SPINOZA Baruch, citazioni

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VOLTE DI PIETRE E SOCIETA’, testo di Giancarlo Pontiggia, in Catone, Distici, Medusa editore, 2005, pag. 24

Avatar di Paolo FerrarioLUOGHI del LARIO e oltre ...

“La nostra società è molto simile a una volta di pietre, essa cadrebbe se le pietre non si sostenessero a vicenda, sostenendo così tutta la volta”

PonteLibro

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“La macchina tecnologicamente più efficiente che l’uomo abbia mai inventato è il LIBRO”, Northrop Frye

“La macchina tecnologicamente più efficiente che l’uomo abbia mai inventato è il LIBRO

Northrop Frye

citazione tratta da Guida tascabile per i maniaci dei libri, Edizioni Clichy

Pierre HADOT, La cittadella interiore. introduzione ai “pensieri” di Marco Aurelio (1992). Presentazione di Giovanni Reale, Vita e Pensiero editore, 2006. Indice del libro

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A offendere sono le OPINIONI, non i fatti in sè. Citazione 20 di: EPITTETO, Manuale, nella traduzione di Enrico V. Maltese e di Pierre Hadot

A offendere , ricordalo, non è chi insulta o percuote, ma il giudizio che queste azioni siano offensive.

Perciò, quando uno ti irrita, sappi che è la sua OPINIONE  che ti ha irritato.

Come prima cosa , quindi, cerca di non farti trascinare subito dalla rappresentazione: una volta che avrai guadagnato un po’ di tempo per riflettere, potrai dominarti più facilmente

citazione da

https://antemp.com/2019/11/03/epitteto-manuale-con-la-versione-latina-di-angelo-poliziano-e-la-volgarizzazione-di-giacomo-leopardi-a-cura-di-enrico-v-maltese-garzanti-2017/

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citazione da

MANUALE DI EPITTETO, introduzione e commenti di Pierre Hadot (edizione francese del 2000), Einaudi, 2006. Indice del libro

 

 

Distinguere ciò che dipende da te e ciò che NON dipende da te. Citazione 1 di: EPITTETO, Manuale, nella traduzione di Enrico V. Maltese e di Pierre Hadot

La realtà si divide in cose soggette al nostro potere e cose non soggette al nostro potere.

In nostro potere sono:

il giudizio

l’impulso,

il desiderio

l’avversione

e, in una parola, ogni attività che sia propriamente nostra.

Non sono in nostro potere:

il corpo

il patrimonio

la reputazione

le cariche pubbliche

e, in una parola, ogni attività che non sia nostra.

E ciò che rientra in nostro potere è per natura libero, immune da inibizioni, ostacoli,

mentre quanto non vi rientra è debole, schiavo, coercibile, estraneo.

Ricorda , allora, che se considererai libere le cose che per natura sono schiave, e tuo personale ciò che è estraneo, sarai impedito, soffrirai, sarai turbato, ti lamenterai degli dèi e degli uomini;

se invece riterrai tuo solo ciò che è tuo , ed estraneo , come in effetti è, ciò che è estraneo, nessuno ti potrà mai coartare, nessuno ti impedirà , non ti lamenterai di nessuno, non accuserai nessuno, non ci sarà cosa che dovrai compiere contro voglia, nessuno ti danneggerà, non avrai nemici, perchè non potrai patire alcun danno.

citazione da:

https://antemp.com/2019/11/03/epitteto-manuale-con-la-versione-latina-di-angelo-poliziano-e-la-volgarizzazione-di-giacomo-leopardi-a-cura-di-enrico-v-maltese-garzanti-2017/?fbclid=IwAR2d4Js1DIxmEg4jklo3JfGbMgzWYuoaSz0fIaEG3XnrFlRYPhrdRNe54oc


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da

MANUALE DI EPITTETO, introduzione e commenti di Pierre Hadot (edizione francese del 2000), Einaudi, 2006. Indice del libro


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EPITTETO, Manuale. Con la versione latina di Angelo Poliziano e la volgarizzazione di Giacomo Leopardi. A cura di Enrico V. Maltese, Garzanti, 2017

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MANUALE DI EPITTETO, introduzione e commenti di Pierre Hadot (edizione francese del 2000), Einaudi, 2006. Indice del libro – da TRACCE e SENTIERI

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MANUALE DI EPITTETO, introduzione e commenti di Pierre Hadot (edizione francese del 2000), Einaudi, 2006. Indice del libro – TRACCE e SENTIERI

la favola di David Foster Wallace “Questa è l’acqua” per riflettere sul fatto che le realtà più ovvie, talvolta, sono le più difficili da capire

Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice:

‘Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?’.

I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa:

‘Che cavolo è l’acqua?‘”.

(David Foster Wallace, Questa è l’acqua)

“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io” Michel De Montaigne

“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io”

Michel De Montaigne

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UNGERER Tomi, Perchè io sono io e non sono te? le risposte alle domande spiazzanti dei bambini, Feltrinelli, 2017. Indice del libro

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i sei amici che mi hanno insegnato tutto quello che so: CHI? CHE COSA? DOVE? QUANDO? COME? PERCHE’, Rudyard Kipling, in Storie sempre così, Mursia editore

“Noi siamo tutti pezzi, e di un insieme così informe e vario, che ogni brano, ogni momento fa la sua parte. E si trova tanta differenza in noi stessi quanta fra  noi”, MONTAIGNE, Saggi, Libro II, cap 1

qui in un’altra traduzione:

Noi tutti siamo un informe assemblaggio di diversi stracci e rattoppi, tanto che ogni cencio sembra vivere di vita propria. E troviamo altrettante differenze in noi stessi quante ne troviamo tra noi e gli altri

Montaigne, a cura di Virginio Enrico, Mondadori, 1991, pag. 361-362

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vedi anche

https://bengelbach.wordpress.com/2010/04/26/il-y-a-autant-de-difference-de-nous-a-nous-meme-que-de-nous-a-autrui-montaigne/

MOLLICA VINCENZO, Scritto a mano pensato a piedi. Aforismi per la vita di ogni giorno, Rai Libri, 2018

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via Rai Libri » scritto a mano pensato a piedi

NUCCIO ORDINE, Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere | La Nave di Teseo, 2018

Gli uomini non sono isole

“ Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso. ciascuno è un pezzo del continente, una parte dell’oceano. Se una zolla di terra viene portata via dal mare, l’Europa ne è diminuita […]; la morte di qualsiasi uomo mi diminuisce, perché sono preso nell’umanità, e perciò non mandar mai a chiedere per chi suona la campana; essa suona per te.” – John Donne
Prendendo le mosse dalla commovente meditazione di John Donne (1624) a cui si ispira il titolo del volume, Nuccio Ordine arricchisce la sua “biblioteca ideale” invitandoci a leggere (e a rileggere) altre meravigliose pagine della letteratura mondiale. Convinto che una brillante citazione possa sollecitare la curiosità dei lettori e incoraggiarli a impossessarsi dell’opera intera, Ordine prosegue la sua battaglia a favore dei classici, mostrando come la letteratura sia fondamentale per rendere l’umanità più solidale e più umana.
In un’epoca segnata da brutali egoismi, dalla ripresa dei razzismi e dell’antisemitismo, dalle terribili disuguaglianze economiche e sociali, dalla paura dello “straniero”, queste pagine invitano a capire che “vivere per gli altri” è un’opportunità per dare un senso forte alla nostra vita. Sulla scia di L’utilità dell’inutile (tradotto in 32 Paesi) e di Classici per la vita (tradotto in 6 lingue), questo nuovo volume è un inno a ciò che nella nostra società viene considerato ingiustamente “inutile” perché non produce

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Gli uomini non sono isole | La Nave di Teseo

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Ciò che nella vita rimane, non sono i doni materiali, ma i RICORDI … Alda Merini

“Ciò che nella vita rimane, non sono i doni materiali, ma i ricordi dei momenti che hai vissuto e ti hanno fatto felice. La tua ricchezza non è chiusa in una cassaforte, ma nella tua mente. È nelle emozioni che hai provato dentro la tua anima.”

Alda Merini

DIZIONARIO DELLE SENTENZE LATINE E GRECHE, a cura di Renzo Tosi, Rizzoli BUR, 1991 (ristampato nel 2017), p. 1770. Indice del libro

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Cosa significa “Panta rei”? Tutto scorre e legge di attrazione dei contrari

Avatar di dott. Emilio Alessio LoiaconoMEDICINA ONLINE

MEDICINA ONLINE STUDIO STUDIARE LIBRO LEGGERE LETTURA BIBLIOTECA BIBLIOGRA LIBRERIA QUI INTELLIGENTE NERD SECCHIONE ESAMI 30 LODE UNIVERSITA SCUOLA COMPITO VERIFICA INTERROGAZIONE ORALE SCRITTO Library PICTURE HD WALLPAPERCos’è “Panta rei”?

Cominciamo dal principio: “Panta rei”, o più correttamente “Pánta rheî”, è un aforisma. Un aforisma è una breve o brevissima frase che, in poche parole, condensa un insegnamento, una considerazione od un principio specifico, generalmente di tipo filosofico o morale. In questo caso Panta rei è davvero uno degli aforismi più corti in assoluto, dal momento che è composto da appena soltanto due parole, due parole che però sono piene di significato.

Ma qual è questo significato?

Panta rei deriva dal greco πάντα ῥεῖ che può essere tradotto con “tutto scorre” e, nonostante sia attribuita al filosofo greco Eraclito (535-475 a.C.), specificatamente non compare mai nei frammenti eraclitei (circa cento) giunti fino a noi, bensì appare come definizione della filosofia eraclitea nel Cratilo di Platone:

«Dice Eraclito “che tutto si muove e nulla sta fermo” e confrontando gli esseri alla corrente di un fiume, dice che “non potresti entrare due…

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l’inconveniente di essere nati, Emil Cioran

SENECA, Breviario, a cura di Giovanni Reale, Rusconi editore, 1994

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VOLTAIRE, Breviario, a cura di Gabriele Mandel, Rusconi, 1997

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NIETZSCHE Friedrich, Breviario, a cura di Claudio Pozzoli, Rusconi, 1993

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MENTIRE – Treccani

Alterare la verità, dire il falso con piena consapevolezza

Sorgente: mentire in Vocabolario – Treccani

EPICURO: sul dolore da rendere sopportabile

Dobbiamo alleviare le disgrazie del momento con il gradito ricordo dei beni perduti e riconoscere che non era possibile modificare quanto è successo

“La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”, Gustav Mahler

“La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”,  Gustav Mahler

Gustav Mahler, celebre compositore e direttore d’orchestra austriaco, è noto non solo per la sua musica ma anche per le sue riflessioni profonde sulla tradizione e il suo significato. La sua famosa citazione, “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”, invita a una visione dinamica della tradizione.

Significato della Citazione

Custodire il fuoco implica mantenere viva l’essenza e l’energia delle tradizioni, rinnovandole e adattandole ai tempi moderni. Questo approccio suggerisce che la tradizione non dovrebbe essere vista come un insieme di pratiche statiche e obsolete, ma come una fonte di ispirazione e vitalità che può guidare le generazioni future.

Adorare le ceneri, al contrario, rappresenta un attaccamento nostalgico a ciò che è passato, senza la capacità di trasformare e rinnovare. Questo atteggiamento può portare a una stagnazione culturale, dove si celebra solo il ricordo di ciò che è stato, piuttosto che impegnarsi attivamente per costruire un futuro significativo.

Riflessioni Contemporanee

La frase di Mahler è spesso citata in contesti che riguardano la cultura, la spiritualità e l’impegno sociale. Ad esempio, in ambito cristiano, il “fuoco” è visto come simbolo dello Spirito Santo, suggerendo un invito a vivere una fede attiva e coinvolgente, piuttosto che una mera osservanza delle tradizioni passate[1][3].

In un mondo in continuo cambiamento, il messaggio di Mahler risuona con particolare forza. Esso esorta a riflettere su come le tradizioni possano essere reinterpretate per affrontare le sfide moderne, mantenendo viva la loro essenza senza cadere nel rischio di fossilizzarsi nel passato.

Conclusione

In sintesi, la citazione di Gustav Mahler serve da monito e guida: custodire il fuoco delle tradizioni significa impegnarsi attivamente nella loro evoluzione e rilevanza nel presente, piuttosto che limitarsi a rimirare le ceneri di ciò che una volta era.


[1] https://spighe.ch/custodire-il-fuoco/
[2] https://fabriziovalenza.net/2021/02/17/le-ceneri/
[3] https://antemp.com/2015/05/26/la-tradizione-e-custodire-il-fuoco-non-adorare-le-ceneri-gustav-mahler/
[4] http://www.gdvajra.it/it/il-fuoco-vivo-oggi
[5] https://taborsettepuntozer.wixsite.com/blog/single-post/la-tradizione-%C3%A8-custodire-il-fuoco-non-adorare-le-ceneri-gustav-mahler
[6] https://www.cavazza.it/drupal/it/node/1580
[7] https://www.facebook.com/photo.php?fbid=189333590271020&id=100075831403345&set=a.172485761955803
[8] https://www.ilfoglio.it/cultura/2024/07/20/news/l-occidente-tra-il-fuoco-della-tradizione-cristiana-e-le-ceneri-del-nazionalismo-6765085/

si licet parva componere magnis

si licet parva componere magnis
se mi è concesso accostare una cosa piccola a una grande

Epitteto: “Solo l’uomo colto è veramente libero”

Solo l’uomo colto

è veramente libero

Epitteto: “Checchè dica qualcuno sul tuo conto, non badargli, perchè non è cosa che ti riguardi”

Checchè dica qualcuno sul tuo conto,

non badargli,

perchè non è cosa che ti riguardi

Epitteto: “Uno è fatto per una cosa, un altro per un’altra”

Uno è fatto per una cosa,

un altro per un’altra

EPITTETO: accetta le cose come vanno

Non devi cercare di fare in modo che le cosa vadano come vuoi,

ma accetta le cose come vanno.

Così vivrai sereno

Epitteto sulle OPINIONI

Non sono le cose reali a turbare gli uomini,

ma le opinioni che essi si fanno delle cose

Michel De Montaigne: OPINIONI

Gli uomini, secondo un antico detto greco, sono torturati dalle opinioni che essi hanno sulle cose stesse più che dalle cose stesse

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DIZIONARIO DELLE SENTENZE LATINE E GRECHE (1991), di Renzo Tosi, Rizzoli Bur, 2007, p. 890

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https://antemp.com/2014/01/11/dizionario-delle-sentenze-latine-e-greche-1991-di-renzo-tosi-rizzoli-bur-2007-p-890/

Julia Kristeva, illuminismo e contraddizioni moderne

Julia Kristeva, intervistata ieri da Franco Marcoaldi, ha ricordato che la radice dalla quale sono germinate negli ultimi due secoli sta nell’Illuminismo e nel suo confronto con la cultura dell’assoluto, il potere assoluto, la verità assoluta, cui l’Illuminismo oppone il soggetto individuale, la verità soggettiva e quindi relativa.

Di qui nascono le contraddizioni moderne, la prima delle quali, che ha dominato l’attualità dei giorni scorsi e di quelli che verranno, sta nel dramma siriano e nei due contrastanti modi di risolverlo

VOLTO

Scarto fra volto interno ed esterno.

Paradossale conclusione: conosciamo il nostro vero volto solo quando accettiamo di perderlo per mostrare l’Io nella essenzialità dello scheletro

Montaigne: il ‘500 e la SCELTA

alla fine del ‘500 il concetto di SCELTA si riflette sulla identità, mettendo in crisi, per Montaigne, i valori morali e conoscitivi nella direzione della incertezza , del dubbio, della cautela nei giudizi

SAPIENZA

SAPIENZA
scetticismo su ogni sapere assoluto e prescrittivo.
cercare dentro di sè e nelle altrui esperienze le radici della saggezza e della interiore tranquillità

“chi è?” “sono Tu” … di Helen Cixous, da Guerritore, Fallaci, “mi chiedete di parlare” Festival di Spoleto/fondazione Rizzoli – Corriere della Sera/Compagnia Mauri Sturno

“chi è?”

“sono Tu”

Allora subisco quello che accade a Te,

l’Altro è tanto forte che mi annienta.

Ma quando la scena è recitata davanti a me dagli attori

Io non sono più Te, sono di nuovo Io

Sono loro che soffrono

e sono io che piango

Helen Cixous

tratto da:

Guerritore, Fallaci, “mi chiedete di parlare”

Festival di Spoleto/fondazione Rizzoli – Corriere della Sera/Compagnia Mauri Sturno

“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”, DANTE Alighieri, DIVINA COMMEDIA, Inferno, Canto III, 51

“Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa”

Da: Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto III, 51

La frase “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa” è tratta dall’Inferno di Dante Alighieri, precisamente dal Canto III. Questo verso viene pronunciato da Virgilio, la guida di Dante, mentre si trovano all’ingresso dell’Inferno. La citazione esprime un invito a non soffermarsi a riflettere sugli dannati che incontrano, ma piuttosto a proseguire il cammino senza lasciarsi influenzare dalla loro presenza.

Significato e Contestualizzazione

Contesto: Nel Canto III, Dante e Virgilio si trovano davanti alla porta dell’Inferno, dove è scritto “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”. Qui Virgilio esorta Dante a non fermarsi a contemplare i dannati, sottolineando l’importanza di mantenere il focus sul viaggio e sulla ricerca della verità.

Interpretazione: Questa frase può essere interpretata come un richiamo all’azione e alla determinazione. In un contesto più ampio, riflette il pensiero dantesco riguardo alla necessità di affrontare le sfide della vita senza lasciarsi distrarre dalle sofferenze altrui. È un invito a guardare oltre il dolore e a proseguire con il proprio percorso.

Riflessioni

Dante utilizza questa espressione per enfatizzare la necessità di avanzare nel proprio cammino personale e spirituale. Essa risuona con l’idea che ogni individuo deve affrontare le proprie prove e tribolazioni, senza lasciarsi sopraffare da ciò che lo circonda. La frase è diventata un simbolo di resilienza e determinazione.

In sintesi, “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa” non solo rappresenta un momento chiave nell’opera dantesca, ma offre anche una lezione universale sulla perseveranza e l’importanza di mantenere la propria direzione nella vita.


[1] https://www.goodreads.com/author/quotes/5031312.Dante_Alighieri
[2] https://italy.mytour.eu/en/blog/dante-alighieri-quotes
[3] https://it.wikiquote.org/wiki/Dante_Alighieri
[4] https://quotefancy.com/dante-alighieri-quotes
[5] https://en.wikiquote.org/wiki/Dante_Alighieri
[6] https://www.goodreads.com/work/quotes/2377563-inferno
[7] https://www.frasicelebri.it/frasi-di/dante-alighieri/

MONTAIGNE Michel de, “Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io …

“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io, sia per la debolezza del mio linguaggio, sia per la debolezza della mia intelligenza”

Epitteto: Delle cose che esistono alcune sono in nostro potere, altre no …

Delle cose che esistono alcune sono in nostro potere, altre no.

In nostro potere sono l’opinione, il desiderio, l’avversione e, in una parola, tutte le nostre azioni.

Non sono invece in nostro potere il corpo, il patrimonio, la reputazione, le cariche pubbliche e, in una parola, tutte le azioni che non sono nostre.

Epitteto

Emanuele Severino: … di tutte le cose è necessario dire che è impossibile che non siano, cioè è necessario affermare che tutte sono eterne | da Coatesa sul Lario e dintorni. Con commento di Grazia Apisa

… la follia essenziale si esprime nella persuasione che le cose escono e ritornano nel niente. Il mortale è appunto questa volontà che le cose siano un oscillare tra l’essere e il niente.

Al di fuori della follia essenziale, di tutte le cose è necessario dire che è impossibile che non sianocioè è necessario affermare che tutte – dalle più umili e umbratili alle più nobili e grandi – tutte  sono eterne

Tutte, e non solo un dio, privilegiato rispetto ad esse.

se il divenire non appare come annientamento, ma come l’entrare e l’uscire delle cose dal cerchio dell’apparire, allora l’affermazione dell’eternità del tutto stabilisce la sorte di ciò che scompare: esso continua a esistere, eterno, come un sole dopo il tramonto.

Non solo la legna fiammeggiante, le braci, la cenere, il vento che le disperde sono eterni astri dell’essere che si succedono nel cerchio dell’apparire, ma anche tutte le fasi dell’albero che

nella valle ove fresca era la fonte/e il giovane verde dei cespugli/giocava al fianco delle calme rocce/e l’etere tra i rami traluceva/e quando intorno i fiori traboccavano (Holderlin),

hanno preceduto la legna tagliata per il fuoco.

Quando gli astri dell’essere escono dal cerchio dell’apparire, il destino della verità li ha già raggiunti e impedisce loro di diventare niente.

Appunto per questo essi – tuttipossono ritornare

Emanuele Severino

in La strada. La follia e la gioia (1983), Rizzoli Bur, 2008, p.  103-104

Gabriele De Ritis, MOMENTI D’ESSERE (2): Il respiro dell’Angelo

Audio

Domenica, 27 febbraio 2011

“Gli angeli non conoscono l’ansia” EUGENIO BORGNA

La condizione angelica evoca stati di coscienza e posture analoghe nell’uomo. Essa rimanda ad aspirazioni e tensioni eroiche, tipiche di quell’eroismo morale che ci spinge a sostare per un tempo indefinito alle soglie dell’inferno, ad attraversare la soglia, a dare un nome all’inferno, a riemergerne con la creatura che eravamo andati ad affiancare nel suo cammino all’indietro.

Bisogna scendere, per poter salire.Descensus ad Inferos, discesa agli Inferi è stato chiamato il viaggio da compiere nell’Oltretomba in cerca delle proprie ragioni, presso le anime dei propri numi tutelari. Allo stesso modo io chiamo il cammino accanto all’Ombra dell’‘esistenza spezzata’, cioè la condizione tossicomanica, quella paralisi dell’esistenza che ‘esce’ dal tempo mondano, rinunciando a protendersi verso il futuro.

La contrazione del tempo non è certo il risultato di una scelta! Piuttosto, si tratta di una malattia del tempo vissuto. La riduzione della vita della coscienza a un eterno ‘presente’, al vivere nello spazio di una giornata tutte le opportunità a disposizione, senza nulla chiedere per poter durare oltre l’orizzonte della sera, induce chi affianca la persona a sentirsi angelo, come se ci fosse da sostare di fronte all’Altissimo per un’eternità, aspettando il proprio turno per poter cantare una sola volta: è, ugualmente, attesa l’indugio e il rinvio ripetuti infinite volte.

Prendere la parola, allora, non è un vero parlare: manca un vero interlocutore. Al di là della parete di vetro che ci separa dall’altro arriverà un bisbiglio soltanto. Frammenti di senso saranno sparsi nel tempo, posati delicatamente sull’anima, perché si facciano eco di altre voci. L’inaudito del quotidiano è messaggio e farmaco. La voce dell’angelo ha un suo respiro. E’ il ritmo consueto della vita, che viene riproposto semplicemente indicando le proprie necessità quotidiane, perché nasca nell’altro la nostalgia del tempo perduto. Da questa sponda è importante che parta l’alito sommesso del vento ristoratore: vicinanza e ascolto toccano l’anima. Qualunque cosa accada dall’altra parte, è anche merito del ritmo di questa voce.

*

Leggere EUGÈNE MINKOWSKI, Il tempo vissuto, EINAUDI e, in particolare, le pagine 90-93 sull’attesa – la scheda di ALBERTO BIUSO

da: MOMENTI D’ESSERE (2): Il respiro dell’Angelo : Ai confini dello sguardo.

Gabriele De Ritis: Momenti d’essere 1, la sala del commiato

Domenica, 27 febbraio 2011

La prima idea mi è venuta ieri, all’ingresso della Camera mortuaria del Policlinico di TorVergata, dove Paolo attendeva di essere trasferito a Sora, per i funerali di rito. A sinistra del corridoio che conduce agli spazi in cui vengono sistemate le bare, una stanza con un divano e basta. A destra della porta, una piccola insegna, poco appariscente, con la scritta: Sala del commiato. E sotto quella scritta, altre parole: un invito ad accogliere e confortare parenti e amici.

Sarà stata la parola ‘commiato’ a turbarmi. La vista di Paolo, immobile con jeans e casacca sportiva sopra una camicia a righe sbottonata, non mi ha sconvolto, per quanto lo amassi, come tutti i nostri ragazzi. L’abbraccio alla madre e al padre, la lunga sosta accanto a lui, le carezze al viso, la stretta alle mani. Il gelo della sua pelle contrastava con la dolcezza della sua espressione. Il viso non era contratto. Sembrava che dormisse. Di questo abbiamo parlato a lungo. La madre ha raccontato gli ultimi mesi trascorsi con lui. C’era stato un riavvicinamento, dopo quindici anni di contrasti e incomprensioni. Lei non faceva che dire questo: in questi ultimi tempi Paolo è stato solo mio. E di questo strazio ci sarà da dire ancora. Oggi la ferita sanguina troppo.

Prima di andar via, sono tornato a considerare l’esistenza di quella sala di commiato. Forse, era la parola ‘sala’, che fa pensare a un ambiente grande, spazioso. Si trattava di un’angusta stanzetta senza arredo. Un piccolo divano a destra faceva pensare che fosse dedicata solo a due o tre persone. Ma di più mi aveva colpito la parola ‘commiato’. Saluto. Congedo. Un modo per consentire l’incontro con persone di riguardo? Perché appartarsi, poi? Era opera di una sorta di Associazione, che compariva sotto la piccola insegna, a ricordare di chi era stata l’idea. Inizialmente, mi sono detto: buona idea! Ma poi, di fronte a tutta la gente, che era tanta, e che stava tutta nel corridoio o fuori a fumare, mi è rimasto il dubbio o meglio l’interrogativo: a cosa servirà questa Sala? A realizzare un luogo più intimo in cui raccogliersi a raccontare, a confortare? Ancora adesso, mi infastidisce il pensiero che io non riesca a spiegarmi bene la funzione di quella Sala, in un luogo sempre molto affollato. Ho il sospetto che mai nessuno si fermerà su quel divano a ‘raccogliere’ il dolore in una più calda intimità. Il gelo della morte potrà mai essere riscaldato da una simile Sala? Si desidera forse un po’ di ‘calore’ in quei momenti? Ne dubito. Di fronte all’immane e all’irreparabile si accetta anche di stare in uno squallido corridoio, con le pareti di pietra, e con due sole sedie nel cubicolo senza porta in cui serialmente viene sistemata la bara che ci sta a cuore. Si sente distintamente il grido di dolore proveniente dal cubicolo confinante. Sarà per questo che qualcuno ha pensato di concedere a due dei tanti la possibilità di appartarsi un po’, per dare una voce più pacata al proprio dolore e magari per raccontare più sommessamente come andarono le cose, a dispetto del Destino, nell’esistenza di una persona che per esigenze burocratiche è momentaneamente sistemata nel cubicolo n.3?

da: http://www.gabrielederitis.it/wordpress/?p=9608

Emanuele Severino, Noi come luogo della verità

Citazioni

Fernando Savater, Dizionario filosofico, Laterza,1996
p. 36-38

PIETRO CITATI, PERCHÉ AMO LA TV DEL TENENTE COLOMBO, da LA REPUBBLICA, 9 gennaio 2008

 
PERCHÉ AMO LA TV DEL TENENTE COLOMBO 

 


di PIETRO CITATI 

L´estate scorsa, la televisione italiana ci ha offerto un dono inconsueto. Nelle sere di sabato e di domenica, alle 19.35, cominciava la proiezione di un film della serie del Tenente Colombo, che accompagna da molti anni la nostra vita. Confesso di avere una passione infantile per le vicende del piccolo tenente spiegazzato: passione che Federico Fellini condivideva. Qualsiasi cosa accadesse, qualsiasi invito allettante mi venisse rivolto, non abbandonavo la poltrona o la seggiola davanti alla televisione, sebbene avessi visto dieci volte quel film e mi ricordassi quasi a memoria ogni particolare. Non so quale sia il motivo della mia passione indomabile. Solo Miss Marple – con i suoi cappellini fioriti, i suoi tè, le sue conversazioni, i lampi improvvisi di intelligenza criminale – mi affascina fino a questo punto.
Tutti conoscono la trovata fondamentale dell´intera serie. Gli sceneggiatori del Tenente Colombo, tra i quali si nasconde una mente sottilissima, hanno capovolto la struttura del giallo tradizionale. Se in un testo di Conan Doyle o di Agata Christie o su Nero Wolfe la scoperta del colpevole avviene puntualmente alla fine del libro, qui, pochi minuti dopo l´inizio, il mistero è già rivelato: sappiamo chi è la vittima e chi il colpevole, e per quali ragioni e in quali circostanze la vittima è stata uccisa. Suppongo che, nei primi tempi, questo capovolgimento abbia turbato il mondo degli appassionati. Se il mistero era rivelato subito, rischiava di venire abolito. Ma la straordinaria bravura degli sceneggiatori del Tenente Colombo, ha fatto sì che questo pericolo venisse cancellato. Non ho quasi mai seguito un giallo con tanta partecipazione e tensione.
Le vicende del tenente Colombo, il suo sospetto improvviso, i minimi indizi, le oscure certezze, le nebbie, le sorprese, le distrazioni, le convinzioni rafforzate, i suoi inganni, le sue finte ingenuità, le sue astuzie, le sue truffe, producono a volte una suspense quasi insostenibile.
Nei gialli di tipo «matematico», ai quali la serie del Tenente Colombo appartiene, il protagonista è di solito avvolto da un profumo alto-borghese, o intellettuale, o lievemente snobistico. Coltissimo e squisitissimo, Sherlock Holmes ha modi alla Oscar Wilde. Anche in Miss Marple, per non dire in Hercule Poirot, si avverte una buona famiglia e ottimi studi. Invece, il tenente Colombo, italo-americano, fa parte di una razza lungamente vilipesa e talvolta calunniata. La sua famiglia è modestissima: ha frequentato una scuola di infimo ordine; la sua cultura deriva dalla televisione popolare. Ha visto qualche musical con un biglietto omaggio. I ricchi protagonisti-colpevoli guardano con disprezzo il suo impermeabile stazzonato, a volte sovrapposto a un mediocre vestito da sera, la camicia e i vestiti di cattiva qualità, la cravatta sfilacciata e male annodata (c´è sempre una signora elegante che gliene regala una nuova), le scarpe sformate, la vecchia automobile scoppiettante, il cane sgraziato, la passione per il popolarissimo chili, l´incapacità di bere e mangiare con eleganza. Appena egli entra in una casa ricca o nel negozio di un grande sarto, rivela la sua natura di paria. I salotti, gli specchi, le porte decorate, gli armadi sontuosi, gli enormi mazzi di fiori o l´enorme apparecchio televisivo, l´educata pelouse suscitano la sua candida ammirazione infantile, a volte ostentata con nascosta ironia.
Gli appassionati dei gialli sostengono che uno scrittore o un regista non deve mai ripetere le proprie trovate perché annoia il pubblico. Anche qui, l´occulto responsabile della serie del Tenente Colombo ha capovolto ogni abitudine. Tutto, nella figura del piccolo tenente, è ripetizione. In ogni film, ripete i suoi tic. Fa la parte del tonto, finge di non capire, è troppo umile, permette che il ricco colpevole lo disprezzi o lo insulti, si meraviglia, guida la solita vecchissima macchina, si occupa con amore del grosso cane, ammira sciocchi libri alla moda, segue i successi musicali, allude di continuo a una signora Colombo che non vedremo mai, finge continuamente di avere dimenticato una domanda (la più importante), per ricomparire subito dopo dietro una porta suscitando sospetto e inquietudine, fruga nelle tasche alla ricerca di un importantissimo biglietto perduto… Il suo volto conosce poche espressioni. Nulla, in lui, sembra imprevisto. Ma questa serie incessante di ripetizioni è divertentissima. Ci affezioniamo alle sue abitudini. Se osasse cambiare impermeabile, ci offenderemmo, come se ognuno dei suoi tic contenesse un segreto straordinario.
Malgrado le apparenze, il tenente Colombo è un genio. Cinque minuti dopo essere arrivato sulla scena, comprende chi è il colpevole. Parlare di istinto, o di abilità o di consuetudine poliziesca, è troppo poco. Egli possiede una specie di intuito medianico, che gli rivela l´assassino. Non sappiamo come né perché, né su quali indizi si basi, ma una cosa si ripete sempre: egli non ha dubbi né esitazioni. Egli sa. Appena ha ricevuto l´illuminazione, non si preoccupa di nulla d´altro. Non guarda le cose, trascura piste apparentemente importantissime, si distrae, sogna, fantastica. Quando ha trovato la vera pista, mette in moto il suo formidabile istinto per tutto ciò che è microscopico. Annusa eventi minimi: un residuo di sigaretta, una minima discordanza temporale, un fiammifero, l´orma di una scarpa, una coincidenza falsa, il filo di un abito, un capello tinto, una sensazione improbabile, un posteggio misteriosamente asciutto. Quando ha accumulato una quantità sufficiente di dettagli (qualche volta basta uno solo), il colpevole gli cade tra le braccia, come se non potesse resistere al fascino del suo seduttore.
Il tenente Colombo sembra buonissimo. Non ha mai, o quasi mai, rancori verso i colpevoli, anche se questi lo disprezzano o lo trattano male. Non si offende. Non alza la voce. Non si dà arie. Se cattura il colpevole, lo fa sopratutto per obbedire al suo dovere di poliziotto, e alle volte sembra dispiaciuto, come se il suo compito gli pesasse. Qualche assassina, specie se bella e ingegnosa, lo commuove. Quanto alla sua vita famigliare, di cui non sappiamo quasi nulla, immaginiamo che sia un marito eccellente e pieno d´attenzioni. Forse è un po´ succube della moglie. Con la sua vasta parentela italo-americana, è certo tollerantissimo. Eppure, qualcosa ci induce in sospetto. Con i suoi piccoli tocchi, con le sue microscopiche invenzioni egli irretisce i colpevoli. E chi irretisce, se dobbiamo ascoltare il nostro sentimento profondo, non è mai del tutto innocente. Così, alla fine, abbiamo la sensazione che il colpevole, per quanto coperto di crimini, sia la vittima: la mosca o il topo, caduti nella rete del ragno-Colombo o nelle grinfie del gatto-Colombo. Se ci identifichiamo con lui, sia pure con cautela, affondiamo in quella parte occulta della nostra anima, che ha bisogno del male, coltiva il male, e mentre lo circuisce e lo avvolge, si immerge nella tenebra dell´universo.
Sembra contento di sé. È povero, ma non gli dispiace di esserlo. Non lo sorprendiamo mai a sognare promozioni: se diventasse colonnello di polizia, dovrebbe abbandonare le sue care indagini, con tutti quei bellissimi particolari, dove egli ficca voluttuosamente le mani. È tenente, e vuole restare tenente per tutta la vita. Non desidera possedere le ricche case e i giardini che intravede, ogni volta che il delitto lo introduce nel mondo della ricchezza: l´unico dove il delitto prospera con gioia ed orgoglio. Quando va nei ristoranti alla moda, con il suo patetico cravattino a farfalla, rimpiange le modeste trattorie, i bar, il piatto di chili e le uova sode. Nessuno potrebbe attribuirgli melanconie e inquietudini. Forse non prova sentimenti: forse la moglie, che non si vede mai, non esiste affatto, e il suo proclamato sentimento coniugale è una pura istituzione pubblica. Ama appassionatamente soltanto il suo mestiere di poliziotto: non c´è una goccia di sangue, in lui, che non agogni misteri da risolvere, assassinii da rivelare, tenebre da illuminare, ordine da ristabilire.
Davanti al tenente Colombo, tutti i colpevoli, persino i più astuti e malvagi, sono indifesi; e qualche volta ci sentiamo inteneriti da un vago sentimento di pietà verso di loro. Se essi accettano il suo gioco teatrale, se credono che egli sia ingenuo come finge di essere, oppure si rivolgono alla autorità suprema (i sindaci, i governatori, i capi della polizia), allora sono perduti senza rimedio. Le fauci apertissime del gatto-Colombo li attendono. Ma non sono sicuri nemmeno se comprendono che egli è una avversario pericolosissimo. Come salvarsi da lui? Come proteggersi da qualcuno che combina l´istinto medianico con la raffinatezza razionale, che gioca con la sopraragione, o l´antiragione, e la ragione? Il povero colpevole si nasconde in un angolo; e finalmente capisce che il piccolo elfo italiano ha giocato con lui, con inimitabile grazia, la parte terribile del destino.

da LA REPUBBLICA, 9 gennaio 2008

IL SOGNO della ACCETTAZIONE delle PARZIALITA’, fine analisi junghiana con Claudio Risè: 29 dicembre 1992 (1978/1992)

  • AUDIO DEL SOGNO:


Qui in formato Mp3:

 Sogno della accettazione delle parzialità, 29 dicembre 1992 


Dò molta importanza agli eventi casuali che costellano la mia esistenza.
Dico sempre che niente avviene a caso. Nel caso c’è sempre un messaggio da trovare e comprendere.
Bene. Qualche giorno fa  Batsceba (blogger di splinder con la quale ho perso i contatti) ha invitato sul suo blog a parlare di qualche proprio sogno. Un invito interessante, perchè talvolta propongono immagini potentissime.
I sogni sono una cosa seria, impegnativa. Sono anche qualcosa di un po’ sacro. Parlo di una sacralità interiore.
Proprio in quelle ore, riordinando la mia biblioteca avevo trovato un pacco di miei sogni, risalenti ad un periodo in cui non solo alla mattina li ricordavo, ma addirittura li ricopiavo per conservarli. Appunto come qualcosa di sacro, in quanto proveniente da quella parte di me non controllata dalla coscienza.
E così ho tirato fuori il sogno della accettazione delle parzialità.
Quella notte mi svegliai di colpo con l’impellente bisogno di scriverlo.
E’  fantastico svegliarsi in piena notte.  Spinto da una forza  irresistibile  di fare  i conti con me stesso.
Di questi tempi non mi capita più.
Per forza: sono sempre qui attaccato al blog … anche per la canzone di mezzanotte … si dorme poco … si ricorda poco dei sogni …

17 febbraio 2007

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Primo momento: un pezzo del sogno

Notte del 29 dicembre 1992 ore 2 e 20 
Ho partecipato ad alcuni gruppi di incontro psicologico con fini terapeutici. Di quelli molto diffusi negli Stati Uniti, nei quali le persone si trovano per più giorni ed effettuano intense esperienze di comunicazione interpersonale e corporea.
In una di queste esperienze mi assumo io il compito di guidare un piccolo gruppo di attività creativa: mi pare di una cosa pittorica.
Il punto fondamentale è questo: non c’ è un momento di comunicazione complessiva al gruppo globale di questa singola esperienza che io conduco. Il piccolo gruppo non comunica a quello grande ciò che è successo.
Questo crea dei conflitti e qualcuno mi chiede il perché di questo.
Io lo liquido abbastanza velocemente ed una ragazza prende le mie difese e mi da ragione, dicendo che il desiderio invadente di sapere è un problema di quella persona, non mio.

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Secondo momento: rêverie sul sogno

In sé il sogno potrebbe fornire pochi messaggi significativi.
Sennonché quella notte feci  una lunga “Reverie”, ossia una riflessione fra il conscio ed il dormiente di cui parla il filosofo francese Gaston Bachelard. Una esperienza davvero piena di anima.
E questo è il commento, registrato quella notte e poi da me trascritto dalla voce notturna e conservato come uno dei più potenti messaggi che il mio inconscio mi abbia suggerito:

Mi sono chiesto se qui ci sia anche un messaggio di valutazione del punto in cui sono nel percorso della mia vita e della stessa analisi. Come se fossi ad un bivio.
In particolare mi viene in mente la mia attuale situazione esistenziale.
Mi trovo nella condizione di poter accettare una serie di mie parzialità psicologiche.
Un esempio di parzialità è quella per cui, pur non avendo capacità grafiche, ultimamente imposto quasi tutto il mio lavoro didattico utilizzando le immagini.
Certe immagini geometriche, che tuttavia hanno un effetto evocativo non basato sulla parola.
Una seconda mia parzialità è quella per cui, pur non avendo una cultura filosofica (neppure elementare), sento di aver bisogno di riferimenti filosofici che ricerco anche in modo confuso ed eclettico nelle mie ricerche bibliografiche. Ed alcuni concetti, magari avvicinati in modo semplificato e superficiale, entrano a far parte della mia attività culturale.
Io credo che questo abbia a che fare con la mescolanza fra discorsi tecnici e spazio creativo. Mi rendo conto di avere due tipi di attività psichica: una collegata alla razionalità e un’altra – più laterale – in cui mi permetto di dare spazio alla creatività.
Dunque vivo esperienze parziali.
E allora forse questo sogno sta dicendomi qualcosa di molto significativo su come e dove orientare il tempo che resta della mia vita.

Terzo momento: ripresa del sogno

Ed ecco che , in questo momento , del sogno ricordo ancora qualcosa …. Qualcosa ancora sta affiorando … Era lì sopito …  Ma la Reverie lo estrae.

I fatto è che tutti ce ne andiamo da quel luogo terapeutico, ognuno va per conto suo.
Io però poi provo il desiderio di scrivere a ciascuno una lettera, pur rendendomi conto che è una cosa scorretta, in quanto per farlo devo andare ad indagare sugli indirizzi privati delle persone e questo non fa parte della situazione relazionale che avevamo impostato nel gruppo.
A ciascuno dico la mia e più o meno faccio un discorso sull’importanza del “politeismo dei valori”.
Cioè dico  che ciascuno prende dalla vita alcune occasioni,ed in queste occasioni l’importante è valorizzare la soggettività di ciascuno. Nel senso che le esperienze consentono di esprimere la soggettività di ciascuno.
E nella lettera dico che sono contento per l’esistenza di ognuno di loro.
Ma l’esperienza si è conclusa lì.
Il cammino insieme si è concluso.
E se io non ho potuto dire a loro che cosa era avvenuto nell’ esperienza di gruppo che avevo gestito, questo non era un errore mio, ma semmai un problema di progettazione dell’’ attività terapeutica complessiva.
E che bisogna accettare che ci sono delle situazioni nelle quali non si riesce a fare tutto.
E che nonostante questo, io conservavo dentro di me un’immagine di ciascuno molto intensa.
E c’ è anche l’esigenza di provare a cambiare la vita.
Di essere più attivo nel mio progetto esistenziale.
Cioè devo attivamente prendere atto che sono ad un punto del percorso in cui posso accettare le parzialità della mia storia personale e che contemporaneamente devo fare uno sforzo attivo su di me.
E percorrere un’altra strada del bivio.

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In quella notte finiva il mio lungo cammino di analisi, iniziato nel settembre 1978 :mi ricordo … L’APPUNTAMENTO, narrazione dal lontano settembre 1977.

Grazie, Claudio

2016-10-19_160842

mi ricordo che iniziava l’analisi, 14 settembre 1978