Emanuele Severino: molti sensi dell’altro

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Essere Sopravvissuti – riApparire | di Simona Rinaldi, kolonistuga

Brani dal Poema di Parmenide “Sulla natura” e due interventi di Hans-Georg Gadamer ed Emanuele Severino, che unisce idealmente Parmenide ad Einstein

viaBrani dal Poema di Parmenide “Sulla natura” e due interventi di Hans-Georg Gadamer ed Emanuele Severino, che unisce idealmente Parmenide ad Einstein.

Nella biblioteca di Emanuele Severino, in La Banda del Book, Rai5

vai a: Video Rai.TV – Rai5 – Emanuele Severino.

Gianfranco Cordì. La morte, la terra e il «gran finale» Sul nuovo libro di Emanuele Severino 17 Novembre 2011, su TELLUS folio

Proviamo a tracciare uno scenario. Da una parte c’è il «destino». Ovvero «l’apparire della necessità della differenza dei differenti, e insieme della necessità dell’esser sé e non l’altro da sé, da parte di ognuno dei differenti». Ogni elemento è perciò se stesso nel «destino» e non può mutare, cambiare, cangiarsi in qualcos’altro. Dall’altra parte c’è la «terra isolata». Questa «è in ogni sua parte la follia estrema che intende l’esser cosa come l’esser altro da (cioè il non essere) ciò che esso è». Il «mondo» – che «appare nel cerchio originario e in ogni altro cerchio del destino» – è quella «fede» (che è quindi «volontà» e quindi «dubbio») che gli elementi in esso presenti siano altro da sé: che mutino, che possano trasformarsi, che diventino qualcosa di diverso da quello che essi stessi erano in partenza. Sulla scorta di tale scenario, Emanuele Severino in questo suo La morte e la terra (Adelphi, 2011) costruisce un impalcatura teoretica molto conseguente anche se un po’ intricata e a momenti, forse, un po’ inintelligibile ….  segue

l’intero articolo (di profonda cultura) è qui: TELLUS folio.

La follia degli antichi. Dei, eroi, uomini

 Simone Bedetti - La follia degli antichi Vol. 1 (download)
Simone Bedetti – La follia degli antichi Vol. 1 (download)
Prezzo:
€ 2,95
Autore: Bedetti Simone 
Voce narrante: Palmieri Valentina 
Durata: 1h41′
Anteprima audio: clicca qui per ascoltare
Copyright audio: Area51 Publishing
Supporto: 1 file zip (mp3)

La follia degli antichi. Dèi, eroi, uomini. Vol.1 è un audiolibro proposto da Area51 Publishing. Una visione cosmogonica della follia attraverso una serie di biografie magnifiche e terribili, solari e allucinate di dèi, eroi, tiranni, filosofi… uomini che l’autore, Simone Bedetti, racconta con queste parole: ‘Ho voluto raccontare la follia non come patologia ma come cosmogonia. Ci fu un tempo, ci fu necessariamente un tempo, in cui accadde un movimento improvviso, uno strappo, e dal vuoto lacerato del nulla precipitò l’universo. Penso che questo strappo, lo spalancarsi della vita sulla meraviglia, la sofferenza e l’amore accada e riaccada costantemente nella nostra testa’. Dioniso, Orfeo, Eracle e Icaro sono alcuni tra gli dei, gli eroi e gli uomini la cui follia è raccontata in questo audiolibro, letto dalla voce di Valentina Palmieri e intervallato da brani musicali. L’audiolibro è realizzato in collaborazione con il Teatro della Rabbia. Contenuto: La follia degli antichi. Dèi, eroi, uomini. Vol.1 Indice delle tracce: 1. Coscienza Cosmica (brano musicale) 2. Dioniso. Dio delirante 3. Prigioniero dell’illusione (brano musicale) 4. Orfeo. Poeta 5. Trionfo di Orfeo (brano musicale) 6. Eracle. Epilettico 7. Bar-do (brano musicale) 8. Era. Madre matrigna 9. Bhavacakra (brano musicale) 10. Soma. Nettare divino 11. Nettare divino (brano musicale) 12. Aiace. Protettore di cadaveri 13. Un nuovo mondo (brano musicale) 14. Icaro. Malinconico 15. Trionfo di Icaro (brano musicale)

vai a: http://www.ilnarratore.com/prodotti/idx/1607/Simone-Bedetti—La-follia-degli-antichi-Vol-1-download.html

Emanuele Severino, citazione da La morte e la terra

Per quanto grandi siano le speranze e le supposizioni umane“, scrive Emanuele Severino sulla soglia di questo suo nuovo libro, “esse si accontentano di poco, rispetto a ciò da cui l’uomo è atteso dopo la morte e a cui è necessario che egli pervenga“.

Severino procede qui risolvendo un problema decisivo, lasciato ancora aperto: se “la terra isolata dal destino è oltrepassata dalla terra che salva e dalla Gloria“, nondimeno su questa nostra vita – si potrebbe dire – incombe la morte, e continuamente vi irrompe.

L’inedito cammino della «Gloria», pubblicazione PUBB«La morte e la terra» opera cruciale del filosofo Emanuele Severino, articolo di Ines Testoni

È appena uscita «La morte e la terra» (Adelphi), opera cruciale di Emanuele Severino, in quanto parte conclusiva del suo percorso teoretico dedicato «all’indicazione autentica dell’eternità». Inteso come «destino», tale concetto non ha niente a che vedere con quello considerato dalla tradizione metafisica o, all’opposto, dalla fisica di Einstein, bensì più radicalmente riguarda l’«impossibilità del divenir altro/nulla» e la coscienza che tutto ciò che appare è necessario. Ogni ente, quindi, in quanto eterno, né può essere creato né può essere annientato. In questa originaria fondazione si inscrive il problema della morte, che viene da sempre e comunemente intesa come annientamento parziale o totale della persona. 

Mostrando come tale interpretazione sia uno degli esiti della corruzione fondamentale del «nichilismo», Severino inscrive dunque l’accadimento della morte nel luogo dell’avvicendarsi degli eterni: la «terra», il cui inizio ha però conciso con la caduta nell’oblio dell’eternità in cui consiste l’«isolamento». La «terra isolata» è l’essenza del nichilismo in cui abitano i mortali, incapaci di ricordare la propria identità. Questa scotomizzazione è destinata a tramontare con l’avvento della «terra che salva», la quale «al di là di ogni resurrezione» si manifesta come «apocalisse», in cui ogni istante, già accaduto e mai annientato ma solo oscurato, si illumina della propria coscienza.

l’intero articolo qui:  Bresciaoggi.it – Home – Cultura & Spettacoli.

“il nostro esser lo splendore dell’Io del destino”, Emanuele Severino

Alla morte ci si avvicina perchè anche la “vita” sopraggiunge nei cerchi del nostro esser lo splendore dell’Io del destino, ed è necessario che ogni sopraggiungente sia oltrepassato. Il contrasto tra la pura terra e la terra isolata appare in ciò che Noi siamo prima dell’avvento della terra che salva – e nel contrasto appare “questa nostra vita”. Avvicinarsi alla morte è avvicinarsi all’istante che divide tale contrasto dallo splendore della Gioia.

in Emanuele Severino, LA MORTE E LA TERRA, Adelphi, 2011, p. 558

 

da Emanuele Severino La morte e la terra Biblioteca Filosofica 2011, pp. 558

 

…. In La morte e la terra  viene portata alle estreme conseguenze l’ impossibilità di «entrare nella vita eterna»: nell’ eterno «non si entra», perché l’ uomo – ma anche ogni cosa – è già da sempre eterno. D’ altra parte, proprio per questo, è eterno anche il dolore. Per farsi capire Severino allude al rapporto esistente tra il dolore e il Dio cristiano. Dio, incarnandosi, esperisce il dolore dell’ uomo, tuttavia nella sua gloria non solo non può dimenticarlo ma non può nemmeno averne un’ idea astratta, un’ astratta memoria: deve continuare a sperimentarlo nella sua totale angosciante concretezza. Però questo Dio è anche l’ infinito superamento del dolore; ma se l’ uomo è, nel pensiero di Severino, infinitamente più alto di Dio, allora l’ eternità del dolore è, nell’ uomo, superata in un modo anch’ esso infinitamente più alto . Ci ha confidato Severino alla fine della stesura della nuova opera: «Avevo già considerato la morte come lo stato in cui l’ uomo separa il mondo da quello che è il destino della verità, ora la considero nel significato più vicino al suo senso comune: il disfacimento del corpo». E aggiunge: «Nel libro si arriva anche a questo risultato rilevante: che l’ uomo non è atteso né dal nulla né dalle vicissitudini espresse dai concetti di immortalità dell’ anima, resurrezione, reincarnazione, cioè dagli incubi che l’ aldilà può suscitare. Il disfacimento del corpo è immediatamente seguito dalla Gioia suprema in cui, innanzitutto, l’ uomo prende coscienza della propria altezza».

lunghissimo applauso al professor Emanuele Severino che ha tenuto la sua lezione magistrale: su “verità e natura umana”. articolo di Chiara Dini

È stato accolto da un lunghissimo applauso l’arrivo del professore Emanuele Severino che ha tenuto oggi pomeriggio la sua lezione magistrale sotto la tensostruttura allestita in piazzale Avanzini per permettere al Festival Filosofia di proseguire nonostante la pioggia; in tantissimi ad ascoltare le sue parole su “verità e natura umana”.
Il professore è andato subito al sodo: “La natura oggi subisce due tipi di violazioni, quella per l’attuale produzione della ricchezza (che porta alla distruzione della terra) e quella che riguarda la violazione delle leggi che regolano la vita dell’uomo. Queste violazioni sono abbastanza recenti, per capire la natura inviolata bisogna fare un passo indietro, ai tempi del mito, alla presenza del pensiero mitico dello smembramento originario del dio e del sacrificio successivo nel quale si cerca di ricostruire la potenza originaria del Dio”. Secondo Severino, l’essere umano è una volontà e vive in quanto organizza il complesso dei fattori per determinare i mondo.
“Noi vogliamo trasformare il mondo – ha continuato – ma il nostro essere volontà sbatte contro qualcosa di inflessibile, che poi si ci renderà conto essere la natura. Noi viviamo perché in un qualche modo flettiamo premendovi contro la barriera dell’inflessibile”. A questo punto l’illustre filosofo, passando attraverso l’origine e l’etimologia delle parole ha affrontato il concetto del bisogno di “rafforzare Dio” perché indebolito dalla creazione del mondo.
“Il sacrificio si presenta come la condotta morale degli uomini rispetto alla legge divina, il Dio si sgretola, ma il rafforzamento è quello delle leggi da lui costituite; il comportamento etico dell’uomo è il rafforzamento della legislazione di Dio sul mondo. C’è quindi la presenza nell’uomo di una ragione capace di comprendere l’ordinamento inflessibile del mondo; è il pensiero filosofico che svela la legislazione divina. La politica, così come viene intesa dalla tradizione occidentale, è l’adeguazione dello stato alla verità della natura, ad un ordine necessario e non più flesso. L’etica è adeguamento della vita dell’individuo alla legislazione universale”. Etica e politica hanno nel linguaggio evangelico un nome preciso: Cesare. Gesù dice “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. In queste parole è sottointeso che a Cesare (Stato e ragione naturale) non va dato nulla che sia contro il Dio cattolicamente inteso, significa che Cesare deve avere i connotati di quel dio cristiano, ma uno stato cristiano ha una legge solo in quanto la sua violazione implica una sanzione non ultraterrena, ma terrestre.

“Questo quadro dell’episteme è andato distrutto dalla storia per motivi che non vedo ancora adeguatamente discussi dalla cultura tradizionale, da quella cristiana.Se prima si pensava conto che solo lo squartamento di Dio rendeva il mondo possibile (quindi il mondo esisteva perché esisteva Dio), ora ci si rende conto che non è più così. Se esistesse un Dio che avesse riempito tutto con la sua legge non ci sarebbe spazio per la dinamicità del volere, per la dinamicità del mondo. Se si coglie la potenza del sottosuolo del pensiero filosofico del nostro tempo allora bisogna dire che Dio è morto perché è morta la verità assoluta della natura intesa come legislazione inflessibile alla quale ci si deve piegare. E allora di fronte alla volontà dell’uomo cade ogni barriera. La civiltà della tecnica che va profilandosi dopo il periodo di crisi del capitalismo riuscirà a dare all’uomo quella quantità di benessere e di felicità, ma sarà priva dell’assicurazione assoluta che la felicità possa essere duratura. Non è solo da guardare negativamente: significa un passaggio verso un senso radicalmente altro della verità e della natura, portandosi verso una dimensione che va oltre l’anima del pianeta. A questo consiste il compito supremo del pensiero”.

da Standing ovation per Emanuele Severino.

Emanuele Severino, Sul “destino” della verità

Estratto audio dal corso “Fede, volontà, destino” (Università Vita – Salute S.Raffaele di Milano a.a. 2005-2006).Nelle lezioni conclusive del corso Emanuele Severino afferma che ciò di cui il linguaggio parla, quando vuole testimoniare la verità, è “già” manifesto ovunque sia un apparire del mondo. Il “destino” appare ovunque ci sia un ascolto. Ma parlare della verità significa alterarla.

Più specifici, meno divulgativi e trasmessi con un linguaggio più complesso, questi estratti provengono dalle lezioni universitarie di Severino e propongono passi importanti della sua riflessione filosofica.
Questo brano audio è tratto dal corso “Fede, volontà, destino” tenuto da Emanuele Severino nell’anno accademico 2005-2006 al S.Raffaele di Milano. (Ed.Mimesis)

Emanuele Severino, lezione su VERITA’ E NATURA UMANA, Festival della Filosofia, 18 settembre 2011

Audio: 

Emanuele Severino, Verità e natura umana.Mp3

Estratto della parte finale della lezione:

Emanuele Severino, la terra frantumata

quando la legna brucia e appare la cenere …

quando la legna brucia e appare la cenere non appare la legna che diventa cenere

o l’essere cenere da parte della legna,

ma appare prima quell’identico che è la legna,

poi quell’altro identico che è la legna che brucia

e infine quell’altro identico che è la cenere.

L’identità della legna e della cenere non appare,

e non appare nemmeno l’identità come risultato di un processo,

quindi non appare nemmeno questo processo, ossia il divenire

da NICHILISMO, TÉCHNE E POESIA NEL PENSIERO DI EMANUELE SEVERINO.

Emanuele Severino, Fato e libertà, 2010 | Ritiri Filosofici

Il 19 settembre 2010 il sito Ritiri filosofici  ha seguito la lezione magistrale di Emanuele Severino a Carpi su Fato e Libertà, nell’ambito del Festival della Filosofia 2010 e ne ha curato la trascrizione integrale, che potete leggere andando alla seguente pagina::

Emanuele Severino, Verità e natura umana, 2011, Festival Filosofia

Domenica 18 Settembre 2011

Sassuolo, ore 15.00

Verità e natura umana

Festival Filosofia – Verità e natura umana.

Emanuele Severino, RAGIONE, FEDE, VERITA’ (1h 09′) [“Abitatori del tempo” 2008, a cura di R. Lissoni], rintracciato in Filosofia.it

Emanuele Severino
“Ragione, fede, verità”
 (1h 09′)
[“Abitatori del tempo” 2008, a cura di R. Lissoni]

Acqua e Filosofia – L’acqua e il principio, Lectio Magistralis di Emanuele Severino, al Festival dell’acqua, Genova 2011

Genova, mercoledì 7 settembre 2011

ore 18,15 – Facoltà di Architettura
Acqua e Filosofia – L’acqua e il principio

Lectio Magistralis di Emanuele Severino (filosofo ed editorialista)

Festival dell’acqua e Notte bianca, Genova 2011: il programma da Mentelocale.it | Genius Loci, lo spirito del luogo.

Emanuele Severino su IL LAMPO E IL TUONO

Emanuele Severino, sul volere

Emanuele Severino, intervista di Corrado Benigni sull’autobiografia Il mio ricordo degli eterni, in il Riformista 3 agosto 2011, da Pagina 3 di Radio3

Emanuele Severino su Parmenide

Parmenide
1. Professor Severino, quali possono essere  i motivi che ci spingono oggi a interessarci della filosofia greca e in particolare di un filosofo come Parmenide?         

vai alla intervista 

INTERVISTE FILOSOFICHE.

Emanuele Severino, Ontologia: riflessione sul senso dell’essere e del niente

 

“Ontologia”, questo termine così tecnico, vuol dire riflessione sul senso dell’essere e del niente. Queste due parole, “essere” e “niente”, sembrano estranee al linguaggio nostro di tutti i giorni, ai nostri interessi, all’articolazione concreta del sapere scientifico; eppure queste due categorie costituiscono l’ambito all’interno del quale tutta la storia dell’Occidente è cresciuta, e si tratta anche di comprendere che queste categorie sorgono per la prima volta con i Greci. Questo è importante perché i Greci non solo portano alla luce una teoria, cioè una comprensione del mondo che non era mai apparsa, ma anche una comprensione del mondo che consente di porsi come la prima grande forma di rimedio contro il dolore. Quindi, secondo al mia opinione è errato insistere e considerare il pensiero greco, sin dalle sue origini, come una mera elaborazione teorica che non abbia il compito di prendere posizione rispetto a ciò che vi è di più angosciante nell’esistenza, e cioè il dolore. Io credo che la nostra riflessione potrebbe procedere cercando di vedere quali sono i rapporti tra le categorie dell’ontologia greca e il dolore dell’esistenza

da INTERVISTE FILOSOFICHE.

Emanuele Severino: il diventar altro e il lampo e il tuono

Gabriele De Ritis su “Noelle, i cigni e il cerchio dell’apparire”

qui il mio audio, da cui è partito Gabriele per il suo bellissimo messaggio:

Non una figura incappucciata 

dove la scala curva nell’oscurità
rattrappita sotto un mantello fluttuante!
Non occhi gialli nella stanza di notte,
che fissano da una superficie di ragnatela grigia!
E non il battito d’ala di un condor,
quando il ruggito della vita inizia
come un suono mai udito prima!
Ma in un pomeriggio di sole,
in una strada di campagna,
dove erbacce viola fioriscono
lungo una staccionata sconnessa,
e il campo è stato spigolato, e l’aria è ferma,
vedere contro la luce del sole qualcosa di nero,
come una macchia con un bordo iridescente –
questo è il segnale per occhi di seconda vista…
e io vidi quello.

EDGAR LEE MASTERS

Occorre esercizio di vera umiltà per riuscire a cogliere l’evidenza che si mostra lungo il nastro discontinuo degli eventi.

L’umile splendore della vita quotidiana è tutto nel suo apparire, e se il suo scomparire ci induce nella tentazione di far precipitare nel nulla la sua effimera bellezza per la nostra pretesa di assoluto, ‘dimenticare’ quella bellezza per l’incapacità di salvarne la necessaria caducità è proprio l’errore che commettiamo noi, gli umani.

Angustia della mente, apatia dei sensi, aridità del cuore, malinconia d’amore, fascino della dissolvenza cos’altro sono se non questa nostra incapacità di aprirci a nuove evidenze?

Se non impareremo a ringraziare per le piccole cose, come potremo affidarci ancora ad esse quando si sottrarranno alla vista, rendendoci scemi di memoria, se non avremo appreso il bene ricevuto?

L’arte più difficile è riuscire a tenere insieme presenza e assenza, a partire dalla capacità di cogliere nella mera presenza un modo di darsi della cosa che troverà compiutamente il suo senso nel successivo ritrarsi, nel suo modo di scomparire.

Ogni cosa è veramente illuminata dalla luce del passato, dei ricordi, della memoria.

Se lasceremo precipitare nella dimenticanza l’apparizione di Noelle e della famiglia di cigni sul lago, che ne sarà di noi e dei nostri giorni? Riusciremo a comprendere perché il sole continua a sorgere per noi e perché le creature ci sorridono ancora, per il loro semplice apparire, se non sapremo andare oltre questo loro apparire, che non è mai semplice, perché ogni volta di nuovo si richiederà piuttosto la semplicità dello sguardo, il nitore di uno sguardo che salva le apparenze comprendendole tutte nel cerchio del loro apparire?

Fino a quando continueremo a sognare la «terra senza il male» non onoreremo la vita che è tutta buona e santa, a dispetto del fulmine e del tuono e di tutto ciò che si abbatte sulle nostre povere dimore, alla maniera di Eros, l’immensurabile, che mette scompiglio nel nostro cuore, impedendoci di vedere il lago e i cigni e Noelle e tutto il resto.

Gabriele

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……. Avvengono Miracoli,
se siamo disposti a chiamare miracoli
quegli spasmodici trucchi di radianza.
L’attesa è ricominciata
La lunga attesa dell’angelo.
Di quella sua rara, rarefatta discesa.

Silvia Plath – da “La cornacchia nel tempo piovoso”

L’apparire del mondo: dialogo con Emanuele Severino, di Leonardo Messinese … – Google Libri

vai a: L’apparire del mondo: dialogo con … – Google Libri.

‪Emanuele Severino: A vuole B. Si può voler qualcosa solo in quanto il senso del qualcosa che è voluto ci appare davanti ‬‏

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Diotima423  così riassume  il ragionamento condotto da Severino:
1) La manifestazione dei significati (di ciò che ci appare) determina l’ambito in cui si creano le azioni umane destinate a perseguire quel risultato. Quel certo significato determina, guida, configura l’ambito in cui si agisce e dà senso a tutte le azioni umane prodotte in relazione a quel significato. Per es., il falegname per trattare il legno deve sapere che tratta il legno e non il ferro, e tiene anche conto di che tipo di legno sta trattando, compirà dunque azioni pertinenti al risultato CON quel tipo di legno. L’apparire del senso determina l’ambito dell’azione.
2) Quanto più ampio è il senso tanto più ampio è il campo dell’agire che è determinato da quel senso.
3) Qual è dunque il significato più ampio? Rispetto a cui tutti gli altri significati sono sotto insiemi, quello il cui significato guida OGNI azione, ogni agire immaginabile? Quello in base al quale SIAMO ed AGIAMO? Il senso dell’esser COSA. Il tavolo, la sedia, ma anche Dio. Una qualsiasi COSA. Un CHE, una parola ha significati diversi a seconda delle lingue in cui si esprime a seconda del periodo storico.
4) I greci portano alla luce un senso dell’esser cosa in cui la cosa è qualcosa che provvisoriamente si salva dal nulla

Intervista a Emanuele Severino. 
L’ossimoro del capitalismo ecologista, Il manifesto, 3 luglio 2011



«Simone Weil diceva che nel socialismo gli individui sono in grado di controllare la macchina tecnologica. Si tratta di capire perché è un’illusione» Emanuele Severino: «Tecnologia e ideologie all’ultimo round di uno sviluppo insostenibile»Con il professor Emanuele Severino affrontiamo l’analisi sulla crescita produttiva, l’obiettivo più tenacemente auspicato e perseguito da economisti, imprenditori, governi, politici di ogni colore, e di conseguenza da tutti invocato anche nel discorrere più feriale.

«Questo continuo parlare della crescita come di cosa ovvia è in buona parte dovuto all’ignoranza. Sono decenni che si va intravvedendo l’equazione tra crescita economica e distruzione della terra. Comunque, è tutt’altro che condivisibile l’auspicio di una crescita indefinita.»

Professore, sta dicendo che l’economia è una scienza consapevole delle conseguenze negative della crescita?

«Ha incominciato a diventarne consapevole: l’auspicio di una crescita indefinita va ridimensionandosi. Anche nel mondo dell’intrapresa capitalistica – la forma ormai pressocchè planetaria di produzione della ricchezza – ci si va rendendo conto del pericolo di una crescita illimitata; (anche se poi si fa ben poco per controllarla). Vent’anni fa, quando lei scrisse quel suo bel libro che interpellava numerosi economisti a proposito del problema dell’ambiente, la maggior parte degli intervistati affermava che quello del rapporto tra produzione economica ed ecologia era un falso problema. Oggi non pochi economisti sono molto più cauti e anche le dichiarazioni dei politici sono diverse da venti o trent’anni.»

Però non fanno che invocare crescita, senza nemmeno nominarne i rischi.

«In periodo di crisi economica, di fronte al pericolo immediato di una recessione, è naturale che si insista sulla necessità della crescita. Purtroppo però lo si fa riducendo il problema alle sue dimensioni tattiche, ignorandone la dimensione strategica.»

E intanto si verificano tremendi disastri. Dal Golfo del Messico a Fukushima.

«Certo. Ma vorrei precisare che prendere atto della gravità di fenomeni come questi significa capire che essi non sono dovuti alla tecnica in quanto tale, non sono disfatte della tecno-scienza, ma dell’organizzazione ideologica della scienza e della tecnica. Sono disfatte, cioè, del capitalismo (fermo restando che l’economia pianificata di tipo sovietico era ancora più dannosa per l’ambiente).»

La mia impressione però è che quanti insistono a invocare crescita, continuino a ignorare che tutto quanto vediamo, tocchiamo, usiamo, è «fatto» di natura; e che dunque disponiamo di materia prima in quantità date, e non dilatabili a richiesta. I grandi industriali che si confrontano a Davos, Cernobbio, spesso neanche citano il problema.

«Ma è un atteggiamento normale dell’uomo quello di preoccuparsi soprattutto dei problemi immediati, lasciando sullo sfondo quelli che non sembrano urgenti, ma che spesso sono quelli decisivi. Quando la barca fa acqua la prima preoccupazione è tappare la falla, poi si pensa a dove approdare. Certo, ci sono quelli che stando nella barca non pensano mai a trovare il porto, e quindi, nel complesso diventa inutile tappare le falle. »

Il problema esiste da decenni… Il deperimento dell’equilibrio ecologico è stato clamorosamente denunciato dagli anni ’50, ma nelle scelte politiche è stato completamente ignorato.

«Ecco, forse su quel “completamente” si può non essere d’accordo. Penso ad esempio a Clinton, consigliato da Al Gore: nel suo primo discorso da presidente ha parlato agli Americani della necessità e convenienza di una crescita economica sostenibile… Una dichiarazione di intenti che in qualche modo anche Obama ha fatto propria.»

Anche celebri economisti (Stiglitz, Krugman, Fitoussi…) riconoscono la gravità della situazione ambientale, ma non accennano a soluzioni che mettano in discussione il capitalismo

«È proprio questa la situazione. Ma occorre anche dire che oggi, in un mondo conflittuale, dove nessuno intende rinunciare al potere, una politica economica meno «produttivistica» significherebbe mettersi dalla parte dei perdenti, indebolirsi anche sul piano militare, essere condizionati da Paesi come l’Iran o la Cina. E sembra difficile anche rinunciare alla base economica richiesta dall’armamento nucleare. Oggi infatti, a differenza di quanto spesso si continua a credere, la potenza nucleare appare decisiva anche nella lotta contro il terrorismo. È un problema enorme, che si tende a non affrontare nemmeno là dove si è consapevoli che la crescita incontrollata distrugge la terra. Per arrivare a un impegno adeguato per la soluzione di tale problema dovranno accadere disastri giganteschi.»

Mi domando però fino a quando questa realtà potrà reggere, di fronte a una natura devastata da un agire economico fondato su una crescita produttiva che non prevede limiti.

«È da guardare con diffidenza – ma non voglio sembrare cinico – l’intellettuale che dice alle grandi potenze mondiali: «Dovreste mettervi in discussione». Le grandi potenze non cambiano le loro scelte perché gli intellettuali dicono qualcosa che va contro i loro interessi. Ce la vede lei una Cina che rinuncia a una politica economica vincente, e al proprio tete-à-tete attuale con Stati Uniti, Russia, Europa, per rispetto dell’ambiente? E ormai anche in Europa la vita va avanti alimentata dalle centrali nucleari. E continueranno ad andare avanti così. Non basta quello che sta succedendo: solo un disastro di proporzioni senza precedenti, dicevo, potrebbe convincere l’ordinamento capitalistico a cambiar strada in modo radicale.»

Inevitabilmente? In base alla natura umana? Alla storia?

«In base alla priorità che per lo più vien data ai problemi immediati. Ma c’è un’altra inevitabilità, ancora più perentoria: quella del tramonto del capitalismo. Diciamolo in quattro parole. Un’azione è definita dal proprio scopo. Anche l’agire capitalistico è quindi definito dal suo scopo, cioè dall’incremento indefinito del profitto privato. Quando il capitalismo, di fronte a grandi disastri planetari dovuti al suo agire, assumerà come scopo non più l’incremento del profitto ma la salvaguardia della terra, allora non sarà più capitalismo. Inevitabilmente: o il capitalismo volendo avere come scopo il profitto distrugge la terra, la propria “base naturale”, e quindi sé stesso, oppure assume come scopo la salvaguardia della terra, e allora anche in questo caso distrugge egualmente sé stesso. In questo senso appunto parlo da decenni di inevitabilità del tramonto del capitalismo.»

Lei è uno dei pochissimi che fanno previsioni del genere. Le stesse sinistre – quel poco che ne rimane – sembrano aver definitivamente rinunciato all’idea di superare il capitalismo. In fatto di ambiente non hanno alcuna politica propria, anche se gli spetterebbe, perché in fondo a pagare le conseguenze dello sconquasso ecologico sono soprattutto le classi più deboli.

«Quando parlo di declino del capitalismo, parlo infatti di qualcosa che presuppone anche il declino del marxismo, dell’umanesimo marxista, dell’umanesimo di sinistra. Non è che la sinistra sia in una posizione avvantaggiata rispetto al capitalismo. Ma il discorso va completato. Sia il capitalismo, sia il marxismo e le sinistre mondiali – ma anche i totalitarismi e le teocrazie, e la democrazia, e anche le religioni e ogni “visione del mondo” e “ideologia” – si sono illusi e si illudono tutt’ora di servirsi della tecnica. Ma che cosa vuol dire questo? Che la tecnica è il mezzo con cui tutte quelle forze intendono realizzare i propri scopi (per esempio la società giusta, senza classi, oppure l’incremento del profitto privato, oppure l’eguaglianza democratica). Anche la sinistra è cioè sullo stesso piano del capitalismo per quanto riguarda il rapporto con la forza emergente della modernità, cioè la tecno-scienza. Simon Weil diceva che il socialismo è quel reggimento politico in cui gli individui sono in grado di controllare la macchina tecnologico-statale-militare-burocratico-finanziaria: l’«individuo» – come il «capitalista» – si illude di poter controllare l’apparato tecnologico. Si tratta di capire perché è un’illusione. »

Una prospettiva che dovrebbe poter contenere tutti i possibili…

«Invece andiamo verso un tempo in cui il mezzo tecnico, essendo diventato la condizione della sopravvivenza dell’uomo – ed essendo anche la condizione perché la Terra possa esser salvata dagli effetti distruttivi della gestione economica della produzione – è destinato a diventare la dimensione che va sommamente e primariamente tutelata; e tutelata nei confronti di tutte le forze che vogliono servirsene. Sommamente tutelata, non usata per realizzare i diversi scopi «ideologici», per quanto grandi e importanti siano per chi li persegue. Ciò significa che la tecnica è destinata a diventare, da mezzo, scopo. Quando questo avviene, capitalismo, sinistra mondiale, democrazia, religione, ogni «ideologia» e «visione del mondo», ogni movimento e processo sociale, diventano qualcosa di subordinato; diventano essi un mezzo per realizzare quella somma tutela della potenza tecnica, che è insieme l’incremento indefinito di tale potenza.. Perciò spesso dico che la politica vincente, la «grande politica», sarà delle forze che capiranno che non ci si può più servire della tecnica. La grande politica è la crisi della politica che vuole servirsi della tecnica. Non si tratta di un processo di «deumanizzazione», o «alienazione», come invece spesso si ripete, dove l’uomo diventerebbe uno «schiavo» della tecnica; perché in tutta la cultura – anche in quella che alimenta ogni più convinto umanesimo – l’uomo è sempre stato inteso come essere tecnico. Le sto descrivendo il futuro: non prossimo, ma neanche remoto. In questo senso appunto parlo da decenni di inevitabilità del tramonto del capitalismo.»

Mi permetta un’obiezione. Già oggi la tecnica sembra imporsi come scopo. Dando prove quanto meno discutibili.

«No, perché come dicevo prima, ciò che dà cattiva prova di sé è la gestione ideologica della tecnica è il modo, ad esempio, in cui in Giappone sono state organizzate le centrali nucleari. E lì non c’entra la tecnoscienza, ma la gestione capitalistica di essa, che per il profitto ha sottovalutato la pericolosità di quel tipo di centrali. Debbo però aggiungere che la tecnica destinata al dominio non è la tecnica tecnicisticamente o scientisticamente intesa, ma quella che riesce a sentire la forza della voce essenziale della filosofia del nostro tempo, la quale dice che non possono esistere limiti assoluti all’agire dell’uomo).
E resta il fatto che molti istituti scientifici, anche di largo prestigio, vivono in quanto finanziati da grandi potentati economici… E questo in qualche misura significa condizionarli…»

«Certo, questa è la situazione attuale. Ma la tendenza globale è un’altra. Condizionarli significa indebolirli. È quindi inevitabile che, a un certo momento, chi condiziona si renda conto di non poter più continuare a farlo, perché, alla fine, condizionare (e quindi subordinare e pertanto indebolire) la tecnica per promuovere sé stessi significa indebolire se stessi…»

Si diceva che le sinistre – a parte l’impegno per la difesa del lavoro – non dicono, né propongono cose gran che diverse dalla destra. Il marxismo un tempo aveva uno sguardo ben più ampio. Dopotutto non a caso l’inno dei lavoratori era l’Internazionale. Tentare di guardare un po’ più lontano, cercare di allargare lo stesso discorso sul lavoro, non potrebbe portare a una proposta alternativa?

«Questo allargamento va imponendosi da solo. Infatti non si può separare il lavoro dalla tecnica (ma dal capitalismo sì, come dal marxismo). Un po’ da tutte le parti politiche oggi si sente dire a proposito dei problemi più importanti: “Non è questione né di destra né di sinistra, è una questione tecnica”. È un piccolo indizio del processo in cui le soluzioni tecniche prevalgono su quelle politiche e “ideologiche”».

Mi riesce difficile seguirla, la tecnica viene solitamente vista come uno strumento usato dal capitalismo.

«Questo è lo stato attuale che il mondo capitalistico vorrebbe perpetuare. Ma la tecnica non è il capitalismo. Il servo non è il padrone. Ed è già accaduto che i servi si liberassero dei padroni. La liberazione decisiva, rispetto alla quale si è ancora ciechi, è la liberazione della tecnica dal capitale.»

In definitiva Lei vede il capitalismo sopraffatto dalla tecnica…

«Sì. O meglio: è la logica del discorso a vederla.»

È insomma l’intero sistema produttivo che di fatto agisce contro la salvezza dell’umanità… Non crede che in tutto ciò esista qualche responsabilità anche da parte delle sinistre? Dopotutto erano nate per combattere il capitale, no?

«Ma il discorso che vado facendo da molto tempo indica qualcosa che sta al di sopra delle esortazioni, delle mobilitazioni, dei progetti, della volontà politica. Riguarda un movimento che procede per conto proprio, guidando e animando la volontà, così come, si sa, la struttura del capitale domina e anima la volontà dei singoli capitalisti. Marx diceva appunto che i capitalisti sono le prime vittime del capitale. Ecco, si tratta di capire il modo in cui la tecnica prende il posto del capitale.»

Lei si riferisce a un movimento, o una tendenza, in qualche modo, come dire…, operante e avvertibile? Oppure si tratta per ora soltanto di un’ipotesi filosofica?

«È una tendenza che è operante e avvertibile proprio nel modo adeguato (e dunque non «soltanto» ipotetico) di fare filosofia. Per essenza la filosofia si riferisce all’autenticamente operante e avvertibile.»

Sono tante ormai le persone che si preoccupano per il futuro di un mondo per mille versi sempre più problematico e rischioso… Per lo più si tratta di giovani, consapevoli e impegnati… A tutti costoro che cosa si sentirebbe di consigliare?

«Per ora siamo gettati nell’errore; ma proprio per questo c’è molto da fare. C’è da favorire il processo che porta l’errore a maturazione. Per questo parlavo prima della “grande politica”. Per praticarla è necessario incominciare a guardare in faccia il senso essenziale della storia dell’Occidente, il senso cioè della volontà di potenza: il senso del fare».

la Chiesa corre il rischio – ma è più di un rischio – di trascurare il nemico autentico della religiosità e della tradizione: la forza con cui la filosofia degli ultimi due secoli elimina la tradizione e, da Leopardi a Nietzsche a Gentile, dimostra l’impossibilità di ogni verità assoluta e quindi di ogni “presupposto”».

lei sul «Corriere» replicò al cardinale che aveva proposto di uscire dalla «immagine vecchia dell’idea e della pratica della laicità»…
«È una considerazione diffusa, nel mondo cattolico. Scola diceva di non condividere la persuasione di Habermas, secondo il quale “una democrazia costituzionale, per giustificarsi, non ha bisogno di un presupposto etico o religioso”. Per Scola invece ne ha bisogno. Né lui né Habermas, però, approfondivano la radice di quella persuasione. Ma proprio questo è il punto da discutere. Così io obiettavo che, impostando il problema del laicismo in quel modo, prendendosela al solito con il “relativismo”, la Chiesa corre il rischio – ma è più di un rischio – di trascurare il nemico autentico della religiosità e della tradizione: la forza con cui la filosofia degli ultimi due secoli elimina la tradizione e, da Leopardi a Nietzsche a Gentile, dimostra l’impossibilità di ogni verità assoluta e quindi di ogni “presupposto”».

Scola e la Chiesa non vedono l’autentico pensiero contemporaneo?

«Se è per questo non lo vede neanche il mondo laico, che continua a presentarsi in modo debole, erede com’è di una fortuna che ignora di possedere. Bisogna saper guardare il sottosuolo del pensiero contemporaneo, oltre la superficie. È come quando, nel Simposio di Platone, si dice che Socrate è un sileno: fuori è bruttissimo, è vero, però dentro è Socrate! Il sottosuolo del pensiero contemporaneo – che peraltro non dice affatto l’ultima parola, bisogna andare ben oltre – è una potenza che non viene non dico riconosciuta, ma nemmeno intravista».

Severino: «È stato mio allievo Da laico gli ho dato 30 e lode» – Milano.

Emanuele Severino: de-stino indica lo stare assolutamente incondizionato

La parola de-stino indica lo stare: lo stare assolutamente incondizionato.

Il destino è l’apparire di ciò che non può essere in alcun modo negato, rimosso, abbattuto, ossia l’apparire della verità incontrovertibile.

… Al di là di ciò che crede di essere, l’uomo è l’apparire del destino.

in Emanuele Severino, Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Rizzoli, 2011, p.46/47

Emanuele Severino: il comandamento “ricordati di santificare le FESTE”

 

Emanuele Severino al Festival Filosofia – Modena Carpi Sassuolo

Emanuele Severino, Dolore e contraddizione

Le persone si stanno sempre più rendendo conto che per sopravvivere è necessario conoscere il senso del tempo e il senso del luogo in cui ci troviamo.

Il nostro essere qui dice che un popolo per sopravvivere deve conoscere il significato fondamentale del proprio tempo. E lo deve conoscere per salvarsi, per porre rimedio al pericolo della vita.

La vita è pericolosa perché è dolorosa

….

Emanuele Severino: Natura e fede secondo Malick: il film come una tragedia greca

Dice Leopardi che, nelle «opere di genio», «l’ anima riceve vita, se non altro passeggiera, dalla stessa forza con cui sente la morte perpetua della cose e sua propria» (Zibaldone, 261). Una vita illusoria, ma che, sia pure per poco, rende possibile la sopravvivenza dell’ uomo. Un tema centrale, questo, del pensatore-poeta che ha aperto la strada all’ intera cultura del nostro tempo. La prima «opera di genio» è quella dei popoli più antichi: la festa, che è l’ immagine della vita e dunque della morte. L’ immagine si libra al disopra del mondo: gli uomini festivi si identificano ad essa e si sentono quindi salvi dalla morte. Più tardi la festa arcaica si dissolve e le sue membra diventano religione, tecnica profana, arte. Oggi la festa si celebra soprattutto in quelle sue deformanti e impallidite derivazioni che sono le folle delle partite sportive, della musica rock, delle visite dei pontefici romani e, in minor misura, del cinema. Si dice che nei precedenti film di Terrence Malick emerga l’ indifferenza della natura rispetto alle vicende umane: al loro orrore come ai pochi momenti di felicità. Ancora più crudele la natura, nei film di questo regista, quando il massacro è circondato dalla struggente bellezza della terra, di cieli all’ alba e al tramonto, di fiumi, di mari. Se si uccidono dinanzi a una natura che mostra a sua volta il proprio volto terribile, gli uomini possono sentire che in qualche modo essa partecipa ai loro tormenti. In ogni caso, non li rende sopportabili. Ma questa interpretazione va nella direzione sbagliata. Per lo meno è unilaterale. Certo, il timore è l’ inseparabile compagno dell’ uomo. Il dolore e la morte ne sono la radice. Ma, per quanto vissuta nei suoi derivati, la festa non ha cessato di illudere gli uomini. In questa direzione va detto che nei film di Malick la bellezza della natura non è l’ indifferenza, incapace di rendere sopportabile il dolore, ma è la forza con cui l’ immagine festiva, facendo sentire la morte, dà vita all’ «anima»

….

leggi tull’ l’articolo qui: Natura e fede secondo Malick: il film come una tragedia greca.

Emanuele Severino, la radice di ogni potenza consiste nel credere che le cose non siano eterne

Emanuele Severino • Noi siamo eterni e mortali perché l’eterno entra ed esce dall’apparire

Emanuele Severino • Noi siamo eterni e mortali perché l’eterno entra ed esce dall’apparire.

Emanuele Severino presenta: IL MIO RICORDO DEGLI ETERNI. Autobiografia, a CheTempoCheFa, 22 maggio 2011, AUDIO

… ogni istante è impossibile che divenga nulla e vada nel nulla …
… soltanto se qualcosa è eterno può essere ricordato …
… ogni istante è … … la parola “eterno” sta a significare “essere senza diventare nulla” …

… ognuno di noi è un firmamento stellato …. la parola firmamento rimanda alla “fermezza” del firmamento stellato …

da: Emanuele Severino presenta: IL MIO RICORDO DEGLI ETERNI. Autobiografia, a CheTempoCheFa, 22 maggio 2011 | Politica dei servizi sociali: ricerche in rete.

EMANUELE SEVERINO: PARMENIDE. AFORISMI

Vai a: EMANUELE SEVERINO: PARMENIDE. AFORISMI.

Emanuele Severino, Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Rizzoli, 2011. Con la sua dedica: “al prof. Paolo con amicizia”

rico et1736rico et1737Emanuele Severino, Il Mio ricordo degli eterni, Rizzoli

“RICORDARE È ERRARE.
UN LIBRO DI MEMORIE È UN ERRARE.”

Dalla filosofia alla musica, dalle battaglie contro i dogmatismi agli affetti più cari: le avventure di vita e di pensiero di uno dei maggiori filosofi italiani del nostro tempo.

Un bambino di appena quattro anni nascosto sotto il tavolo di una grande cucina, nell’attesa degli eventi che diventeranno poi la sua vita. È questa la prima immagine che appare a Emanuele Severino quando, errando tra i ricordi, riavvolge i fili della propria esistenza. Errando, appunto, perché il ricordo è di per sé falso e distratto.
Tra aneddoti e suggestioni, riaffiorano l’infanzia a Brescia e gli anni della guerra; la scomparsa prematura di suo fratello Giuseppe, arruolatosi come “volontario” sul fronte francese, e l’incontro con Esterina, “la ragazza più bella di Brescia”, che sarebbe diventata sua moglie e che è lo sfondo di queste pagine; gli studi universitari a Pavia e l’insegnamento alla Cattolica di Milano, a seguito del “maestro” Gustavo Bontadini; la controversia con la Chiesa, che nel 1970 proclamò l’insanabilità delle posizioni del filosofo con quelle della dottrina cattolica, e l’evoluzione del suo pensiero; il rapporto con i figli Anna e Federico e quello con i suoi allievi; la stesura delle sue opere e le conversazioni filosofi che con gli amici, come il sindaco di Brescia Bruno Boni, la cui ultima volontà fu di avere nella bara una copia di Essenza del nichilismo.
E i viaggi, quasi tutti con Esterina: in giro per l’Italia e per il mondo; il primo da sposati, nel ’51, in una Germania ancora distrutta, o l’ultimo, nel 2009, nell’Avana di Fidel Castro.
Il mio ricordo degli eterni è lo sguardo dell’autore che per la prima volta si posa, delicato e ironico, su frammenti della sua vita, illuminando via via luoghi, volti ed esperienze, perché “ciò che se ne va scompare per un poco. Ma poi, tutto ciò che è scomparso riappare”.

Emanuele Severino

EMANUELE SEVERINO, accademico dei Lincei, professore emerito dell’Università Ca’ Foscari di Venezia insegna tuttora all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È autore di opere fondamentali tradotte in varie lingue.

 

da: Il Mio ricordo degli eterni – Emanuele Severino – Libro – RIZZOLI.

vai anche a:

https://antemp.com/2011/05/24/emanuele-severino-presenta-il-mio-ricordo-degli-eterni-autobiografia-a-chetempochefa-22-maggio-2011/

Emanuele Severino sulla logica sacrificale

 l’intervista di Armando Torno al filosofo Emanuele Severino: “«È comprensibile che gli americani e soprattutto i newyorkesi festeggino la morte di Osama Bin Laden. Ma è anche vero che questo comportamento è un retaggio dell’uomo primitivo. Al centro della festa arcaica, infatti, c’è il sacrificio, l’uccisione della vittima sacrificale ed espiatoria, che a volte è un essere umano, ritenuto colpevole, responsabile dei mali del gruppo sociale. In questo senso sono d’accordo con la dichiarazione della Chiesa che “di fronte alla morte di un uomo, un cristiano non si rallegra mai”» .

Dopo una breve pausa, Severino prosegue: «Ma non sono d’accordo con René Girard, per il quale il cristianesimo sarebbe estraneo alla logica sacrificale. Perché è vero che Gesù, a differenza delle altre vittime, è considerato, nel cristianesimo, innocente; ma è anche vero che, per il cristianesimo, Gesù ha preso su di sé tutti i peccati del mondo e quindi è diventato il sommamente colpevole, che viene sacrificato, dalla giustizia divina, proprio in quanto colpevole e non in quanto innocente. Nella Seconda Lettera ai Corinzi, l’apostolo Paolo dice: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccatore in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio”(5,21). E la cristianità festeggia la morte di Gesù, ovviamente lontano in modo abissale dalle vittime per se stesse colpevoli. Siamo in piena logica sacrificale»”. 

da: EDICOLA. Il (nuovo) mondo senza Bin Laden (03/05/2011) | Vita.it.

Emanuele Severino individua il tratto comune del pensiero occidentale: credere che le cose non siano eterne, che tutto provenga e ritorni al nulla

Emanuele Severino parla del senso greco della “verità” analizzando le parole aletheia (ἀλήθεια) ed epistème (επιστήμη)

Emanuele Severino sul “far diventar altro”

Emanuele Severino: … di tutte le cose è necessario dire che è impossibile che non siano, cioè è necessario affermare che tutte sono eterne | da Coatesa sul Lario e dintorni. Con commento di Grazia Apisa

… la follia essenziale si esprime nella persuasione che le cose escono e ritornano nel niente. Il mortale è appunto questa volontà che le cose siano un oscillare tra l’essere e il niente.

Al di fuori della follia essenziale, di tutte le cose è necessario dire che è impossibile che non sianocioè è necessario affermare che tutte – dalle più umili e umbratili alle più nobili e grandi – tutte  sono eterne

Tutte, e non solo un dio, privilegiato rispetto ad esse.

se il divenire non appare come annientamento, ma come l’entrare e l’uscire delle cose dal cerchio dell’apparire, allora l’affermazione dell’eternità del tutto stabilisce la sorte di ciò che scompare: esso continua a esistere, eterno, come un sole dopo il tramonto.

Non solo la legna fiammeggiante, le braci, la cenere, il vento che le disperde sono eterni astri dell’essere che si succedono nel cerchio dell’apparire, ma anche tutte le fasi dell’albero che

nella valle ove fresca era la fonte/e il giovane verde dei cespugli/giocava al fianco delle calme rocce/e l’etere tra i rami traluceva/e quando intorno i fiori traboccavano (Holderlin),

hanno preceduto la legna tagliata per il fuoco.

Quando gli astri dell’essere escono dal cerchio dell’apparire, il destino della verità li ha già raggiunti e impedisce loro di diventare niente.

Appunto per questo essi – tuttipossono ritornare

Emanuele Severino

in La strada. La follia e la gioia (1983), Rizzoli Bur, 2008, p.  103-104

Emanuele Severino, È la sostanza di tutte le cose e fondamento della conoscenza

È la sostanza di tutte le cose e fondamento della conoscenza

Pubblicato il 27 maggio 2010 – Corriere della Ser

Emanuele Severino, Le fedi, follia dell’ Occidente

Le fedi, follia dell’ Occidente

Pubblicato il 3 settembre 2010 – Corriere della Sera

O rmai sulla terra ogni conoscenza è diventata una fede; anche ogni conoscenza che guida la volontà, e che guida pertanto anche la volontà di pace; una fede: più o meno complessa, coerente, potente, consapevole di sé, ma pur sempre una fede. Anche la scienza moderna è fede. Tuttavia il senso di ciò che viene chiamato «fede» si mostra solo in relazione al senso della «non-fede», cioè al senso portato alla luce dalla filosofia, in Grecia. La filosofia si rivolge a ciò che si mostra in modo così pieno e ineludibile da non poter esser negato – da «non poter essere altrimenti», dice Aristotele. «Dio» è il contenuto centrale di ciò che si mostra all’ interno dell’ epistéme della verità. Tutto ciò che non si mostra nell’ epistéme della verità può essere altrimenti, è controvertibile, lo si afferma perché si vuole che ad esso competa ciò che di esso si afferma. Tutto il resto è, appunto, fede, mito. In quanto sapere ipotetico, anche la scienza è fede e mito. La volontà stessa, in quanto tale, è fede: innanzitutto è fede di ottenere ciò che essa vuole. Ormai sulla terra ogni volontà – anche la volontà di pace – è guidata dalle contrapposte forme della fede e del mito. L’ epistéme della verità è tramontata. Dato il modo in cui ha compiuto il suo primo passo, il suo tramonto è inevitabile. Il grande problema da affrontare è che volere la «pace» facendosi guidare dalla fede significa volere la «pace» collocandosi nella dimensione della guerra. Ogni fede vuole che il mondo abbia un senso piuttosto che un altro e quindi ogni fede si trova essenzialmente in contrasto con le altre forme di fede, che invece vogliono che il mondo abbia un senso diverso. Dialogando tra loro, o le fedi rinunciano a se stesse in favore di una fede prevaricante, oppure non effettuano questa rinuncia, ma allora è inevitabile che alla fine si scontrino non solo sul piano del dialogo, ma anche su quello dell’ agire effettivo dei popoli e che alla fine prevalga la fede più potente. Relativamente alla «ragione», cristianesimo e islam sono in apparenza molto divergenti; ma al di là delle apparenze e delle loro intenzioni esplicite essi sono sostanzialmente solidali (anche se la cristianità si è allontanata ben di più dell’ islam reale, storico, dalla brutalità del mondo arcaico). Ma non è forse del tutto esplicita la sentenza di Gesù, su quel che si deve a Cesare e a Dio? Non è forse, questa sentenza, la prova più evidente dell’ autonomia che la Chiesa riconosce a Cesare, cioè allo Stato, e, da ultimo, alla «ragione»? Indubbiamente, Gesù conduce la coscienza religiosa in una dimensione dove l’ islam si rifiuta di entrare. Per l’ islam è quel che è di Dio, ossia è la legge di Dio, ad avere il diritto di configurare la struttura e le leggi dello Stato e della «ragione»: date a Cesare quel che è di Dio; rendete Dio padrone di Cesare. Ma chiediamoci ancora una volta: quando Gesù afferma di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, pensa forse che a Cesare si possa dare qualcosa che sia contro Dio? Certamente no! La Chiesa cattolica infatti rifiuta quella «libertà senza verità» (cioè senza verità cristiana) che caratterizza la democrazia semplicemente procedurale del nostro tempo. Ma allora Gesù e la Chiesa pensano che Cesare debba essere cristiano e cioè che le leggi dello Stato debbano essere cristiane. E poiché non possono esistere leggi dello Stato la violazione delle quali non implichi una sanzione, ne viene che la violazione delle leggi cristiane dello Stato richiede una sanzione terrena, ossia già qui sulla terra, prima ancora che nell’ aldilà. La teoria, sostanzialmente comune ad Avicenna e a Tommaso, che una filosofia che smentisca la fede è una falsa filosofia è la traduzione, sul più ampio piano della ragione, del modo in cui, per Gesù, ci si deve porre in rapporto a Cesare e a Dio. Infatti, se a Cesare non si deve dare quel che è contro Dio, allora, quando Cesare è contro Dio, esso è un Cesare falso, uno Stato che è in contrasto col vero Stato: è un Cesare falso, così come una filosofia che sia in contrasto con la «Rivelazione» è una falsa filosofia. Anche alla filosofia si deve dare quel che è della filosofia e alla fede quel che è della fede – purché alla filosofia non si dia quel che è contro la fede (o che è indifferente alla fede). Anche la filosofia, e in generale la ragione, come lo Stato, deve essere filosofia cristiana, o islamica; ragione cristiana, o islamica. Cristianesimo e islam non sono dunque semplicemente due forme diverse e contrastanti di civiltà (non danno luogo a uno «scontro di civiltà»), ma affondano le loro radici nello stesso terreno, cioè appartengono entrambi al grande passato dell’ Occidente, cioè della stessa civiltà. Cristianesimo e islam sono certamente in contrasto; ma questo loro contrasto è la superficie di un contrasto radicalmente più profondo, dove cristianesimo e islam stanno dalla stessa parte, si trovano a combattere il comune nemico mortale, cioè l’ Europa moderna, sebbene, a un livello ancora più profondo, un’ «intima mano» unisca l’ Europa moderna al cristianesimo e all’ islam.

 

Emanuele Severino, Il dilemma della preghiera

Il dilemma della preghiera

Pubblicato il 30 settembre 2010 – Corriere della Sera

 

Emanuele Severino, L’ uomo politico è costretto a mentire

L’ uomo politico è costretto a mentire

Pubblicato il 18 dicembre 2010 – Corriere della Sera

 

Emanuele Severino, Perché Pascal viene rimosso dalla morale benpensante

—> Perché Pascal viene rimosso dalla morale benpensante

Pubblicato il 27 dicembre 2010 – Corriere della Sera

Carlo Sini, Intervista per l’80° compleanno di Emanuele Severino

EMANUELE SEVERINO e GIOVANNI REALE, coordina Armando Torno. Voci di filosofia: DIO, a cura della Fondazione Corriere della Sera, 28 Ottobre 2010

Emanuele Severino: … alla ricerca di quell’essere che sia fuori del tempo …

ci si deve mettere in cammino – un cammino che oggi non è ancora finito – per andare alla ricerca di quell’essere che sia fuori del tempo

Emanuele Severino, L’essenza del nichilismo, Adelphi, 1982, p. 23

 

Emanuele Severino: … Internet è la forma dominante del riconoscimento pubblico … Ciò che non è in Rete non è potente, così come hegelianamente il padrone non è tale se non è riconosciuto dal servo ….

«È oggi la forma dominante di riconoscimento pubblico, ancora più della televisione. Ciò che non è in Rete non è potente e così come hegelianamente il padrone non è tale se non è riconosciuto dal servo, allo stesso modo le varie forme di potenza non sono tali se non sono presenti sul web».

viaIl Caffè filosofico diventa – Quel Giano bifronte di Parmenide, primo – Il Sole 24 ORE.

Emanuele Severino: … le grandi forme di cultura occidentale sono violente, perché si propongono di trasformare il mondo in una qualche direzione …

«Non è solo la tecnica a essere violenta,  ma ogni forma dell’agire.

Ogni violenza presuppone la possibilità che il mondo diventi diverso da quello che è.

Ecco allora che tutte le grandi forme di cultura occidentale sono violente, perché si propongono di trasformare il mondo in una qualche direzione. Il punto è che la tecnica è una violenza vincente rispetto alle violenze perdenti della tradizione occidentale».

da: Il Caffè filosofico diventa – Quel Giano bifronte di Parmenide, primo – Il Sole 24 ORE.

Emanuele Severino: se esistesse una verità eterna «non potrebbe esistere quel divenire del mondo …

Sostiene Emanuele Severino che se esistesse una verità eterna «non potrebbe esistere quel divenire del mondo che esige che non tutti gli spazi della realtà siano occupati dal l’eterno. Ricordo allora le parole di Zarathustra: se gli dei creatori esistessero, che cosa mi resterebbe da creare? Ma è evidente che io creo, quindi gli dei non possono esistere».

Paolo Ferrario prova a rispondere a una domanda sul pensiero di Emanuele Severino: “ma qual’è il nocciolo (la ghianda, direbbe James Hillman) della sua mappa conoscitiva che più si lega alle politiche sociali dei servizi alla persona ed al lavoro professionale? è la riflessione e sul dolore e la morte”

cara ***

[…]

la domanda che mi ha letteralmente “animato” è stata l’ultima. Quella che più o meno risuonava così: “occorre un approccio filosofico nella consulenza?”

qui sono stato letteralmente catapultato nel mio attuale rovello conoscitivo esistenziale, che è il pensiero della vecchiaia di emanuele severino

dico della sua vecchiaia perchè da una ventina d’anni lui fa solo divulgazione e “consulenza”. fa lezione nelle piazze, nei teatri. è come se si fosse dato il compito di far calare nella vita i suoi altissimi e profondissimi appigli di senso.  e la sua forza comunicativa ne guadagna in felicità intersoggettiva.

ho poi visto che nel tuo libro (a proposito grazie ancora per i due libri che mi hai donato) hai in bibliografia il suo la tendenza fondamentale del nostro tempo.

ma qual’è il nocciolo (la ghianda, direbbe james hillman) della sua mappa conoscitiva che più si lega alle politiche sociali dei servizi alla persona ed al lavoro professionale?

è la riflessione e sul dolore e la morte

tutti i suoi nuclei concettuali girano attorno a questa oggettiva condizione. quella da cui parte la filosofia greca e tutto lo sviluppo dell’occidente

poichè mi è sembrato che tu fossi interessata a questo filone del pensiero di severino ti rimando a qualche suo testo e fonte orale in cui severino costruisce la sua rete concettuale:

  • il libro fondamentale è Il giogo, adelphi editore. si tratta della sua mirabile ed eternamente insuperabile traduzione e rilettura di eschilo. credo proprio che convenga partire da lì per arrivare ai fondamenti del suo percorso. ti allego il mio file pdf che contiene tutto il libro. vedrai subito dall’indice che è una fonte straordinaria
  • c’è poi una sua lezione sul tema “il dolore e la contraddizione”. ho copiato la lezione sul mio server degli audio: http://www.divshare.com/download/13691248-280. purtroppo l’audio in qualche momento è pessimo. mi sono dato il compito di sbobinarlo. sentirai qualcosa di “inaudito” sul dolore
  • infine sto studiando un suo ciclo recente di lezioni: Volontà, destino, linguaggio, rosenberg & sellier . sono lezioni a braccio che ha tenuto a torino nel 2010. qui c’è la sapienza di un vecchio che non se la tira per nulla, che non ha le tonalità del predicatore alla ricerca di proseliti, che non fa il prepotente nell’imporre la sua visione. c’è un portatore di logos che parla quasi in modo impersonale, anche se la sua soggettività traspare in modo lucente

ecco: ci tenevo a dirti queste fonti, che a me sembrano andare alla radice e anche oltre le radici

diciamo che questo è, per certi versi, il proseguimento all’ultima tua domanda della intervista

grazie per l’attenzione e buone ore nel tempo

un caro saluto

paolo

Emanuele Severino, Noi come luogo della verità

Emanuele Severino: “La morte è l’assentarsi dell’eterno”

“La morte è l’assentarsi dell’eterno”

da:Emanuele Severino – Aforismi e citazioni – MSN Italia.

Emanuele Severino, VERITA’ E TECNICA, lezione a Monza all’interno del ciclo ABITATORI DEL TEMPO, 18 Febbraio 2011, ore 21-23

 

LEZIONE DI EMANUELE SEVERINO SU:  VERITA E TECNICA, Monza, Teatro Manzoni, 18 febbraio, ore 21

Ho registrato la lezione magistrale.

Puoi sentirla da qui:

Oppure fare download e sentirla in cuffia da un lettore

Lunga, lunga vita a Emanuele Severino , mediatore necessario verso gli Eterni.

Paolo Ferrario


 

Eschilo e Severino

“Si ignora anche la grandezza filosofica di Eschilo.

E la cosa è anche più grave. Insieme a pochi altri,

egli apre il cammino dell’Occidente.”

(E. Severino, Il nulla e la poesia)

 

Esiste un arco che ha ai suoi estremi Eschilo e Leopardi. La parabola che corre dall’uno all’altro è ciò che chiamiamo Occidente. Con Eschilo nasce infatti l’illusione essenziale: che la conoscenza della verità – quella parte della verità certa e immutabile a portata della ragione degli uomini – è il solo rimedio che la nostra specie abbia per salvarsi dal dolore. Il dolore essenziale è quello della morte. La verità è il rimedio al dolore per la propria incompiutezza e mortalità perché la verità come epistéme “è il rimedio al dolore, perché mostra incontrovertibilmente che la sostanza di tutti gli essenti, è eterna, “sempre salva” dal niente (Aristotele, Metaph. 983 b 13” (E. Severino, Il nulla e la poesia).

 

Solo con Leopardi questo percorso trova il suo epilogo; perché “Leopardi, per primo, pensa che la verità è appunto l’annientamento della vita e delle cose e che quindi non può essere il rimedio del dolore. La verità è il dolore” (Ibid.).

 

Ancora:

 

“Nel pensiero di Leopardi la fede nell’“evidenza” del divenire acquista una intensità che non aveva mai avuto: con estrema potenza testimonia ciò che per essa è la visibilità pura, la luce piena dove appare che l’annientamento non distrugge (e la creazione non produce) semplicemente gli aspetti accidentali e individuali, ma la sostanza stessa e l’intera consistenza dell’essente. Testimonia il “nulla verissimo e certissimo delle cose” (Zib. 103)” (Ibid.).

 

“Che l’angoscia estrema sia prodotta dall’annientamento degli essenti e dal loro provenire dal nulla è uno dei tratti essenziali e decisivi delle origini del pensiero filosofico. Riceve la sue espressione più grandiosa da Eschilo; guida l’intera storia dell’Occidente; il pensiero di Leopardi ne è la testimonianza più pura, all’inizio del processo in cui la cultura contemporanea rifiuta il rimedio che la tradizione dell’Occidente aveva preparato contro l’angoscia del nulla: la ragione come rimedio. E’ “la ragione umana… incapace di farci non dico felici ma meno infelici”; anzi, è “fonte … di assoluta e necessaria pazzia” – anche se, certo, “verissima pazzia” (Zib. 103-4).” (Ibid.).

 

 

da: eschilo e severino.

LEGGERE EMANUELE SEVERINO (2): I testi presenti nel web : Ai confini dello sguardo

La sua opera è pubblicata dall’editore Adelphi

Su Wikipedia

Sull’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche >>Che cos’è la verità? – L’utile e il bene – La filosofia e la fede – Che cos’è la tecnica? – La fede e il problema della veritàEsiste la guerra giusta? – Cosa significa conoscere? – Etica e progresso – Il tempo della filosofia – Le ‘Opere di Genio’: Leopardi

LEGGERE EMANUELE SEVERINO (1): Lettera di Massimo Cacciari a Emanuele Severino

LEGGERE EMANUELE SEVERINO (2): I testi presenti nel web

LEGGERE EMANUELE SEVERINO (3): «L’uomo è atteso dalla terra che salva».

LEGGERE EMANUELE SEVERINO (4): La struttura originaria è l’essenza del fondamento.

Alle pagine 546-553 del volume 14 – Filosofi italiani contemporanei – della Storia della filosofia Bompiani, curata da Dario Antiseri e Silvano Tagliagambe, è possibile leggere la scheda dedicata ad Emanuele Severino, tanto più preziosa in quanto scritta da lui. Dopo una pagina con vita e opere, la Tesi, seguita da un solo titolo ancora: Nichilismo e Destino. Leggiamo la Tesi:

Se fin dall’inizio la filosofia intende raggiungere la forma più radicale e innegabile di sapere, e in questa sua ricerca è destinata a fallire, l’assolutamente Innegabile appare invece già da sempre e per sempre in ognuno di “noi”, sebbene contrastato dall’isolamento della terra, ossia dalla fede che il divenire delle cose sia la fondamentale o unica terra sicura con cui l’uomo ha a che fare. L’isolamento della terra è la radice ultima del dolore e della morte; e della follia estrema: la negazione dell’Innegabile.

Nella terra isolata appare la “storia dei mortali”: il mito, la distruzione filosofica del mito, la distruzione (in cui consiste l’essenza della filosofia del nostro tempo) della tradizione filosofica, l’avvento della civiltà della tecnica, che spinge al tramonto le grandi forze della tradizione occidentale (e a maggior ragione dell’Oriente), ma che a sua volta è destinata al tramonto. La filosofia è la culla delle opere e dei pensieri dell’Occidente.

Nell’Innegabile – nel “destino della verità” – appare che ogni essente è eterno, che il sopraggiungere delle cose della terra è il comparire e lo scomparire degli eterni; che il destino è lo sfondo eternamente manifesto di ogni comparire e scomparire; che il destino (ognuno degli infiniti luoghi o cerchi in cui appare il destino) è assolutamente se stesso nella Gioia, ossia nell’Apparire della totalità degli essenti, che in ogni cerchio (in ognuno di “noi”) l’isolamento della terra è destinato a tramontare, e la terra è liberata dal dolore, dalla morte e dalla follia; che la Gloria della terra così liberata è l’inesauribile dispiegarsi della Gioia nei cerchi del destino.


da: LEGGERE EMANUELE SEVERINO (2): I testi presenti nel web : Ai confini dello sguardo.

Intervista a Vincenzo Vitiello per gli 80 anni di Emanuele Severino

Emanuele Severino, Istituzioni di filosofia, Morcelliana, 2010

Emanuele Severino,

Istituzioni di filosofia


DESCRIZIONE: Questo corso di Istituzioni di Filosofia, pubblicato in forma di dispensa nel 1968, rappresenta uno degli ultimi momenti dell’insegnamento di Emanuele Severino all’Università Cattolica di Milano, dalla quale si allontanerà nel 1970 per passare all’Università di Venezia. È un ciclo di lezioni contemporaneo alla stesura dei saggiIl sentiero del Giorno (1967), La terra e l’essenza dell’uomo (1968), Risposta ai critici (1968), in cui Severino approfondisce la svolta iniziata con Ritornare a Parmenide, e che culminerà con la raccolta di questi e altri saggi nel libro Essenza del nichilismo (Paideia, 1972). Ripensando a queste lezioni, Salvatore Natoli, allora assistente di Severino, ha scritto: «Severino […] mi ha costretto a dare consistenza alle mie argomentazioni filosofiche, a fornire giustificazioni adeguate alle mie tesi e direi che mi ha definitivamente vaccinato dai vizi delle mode filosofiche».
Rigore dell’argomentazione e attenzione al variare del significato delle categorie e dei problemi costitutivi della filosofia (identità, contraddizione, dialettica, verità, realismo, idealismo…): questo in sintesi il contenuto del libro. Pagine che, a più di quarant’anni dalla stesura, permettono al lettore, come agli uditori di allora, di fare esperienza di cosa significa educare al pensiero: filosofare è saper declinare in modo riflessivo l’Èlenchos, la confutazione come fondamento dell’argomentazione. Uno stile che fa di questo testo un luogo privilegiato per entrare nel laboratorio didattico di un pensatore che è stato definito il doctor implacabilis.

COMMENTO: Le lezioni tenute nel 1968 da Emanuele Severino in Università Cattolica a Milano, pagine inedite dove la filosofia viene insegnata non solo attraverso i classici (Parmenide, Aristotele, Cartesio, Kant, Hegel…), ma soprattutto ragionando sui suoi temi fondamentali, come un filo rosso nella storia della filosofia: la verità, il problema della conoscenza, tra soggetto e oggetto, il problema del realismo, il principio di non contraddizione, la dialettica, la confutazione…

EMANUELE SEVERINO è uno dei maggiori filosofi contemporanei. Per i tipi della Morcelliana ha pubblicato: Democrazia, tecnica, capitalismo (20102). Tra le sue opere più recenti: Oltrepassare (Adelphi, 2007), Immortalità e destino (Rizzoli, 2008),L’identità del destino. Lezioni veneziane (Rizzoli, 2009), L’intima mano. Europa, filosofia, cristianesimo, destino (Adelphi, 2010).

COLLANA: Filosofia – Testi e Studi n. 18


ANNO:
2010

PAGINE: 240

CODICE ISBN: 978-88-372-2456-1

da: Morcelliana, antico e nuovo testamento, sacra scrittura, teologia, filosofia, letteratura cristiana antica, esegesi biblica.

Emanuele Severino, Volontà, destino, linguaggio, Filosofia e storia dell’occidente, Rosenberg Sellier 2011


Volontà, destino, linguaggio

Filosofia e storia dell’occidente

Emanuele Severino

di Ugo Perone

Troviamo qui alcuni ingredienti fondamentali della filosofia severiniana: da un lato il non essere che viene attribuito all’apparenza, la quale, interpretata come cangiante diventar sempre altro da sé, ossia come divenire, è assimilata in ultima istanza al nulla. Ma se ciò che appare è nulla, cosa sarà l’essere?
Forse ciò che non appare, ma regge, sta sopra, giudica, divide, taglia. E allora si inserisce il tentativo di attribuire senso al non senso cangiante delle cose. Quest’attribuzione di senso che soggiace a tutte le interpretazioni, e a forme di cultura venerande come il cristianesimo, non è altro che prodotto della volontà.

La coscienza filosofica che determina l’Occidente appare imprigionata entro questo pendolo che la consegna all’opposizione tra il mito, che produce il dominio sulle cose con un violento atto di volontà, e il sapere puro che accede all’essere incontrovertibile, ma non riesce speculativamente a rendere ragione dell’apparire dell’apparenza. La filosofia di Severino è un tentativo di uscire da questa morsa, tenendo fermo un sapere filosofico che non deflette dalla pura logica di un pensare che non si lascia determinare né dalla volontà né dal desiderio

La filosofia è sorta con un atto di divisione che ha separato ciò che sta, immutabile e incontrovertibile, da ciò che da questo essere è retto, ovvero con la divisione, celeberrima, tra essere e apparenza. Il mondo dell’apparenza, interpretato come luogo del divenire, ha assunto i tratti del non essere, imponendo ai filosofi l’esigenza di mettere in relazione il non essere con l’essere, ovvero di trovare una compatibilità tra contraddittori.
La soluzione severiniana, che è qui ripercorsa in 6 dense lezioni, ha il pregio della semplicità e il rigore di un ferreo argomentare logico. Egli nega al divenire l’evidenza fenomenologica che comunemente gli si attribuisce. È certamente vero che i fenomeni entrino ed escano dalla percezione della coscienza mortale, ma senza che questo debba essere attribuito a un loro presunto divenire. Che l’apparenza sia il luogo del divenire è piuttosto un modo filosofico per rendere ragione dell’apparire dell’apparenza.
Su queste basi la proposta di Severino offre un superamento del dualismo essere-apparenza e aiuta a leggere l’apparenza in manifestazione necessaria ed eterna dell’essere.
IndicePremessa di Ugo Perone

1. Filosofia e storia dell’Occidente, epistéme della verità

2. Senso e strutture dell’incontrovertibile nella prospettiva del pensiero occidentale e nello sguardo del Destino

3. Destino e verità

4. Apparire, diventar altro, decidere

5. Il problema della libertà e la tecnica

6. Destino e linguaggio

da: Volontà, destino, linguaggio, Filosofia e storia dell’occidente, Rosenberg & Sellier Editori, dubbio & speranza.

Giacomo Leopardi, L’infinito, lettura di Massimo De Francovich

La lettura è tratta da una trasmissione radiofonica dedicata alla interpretazione di Emanuele Severino del pensiero poetante di Giacomo Leopardi.

Il paesaggio è il lago di Como

Destino, in Emanuele Severino La follia dell’angelo

Nei miei scritti ‘destino’ significa ciò che sta (de-stino) già da sempre manifesto, e nella cui luce già da sempre l’uomo si trova. Il destino si mantiene libero dalla dominazione dell’Occidente.[…]

Il destino vede che ogni essente è ed è impossibile che non sia. Vede che ogni essente è eterno: ogni istante e il contenuto determinato di ogni istante, ogni cosa, situazione, aspetto, forma, sfumatura, relazione, sostanza, ogni materia e ogni pensiero, ogni gesto, ogni verità e ogni errore, e la stessa Follia estrema dell’Occidente, ogni gioia e dolore, e la presenza stessa, l’apparire, il manifestarsi di tutti gli essenti. Ogni essente è eterno: non come è eterno Dio, rispetto alla non eternità delle cose divenienti del mondo; e nemmeno come è eterna la potenza della verità assoluta che domina il divenire delle cose.

L’eterno non è la potenza sovrastante del padrone; perché tutto è eterno. Non vi sono servi; non c’è nemmeno un padrone.

Il destino vede infatti che pensare che l’essente esce e ritorna nel niente, significa pensare che l’essente è niente. Il destino pensa l’impossibilità che l’essente sia niente. Questo stesso pensiero, che pensa l’eternità di tutte le cose, è eterno. Circonda la storia della Follia dell’Occidente e dei mortali, come il cielo circonda tutti coloro che non lo guardano. Nella nostra essenza più profonda noi siamo il cielo.

(da La Follia dell’Angelo, pp. 85-86, Rizzoli

viaE. Severino.

Emanuele Severino, Le grandi forme di pensiero dell’Occidente sospendono l’uomo sull’abisso del nulla

Le grandi forme di pensiero dell’Occidente sospendono l’uomo sull’abisso del nulla e poi tentano di convincerlo che gli è consentito essere in qualche modo felice. Spingono la morte appena un passo più in là, appena dietro la porta, e mentre se ne sente il respiro terribile vogliono convincere che si ha a che fare con la vita. Anche le scienze psicologiche credono, come i pazienti da esse curati, che da ultimo, ad attendere l’uomo, non vi sia che il nulla da cui l’uomo proviene. Stando anch’esse su questo fondamento disperato vogliono guarire l’uomo dalla disperazione — dall’angoscia, dalle anomalie psichiche. Anche le terapie psicologiche tentano di spingere sullo sfondo lo spettacolo terribile del nulla e di trattenere lo sguardo di chi si angoscia all’interno dello spazio breve, dove si può credere di incontrare il successo, la vita, il benessere, la felicità.
In Emanuele Severino, La legna e la cenere, Rizzoli, 2000, p. 68/69

Essere

Essere

L’essere è l’esistere delle cose.

Attorno al concetto la filosofia ha sviluppato diversi modi di considerare l’essere e le sue qualità: in Parmenide l’essere acquisisce per dimostrazione logica le qualità di esistenza immutabile ed eterna, Platone distingue l’essere eterno (le idee dell’Iperuranio) dall’essere terreno non eterno, Aristotele considera l’essere come ente (l’essere che si esprime nelle singole cose determinate in un certo modo). Nel medioevo l’essere per eccellenza è Dio, unico ente dotato di qualità particolari che lo rendono eterno e assoluto.

In epoca contemporanea sono importanti i contributi di Martin Heidegger e di Emanuele Severino. Le discussioni attorno al reale significato dell’essere hanno quindi il compito di determinare con precisione le qualità proprie dell’esistere delle cose (il loro essere presenti), per cui rivestono un’importanza decisiva nella ricerca del senso profondo dell’esistenza. La scienza che studia l’essere prende il nome di ontologia.

da: Piccolo dizionario filosofico.

hýbris

«L’antico popolo greco chiama hýbris la prevaricazione. Essa è già presente prima ancora che l’uomo voglia volare. Nell’antica cultura greca la hýbris originaria è il furto del fuoco che Prometeo sottrae agli dei per darlo ai mortali. Egli dice di aver dato agli uomini tutte letéchnai – tutte le forme di tecnica – per spingere la morte il più lontano possibile da essi. Nel racconto veterotestamentario Adamo e la sua compagna danno ascolto al serpente: se mangeranno il frutto proibito, diventeranno “come dèi” (eritis sicut dii), si lasceranno indietro nel modo più radicale la loro natura umana, i limiti a cui essa li costringe e soprattutto il pericolo della morte. Riusciranno a compiere il grande volo alla conquista di Dio.» (1)

Hýbris è uscire da un sentiero, uscire dal sentiero della “natura”. «Lungo la storia dell’uomo la determinazione più circostanziata di ciò che non è “natura” umana è data dai codici religiosi. In essi viene indicato l’Ordinamento all’interno del quale l’uomo deve vivere. Essi scendono, pur non fermandovisi, fino ai dettagli minimi delle regole che presiedono l’alimentazione l’igiene, il vestire, l’abitare.
L’Ordinamento inviolabile è la natura.»

da: La filosofia di Emanuele Severino.

divenire

Il divenireil divenire è il mutamento delle cose, ovvero il loro passare da uno stato all’altro. Nel suo significato più ampio si riferisce al continuo generarsi e degradarsi delle cose.

Secondo Emanuele Severino, il divenire così come è inteso dai greci nel suo senso più radicale, è la credenza che un ente (una cosa dotata di esistenza) provenga dal nulla (nasca) e ritorni nel nulla (muoia).

Si veda anche la scheda di Eraclito.

da: Prologo – L’orizzonte originario della filosofia greca.

Tutto

Il senso greco del Tutto: Il Tutto, secondo il significato greco originario, è quella regione che contiene ogni cosa esistente. “Eppure queste cose e ogni altra – altri mondi e altri dèi – si trovano insieme in un’unica regione, costituita appunto dalla totalità delle cose: essa contiene il presente, il passato, il futuro, le cose visibili e quelle invisibili, corporee e incorporee, il mondo umano e quello divino, le cose reali e quelle possibili, i sogni, le fantasie, le illusioni e la veglia, il contatto con la realtà, le delusioni; ogni vicenda di mondi e universi, ogni nostra speranza.” (E. Severino, La filosofia antica).
Verità e Tutto sono quindi inscindibili per il pensiero greco originario: perché la verità si possa imporre in modo incontrovertibile nella sua evidenza, essa si deve rivolgere non a una sola parte del Tutto, ma al Tutto stesso. Se la verità non fosse relativa alla totalità delle cose, lascierebbe al di fuori dell’altro, ed è questo altro che impedirebbe alla verità di essere priva da qualsiasi dubbio

da: Prologo – L’orizzonte originario della filosofia greca.

mythos

per i greci il mythosnon intende essere una rivelazione fantastica, bensì la rivelazione del senso essenziale del mondo.” “Per la prima volta nella storia dell’uomo, i primi pensatori greci escono dall’esistenza guidata dal mito e la guardano in faccia. Nel loro sguardo c’è qualcosa di assolutamente nuovo. Appare cioè l’idea di un sapere che sia innegabile; e sia innegabile non perché le società e gli individui abbiano fede in esso, o vivano senza dubitare di esso, ma perché esso stesso è capace di respingere ogni suo avversario. L’idea di un sapere che non può essere negato né da uomini, né da dei, né da mutamenti dei tempi e dei costumi. Un sapere assoluto, definitivo, incontrovertibile, necessario, indubitabile.” (E. Severino, La filosofia antica).

da: Prologo – L’orizzonte originario della filosofia greca.

PHYSIS

Severino così ci spiega l’origine della parola physis: “Quando i primi filosofi pronunciano la parola physis, essi non la sentono come indicante semplicemente quella parte del Tutto che è il mondo diveniente. Anche perché è la parola stessa a mostrare un senso più originario, che sta al fondamento di quello presente ad Aristotele.

Physis è costruita sulla radice indoeuropea bhu, che significa essere, e la radice bhu è strettamente legata (anche se non esclusivamente, ma innanzitutto) alla radice bha, che significa “luce” (e sulla quale è appunto costruita la parola saphés).

Nascendo, la filosofia è insieme il comparire di un nuovo linguaggio, ma questo linguaggio nuovo parla con le parole vecchie della lingua greca e soprattutto con quelle che sembrano più disponibili ad essere dette in modo nuovo. Già da sola, la vecchia parola physis significa “essere” e “luce” e cioè l’essere, nel suo illuminarsi.

episteme

Traduciamo episteme con le parole scienza e conoscenza, quindi la conoscenza scientifica. Ma episteme è composto di

epi-, “sopra” ,

e –steme, “stare”, dalla radice indoeuropea, “sta”.

Si ottiene, tradotto, come lo stare che sovrastà.

Ciò che è posto al di sopra, il sovrastare, è un sapere che sovrastà e che rimane fermo.

da: Emanuele Severino: Cosa significa conoscere?.

Emanuele Severino, rapporto che l’uomo dovrebbe intrattenere nei confronti della tecnica

    Qual è, a suo avviso, il rapporto che l’uomo dovrebbe intrattenere nei confronti della tecnica?

    Rispondo in relazione alla storia dell’Occidente. Di fatto oggi l’uomo prende posizione in due modi contrastanti rispetto alla tecnica e sono entrambi modi viziati da un’ingenuità di fondo. Il primo è quello che potremmo dire proprio delle sinistre mondiali: il modo caratterizzato dall’illusione di dominare la tecnica. Quando Simone Weil parlava di socialismo, definiva il socialismo come capacità di dominare la macchina tecnologica. L’altro modo è quello che appartiene alle destre mondiali le quali celebrano i trionfi della tecnica ma poi sono spesso sprovvedute per quanto riguarda la memoria storica. Non si rendono cioè conto che il loro tentativo di dimenticare il passato è controproducente nel senso che impedisce la stessa possibilità di allontanarsi dal passato. E allora mi pare che la domanda includa, implicitamente, l’espressione “correttezza”, la correttezza dell’atteggiamento dell’uomo rispetto alla tecnica. La correttezza significherebbe, restando sempre all’interno della storia dell’Occidente, l’atteggiamento in cui si riconosce la dominazione della tecnica ma insieme non ci si dimentica del passato da cui si vuole uscire.

da: Biblioteca Digitale.

Emanuele Severino: Che cos’è la verità?

C’è un modo di pensare la verità che non potrà mai condurre alla verità. Si dice che l’uomo cerca la verità: si pensa che la verità sia altrove, perché se la cerchiamo non è qui con noi. Allora ci mettiamo in cammino per cercarla. Questa è l’immagine che lei ha enunciato chiaramente: questa è l’immagine di tutta la tradizione occidentale, anche scientifica. Laggiù c’è la verità, e noi ci diamo da fare per raggiungerla. Magari possiamo, a questo proposito, usare una metafora evangelica, molto bella: ci mettiamo a “bussare alla porta della verità”.

Proviamo a riflettere su ciò che implica questa immagine del cammino che si deve percorrere per raggiungere la verità. Se io domando: questo cammino, che deve arrivare alla casa della verità, questo cammino è compiuto nella verità? Può esser compiuto questo cammino nella verità, se ci mettiamo, se partiamo dal principio che la verità sia laggiù, chiusa in una casa? Se la verità è chiusa là, il cammino percorso è nella non verità. Allora se bussiamo alla porta non ci sarà aperto.

Questo che cosa vuol dire? Che se noi ci mettiamo nella prospettiva dominante, in cui la verità è qualche cosa che va ricercato, accostato, a cui ci si debba avvicinare, noi non la troveremo mai. L’alternativa è incominciare a pensare alla verità come ciò in cui noi tutti, già da sempre, siamo. Nell’altro modo il discorso è chiuso, e non arriveremo mai ad una verità lontana.

….

L’intera intervista qui:

Emanuele Severino: Che cos’è la verità?.

EMANUELE SEVERINO, Dove sfuma il confine tra naturale e artificiale. Severino e il destino della tecnica

    Emanuele Severino

    22/12/2000
    Dove sfuma il confine tra naturale e artificiale. Severino e il destino della tecnica

    Nel modo contemporaneo “cade la distinzione tra natura e artificio, ma tutto diventa costruibile e dunque artificiale, almeno tendenzialmente”. Così il filosofo Emanuele Severino ripensa il mondo diviso tra natura e cultura

    “L’apparato scientifico e tecnologico sta diventando adesso il signore che non deve più accontentarsi del riconoscimento di un servo”. Queste le parole conclusive di un suo articolo comparso su “Telema” nel ’97. L’idea che l’uomo sia in grado di controllare le macchine è dunque solo un’illusione?

    Quella a cui si riferisce è una espressione di Hegel sulla dialettica ‘signore-servo’. Si deve partire dal concetto di “potenza”: la potenza e quindi anche la potenza tecnologica e’ tale solo se viene riconosciuta. Un potente che non sia riconosciuto tale non è un potente. Il riconoscimento della potenza della tecnica oggi può avvenire soltanto a condizione che si presenti nelle forme del grande riconoscimento pubblico. Ciò si traduce in un riconoscimento telematico, informatico. Vale a dire che la potenza della tecnica deve essere riconosciuta dalla tecnica stessa.

    L’idea che l’uomo sia in grado di controllare le macchine e la tecnologia è un’illusione?

    Questo è un destino. Intanto si badi a non confondere la tecnica con le macchine. C’è una concezione ingenuamente tecnicistica della tecnica che deve essere abbandonata. Rispetto ad una singola macchina la capacità di controllo sussiste, ma quando si parla di tecnica si deve tener presente il sistema, direi addirittura planetario della tecnica. Dal momento che le forze della tradizione occidentale intendono servirsi della tecnica come mezzo, è in relazione a questo sistema che bisogna rapportare la propria analisi. È inevitabile che la tecnica, per servire tali forze, debba esserela più efficace e potente possibile. È quindi inevitabile che si produca quel tradizionale rovesciamento per cui lo strumento diventa lo scopo delle forze che vorrebbero servirsi di esso per realizzare i loro scopi ideologici. Da questo punto di vista, allora, è ingenuo pensare che gli individui, gli uomini, i singoli, ma anche le forze sociali, riescano a controllare l’apparato scientifico e tecnologico planetario.

    Il carattere che definisce il limite tra l’artificiale e il naturale sfugge, tradizionalmente, al controllo umano. Dove è possibile stabilire un limite tra artificiale e naturale?

    Chi stabiliva i limiti tra la natura e l’artificio, intesi anche come hybris, prevaricazione dell’uomo sulla natura, erano le grandi forze della tradizione occidentale. In altri termini questo compito era appannaggio del pensiero filosofico, teologico, metafisico. È il pensiero che indica l’esistenza di un ordine immutabile, necessario, eterno, a cui l’azione dell’uomo, etica e anche politica, deve adeguarsi. Allora il limite era l’ordine a cui l’uomo, l’agire umano, deve adeguarsi. Nella storia dell’occidente è accaduto lo straordinario capovolgimento che soprattutto la cultura filosofica del nostro tempo ha mostrato: l’impossibilità di un limite. Questo significa che i confini tra il naturale e l’artificiale non possono più avere la pretesa di assolutezza.

    Se sfuma il confine tra naturale ad artificiale in che senso tutto diventa artificiale?

    Il limite tra la dimensione del naturale e quella dell’artificiale era posto dalla sapienza e dalla tradizione dell’Occidente, dunque soprattutto dalla sapienza filosofica, che poi era anche sapienza religiosa. Il limite era sostanzialmente una forma di ordine, l’ordinamento necessario del mondo a cui l’agire umano doveva adeguarsi. Con la cultura del nostro tempo affiora invece alla luce l’impossibilità di ogni limite di questo genere e quindi l’impossibilità di un senso definitivo divino del mondo. Stando così le cose, i confini tra la natura, che era appunto ciò che sottostava all’ordinamento assoluto del mondo e l’artificiale tendono a non distinguersi più nel senso che tutto diventa aggredibile, tutto diventa dominabile, nulla rimane come naturale e quindi come inviolabile, inoltrepassabile. In questo senso tutto diventa artificiale. Questa è la tendenza verso la quale ci muoviamo.

    Heidegger dice che ciò che veramente inquietante non è tanto che il mondo si stia trasformando in un dominio della tecnica ma che l’uomo non sia pronto a questo radicale mutamento del mondo. Che ne pensa?

    La tendenza del progressivo annullamento di confine tra naturale ed artificiale porta inevitabilmente con se’ i residui, le permanenze del passato. La grande avventura della filosofia contemporanea è compiuta da una Élite che capisce come i valori del passato non siano più sostenibili, ma è pur sempre un Élite che paga spesso in prima persona questa sua avventura, questa sua scoperta. Finalmente quello che era patrimonio di una Élite sta diventando qualcosa di conosciuto dalle masse e, tuttavia, la grande tradizione occidentale nelle masse è ancora presente. l’uomo inteso come massa, come popolo, è ancora intriso di tradizione, quella tradizione che stabilisce un limite inoltrepassabile rispetto all’attività tecnologica. In questo senso, certamente Heidegger ha ragione perché se d una parte la tendenza del nostro tempo va verso il dominio della tecnica, dall’altra noi siamo ancora fatti secondo la vecchia maniera, siamo educati secondo valori che appartengono alla tradizione e quindi siamo impreparati a essere uomini della tecnica.

    In che modo gli effetti potenzialmente devastanti di uno sviluppo tecnologico possono insegnarci qualcosa?

    Un primo modo banale di rispondere a questa domanda è costituito dal fatto che dagli errori si impara. La questione più interessante è invece quella secondo cui la tecnica è in grado di rimediare ai propri errori. L’uomo può imparare dai benefici che la tecnica gli propone. La tecnica diventa in grado di costruire quello che ormai non è più utopico chiamare ‘paradiso della tecnica’. Senonché questo è un paradiso costruito dalla logica del sapere scientifico moderno e cioè con una logica ipotetica. E allora il beneficio della tecnica consisterà nel fatto che, in base a una logica ipotetica, l’uomo raggiungerà la massima felicità che abbia mai sperimentato sulla terra. Ma il fatto che la felicità ipotetica aumenta in lui l’angoscia di perderla. E allora ecco che dal massimo beneficio che la tecnica può produrre potrebbe scaturire provenire un sommo insegnamento. L’angoscia in relazione alla felicità e alla sicurezza che possono esser perdute consegna all’uomo la possibilità di ripensare al significato della verità e della non verità, cioè al significato di quelle categorie in relazione alle quali si è costituita la scienza moderna come ipotesi.

    La tecnica può, di per se stessa, rimediare ai propri errori?

    Credo che la tecnica sia in grado di rimediare ai propri errori e credo anche che le devastazioni compiute dalla tecnica siano imputabili alla amministrazione ideologica della tecnica più che alla tecnica in quanto tale. Da questo punto di vista, allora, bisogna preoccuparsi più delle ideologie che oggi intendono controllare la tecnica, che non della tecnica di per se stessa.

    Che spazio resta per la filosofia nel mondo della tecnica ?

    C’è un modo ingenuo di concepire i rapporti tra filosofia e tecnica: quello di vederle separate. Invece la tecnica alla quale mi riferisco è essenzialmente fondata sulla filosofia e in particolare sulla filosofia contemporanea, la quale, lungi dall’essere qualcosa che deve andare a cercare uno spazio, è ciò che fornisce lo spazio al campo di gioco della tecnica. La filosofia ha la funzione di preparare il terreno, lo spazio della tecnica perché, contrariamente a quello che ancora si pensa, la filosofia del nostro tempo e la scienza sono essenzialmente solidali anche laddove la filosofia si presenta come critica della scienza. La filosofia del nostro tempo prepara il campo di gioco, sgombra il terreno per consentire alla tecnica quel dominio che altrimenti non potrebbe esercitare senza sapere che il terreno è sgombro. In secondo luogo c’è un significato più profondo connesso al sapere filosofico. E’ quello che mette in questione l’intera storia dell’Occidente e il significato stesso della tecnica perche’ la tecnica la si può considerare come il modo più rigoroso in cui si presenta la filosofia greca e la filosofia greca inventa un mondo in cui le cose diventano altro da sé. Bisognerebbe quindi incominciare a pensare che questo diventare altro da sé, da parte delle cose, esprime una follia estrema perché paradossale pensare che l’essenza di una cosa si esprima nell’altro da sé. Eppure, nella nostra cultura è evidente che le cose cambino e diventino altro da sé. Da questo punto di vista, la filosofia dovrebbe realizzare il compito massimo, che è quello di articolare il senso di questo divenire altro e quindi ripensare il fondamento della tecnica. E’ la tecnica, infatti, che spinge al limite massimo la volontà di far diventare altro le cose che sono.

    Qual è, a suo avviso, il rapporto che l’uomo dovrebbe intrattenere nei confronti della tecnica?

    Rispondo in relazione alla storia dell’Occidente. Di fatto oggi l’uomo prende posizione in due modi contrastanti rispetto alla tecnica e sono entrambi modi viziati da un’ingenuità di fondo. Il primo è quello che potremmo dire proprio delle sinistre mondiali: il modo caratterizzato dall’illusione di dominare la tecnica. Quando Simone Weil parlava di socialismo, definiva il socialismo come capacità di dominare la macchina tecnologica. L’altro modo è quello che appartiene alle destre mondiali le quali celebrano i trionfi della tecnica ma poi sono spesso sprovvedute per quanto riguarda la memoria storica. Non si rendono cioè conto che il loro tentativo di dimenticare il passato è controproducente nel senso che impedisce la stessa possibilità di allontanarsi dal passato. E allora mi pare che la domanda includa, implicitamente, l’espressione “correttezza”, la correttezza dell’atteggiamento dell’uomo rispetto alla tecnica. La correttezza significherebbe, restando sempre all’interno della storia dell’Occidente, l’atteggiamento in cui si riconosce la dominazione della tecnica ma insieme non ci si dimentica del passato da cui si vuole uscire.

    Qual è la natura tendenziale del mondo?

    Ci si avvia effettivamente verso una situazione in cui cade la distinzione tra naturale e artificiale. La nostra cultura contemporanea mostra la necessità del tramonto di un ordinamento divino del mondo. Il mondo si presenta allora come un campo senza limiti. Non c’è più una natura che si debba rispettare e in questo modo, allora, non solo cade la distinzione tra natura e artificio, ma tutto diventa costruibile e dunque artificiale, almeno tendenzialmente.

da: Biblioteca Digitale.

Emanuele Severino: Che cos’è la tecnica?, 9 aprile 1999

La tecnica è l’insieme degli strumenti e delle procedure con i quali gli esseri umani perseguono i loro scopi e costruiscono il loro mondo. Per questo motivo il livello tecnologico è il segno del progresso della civiltà, della qualità della vita materiale, ma anche dei progressi della conoscenza. Tuttavia, a partire da un determinato periodo storico in avanti, quella riguardante la tecnica è divenuta una questione controversa, in particolare nel secolo scorso, come reazione all’avanzamento della società industrializzata. Ciò che risulta maggiormente foriera di timori è la considerazione che la tecnica, da semplice strumento nelle mani dell’uomo, possa diventare un meccanismo con scopi propri. L’immaginazione fantascientifica ha prodotto alcune raffigurazioni inquietanti di un mondo robotico asservito agli interessi delle macchine. La situazione attuale, forse, non è così lontana da quella raffigurata dalla science fiction. Il progresso tecnologico avvenuto nei diversi campi del sapere umano, dalla telematica alla bioingegneria, appare mosso sempre più da una spinta verso l’incremento delle sue capacità di manipolazione, anziché in risposta a concreti bisogni conoscitivi o umanitari e a ideali indipendenti dal semplice benessere fisico o dal profitto economico. Forse non è lo sviluppo tecnologico in sé a comportare un annullamento della libertà di deliberazione negli esseri umani dei suoi confronti, quanto la fascinazione che esso produce in moltissime persone e le attese che può incoraggiare. In particolare l’illusione che la tecnica possa risolvere tutti i problemi dell’uomo, non solo quelli riguardanti i mezzi di sostentamento e di sviluppo, ma anche quelli che concernono gli scopi dell’esistenza, il senso delle cose, il mondo dei significati. Potrà mai la tecnica fare un passo indietro e lasciare maggior spazio alla libertà di deliberazione degli individui?

vai a:

Emanuele Severino: Heiddeger e la metafisica

Emanuele Severino: Heiddeger e la metafisica

intervista del 16 dicembre 1994

vai : Emanuele Severino: Heiddeger e la metafisica

http://www.emsf.rai.it/aforismi/aforismi.asp?d=304

Emanuele Severino: Nietzsche e l’eterno ritorno

Emanuele Severino: Nietzsche e l’eterno ritorno

intervista del 16 dicembre 1994

vai a: Emanuele Severino: Nietzsche e l’eterno ritorno

http://www.emsf.rai.it/aforismi/aforismi.asp?d=157