con particolare attenzione a quella islamica, ebraica, cristiana, indo-mediterranea, greca, cino-nipponica, alchemica, sciamanesimo;

– Immaginario simbolico contemporaneo ed educazione estetica, analizzato nella cultura contemporanee,  nelle arti poetiche, letterarie, musicali, cinematografiche e coreutiche. nei contesti educativi e psico- terapeutici, nell’architettura e nel paesaggio

tutta la scheda qui

http://www.unimib.it/open/news/In-Bicocca-un-master-per-promuovere-larte-a-partire-da-simbologia-e-mito/531882402895150487

EMANUELE SEVERINO e la filosofia dell’essere, in DOMENICO KOVIELLO, Schegge del ‘900 filosofico, Oltre 100 filosofi del nostro secolo, Laura Rangoni editore, 1996, pagine 52-59

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L’Orestea di Eschilo secondo Severino | Ritiri Filosofici

Il quadro che ne emerge parla di un Eschilo che non solo coglie nel sapere dell’epistéme “un sapere che salva” dal dolore, ma soprattutto parla di Zeus non intendendo un dio mitico, bensì il Principio di tutte le cose. Proprio qui risiede il cuore della sua ricchezza filosofica: nell’aver compreso come solo attraverso la sapienza l’essere umano può essere in grado di dominare il dolore, perché conosce la Verità del senso del Tutto

vai al post:

Sorgente: L’Orestea di Eschilo secondo Severino | Ritiri Filosofici

EMANUELE SEVERINO incontra PARMENIDE, Bompiani, collana interviste immaginarie, 2010

EMANUELE SEVERINO incontra PARMENIDE, Bompiani, collana interviste immaginarie

PARME


VAI A:

Emanuele Severino incontra Parmenide (pdf)


 

Emanuele Severino “Cosa” e tecnica , da festivalfilosofia2012 cose

Emanuele Severino

“Cosa” e tecnica

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cose

vai a: Sorgente: Festival Filosofia – Emanuele Severino – “Cosa” e tecnica

Emanuele Severino

Emanuele Severino è professore emerito di Filosofia teoretica presso l’Università di Venezia e insegna Ontologia fondamentale presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È Accademico dei Lincei. Ha offerto un’interpretazione della filosofia che sottolinea lo scacco del pensiero metafisico da Platone a Nietzsche e Heidegger. Per superare le aporie nichilistiche della tradizione metafisica evidenti anche nel discorso moderno della tecnica, ha promosso un ritorno a una filosofia dell’Essere che escluda rigorosamente il non-essere e il divenire. Fra le sue opere recenti: Nascere e altri problemi della coscienza religiosa (Milano 2005); Fondamento della contraddizione (Milano 2005); La filosofia futura. Oltre il dominio del divenire (Milano 2006); La tendenza fondamentale del nostro tempo (Milano 2008); Immortalità e destino (Milano 2008); La buona fede. Sui fondamenti della morale (Milano 2008); L’identità del destino. Lezioni veneziane (Milano 2009); Il destino della tecnica (Milano 2009); Democrazia, tecnica, capitalismo (Brescia 2009); Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia (Milano 2011). La Casa Editrice Adelphi pubblica la collana “Scritti di Emanuele Severino”.

 

foto Baracchi, Campanini

 

Emanuele Severino ha partecipato anche alle seguenti edizioni:
2001

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2002

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2004

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2005

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2006

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2007

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2008

|

2010

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2011

 

GIACOMO LEOPARDI, da I grandi della letteratura italiana – Rai 5, 2015

Sarà vero che Leopardi è il cantore della negatività e del pessimismo? O non sarà più corretto descriverlo come il poeta di un’altra grande forza, il Desiderio? Poeta passionale, dunque. Poeta affamato di vita. Poeta troppo innamorato della vita per non essere condannato all’insoddisfazione. La puntata racconta la vita del grande autore, facendo di tutto per rispettare la sua stessa volontà: concentrarsi sul pensiero, e non sulla sua tragica vita privata.

La location scelta è il Parco dei mostri di Bomarzo, quasi la messa in scena di pietra del mondo dell’immaginazione in cui il giovane Leopardi cercava rifugio dalla realtà.


 


I GRANDI DELLA LETTERATURA ITALIANA

La Storia della Letteratura sfogliata in Tv da Edoardo Camurri. Da Dante a Pasolini, i versi e le parole dei maggiori autori italiani. Da lunedì 9 novembre 2015 in prima serata su Rai5.

Sorgente: I grandi della letteratura italiana – Rai 5

Emanuele Severino su Occidente e Islam, da violenza e morte nel nome di dio, al Death Studies Master dicembre 2015

Avatar di Paolo FerrarioMAPPE nel sistema dei SERVIZI alla persona e alla comunità, a cura di Paolo Ferrario

violenza e morte nel nome di dio, al Death Studies Master dicembre 2015

Emanuele Severino su Occidente e Islam. Grazie a Vasco Ursini per avere rintracciato questa preziosa traccia che conferma un mia convinzione datata 11 settembre 2001: l’INFERIORITA’ CULTURALE dell’islam
Il relativismo culturale (ogni cultura è “buona” in sè) è un ERRORE.
Ci sono valori di civiltà (in particolare quelli delle soggettività individuali e delle progressive libertà individuali) che sono SUPERIORI ad altri modi di fare cultura

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MOBY DICK di Herman Melville, da MITI ED EROI, Regia di Alessandro Baricco, con Stefano Benni, Paolo Rossi e Clive Russel. Musiche di Nicola Tescari, luci di Roberto Tarasco, Rai 5, 26 dicembre 2015

Avatar di Paolo FerrarioTRACCE e SENTIERI


dal sito Fandango, 2009:

Alessandro Baricco con l’ausilio di tre grandi interpreti come Stefano Benni, Paolo Rossi e Clive Russel si cimenta nel racconto di Moby Dick, il capolavoro letterario di Herman Melville. Girato nel 2007 all’Auditoriumdi Roma durante il RomaEuropa Festival lo spettacolo percorre per estratti la lettura avanzando tra i capitoli di questo classico della letteratura, strutturati, come le fasi del giorno, in notte, alba, mezzogiorno, tramonto. Apre la lettura la voce di Baricco al quale è affidata l’introduzione “Chiamatemi Ismaele”, per poi passare il testimone a Stefano Benni, Paolo Rossi e Clive Russel. “La balena bianca, il grande male bianco, che vive in profondità e viene in superficie solo per respirare, per essere più forte, per ammazzare, non ha nome, ma il suo riflesso nero su un uomo quello sì ha un nome ed è Achab, un personaggio pazzesco – afferma Baricconell’introduzione – ad un certo…

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PALAMEDE, L’EROE CANCELLATO, da MITI ED EROI, Regia di Alessandro Baricco con Valeria Solarino e Michele Di Mauro. Musiche di Nicola Tescari, luci di Roberto Tarasco, Rai 5, 19 dicembre 2015

Avatar di Paolo FerrarioTRACCE e SENTIERI



Alessandro Baricco crea in un racconto in 28 frammenti il suo Palamede, l’eroe cancellato.

Palamede (uno degli eroi achei sotto le mura di Troia) è un figura leggendaria ed eccentrica: considerato un genio, inventore della scrittura, degli scacchi e di molte altre cose, fu condannato a morte perché denunciato da Odisseo di aver venduto i piani di guerra achei ai troiani.

Alla radice del loro scontro tra i due eroi vi era il conflitto tra due élites intellettuali: vinse Odisseo, con l’inganno (fabbricò le prove della colpevolezza di Palamede), e il nome di Palamede fu sistematicamente cancellato dalla memoria. In Omero non appare nemmeno in un’occorrenza.

Ma poiché anche i “perdenti” hanno una loro affascinante vitalità che la storia non riesce talvolta a cancellare, la memoria di Palamede sopravvisse in alcune narrazioni meno ufficiali rispetto all’epica omerica e da queste tornò in superficie fino a diventare, a partire dal…

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Severino spiega alla “perfezione” il significato di FILOSOFIA φιλοσοφία (Audio tratto dalla conferenza titolata: Identità Occidentale, Pistoia 28 maggio 2010)

 

EMANUELE SEVERINO, La violenza, l’uomo e le religioni – breve intervista

 

Emanuele Severino al Festival dell’acqua, Genova 2011 

 

Emanuele Severino – MORTE DI DIO ed ETERNO RITORNO

MASSIMO PISTONE, Einstein & Parmenide, Armando editore, 2015

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Einstein e Parmenide, oggetto del titolo, non sono i soli filosofi o scienziati citati nel testo, ma rappresentano la chiave per leggere il testo: la scienza e la filosofia utilizzano uno stesso registro di discorso. «Il paradigma, con cui noi osserviamo le proposizioni di questi due grandi pensatori, è lo sguardo che interroga il mondo attraverso il linguaggio e la logica, insomma usando la ragione, non altro, né esperienza, né verità rivelate. […] Parmenide e Einstein dicono la stessa cosa» (p. 11). La ragione, logica e deduttiva, è ciò che riesce ad accomunare i saperi scientifici e filosofici al di là delle apparenti differenze o delle semplici modalità specifiche.
In questo grande elogio della ragione si susseguono, in una linea volutamente diacronica e slegata, pensatori come Galileo e Cantor, Wittgenstein e Poicaré, Euclide e Heidegger, per citarne solo alcuni che, tra il mondo classico e la modernità, hanno contribuito, in vario modo, allo sviluppo del pensiero.
Tra i tanti temi affrontati nel volume, interessante è quello che riconosce alla filosofia occidentale la separazione, fin dalle sue origini, tra parola e cosa
tutto l’articolo qui:

Sorgente: Pistone, Massimo, Einstein & Parmenide

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Omaggio a EMANUELE SEVERINO: L’Occidente e il Destino, Intervengono: Emanuele Severino, Massimo Cacciari, Carlo Sini, Antonio Gnoli – Adelphi Edizioni e Teatro Franco Parenti, Lunedì 30 novembre alle ore 18:30 Teatro Franco Parenti via Pier Lombardo, 14 – Milano. VIDEO e AUDIO

Audio:

1 Antonio Gnoli
2 Massimo Cacciari
3 Carlo sini
4 Emanuele Severino
gli audio sono anche qui:

(logo) Adelphi Edizioni
OMAGGIO A EMANUELE SEVERINO

Adelphi Edizioni e Teatro Franco Parenti
sono lieti di invitarLa alla serata

OMAGGIO A EMANUELE SEVERINO
L’Occidente e il Destino

Intervengono:
Emanuele Severino
Massimo Cacciari
Carlo Sini
Antonio Gnoli (coordina)

Saluto di Andrée Ruth Shammah

Lunedì 30 novembre alle ore 18:30
Teatro Franco Parenti
via Pier Lombardo, 14 – Milano
tel. 02 59995206


Emanuele Severino
Un cammino verso le radici del significato di dike: «il principio più stabile» secondo Aristotele.
Biblioteca Filosofica (2015, pp. 374)
€ 38,00

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Questo audio è reso disponibile agli interessati ascoltatori nel quadro della “cultura della condivisione”, favorita da internet.

Se gli organizzatori e il docente non fossero d’accordo per la sua diffusione lo toglierò e farà solo parte della mia audioteca di studio.
Grazie per la importante occasione di riflessione.
Paolo Ferrario

Emanuele Severino in occasione dei suoi 80 anni 

Emanuele Severino – La Libertà, 18 febbraio 2009

EMANUELE SEVERINO, ALLE SPALLE DELLA RICERCA E DELLA CONOSCENZA EMPIRICA SI TROVA UN FATTORE CHE CONTIENE TUTTI GLI SPAZI E TUTTI I TEMPI C’è un sapere che precede la scienza, Corriere della Sera, 26 OTTOBRE 2015

vai a:

http://archiviostorico.corriere.it/2015/ottobre/26/sapere_che_precede_scienza_co_0_20151026_c8214410-7baa-11e5-bed9-aa9cadecf42f.shtml

Gianfranco Cordì analizza DIKE di Emanuele Severino, da TELLUS folio, 15 ottobre 2015

parte finale:

il frammento di Anassimandro si trova «al culmine» di questa «coscienza»: esso mostra la necessità che díke sia la morte che riconduce all’ápeiron. Ma il destino è necessario: è necessario che ogni essente sia sé stesso e null’altro di differente da sé stesso. Díke rimette a posto questa necessità sanando il contrasto del diventar altro (in cui sono caduti gli essenti a causa della separazione): ogni cosa adesso è quello che è, le cose sono quello che sono, gli essenti sono eterni e quindi identici a sé stessi e privi di ogni contraddizione in quanto uniti da quella «e» che li congiunge e li fa stare insieme pur essendo contrari. «L’Occidente pensa, nel frammento di Anassimandro, il tratto decisivo a cui resterà poi sempre fedele, che cioè il dolore … è prodotto dalla “realtà” del diventar altro, la quale è a sua volta prodotta dalla “realtà” della sua separazione dall’Uno immutabile». Nel ricettacolo può dunque avvenire la terra che salva

tutto l’articolo:

Sorgente: TELLUS folio

Di Kavafis bisogna conoscere almeno tre poesie, a cura di Andrea Di Gregorio

Di Kavafis bisogna conoscere almeno tre poesie:
In tutte si coglie lo spirito tragico del Novecento:
la scissione della coscienza,

il senso di un fato che incombe NON dall’esterno, ma dall’interno


Andrea Di Gregorio su:

aggiunge Giorgio Chiavegato :  “anche GRIGIO” non scherza”

Rimirando un opale a metà grigio

mi risovvengo d’occhi belli e grigi

ch’io vidi(forse vent’anni fa)…

Per un mese ci amammo.

Poi sparì, credo a Smirne, a lavorare.

E poi non ci vedemmo più.

Si saranno guastati gli occhi grigi

-se vive-e il suo bel viso.

Serbali tu com’erano, memoria.

E più che puoi, memoria, di quell’amore mio

recami ancora, più che puoi, stasera.

Costantino Kavafis

EMANUELE SEVERINO, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro edito da Adelphi, Dìkē, racconta a Musica Maestro, di Radio24 la sua passione giovanile per la musica, a partire da Béla Bartòk passando per Stravinskij | a cura di Armando Torno, 20 settembre 2015

In occasione dell’uscita del suo ultimo libro edito da Adelphi, Dìkē, il pensatore bresciano racconta ai microfoni di Musica Maestro la sua passione giovanile per la musica, a partire da Béla Bartòk passando per Stravinskij, fino alla scelta di dedicare la sua vita alla filosofia diventando un punto di riferimento per le ultime generazioni. La musica secondo Severino non è antifilosofia ma esprime anzi nel mondo più radicale il pensiero occidentale e rappresenta il modo, il grido attraverso cui far rivivere il mondo

Sorgente: Dìkē, l’opera filosofica di Emanuele Severino | Radio24


EMANUELE SEVERINO: sul RELATIVISMO

L’APPARIRE FINITO E L’APPARIRE INFINITO DEL DESTINO, Il brano è tratto da Vasco Ursini, Il dilemma verità dell’essere o nichilismo?, Booksorintesidizioni, 2013, pp. 90-91

L’APPARIRE FINITO E L’APPARIRE INFINITO DEL DESTINO

Si è visto che Severino distingue l’apparire delle singole determinazioni empiriche dall’apparire trascendentale, inteso come orizzonte della totalità finita di ciò che appare. Le cose cioè appaiono in quanto esiste una dimensione in cui il loro apparire viene accolto, ospitato e congedato. Tale dimensione trascendentale non può pertanto apparire e scomparire, non può cioè sopraggiungere e congedarsi come accade invece all’apparire empirico che appare e scompare.
Posta la distinzione tra l’Apparire trascendentale e l’apparire della determinazione empirica, ribadito che l’Apparire trascendentale è immobile sia in quanto, come ogni altro essente, è eterno, sia in quanto non inizia e non tramonta perché non è compreso nel processo dell’apparire e dello scomparire che esso ospita; ribadito che compete all’apparire empirico, non di iniziare a essere e cessare di essere, ma di iniziare ad apparire e cesare di apparire, Severino chiarisce come e perché l’apparire empirico, che consiste nell’esser presente, di fatto non lo è sempre.
A tal fine occorre ribadire che, secondo Sevrino, l’Apparire trascendentale è l’apparire ‘processuale’ di ciò che è immutabile. Conseguentemente, poiché ciò che è immutabile appare ‘processualmente’, ciò che di esso appare è necessariamente ‘parziale’. Dunque la ‘processualità’ comporta la ‘parzialità’ della presenza della totalità dell’essere. Il termine con il quale Severino indica tale apparire è, come si è visto, quello di apparire ‘finito’.
Tale parzialità tuttavia non è vista da Severino come negazione dell’esser tutto del tutto perché il tutto è tale anche se non si mostra come tale. E’ necessario0 quindi affermare che il tutto, per essere tale, deve apparire come tutto, ma ciò che appare nell’apparire finito non è il tutto. Si deve pertanto necessariamente distinguere un ‘apparire finito’. o parziale, del tutto, che coincide con la processualitò dell’Apparire trascendentale e un ‘apparire infinito del tutto’, in cui il tutto appare concretamente come tutto.
Tale distinzione viene da Severino così spiegata. Poiché l’apparire dell’essente non può diventare niente, è necessario affermare che esso cessa di apparire entro l’apparire finito, ma continua necessariamente ad essere l’apparire che è. Perciò è necessario che esista una dimensione in cui esso appare eternamente, è necessario cioè che esista un altro apparire, in cui ogni essente e ogni apparire empirico appare da sempre e per sempre. A questa dimensione Severino dà il nome di apparire ‘infinito’ e anche di ‘Gioia’.
A questo punto, occorre chiedersi su quali basi Severino afferma che l’apparire infinito esiste necessariamente. Egli pone come fondamento di tale necessità ‘l’esser sé dell’essente’ che appare nell’apparire finito del destino e, sviluppando il suo ragionamento, afferma che se l’apparire infinito non esistesse, l’esser sé dell’essente sarebbe contraddittorio.L’apparire infinito è l’apparire della totalità concreta e eterna degli essenti e, in quanto tale, è il toglimento di quella “contraddizione C” che avvolge l’originario.
Se tale apparire non esistesse la “contraddizione C” non sarebbe originariamente tolta e dunque dovrebbe essere tolta. In questo modo però l’originario non sarebbe originaria negazione del proprio negativo ma sarebbe diveniente, cioè sarebbe un divenire altro che sarebbe il toglimento della propria negazione. Il destino non sarebbe lo stare eterno e innegabile dell’essere e il divenir altro sarebbe la sua essenza originaria.
Ma poiché ciò è immediatamente impossibile (perché immediatamente autonegativo), l’apparire infinito esiste necessariamente. La necessità della sua esistenza è affermata da Severino proprio sulla base dell’esser sé dell’essente che appare nell’apparire finito del destino.
L’apparire infinito del destino è dunque l’apparire della totalità concreta dell’essente, mentre l’apparire finito del destino è l’apparire formale di tale totalità, cioè è l’apparire della necessità dell’esistenza di ciò che in esso non può concretamente apparire, ossia è l’apparire della nececessità dell’esistenza della totalità concreta dell’essente.

(Il brano è tratto da Vasco Ursini, Il dilemma verità dell’essere o nichilismo?, Booksorintesidizioni, 2013, pp. 90-91)

L’ACCADERE, brano è tratto da: Vasco Ursini, Il Dilemma Verità dell’Essere o Nichilismo, Booksprintedizioni, 2013, pp. 85-87)

L’ACCADERE 

Per il nichilismo ‘accadere’ significa “incominciare ad essere venendo dal nulla”. Per Severino ‘accadere’ significa invece “l’incominciare ad apparire e il cessare di apparire dell’essente”. E’ questo, secondo lui, l’accadere che effettivamente appare. L’accadere, inteso nichilisticamente come un incominciare ad essere venendo dal niente, non appare. Se l’accadere fosse inteso solo come apparire dell’essente sarebbe un contenuto costante dell’apparire trascendentale e quindi non sarebbe un ‘accadere’. 
Poiché, secondo Severino, ogni ente è eterno, anche l’accadere, che è anch’esso un ente, è eterno. Poiché l’accadere dell’ente è eterno, è necessario che l’ente accada. 
Avendo ciò che accade il senso determinato che gli conviene, è anche necessario che accada quell’ente che accade. L’accadere come incominciare ad apparire è dunque il passaggio dall’ombra alla luce; l’accadere come smettere di apparire è il passaggio dalla luce all’ombra. Entrambi i passaggi sono essenti e dunque sono eterni. 
Va ribadito a questo punto che, secondo Severino, l’accadimento è il ‘sopraggiungere dell’apparire dell’essente’ e non ‘il sopraggiungere dell’essente ( che pure è ciò che appare). 
Poiché è necessità che ogni essente non sia niente, il passaggio dal non apparire all’apparire e viceversa, in cui consiste quell’essente che è l’accadere, ‘deve’ accadere. Accade cioè quello che ‘deve’ accadere. 
E’ necessario conseguentemente che l’ente che accade resti nascosto sin quando comincia ad apparire. Se non ci fosse questo nascondimento l’accadere non sarebbe accadere, e poiché l’accadere è un essente. che dunque non può essere niente, è necessario che esistano, quali eterni, sia il nascondimento che il disvelamento, 
Severino afferma che l’Occidente ha sempre inteso e continua a intendere l’apparire dell’essere come un fatto che capita alla cosa e non come un essente anch’esso. Dunque, per l’Occidente, quando la cosa appare, appare semplicemente la cosa e non c’è bisogno che appaia il suo apparire. Parimenti, quando la cosa non appare più, l’Occidente non dice che la cosa ha smesso di apparire in quanto non appare il suo apparire, ma dice che la cosa non è più. Ciò vuol dire che per l’Occidente quando la cosa non c’è, ad essere assente è il suo essere e non il suo apparire. In questa ottica la cosa non può che essere concepita come ciò che esce dal niente e ritorna nel niente. 
Severino al conrario afferma che per porsi al di fuori di questa ottica è necessario ripensare incontraddittoriamente l’apparire concependolo, non come un “fatto”, ma come un essente eterno come tutti gli altri essenti, un essente consistente in una relazione di significati, cioè in una ‘struttura logico-semantica’. 
[ … ] 
“La verità dell’essere è innegabile: L’essere che appare appartiene alla verità dell’essere, perché è innegabile. Ma è innegabile in quanto si sa che appare, ossia in quanto appare il suo apparire” (E. S., Essenza del nichilismo, p. 162). 
Se dunque l’apparire di ciò che appare non fosse presente, ciò che appare non apparirebbe. L’apparire di qualcosa, per poter essere tale, deve essere ‘apparire del suo apparire’. 
L’apparire dell’apparire è dunque la coscienza della presenza e quindi la coscienza delproprio essere presenza. “L’apparire di qualcosa” significa già “apparire dell’apparire” di quel qualcosa, cioè significa che si sa che la cosa che appare appare; se non lo si sapesse, la cosa non apparirebbe. 
[ … ] 
Il sapere che qualcosa appare è dunque la posizione veritativa e fondamentale dell’apparire, cioè non è una posizione ulteriore rispetto all’apparire. 
[ … ] 
Se invece si ritiene che la cosa che appare, appare al di fuori del pensiero, cioè al di fuori dell’esserne cosciente, non ci può essere apparire. L’idealismo ha dimostrato l’insostenibilità di tale posizione. 
Dunque, quando qualcosa appare, appare immediatamente e necessariamente il suo apparire. 
[ … ] 
Pertanto, quando l’essere appare, appare il suo apparire, ossia non solo la coscienza è originariamente autocoscienza, ma affinché sia davvero tale, è necessario che essa sia cosciente di essere tale, cioè è necessario che l’apparire non sia soltanto ‘apparire dell’apparire’, ma anche coscienza del proprio essere apparire dell’apparire. Il che significa che l’apparire semplice è già ‘apparire dell’apparire dell’apparire’. 

Il brano è tratto da: Vasco Ursini, Il Dilemma Verità dell’Essere o Nichilismo, Booksprintedizioni, 2013, pp. 85-87)

Emanuele Severino parla della strage di Brescia: “«Era in atto una lotta all’ultimo sangue tra le democrazie capitalistiche occidentali e il socialismo reale, da Bresciaoggi.it

L’articolo di Emanuele Severino, pubblicato da «Bresciaoggi» nei giorni immediatamente successivi alla strage di piazza Loggia, rimane a distanza di quarantuno anni «di incredibile attualità, lucidamente onesto ed estremamente coraggioso». 

Il giudizio dato da Emilio Del Bono sul pezzo, datato primo giugno 1974, è un riferimento all’immediata individuazione da parte del filosofo, oggi ottantaseienne, della matrice fascista dell’attentato. Il sindaco, intervenuto alla presentazione di un libretto stampato dai tipi di Morcelliana, meritevoli di aver riproposto il famigerato articolo, accompagnato da un’intervista rilasciata da Severino al curatore del piccolo volume (Ilario Bertoletti), ha definito l’iniziativa editoriale «un’offerta di riflessione per tutta la nostra comunità». 

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A 41 anni dall’attentato fascista che sconvolse la nostra città, oggi alle ore 18 il Salone Vanvitelliano di Palazzo Loggia ospiterà una conversazione fra il teologo Rosino Gibellini, il banchiere Giovanni Bazoli ed Emanuele Severino, a partire dalla pubblicazione del volumetto del filosofo bresciano «Piazza della Loggia. Una strage politica» (48 pagine, 6 euro), che la casa editrice Morcelliana manda in libreria in questi giorni per la curatela di Ilario Bertoletti.

Emanuele Severino: già da vivi e da sempre SIAMO ciò che non speriamo e supponiamo di essere

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Emanuele Severino interviene al convegno “I nemici della conoscenza: i saperi di fronte al relativismo”, tenutosi a Modena il 24 ottobre 2008

Il professor Emanuele Severino intervene al convegno “I nemici della conoscenza: i saperi di fronte al relativismo”, tenutosi a Modena il 24 ottobre 2008, nella ricorrenza del ventesnimo anniversario dalla fondazione dell’Istituto Filosofico Studi Tomistici. Titolo dell’intervento: “I nemici della filosofia”

Emanuele Severino sull’ACQUA, 2011

EPICURO, Convinciti che ogni nuovo giorno che si leverà, per te, sarà l’ultimo. Con gratitudine allora accoglierai ogni insperata ora …

«Convinciti che ogni nuovo giorno che si leverà, per te, sarà l’ultimo.

Con gratitudine allora accoglierai ogni insperata ora.

Riconoscendone tutto il valore affronterai ogni momento del tempo che viene ad aggiungersi come se derivasse da una incredibile fortuna»

EPICURO

da Una promessa di felicità – Il Sole 24 ORE.

IL PROBLEMA DEL FONDAMENTO, da Emanuele Severino, Educare al pensiero, La Scuola, Brescia 2012.Il libro è un’intervista di Sara Bignotti a Emanuele Severino, dalla bacheca Facebook di Vasco Ursini

(sottolineature mie)

IL PROBLEMA DEL FONDAMENTO
(da Emanuele Severino, Educare al pensiero, La Scuola, Brescia 2012.Il libro è un’intervista di Sara Bignotti a Emanuele Severino).

D. Ci approssimiamo al “fondamento” del suo discorso: cosa vuol dire che l’uomo è l’apparire del destino, in relazione all’autonegazione della negazione dell’esser sé dell’essente?

R. Il destino è l’apparire dell’esser sé; è l’essenza dell’uomo – ossia ‘non’ l’essenza ‘generica’, ma ciò che ‘ogni’ uomo da ultimo è – è appunto questo apparire. L’essenza dell’uomo è il destino.
Ma proviamo a chiarire il senso dell’autonegazione della negazione dell’esser sé. Non è possibile qui chiarirlo “concettualmente”. Qui si può indicare una metafora che metta sulla strada di un approfondimento adeguato. Supponiamo che ci sia un bersaglio, e che un arciere scagli una freccia contro il bersaglio. E supponiamo che accada questo: che la freccia, invece che colpire il bersaglio, colpisca se stessa. Se questo accadesse per tutte le frecce e per tutti gli arcieri che mirano contro il bersaglio, noi di quest’ultimo dovremmo dire che non può essere colpito da nessun arciere e che qualsiasi freccia che gli fosse scagliata avrebbe questa sorte, di non colpire il bersaglio, ma di colpire se stessa. Questo colpire se stessa è l’equivalente, nella metafora, di ciò che chiamo ‘autonegazione”. Nella metafora, il bersaglio corrisponde al destino. E la freccia è il corrispettivo, nella metafora, di ciò che chiamo ‘negazione del destino’ ( la freccia è una negazione del bersaglio, lo vuole colpire). Il destino soddisfa – ‘qui’ non possiamo dire ‘ciò che più conta’ ossia il ‘perché – la struttura di questa metafora, è ciò rispetto a cui ogni negazione è la freccia che colpisce se stessa, e quindi si toglie da sé, nega se stessa. Ciò significa che il destino è l’innegabile, l’incontrovertibile, ma in senso radicale per cui – qui è uno dei meriti intramontabili della filosofia in quanto evocatrice del senso inaudito ‘dello stare’ della verità – non ci può essere cambiamento di tempo, mutamento di costumi, non ci può esser alcun Dio che modifichi il bersaglio immacolato e intangibile, che riesca a trasformarlo, a farlo diventar alltro, a mostrarne la negabilità.

D. Il fondamento, appunto, è l’evidenza della verità…
R. E’ essenzialmente più che l’evidenza: è l’evidenza in ‘relazione’ all’autonegazione della sua negazione. Questo è il senso autentico del ‘fondamento’.
D. Il fondamento corrisponde a ciò che i filosofi antichi chiamavano principio primo o origine?

R. Ma riuscendo ad essere l’innegabile. Se vogliamo un’annotazione storica, è Aristotele che ha intravisto potentemente il fondamento, che lui chiama ‘Bebaiotàte arché’ (‘principium firmissimum’). […] Nella parola ‘bebaiotàte’ risuona la parola ‘epistéme’. Lo star fermo dell’ ‘epistéme. E’ anche Aristotele, con Platone, a trattare il principio in relazione alla “confutazione” (‘élenchos’) di coloro che intendono negare il principio (che per lui è ciò che poi verrà chiamato “principio di non contraddizione”. Anche il ‘cogito’ cartesiano guarda in questa direzione).

D. Dell’élenchos si ha appunto compiuta esposizione nel libro IV della Metafisica di Aristotele, un classico da lei commentato [Il principio di non contraddizione, La Scuola, 1975], su cui si sono formate generazioni di studenti. In che senso l’élenchos è modello di pensiero che non necessita di dimostrazione?

R. Ma prima di rispondere alla sua domanda, non è più opportuno mostrare l’ ‘aporia’ del discorso che introduce l’ ‘élenchos? Per la risposta alla sua domanda è meglio rinviare ai miei scritti. Vediamo l’aporia, dunque. Aristotele tende a indicare il principio come non bisognoso di ‘élenchos’ (che significa letteralmente la punta della lancia e per noi significa l’apparire dell’autonegazione del principio). Per Aristotele il principio è per sé ‘evidente’, e quindi egli è propenso a considerare la ‘bebaiotàte arché’ come non bisognosa dell’ ‘élenchos’, il quale apparterrebbe quindi alla “dialettica” e non al principio.
Ora, non basta parlare del destino, senza vedere il senso concreto della sua innegabilità. Non basta parlare del “principio di non contraddizione”, senza vedere il senso della sua innegabilità. Tale principio come semplicemente asserito è un dogma, una semplice “evidenza”. Ossia è un dogma affermare soltanto che è evidente. Come è dogma il semplice asserire che esiste il mondo. Quindi, affinché la ‘bebaiotàte arché’ non sia un dogma deve apparire in relazione all’ ‘éelenchos’, che in quanto determinazione del destino è l’apparire dell’esser sé, in quanto l’esser sé degli essenti è in relazione alla propria autonegantesi negazione. L’élenchos è l’apparire dell’autonegazione della negazione del destino).
Aristotele asserisce che è frutto di ignoranza non sapere di quali cose ci sia dimostrazione e di quali non possa esserci: se non si fosse “ignoranti”, si capirebbe che dimostrare significa ricondurre il ‘demonstrandum’ alla ‘bebaiotàte arché’, cioè vedere che la negazione del ‘demonstrandum’ implica la negazione della ‘bebaiotàte arché’. E allora, tenendo ferma questa annotazione, il principio di non contraddizione appare come ciò che non ha bisogno di nient’altro che del suo apparire perché debba essere accettato. Per Aristotele è sufficiente la sua “evidenza”.
‘Ma così si presenta appunto come un dogma’. Dunque è necessario il suo esser visto in relazione all’ ‘élenchos’, in cui appare l’impossibilità di negare l’evidenza. Ma allora, se la ‘bebaiotàte arché’ ha bisogno dell’ ‘élenchos’, che ne mostri l’innegabilità e il suo non aver bisogno di nient’altro che di se stessa, e se d’alta parte la ‘beaiotàte arché’ è il fondamento di ogni dimostrazione, allora si presenta un’ ‘aporia’ – che a mio avviso nella storia del pensiero filosofico non solo non è stata risolta, ma non è stata nemmeno mai vista- L’aporia è che il qualcosa che sta al fondamento di tutto il sapere può apparire come siffatto fondamento, solo in quanto tale qualcosa è in relazione all’ ‘élenchos, che dunque viene a presentarsi come una sorta di fondamento di ciò che dovrebbe essere il fondamento di tutto’. Se non si sa risolvere questa aporia, è aporetico anche parlare di ‘epistéme’, di verità, di destino…

D. La “confutazione”, esposta nel libro IV della Metafisica di Aristotele, è da lei così rigorizzata: l’élenchos è l’autonegazione della contraddizione?

E’ l’autonegazione della negazione del destino. Certo: qui ormai ci siamo lasciati alle spalle la separazione tra pensiero e cosa, perché dire che il destino è l’apparire dell’esser sé dell’essente implica – ma anche qui per una struttura concettuale che non possiamo esplicitare – che è impossibile un essente che non appaia.
(A questo punto, però, qualcuno potrebbe dire che se è impossibile che un essnte non appaia, allora si viene a dire che tutto coincide con quello che appare qui e ora. E invece no, a questo punto si tratterebbe di ricordare la necessità che l’Io del destino sia il cerchio ‘finito’ dell’apparire del destino, che implica con necessità la totalità infinita dell’apparire, che non coincide con la totalità che appare in tale cerchio, e nei cerchi dell’altrui esser uomo. Dovrebbe cioè farsi innanzi la figura dell’apparire infinito: l’eterno apparire infinito degli eterni).

D. Il cerchio finito implica l’apparire infinito, così come la nostra esistenza si libra tra finito e infinito. Cosa vuol dire che siamo finiti ed eterni al tempo stesso?

R. Poiché eterno è l’essente in quanto essente, eterno è anche il finito, ossia l’essente che non è la totalità degli essenti. L’Io del destino è la struttura originaria del finito, il cerchio che, accogliendo la terra, è perciò stesso finito. Nell’apparire infinito non sopraggiunge alcun eterno perché da sempre li contiene tutti.

SULL’ERRORE E L’ERRARE, alcuni momenti della conversazio e tra EMANUELE SEVERINO e un gruppo di giovani, svoltasi il 19 novembre1988, segnalato da Vasco Ursini

ALCUNI MOMENTI DELLA CONVERSAZIONE TRA EMANUELE SEVERINO E UN GRUPPO DI GIOVANI, SVOLTASI IL 19 NOVEMBRE 1988 ( LA SIGLA D. INDICA LA DOMANDA, LA SIGLA R. INDICA LA RISPOSTA DI SEVERINO).

D. La sua affermazione che “l’uomo è un errore” lascia presupporre un’antropologia “sbagliata”, relativa a un uomo come volontà di potenza che pensa se stessa. Ma, a meno che il superamento dell’errore non sia la sparizione dell’uomo, che tipo di antropologia si può pensare, in rapporto alla consapevolezza della verità?

R. Innanzitutto, non è l’individuo che testimonia, cioè pensa esplicitamente la verità. Se fosse l’individuo a testimoniare la verità, allora la testimonianza sarebbe per definizione individuale, cioè ridotta allo spazio, al tempo e ai limiti dell’individuo. Bisogna vedere l’errore del concetto che “Io vado verso la verità” e che “se mi va bene, a un certo momento la vedrò”. No! Perché se “Io” è, ad esempio, il sottoscritto, con questa struttura fisica determinata, allora sarebbe come dire che un occhio cieco può vedere la verità. Perché un occhio cieco? Appunto in quanto dominato dai condizionamenti che costituiscono l’individuo. L’apparire della verità non è la mia coscienza della verità. All’opposto: io sono uno dei contenuti che appaiono. Questo è il primo rilievo.
Poi, si parlava della differenza tra ‘chi’ agisce sapendo e ‘chi’ agisce non sapendo. Ma adesso non possiamo più dire così; perché non è che io “sappia” -. io, Emanuele Severino, – e gli altri non sappiano…No! Io e gli altri siamo individui. Quindi siamo forme che stanno all’interno dell’apparire – e dell’apparire in quanto tratto della verità. Formazioni finite, e errori. Io sono un errore come te, come lui… Non si può nemmeno pensare che la verità – come invece insegna tutta la tradizione dell’Occidente – abbia il compito di “illuminare” l’uomo.
Invece dobbiamo dire che lp’individuo è il ‘non’ illuminabile. Perché l’individuo è errore. Se ci si rende conto che l’individuo è errore, allora la verità non ha il compito di rendere verità l’errore.

D. Quindi è un errore irrimediabile…
R. E’ un errore, un aspetto dell’errore. E…
D. No, scusi se la interrompo: noi siamo abituati a pensare, quando si parla di errore, a un qualcosa di rimediabile attraverso una presa di coscienza…

R. Lei dice “errore” nel senso in cui diciamo per esempio ai nostri figli: hai commesso un errore, però puoi riscattarti, quindi rimediare…
Ma il tuo riscattarti non può far sì che l’errore che hai commesso non sia più un errore. Il tuo riscattarti è la tua capacità di non commettere più quell’errore. Ma l’errore, anche nel nostro comune modo di parlare, resta errore. A maggior ragione. se noi, invece che in termini morali, parliamo in termini logici: “1+1 = 3” non è riscqattabile (se si suppone che “1+1 = 2” sia una verità assoluta). La verità non può illuminare l’errore. La verità non fa uscire l’individuo dall’errore, perché l’errore è l’individuo. “Errore” è la persuasione che esista l’uomo (e l’individuo); cioè la persuasione che “Io esisto”.
Non ci si può dunque domandare quale è la differenza fra la mia soggettività “illuminata” dalla verità e la tua non illuminata; perché nessun “io” (individuo) è illuminato dalla verità. All’opposto, la verità include me, e te, e gli altri come conformazioni specifiche dell’errore – include l’errore consistente nella fede nell’esistenza dell’uomo.

D. Se io mi rendo conto che la mia presunzione di potenza è un errore, da questo momento sono per ciò stesso oltre l’errore, almeno in termini di consapevolezza. Ciò nonostante…
R. Non “io”… E’ la coscienza della verità ad essere oltre l’errore.
D. Forse questo è appunto il problema: questa coscienza per la quale la verità è, è coscienza di chi?

R. E’ un tratto della verità. La verità non è un atto soggettivo. Quindi siamo totalmente al di fuori del concetto, poniamo, aristotelico, cristiano, marxiano, che intende la coscienza come prodotto teorico dell’individuo. E’ contraddittorio che l’individuo sia cosciente della verità. L’apparire della verità non è un atto individuale, ma è il mostrarsi di ciò che appare. Quale mostrarsi? Quello di Dio? No: ‘questo’ mostrarsi. Il mostrarsi non è il mio atto di coscienza, perché il ‘mio’ atto di coscienza è esso stesso una delle cose che si mostrano. Perché diciamo: “Io esisto”? Perché appaio (perché appare l’errore in cui io consisto). Se non apparissi insieme alla libreria, al lampadario, alle stelle, non potrei dire che io esisto.
Si può affermare che “io esisto”, perché appaio. E mi mostro in quale luogo? In quel luogo dove è tutto cià che si mostra. E allora io non sono il lanternaio che ‘fa’ luce sui luoghi: la luce è luce che illumina i luoghi e io appartengo a uno di questi luoghi. L’apparire della verità non è la coscienza che “uno” ha della verità.

D. Allora è un nonsenso parlare di superamento dell’errore: l’errore è connaturato all’esistere come uomino.

R. Ma questo non vuol dire che l’errore non sia negato: l’errore appare da sempre come errore: Senza l’errore la verità non può essere negazione dell’errore: Dire che l’errore è connaturato all’uomo non vuol dire che l’errore è lasciato libero a se stesso, non giudicato, non visto come errore. No: l’errore è da sempre negato dalla verità. (Ciò che da sempre è negato dalla verità ha esso stesso una struttura complessa che include la persuasione di essere “uomo”). L’uomo non si porta oltre l’errore: è la verità che si lascia indietro l’uomo.

dal gruppo facebook Incontri con Emanuele Severino.