La Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) è una accademia privata di belle arti legalmente riconosciuta dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), fondata a Milano nel 1980.
È la più grande accademia di belle arti in Italia e fa parte del comparto universitario dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM), offrendo diplomi accademici di primo livello (laurea triennale) e di secondo livello (laurea magistrale)156.
NABA ha due campus principali,
uno a Milano, situato nel quartiere Navigli in un complesso storico di 14 edifici,
e uno a Roma, inaugurato nel 2019 nel quartiere Ostiense.
Entrambi i campus dispongono di laboratori specializzati, biblioteche, aree didattiche e ricreative26.
L’offerta formativa copre diverse aree artistiche e di design, tra cui pittura, arti visive, design, fashion design, graphic design, media design, scenografia, comunicazione, fotografia, interior design e molte altre discipline creative. L’accademia promuove un approccio multidisciplinare e un equilibrio tra teoria e pratica, con docenti professionisti e collaborazioni con importanti aziende del settore che offrono tirocini e opportunità lavorative agli studenti47.
A partire dall’anno accademico 2026/27, NABA aprirà anche un campus a Londra, espandendo la sua presenza internazionale57.
In sintesi, la Nuova Accademia di Belle Arti è un’istituzione di alta formazione artistica riconosciuta, con una forte vocazione internazionale e un’offerta formativa ampia e aggiornata, rivolta a chi vuole intraprendere una carriera nelle arti visive, nel design e nelle professioni creative125.
Venerdì 27 Giugno ore 18 presso Libreria Plinio Il Vecchio Como, Via Vittani 14, ingresso libero, Davide Fent, presenta, Dal Futurismo al Punk Dadaismo. Stasera si dorme a Trieste o in Paradiso con gli eroi Transeuropa Edizioni 2025
Don Andrea Stabellini, parroco di Morcote (Ticino, docente di Teologia Università di Lugano, saggista
Il Futurismo è nato all’inizio del Novecento, in Italia, ed è stato un movimento che ha coinvolto diversi ambiti come la letteratura, l’arte e la musica. È considerato una delle prime avanguardie europee in quanto correnti simili si sono poi sviluppate in altri paesi dell’Europa nonché in Russia, in Asia e negli Stati Uniti. Ciò che i futuristi volevano è esplorare tutte le forme di espressione possibili, dalla scultura alla pittura al teatro fino al cinema e finanche la gastronomia. Colui che è considerato il fautore del movimento è il poeta italianoFilippo Tommaso Marinetti.Vediamo come nasce e si sviluppa quest’avanguardia tutta italiana.
IL FUTURISMO: NASCITA DI UN MOVIMENTO DINAMICO
Gli inizi del Novecento sono stati anni in cui tutto il mondo dell’arte e della cultura stava evolvendo verso qualcosa di nuovo, stimolato naturalmente dagli avvenimenti del periodo specifico quali guerre, la trasformazione della società, i cambiamenti politici e le nuove scoperte tecnologiche come il telegrafo senza fili, la radio, le cineprese e gli aerei. Questi furono elementi importanti e decisivi perché indussero a mutare completamente la percezione delle distanze e del tempo dato che si trattava di mezzi realizzati per accorciarle e creare nuove relazioni. Il XX era quindi destinato a essere il secolo della velocità e del dinamismo, per questo i futuristi volevano lasciarsi indietro il passato e concentrarsi sul presente in cui si avvertiva un nuovo futuro dato dalla velocità. I futuristi abbracciarono i progressi tecnologici che stavano cambiando la vita quotidiana e poiché non doveva esserci distinzione tra arte e vita, furono coinvolti in ogni ambito della società e pubblicizzarono le loro idee attraverso i manifesti futuristi che ne esprimevano l’animo ribelle.
I temi ricorrenti nelle opere e nelle performance artistiche di Doriam Battaglia sono principalmente legati alla ricerca della realtà profonda e alla percezione dell’esistenza come processo dinamico e in continua trasformazione.
Le sue opere si concentrano su:
La materia e la sua trasformazione: Battaglia esplora la materia come sostanza cangiante, inafferrabile e mutevole, evidenziando il processo di apparizione e scomparsa delle immagini, quasi come “finestre” su un mondo sconosciuto e inconoscibile.
La dimensione spirituale e filosofica: Le sue opere sono impregnate di riflessioni filosofiche e spirituali, con riferimenti a pensatori come Amiel e Valéry, e mirano a suscitare nello spettatore uno stato d’animo di meditazione e consapevolezza.
Il tempo e la nascita dell’immagine: La pittura di Battaglia è vista come un processo di nascita e affermazione, dove il colore e la composizione suggeriscono un’evoluzione continua, quasi un rito di passaggio dall’assenza all’essere.
L’esperienza estetica come indagine etica: L’arte per Battaglia non è solo estetica ma anche etica, un modo per interrogare la realtà e la coscienza, coinvolgendo anche un pubblico non specializzato in una riflessione profonda.
L’uso del corpo e della performance: Nelle performance, come in molte pratiche artistiche contemporanee, il corpo è spesso elemento centrale, coinvolto in rituali, movimenti ripetitivi e interazioni con materiali e spazi, per esplorare la vulnerabilità, la temporalità e la materialità dell’esistenza.
In sintesi, i temi principali sono la trasformazione della materia, la ricerca spirituale, il tempo come dimensione dell’esistenza e la relazione tra corpo, spazio e coscienza, elementi che si riflettono sia nelle sue opere pittoriche che nelle sue performance artistiche3459.
“Van Gogh – I colori dell’eternità” è il titolo del primo episodio della nuova stagione di Ulisse, il piacere della scoperta, condotto da Alberto Angela e trasmesso su Rai1 lunedì 7 aprile 2025 alle 21.30[1][4][7]. La puntata esplora la vita tormentata e l’arte rivoluzionaria di Vincent van Gogh, ripercorrendo i luoghi che hanno segnato il suo percorso umano e creativo: dalla nascita a Zundert (Olanda) alle esperienze ad Anversa, Parigi, Arles e Saint-Rémy-de-Provence[5][7].
Struttura e contenuti principali:
Approccio narrativo: Un racconto emozionale e visivo, con ricostruzioni storiche, immagini digitali e realtà immersiva per immergersi nei capolavori come Quindici girasoli in un vaso e La camera di Vincent[3][5].
Analisi psicologica: Il contributo dello psicoanalista Massimo Recalcati approfondisce il rapporto tra genio e follia, interrogandosi su come Van Gogh sarebbe stato accolto oggi[3][7].
Aspetti meno noti: Viene sfatata l’immagine stereotipata dell’artista “maledetto”, evidenziando invece la sua cultura poliglotta, la conoscenza dei classici e la formazione teologica[5][7].
“Tre donne” è un dipinto di Umberto Boccioni, realizzato tra il 1909 e il 1910. Quest’opera rappresenta un momento cruciale nella transizione artistica di Boccioni dal divisionismo al futurismo.
Descrizione dell’Opera
Tecnica e Stile: Il dipinto è un olio su tela, eseguito con la tecnica del divisionismo, che prevede l’applicazione di tratti di pigmento separati per creare effetti visivi intensi[1][4]. Tuttavia, “Tre donne” mostra anche elementi futuristici, come la luminescenza e i tratti variabili nelle figure[1].
Soggetto: L’opera ritrae tre figure femminili significative nella vita dell’artista: sua madre Cecilia Forlani a sinistra, sua sorella Amelia a destra e l’amante Ines al centro[1][2].
Iconografia: La composizione utilizza suggestivi effetti luminosi provenienti da una finestra non visibile ma intuibile sulla sinistra del quadro. Questa luce smaterializza le figure anticipando la compenetrazione tra figura e ambiente tipica dei successivi ritratti futuristi[2].
Contesto Artistico
Boccioni fu introdotto al divisionismo da Giacomo Balla. Tuttavia, durante questo periodo iniziò a interessarsi al futurismo dopo aver incontrato Filippo Tommaso Marinetti nel 1910. “Tre donne” segna quindi una fase di transizione verso lo stile futurista caratterizzato da dinamismo e modernità urbana[1][2].
Giorgione: “Le tre età dell’uomo” a Palazzo Pitti, Firenze
“Le tre età dell’uomo”, noto anche come “La lezione di canto”, è un dipinto a olio su tavola attribuito al pittore veneziano Giorgione. Realizzato intorno al 1500-1501, l’opera è conservata nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze[5][7].
Descrizione e Interpretazione
Il quadro rappresenta tre personaggi di diverse età su uno sfondo scuro, con un giovane che legge uno spartito musicale, un adulto che glielo spiega e un vecchio che guarda intensamente l’osservatore[3][5].
La musica assume il ruolo di allegoria dell’armonia esistenziale e cosmica. L’uso della luce dorata per modellare le forme dei personaggi crea un effetto visivo suggestivo, tipico dello stile Leonardesco[3].
Conservazione
Il dipinto si trova nella Galleria Palatina degli Appartamenti Reali all’interno di Palazzo Pitti a Firenze.
È considerato una delle opere più significative per comprendere il tema dell’invecchiamento nell’allegoria artistica rinascimentale[8].
In sintesi, “Le tre età dell’uomo” è una rappresentazione simbolica delle diverse fasi della vita umana attraverso la musica e la pittura rinascimentale veneziana.
Le opere d’arte sono così. Ci chiamano a sé, vogliono rubare la nostra attenzione, come sirene che cantano, ammaliano e ci confondono.
Finché esisterà l’arte, come incanto, memoria, bellezza e richiamo all’infinito, il mondo non merita di finire. Maria Vittoria Baravelli ci accompagna attraverso un personale atlante di bellezza che spazia dall’antichità al contemporaneo, dal cinema, alla fotografia, alle installazioni, con accostamenti inediti e paralleli inaspettati. L’arte richiede presenza: la prima vera regola, imperturbabile al tempo e ai cambiamenti, è che l’espressione artistica deve essere sperimentata dal vivo, nei musei, alle mostre. Accanto all’energia e alla possibilità di fruizione che le nuove tecnologie ci mettono a disposizione, l’autrice resta fermamente convinta del valore dell’arte incontrata di persona, che ci entra dentro e non ci abbandona più. Questo libro è un viaggio nella vita di capolavori che non finiscono mai di parlarci, alla scoperta di cosa ci colpisce davvero quando contempliamo un’opera d’arte e questa sembra avvicinarci ai suoi segreti. Come diceva Umberto Eco, leggendo un libro, così come osservando un’opera, si innesca una sorta di “immortalità all’indietro”. Per un attimo ci è concesso di guardare direttamente negli occhi il passato, incrociare lo sguardo dell’artista e perderci nella nostalgia di epoche che non sono la nostra.
Maria Vittoria Baravelli è una curatrice d’arte e scrittrice italiana, nata a Ravenna nel 1993. È nota per il suo impegno nella promozione dell’arte contemporanea e per la sua capacità di creare connessioni tra diverse forme artistiche. Il suo recente libro, Il mondo non merita la fine del mondo, pubblicato da Rizzoli il 26 novembre 2024, esplora l’importanza dell’esperienza diretta con le opere d’arte e il loro potere evocativo.
Dettagli del Libro
Titolo: Il mondo non merita la fine del mondo. Storie, arte e altri incanti
Autore: Maria Vittoria Baravelli
Editore: Rizzoli
Data di Pubblicazione: 26 novembre 2024
Pagine: 224
Formato: Brossura
ISBN: 9788891843784
Contenuto e Tematiche
Nel libro, Baravelli sostiene che le opere d’arte hanno un potere intrinseco di attrazione, paragonandole a sirene che catturano l’attenzione. L’autrice propone un viaggio attraverso un “atlante di bellezza” che abbraccia opere dall’antichità al contemporaneo, toccando cinema, fotografia e installazioni. Sottolinea l’importanza di vivere l’arte in prima persona, nei musei e alle mostre, piuttosto che attraverso uno schermo, in quanto l’interazione diretta con l’opera è fondamentale per una comprensione profonda[1][2][4][5].
Baravelli riflette anche sul concetto di “immortalità all’indietro”, citando Umberto Eco, per descrivere come l’osservazione di un’opera d’arte ci permetta di connetterci con il passato e con le emozioni degli artisti[2][4][8].
Carriera e Influenza
Oltre alla sua attività di scrittrice, Maria Vittoria Baravelli ha curato numerose mostre d’arte in Italia e ha collaborato con importanti marchi. È membro del Consiglio di Amministrazione del Museo d’Arte della città di Ravenna e scrive per diverse pubblicazioni, tra cui Marie Claire Maison e Corriere della Sera [1][3][7].
La sua visione artistica è caratterizzata da un forte legame con la nostalgia e la memoria culturale, utilizzando i social media per avvicinare le nuove generazioni all’arte[7]. La sua opera si distingue per la capacità di rendere accessibile l’arte a un pubblico più ampio, enfatizzando la necessità di una partecipazione attiva nell’esperienza artistica.
In sintesi, Il mondo non merita la fine del mondo non è solo un saggio sulla teoria dell’arte, ma un invito a riscoprire il valore dell’esperienza diretta nell’apprezzamento delle opere artistiche.
Edward Hopper è uno dei pittori americani più influenti del XX secolo, noto per il suo stile unico che cattura la solitudine e l’isolamento dell’esperienza umana attraverso la luce e l’architettura. Le sue opere, caratterizzate da un realismo incisivo, esplorano temi di vita urbana e desolazione, spesso utilizzando scene quotidiane per esprimere emozioni profonde.
Vita e Carriera
Nato nel 1882 a Nyack, New York, Hopper iniziò la sua formazione artistica presso la School of Illustrating di New York e successivamente studiò alla New York School of Art sotto la guida di Robert Henri. Negli anni ’20, Hopper si trasferì a Parigi, dove fu influenzato dall’Impressionismo, ma tornò presto negli Stati Uniti, dove sviluppò il suo stile distintivo.
Tematiche Principali
Le opere di Hopper sono caratterizzate da:
Solitudine e Isolamento: Molti dei suoi dipinti ritraggono figure solitarie in ambienti vuoti, suggerendo un profondo senso di malinconia.
Luce: Hopper era un maestro nell’uso della luce naturale per creare atmosfere evocative. La luce gioca un ruolo cruciale nella sua arte, spesso evidenziando contrasto tra interno ed esterno.
Architettura: Le sue composizioni spesso includono edifici e spazi urbani, riflettendo la vita americana del suo tempo.
Opere Celebri
Tra i dipinti più iconici di Edward Hopper ci sono:
Nighthawks (Nottambuli) (1942): Rappresenta una tavola calda notturna con clienti isolati, simbolo dell’incomunicabilità moderna[4].
Morning Sun (1952): Mostra una donna che riceve i raggi del sole nella sua camera, esprimendo solitudine e introspezione[2].
House by the Railroad (1925): Un’opera che utilizza linee orizzontali per separare l’osservatore dalla scena rappresentata, accentuando il tema della solitudine[2].
Automat (1927): Ritrae una donna in una caffetteria, enfatizzando il senso di isolamento in un contesto urbano[2].
Stile e Tecnica
Hopper utilizzava principalmente la tecnica dell’olio su tela e si distingueva per la sua tavolozza di colori piatti e tonalità scure. La sua abilità nel rappresentare effetti luminosi è evidente in opere come Sole di Mattina (1952) e Finestre di notte (1928), dove la luce diventa un elemento narrativo essenziale[1][3].
Influenza Culturale
Le opere di Hopper hanno avuto un impatto duraturo non solo nel campo delle arti visive ma anche nel cinema e nella letteratura. Registi come Wim Wenders e Dario Argento hanno tratto ispirazione dalle sue immagini per esplorare temi di isolamento e introspezione nei loro film[4].
In sintesi, Edward Hopper rimane una figura centrale nella storia dell’arte americana, il cui lavoro continua a ispirare artisti e spettatori con la sua profonda esplorazione della condizione umana attraverso il linguaggio visivo.
Edward Hopper è celebre per le sue opere che catturano la solitudine e la malinconia della vita moderna. Ecco alcune delle sue opere più famose:
Opere Iconiche di Edward Hopper
Nighthawks (I Nottambuli) (1942)
Descrizione: Questo dipinto rappresenta un diner notturno a New York, con clienti isolati che sembrano persi nei propri pensieri. È considerato il lavoro più famoso di Hopper e simbolo dell’incomunicabilità urbana.
Ubicazione: Art Institute di Chicago[1][3].
Morning Sun (Sole di Mattina) (1952)
Descrizione: Ritrae Josephine, la moglie dell’artista, seduta su un letto mentre la luce del sole entra dalla finestra, creando un’atmosfera di intimità e introspezione.
Ubicazione: Columbus Museum of Art, Ohio[3][5].
Room in New York (Stanza a New York) (1928)
Descrizione: Mostra una coppia in un appartamento newyorkese, evidenziando il tema della solitudine anche in spazi condivisi.
Ubicazione: Collezione privata[4].
Cape Cod Morning (Mattino a Cape Cod) (1950)
Descrizione: Rappresenta una donna seduta in una cucina, immersa nella luce del mattino che entra dalla finestra, evocando tranquillità e riflessione.
Ubicazione: Collezione privata[1][4].
Automat (1927)
Descrizione: Ritratta una donna solitaria seduta in un automat, simbolo della vita urbana e della solitudine moderna.
Ubicazione: Collezione privata[3][5].
House by the Railroad (Casa vicino alla ferrovia) (1925)
Descrizione: Un’immagine iconica di una casa abbandonata vicino ai binari, rappresenta l’isolamento e il cambiamento dell’American way of life.
Ubicazione: Museum of Modern Art, New York[1][4].
East Wind Over Weehawken (1934)
Descrizione: Un paesaggio che cattura l’atmosfera della vita suburbana con un uso magistrale della luce e del colore.
Valore d’asta: Venduto per 40.485.000 $ nel 2013, è una delle opere più costose di Hopper[2].
Queste opere non solo mostrano il talento di Hopper nel catturare la luce e l’atmosfera, ma anche la sua abilità nell’esprimere emozioni complesse attraverso scene quotidiane. La sua arte continua a influenzare artisti e cineasti contemporanei, rendendolo una figura centrale nella storia dell’arte americana.
Lisa ha dieci anni e vive a Parigi con i genitori quando un giorno, all’improvviso, i suoi occhi smettono di vedere. I primi accertamenti al pronto soccorso non rilevano nulla di anomalo e dopo qualche ora di angoscia la vista sembra tornata. L’oculista è convinto che la bambina necessiti di un consulto psichiatrico, ma il nonno di Lisa, Henry, un vecchio burbero e determinato, è di tutt’altro avviso: se la bambina rischia di perdere la vista, l’unica vera urgenza è mostrarle tutto ciò che di più bello l’uomo ha creato. E così, ogni mercoledì, subito dopo la scuola, fingendo con i genitori di portarla dallo psichiatra, il nonno accompagna la nipote a visitare alcuni tra i più importanti musei del mondo: il Louvre, il Museo d’Orsay, il Beaubourg sono scrigni di meraviglie che si schiudono davanti allo sguardo di Lisa e della sua specialissima guida.
Osservando incantati le cinquantadue opere che scandiscono il romanzo, scoprendo la cifra stilistica di un artista, commovendosi davanti all’ineffabile spettacolo di un Leonardo o di un Degas, di un Botticelli o di un’installazione di Marina Abramovic, nonno e nipote compiono un viaggio nel mistero della bellezza, nell’enigmatica capacità dell’arte di mettere a nudo l’animo umano, che cambierà la vita di entrambi. E insieme anche la nostra.
Nick Spatari e Hiske Maas sul finire degli anni ’60, decidono di ridare nuova vita ad un luogo abbandonato nel cuore della Locride, facendolo diventare un luogo di sperimentazione artistica, dove trasmettere e condividere nuove frontiere di tecnica, materia, forma e colore. Nasce così il MuSaBa
Claudio Strinati ci accompagna in un’esplorazione affascinante dei luoghi e dei tempi fondamentali della storia dell’arte, a partire dalle meraviglie del mondo antico fino alle soglie dell’Illuminismo. Un viaggio popolato di immagini sempre nuove che segue anche l’evoluzione dell’uomo, da primitivo già capace di meraviglia e di spiritualità a filosofo in cerca di un ordine universale a padrone del proprio mondo con lo sbocciare dell’Umanesimo e del Rinascimento. Lo scopo di questo libro è provare a restituire la complessità di elementi e di spunti che intessono l’esperienza artistica in ogni luogo e in ogni tempo, in un gioco di riflessioni e di rimandi che mostreranno come la nostra evoluzione sia indissolubilmente legata a un costante anelito verso la bellezza. L’arte infatti è una forma di comunicazione peculiare che dona all’umanità un beneficio incomparabile, e questo beneficio non consiste solo nel creare la bellezza, come spesso si pensa. Queste pagine non contengono un semplice resoconto storico ma ci insegnano a rispecchiarci nel percorso appassionante della riflessione sul bene e sul bello, riconoscendo negli artisti e nelle loro opere le stesse istanze che animano la vita di ciascuno di noi.
Edward Hopper è un artista unico che fonde tradizioni e tendenze contraddittorie.
Utilizza modelli della scuola classica (Vermeer, Watteau, Rembrandt, ecc.) che, in un mix di ironia, cinismo e malinconia, trasporta nella realtà americana.
Questi cento disegni sono stati scelti tra i moltissimi realizzati da Bazlen dal 1944 al 1950, e rappresentano il diario visivo della sua terapia analitica con Ernst Bernhard, basata sulla pratica dell’immaginazione attiva: esprimere con una tecnica diversa da quella abituale le immagini dei sogni e delle fantasie come chiave di lettura dell’inconscio. Bernhard chiede a Bazlen, letterato, di disegnare, e questi man mano affina la sua tecnica, partendo dal disegno a matita e a china, per arrivare agli acquerelli e nell’ultimo periodo ai mandala. I simboli, le figure e gli scenari onirici tratteggiati da Bazlen d’altra parte, riportano inevitabilmente a simboli, figure e scenari che sono propri del racconto degli uomini fin dall’origine: il viandante, l’orientale, la coppia, il diavolo, l’isola, il gioco, il porto, il viaggio, la morte, la simbologia religiosa e della “quaternità”. Quasi sempre dietro ai disegni è segnata la data del sogno e il momento in cui l’ha fissato su carta.
Roberto Bazlen. Il più portentoso e nascosto talent scout dell’editoria
Nato nel 1902 a Trieste, morto nel 1965 a Milano. Italiano e tedesco, con gli occhi aperti sulla cultura mitteleuropea, che all’Italia era rimasta quasi sconosciuta. Lettore insaziabile, trova sulle bancarelle del ghetto i libri lasciati dagli austriaci che abbandonano Trieste. Giovanissimo frequenta Saba, Quarantotti Gambini, Edoardo Weiss e soprattutto Svevo, che lui stesso segnala a Montale, dando così inizio alla sua fortuna. Nel 1934 si trasferisce a Milano, dove nel 1937 incontra Luciano Foà con cui dal 1942 lavora alle Nuove Edizioni Ivrea di Adriano Olivetti, il programma che ispirerà decenni dopo la nascita di Adelphi. Montale lo incontra nel 1924 a Genova, gli fa scoprire Kafka, la letteratura mitteleuropea, fino a diventarne il consigliere occulto. Nel 1939 si trasferisce a Roma, in via Margutta, dove prende in affitto da due sorelle la stanza che per tutta la vita sarà la sua vera casa. Tesse legami disparati, lambendo mondi molto distanti tra loro: artisti, traduttrici cui insegna il mestiere, lo psicoanalista Ernst Bernhard e l’universo dell’analisi junghiana e dell’astrologia. Lavora come consulente occulto di molte case editrici: Carocci, Rosa e Ballo, Cederna, Frassinelli, Astrolabio, Bocca, Guanda, Bompiani, Einaudi, Boringhieri, cercando sempre di restare trasversale ai salotti intellettuali. Le sue proposte editoriali il più delle volte spiazzano gli editori e rimangono inascoltate. Tra le eccezioni, le opere di Jung che fa pubblicare ad Astrolabio e L’uomo senza qualità di Musil a Einaudi. Nel 1962 con Luciano Foà e Roberto Olivetti fonda l’Adelphi, in cui può finalmente riversare il fiume di idee e autori a cui non era ancora riuscito a trovare sbocchi. E progetta la Biblioteca Adelphi, ispirandone per molti anni a venire il catalogo. Sfrattato nel 1965 dalla sua “tana” romana, vive mesi affannosi e muore all’improvviso il 27 luglio del 1965 in un albergo a Milano.
Ci sono fotografie capaci di segnare un’epoca, di lasciare un segno, di sintetizzare mille parole. Immagini destinate a fissarsi per sempre nella nostra memoria e a costruire l’immaginario collettivo.
Mario Calabresi, giornalista e grande appassionato di fotografia, ha viaggiato a lungo per incontrare gli autori di scatti divenuti ormai iconici e farsi raccontare quali emozioni li avessero attraversati mentre fermavano sulla pellicola un pezzo di Storia. Il fotogiornalismo, come il giornalismo, è fatto di pazienza, dedizione e costanza.
Per essere credibili bisogna andare dove i fatti accadono, per vedere, capire e testimoniare. Non può farlo chi si limita a osservare il mondo dall’alto, chi resta distante e distaccato, ma soltanto chi è pronto a calarsi anche nelle realtà più crude, chi si immerge nelle storie correndo rischi.
Lo sanno bene Josef Koudelka, che ha documentato la Primavera di Praga del 1968, Don McCullin, testimone dei sanguinosi conflitti in Vietnam e nell’Irlanda del Nord, Steve McCurry, che ha affrontato i monsoni e attraversato l’Afghanistan in macerie, o Gabriele Basilico, che ha immortalato una Beirut distrutta da anni di guerra civile. I fotografi incontrati da Calabresi hanno accettato di raccontare i momenti che li hanno definiti: l’umanità dolente in fuga dai massacri ruandesi o gli schiavi delle miniere a cielo aperto ritratti da Sebastiao Salgado, le discriminazioni razziali americane testimoniate da Elliott Erwitt o i rifugiati palestinesi ai quali, nelle sue immagini volutamente un po’ sfocate, rivolge con pudore lo sguardo Paolo Pellegrin.
Questo libro contiene le lezioni di Susan Meiselas, capace di costruire rapporti di una vita con i soggetti delle sue foto, come le denunce in bianco e nero di Letizia Battaglia, che ha messo sotto gli occhi dell’Italia la realtà della mafia siciliana. “A occhi aperti” è un affascinante viaggio non solo nella fotografia, ma negli eventi che hanno fatto la Storia degli ultimi cinquant’anni, ancora oggi vividi e toccanti grazie a uomini e donne che hanno saputo cogliere l’attimo perfetto.
Tra i nuovi progetti anche la trasformazione degli spazi di una delle due scale e dell’ascensore del museo in una installazione site-specific realizzata da Fallen Fruit, il duo californiano composto da David Allen Burns e Austin Young:
il progetto, intitolato “Conversazioni sacre”, fa immergere i visitatori in un mondo visionario di fiori, colori, rimandi, elementi e dettagli tratti dalle opere della Collezione e da diversi luoghi in città.
Come consuetudine nella pratica del duo artistico di Los Angeles, la maggior parte delle ispirazioni si riferisce a frutti, fiori, uccelli, piccoli animali, insetti, arricchendosi qui di dettagli pittorici, mani, gesti, sguardi, espressioni, immagini religiose, composti all’interno di una carta da rivestimento applicata alle pareti.
Dalla pittura di Tiziano alla fotografia di Tina Modotti, dai graffiti di Banksy alla Venere di Milo: è il nuovo viaggio di Neri Marcorè e “Art Night” che torna da mercoledì 14 dicembre alle 21.15 su Rai 5. Si comincia con Achille Castiglioni, in occasione dei 20 anni dalla scomparsa, che parla dalle semplici immagini di una telecamera digitale dell’anno 2000, con l’aria ironica e divertita che – come chi l’ha conosciuto conferma -ha avuto nell’arco di tutta la sua vita. Fotografie, disegni tecnici e prototipi, ma anche oggetti di uso quotidiano che Castiglioni raccoglieva in tutto il mondo per studiarli, utilizzarli, trasformarli in qualcos’altro. Li chiamava così: capolavori anonimi. Come una bobina senza pellicola, riadattata per renderla base dell’iconica lampada da tavolo Lampadina.
I PRELIBRI, un volume di culto ormai, è stato pubblicato per la prima volta da Danese nel 1980 e si presenta oggi con una copertina disegnata da Katsumi Komagata, importante graphic designer e progettista di libri giapponese, grande amante dell’opera di Bruno Munari, a cui tutt’oggi si ispira. Si tratta di una serie di 12 piccoli libri (10 x 10 cm) dedicati ai bambini che non hanno ancora imparato a leggere e scrivere, disegnati per adattarsi alle loro mani e assemblati usando diversi tipi di materiali, colori e rilegature.
Offrono una varietà di stimoli, sensazioni e emozioni, che nascono dall’accostamento di percezioni e immagini: “dovrebbero dare la sensazione che i libri siano effettivamente fatti in questo modo, e che contengano sorprese. La cultura deriva in effetti dalle sorprese, ossia cose prima sconosciute” (Bruno Munari).
Impressione, levar del sole (Impression, soleil levant) è un dipinto del pittore francese Claude Monet, realizzato nel 1872. Al dipinto si attribuisce l’origine stessa del movimento impressionista. L’opera è esposta al Musée Marmottan Monet di Parigi
MARIA LAI. Il tempo dell’incalcolabile2021-10-25 / 2022-04-03M77 presenta, da martedì 26 ottobre 2021, Il tempo dell’incalcolabile, progetto espositivo dedicato all’artista Maria Lai
…, ti avrei invitata a vedere una mostra particolare di Maria Lai, espressione dell’arte relazionale e dei libri cuciti.
Me l’aveva segnalata una mia amica innamorata di quest’artista sarda e così ieri sono andata con lei a milano a vedere un’inedito della Lai “Legarsi alle montagne” nonchè l’illustrazione cucita di una fiaba.
Poi, tornata a casa, sono andata a cercare altri particolari e ho trovato questo video su youtube (sono tre, ma io sono partita da quello di mezzo per completarlo con i mancanti successivamente):
Qual è l’attività spirituale che può riuscire a cogliere questa sintesi fra soggetto e oggetto verso la quale la Storia tende?
L’attività dello spirito che può cogliere questa sintesi di soggetto e oggetto non è la filosofia, ma è l’arte. È solo con l’arte che l’uomo può riuscire a cogliere l’assoluto.
Questo perché l’assoluto, come abbiamo visto, è identità totale fra soggetto e oggetto; quindi ogni attività intellettuale che separi e distingua non può cogliere questa identità totale.
La filosofia può cogliere i due principi dell’assoluto come separati, ma non può cogliere l’assoluto come tale; questo perché il ragionamento filosofico per sua natura porta a separare, a distinguere, ad analizzare le diverse componenti dell’essere, quindi non è in grado di “vedere” l’assoluto come assoluto, può solo coglierlo dal punto di vista teoretico.
Ma questo punto di vista teoretico è un’attività intellettuale che è riservata solamente ai filosofi di mestiere e non può essere compresa dalla coscienza comune. L’arte invece può cogliere questa identità assoluta perché l’artista coglie, raggiunge, capisce l’assoluto non attraverso un’attività separante, distinguente, tipica di qualsiasi attività intellettuale e filosofica, ma attraverso un’intuizione immediata, totale, diretta, cioè un atto intellettuale che non ha gradini, né mediazioni.
Nella Storia questa intuizione artistica si realizza concretamente; il grande artista è sempre un grande interprete della sua epoca storica. Inoltre l’opera d’arte si rivolge in maniera più diretta e allargata al grande pubblico e rende possibile, dal punto di vista intellettuale, la contemplazione dell’assoluto da parte della coscienza collettiva. In questo senso l’arte diventa un organo della filosofia, anzi l’organo supremo della filosofia. Ma è nella stessa attività artistica, cioè nell’atto della creazione di un’opera d’arte, che esiste già questa unità assoluta di io e non-io. L’artista, nel suo operare creativo, crea in modo conscio e inconscio nello stesso tempo; conscio perché l’artista possiede una tecnica artistica, frutto di anni di studio, che egli applica in modo cosciente nell’atto creativo. Inconscia perché qualsiasi opera d’arte e qualsiasi artista non possono non essere condotti da una ispirazione (Schelling la chiama poesia), che fa sì che l’opera d’arte stessa non sia il freddo prodotto di una tecnica razionale portata avanti solamente con il raziocinio.
La poesia anima dall’interno il prodotto artistico, dotandolo di vitalità e di naturalità. Nell’arte, inoltre, si manifesta quell’identità di libertà e necessità che è il punto di arrivo di tutto il movimento dell’essere; questo avviene tramite la figura dell’artista e del suo operare artistico. La testimonianza stessa dei grandi artisti ci comunica come la genesi di una grande opera d’arte sia il frutto di un grande travaglio interiore al quale l’artista viene sottoposto. Egli si sente soggetto all’azione di forze e impulsi interiori contrastanti che lo spingono ora in una direzione ora in un’altra, anche contro la sua volontà. Mano a mano che l’opera d’arte cresce e si sviluppa concretamente, l’intenzione dell’artista da inconscia diventa sempre più conscia e in questo modo le due componenti dell’agire umano, libertà e necessità, vengono a coincidere.
La figura di Leonardo da Vinci è come un punto mobile, che continua a produrre nuove scoperte e connessioni con il progresso della tecnica. Il suo sapere procede attraverso l’osservazione e lo strumento del disegno. Leonardo è stato naturalmente anche un pittore e un artista straordinario. Nella sua opera bellezza e intelligenza del mondo si fondono, governate dalla sensibilità per la luce, che determina il colore e modella le forme, e dalla formidabile invenzione dello sfumato. Ma la dimensione del genio è legata anche ai progetti intrapresi e non conclusi, spesso per il desiderio di sperimentare nuove soluzioni, altre volte perché l’altezza e la profondità della visione avevano travalicato la sua epoca.
Artista simbolo per la Norvegia e per la sua capitale Oslo, in cui si è da poco inaugurato un grande e avveniristico museo che raccoglie la sua straordinaria collezione di opere, Edvard Much ha saputo come pochi altri esprimere nei suoi quadri le inquietudini della modernità, tanto che il suo L’urlo (1910) è considerato una sorta di profezia della tragedia delle guerre mondiali.
Da oggi in edicola con Repubblica una nuova iniziativa editoriale diretta da Vittorino Andreoli rivolta a chi ama l’arte e a chi si occupa dei disturbi della mente, ma anche a chiunque voglia avere una visione dell’uomo nella complessità che lo caratterizza: una complessità che tiene insieme polarità estreme a cui appartengono il genio e la follia. Che, appunto, è il titolo della collana di volumi in vendita a 14,90 euro oltre al quotidiano. La collana è in vendita anche con Mind.
Primo Volume, Van Gogh, è ritenuto oggi tra i massimi artisti dell’Ottocento e il valore (anche economico) delle sue opere – in tutto, circa novecento dipinti – batte record anche rispetto ad altri grandissimi pittori. Sul versante della follia, non vi è alcun dubbio sulla gravità che i comportamenti hanno evidenziato. Non ultimo, il suicidio. Emerge che la condizione del folle è espressione di una difficoltà del vivere, ma nello stesso tempo mostra come la creatività e l’arte appartengono sia all’uomo, sia all’uomo folle.
Il direttore della collana, Vittorino Andreoli, è uno dei protagonisti del cammino che ci ha condotto ad ascoltare le potenzialità aperte dalla malattia psichica. Andreoli ha contribuito a forgiare gli strumenti per indagare le relazioni possibili tra arte e disturbo psichiatrico. Da questo punto di vista la collana è illuminante. È un gioco di riflessioni che si rinnova e che trasforma la collana in un patchwork. Ogni volume, corredato da un profilo artistico, è autosufficiente eppure interagisce con tutti gli altri testi.
Ecco le uscite previste ogni mese – Van Gogh (29 ottobre 2021), Caravaggio (22 novembre 2021), Munch (23 dicembre 2021), Leonardo da Vinci (25 gennaio 2022), Goya (22 febbraio 2022), S chiele (22 marzo 2022), Ligabue (22 aprile 2022), Dalì (20 maggio 2022), Kahlo (22 giugno 2022), Arcimboldo (20 luglio 2022), Mondrian (23 agosto 2022), Baquiat (20 settembre 2022).
La mostra “La forma dell’Infinito” intende dare al visitatore la percezione d’essere il destinatario di una rivelazione suggestiva, con opere che facciano sfiorare l’infinito. Basti pensare alle firme dei cinquanta capolavori, molte delle quali appartengono ai più importanti protagonisti dell’arte negli ultimi due secoli: Claude Monet, Paul Cézanne, Alfred Sisley, Henri Matisse, Dante Gabriele Rossetti, Michail Nesterov, František Kupka, Vasilij Kandinskij, Aristarch Lentulov, Natal’ja Gonarova, Odilon Redon, Maurice Denis, Jacek Malczewski, Mikalojus Čiurlionis, Nikolaj Rerich, Medardo Rosso, Umberto Boccioni, Pablo Picasso, Emilio Vedova, Ernst Fuchs, Hans Hartung e altri ancora
“credo nella co-essenza di tutto ciò che esiste. Materia, energia, vita e coscienza, informazione sono un’unica entità, in-creata ed eterna, in perpetua relazione tra ogni sua parte. La nostra visione dualistica della realtà riduce ogni cosa negli opposti, ma ciò è il frutto della nostra limitata percezione. Tra i due opposti, che in realtà sono un’unica inscindibile entità, esistono infinite gradazioni. Tutto è un’unica energia, vibrante e modulata su infinite frequenze. Di queste lunghezze d’onda noi percepiamo solo una piccolissima porzione, lo spettro della luce visibile che si estende tra il rosso, il colore con la frequenza più bassa, e il violetto, che possiede la frequenza più alta tra quelle percepibili dai nostri occhi. ” …
Jorge Méndez Blake, artista messicano, nelle sue opere cerca di connettere le arti visive e la letteratura. E in un suo lavoro ispirato a Kafka evidenzia metaforicamente l’impatto che può avere un solo libro…
Celebrazioni virtuali per il cinquecentenario della morte di Raffaello Sanzio (1483-1520) (guarda qui). Laura Larcan su Il Messaggero: «Morì a 37 anni, all’improvviso, dopo notti di febbre e spasmi. Accadde il 6 aprile del 1520. […] L’anniversario dei 500 anni dalla scomparsa di Raffaello sarà una festa virtuale ma emotiva, a porte chiuse (per il lockdown da coronavirus) ma ricca di immagini e voci. Il Mibact in prima linea ne firma la regia. Si comincia alle 11 del mattino, quando sul canale YouTube del ministero sarà pubblicato un documentario corale con studiosi di fama ed esperti che racconteranno l’amore per Raffaello, da Claudio Strinati ad Antonio Forcellino, dalla direttrice dei Musei Vaticani Barbara Jatta a Marco Ciatti, direttore dell’Opificio delle pietre dure, che ha curato nella sua carriera 15 capolavori del Divin Pittore. Fino a Melania Mazzucco. Le Scuderie del Quirinale guidate da Mario De Simoni danno il loro contributo con il tour virtuale della bella mostra (oggi monitorata da un’équipe di tecnici). E gli Uffizi di Eike Schmidt lanciano […] un tour virtuale dei capolavori di Raffaello sulla pagina Facebook (un video al giorno fino a mercoledì). Tanti gli appuntamenti televisivi in programma tra canali Rai e Sky Arte. E […] chi sa che non spunti una rosa sulla sua tomba al Pantheon».
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