L’ambizione di questi versi di Vincenzo Guarracino è quella di poter “amalgamare nel messaggio poetico – lucrezianamente e leopardianamente – immaginazione e pensiero”, come rileva il poeta e prefatore Gilberto Isella, in un dire che nella scena dell’oggi non nasconde “l’intento di investigare i fondamenti perduti, o meglio oggi travisati, dell’essere-al-mondo, in breve l’archè… (in) una lingua che, interpellando l’ethos ai primordi, approfitti per mettere in luce le proprie valenze spirituali”.
– Scoprire la profondità della tristezza di un figlio, a neanche sedici anni, è come trovare qualcosa in un posto in cui non te lo saresti mai aspettato. In cui proprio non dovrebbe esserci. – Che vuoi dire? – Tipo, non so. Come trovare la neve in fondo al mare.
Matteo Bussola racconta un nodo del nostro tempo: la fragilità adolescenziale. Scrive una storia toccante, piena di grazia, sul tradimento che implica diventare sé stessi. E ci mostra, con onestà e delicatezza, quel che si prova davanti al dolore di un figlio, ma anche la luce dell’essere genitori, che pure nel buio continua a brillare. Perché è difficile accogliere la verità di chi amiamo, soprattutto se lo abbiamo messo al mondo. Ma l’amore porta sempre con sé una rinascita.
Un padre e un figlio, dentro una stanza. L’uno di fronte all’altro, come mai sono stati. Ciascuno lo specchio dell’altro. Loro due, insieme, in un reparto di neuropsichiatria infantile. Ci sono altri genitori, in quel reparto, altri figli. Adolescenti che rifiutano il cibo o che si fanno del male, che vivono l’estenuante fatica di crescere, dentro famiglie incapaci di dare un nome al loro tormento. E madri e padri spaesati, che condividono la stessa ferita, l’intollerabile sensazione di non essere piú all’altezza del proprio compito. Con la voce calda, intima, di un padre smarrito, Matteo Bussola fotografa l’istante spaventoso in cui genitori e figli smettono di riconoscersi, e parlarsi diventa impossibile. Attraverso un pugno di personaggi strazianti e bellissimi, ci ricorda che ogni essere umano è un mistero, anche quando siamo noi ad averlo generato.
…. ho pubblicato con Youcanprint tre testi diversi: il primo si chiamava “Danzare nel buio Sciuri sciuri Ogni stagione un amante” con seguente saggio. Il secondo si chiamava “Danzare nel buio” con saggio su biografia e autobiografia. Il terzo si intitola Danzare fra il buio e la luce Una cura dell’anima – I segreti della narrativa Il racconto e il romanzo. Il primo testo era di circa 230 pagine; l’ultimo ne ha 284. Ci ho lavorato accanitamente …
PRIMA PARTE: IL RACCONTO NARRATIVO (pagine 7-127):
Esordio 7 1 Premonizione 9 2 La mia nascita 11 3 Lo psicologo 13 4 Un po’ di sport 15 5 Nella padella 17 6 Viaggio a Santorini 23 7 Ardori 29 8 Il primo cerchio 32 9 Il busto 37 10 Un bacio 42 11 Non c’è uno senza due 46 12 Il movimento 48 13 Giocare 51 14 Separazione 56 15 Pregare 61 16 Altra danza 66 17 Argomenti 71 18 Addio 76 19 Il totem 79
20 Comprendere l’altro 81 21 Sciuri sciuri Ogni stagione un amante 84 22 Finestra sul mare .89 23 Le mante 95 24 La vita in due 98 25 Le due frecce .102 26 La Hoya Carnosa .108 27 Nel giardino .110 28 L’ascensore .115 29 L’incontro 119 30 La bussola 123 31 L’uscita 126
SECONDA PARTE : SAGGIO SULLA SCRITTURA NARRATIVA:
I segreti della narrativa Il romanzo e il racconto ( pagine 129 – 273)
Ringraziamenti 273
Pubblicazioni dell’autrice 279
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Nel capitolo “Ringraziamenti” scrive:
Ringrazio i miei numerosi, fedeli corsisti della “Casa della scrittura” – li nomino nel mio sito blog pennavaja.com . Sono ancora in contatto con molti di loro, e alcuni sono persone importanti nella mia vita quotidiana. Sono particolarmente grata a Patrizia Taccani, fine psicologa e saggista, amica in tutte le stagioni, che alla “Casa della scrittura” mandò poi il figlio e il marito; a Paolo Ferrario, scrittore ed esperto nel campo del sociale, che valutò come “magistrale” il mio libro Il gioco dell’argomentare (lo seppi molto più tardi) e che accoglie nel suo ricco sito “Antologia del tempo che resta” anche le mie pubblicazioni.
mi scrive Cristina Pennavaja il 13 luglio 2024:
la ringrazio molto per aver ancora parlato del mio libro nel suo blog. Mi ha onorato accostandomi ad Altan e perfino a Bachelard!
Su una cosa sono perplessa: lei dice che il mio libro è difficile a leggersi. In verità il racconto è piuttosto lineare e per certi versi molto piano: la storia di una donna che vive un matrimonio pieno di problemi da risolvere, deve scegliere fra il marito e l’amante e infine sceglie il marito. (Questa scelta porrebbe il mio racconto sotto una luce “istruttiva”; termine che io non amo. A parte il fatto che non ho mai deciso di far fare a Marina alcune scelte: il personaggio le trova da sé. E la donna di un racconto alla moda di oggi, il marito lo lascia).
Certo, io stessa nel saggio – là dove mi riferisco al mio racconto – scrivo che lo si può leggere con intensità diversa di comprensione. Però secondo me un buon testo non dovrebbe insegnare direttamente nulla. Se ha qualcosa da comunicare lo comunica; chi legge sarà influenzato dallo scritto non direttamente dal testo, bensì soprattutto dalle circostanze in cui si trova nella sua esistenza materiale e nella sua esperienza spirituale.
Mi pare poi di aver facilitato la comprensione – meglio dire: la lettura del racconto – in ciò che rivelo nel saggio. Ci sono righe perfino troppo esplicite circa le modalità della composizione, le mie predilezioni, le mie scelte di linguaggio. Infine: il saggio in sé stesso.
Lei lo trova difficile? Io l’ho diviso in tanti blocchi dalla A alla Z, e da A’ a Z’ (questa scansione precisa è stata una sorpresa per me, non l’avevo calcolata). In ognuna di queste parti mi dedico a un argomento o a un autore. Ho deciso di fare la scansione in blocchi da A a Z perché proporre capitoli avrebbe reso tutto più pesante. Io nel testo avverto che, grazie alla divisione in blocchi, il lettore può ben saltare una parte che non gli piace o non gli interessa (questo semplifica le cose, anche se – inevitabilmente – io torno più volte su un problema di cui ho già parlato).
Più che difficile, il saggio mi sembra denso di elementi vari e diversi per natura. Alcune parti – interessanti – potrebbero risultare pesanti per un lettore frettoloso (le pagine sull’esordio di “La metamorfosi”, in cui devo citare l’originale. Qui ho proposto ben due mie traduzioni dell’esordio, non a caso. La prima è letterale, la seconda è più libera, e migliore). Penso che un valore aggiunto del mio libro sta in questo incipit di Kafka, finalmente tradotto come dio comanda. (Kafka viene letto secondo i vari “kafkismi”. Sono rimasta molto perplessa nel sapere che si è appena tenuto un convegno sul tema del kafkismo. Può ben darsi che il convegno abbia messo in rilievo aspetti importanti a livello sociale. Però a me sta a cuore leggere questo genio della letteratura per ciò che ha scritto: Ungeziefer non significa insetto; Urteil non significa condanna ecc.
La fatica di questo libro (stampato in tre versioni diverse; su internet si trovano i vari titoli) mi ha tolto per un po’ la voglia di scrivere. Tanto più che pochissimi mi conoscono, mi leggono e mi apprezzano. Poi, come sempre avviene, mi è tornato il bisogno imperioso di passare a un prossimo testo. (Reagisco alle sofferenze scrivendo.
Anche il canto nel coro Cantosospeso mi aiuta molto, con la mindfulness). E pensi un po, caro Paolo: ho trovato fra le mie carte un altro vecchio racconto, anch’esso composto circa vent’anni fa. E’ ben scritto, ma troppo incentrato sul tema del rapporto d’amore fra un bambino e sua madre. (Naturalmente, autobiografia filtrata: il bambino Carlo – la cui madre è pianista, sposata con un ebreo che diventa folle e infine morirà – è un misto di me e di mio figlio. La casa in campagna che viene rappresentata è quella in cui, a dio piacendo, potremo andare fra poco: un’antica casa nel Montefeltro. Bene. Siccome la storia mi sembrava troppo psicologistica e anche poco attraente oggigiorno, la realtà delle mie vicende recenti mi ha offerto una possibile integrazione. Un anno fa ho ospitato una bambina camerunense e suo padre (migranti, perseguitati, lui jellato come pochi al mondo). Ho deposto a favore dell’uomo nel Tribunale di Milano, difendendolo dalla moglie italiana che cerca di distruggere la vita di lui e quella della bambina, che si chiama Princesse. Forse nel racconto Princesse s’innamorerà del bambino Carlo, che nella mia storia perde sia il padre sia la madre tanto amata. (A sua volta, Princesse ha perduto REALMENTE nel Camerun sua mamma e le sorelline, trucidate dal gruppo terrorista Boko Haram).
Non sarà facile integrare tutte queste parti diverse, queste voci lontane. Spero di riuscirci. (Nel frattempo un professore che mi ha stracitato per le mie analisi su Karl Marx mi chiede di aiutarlo. Intende riproporre in due libri distinti alcuni testi che io scrissi moltissimi anni fa. Dovrò quindi rileggerli, correggerli; e leggere una strana traduzione italiana che hanno fatto di un mio testo tedesco (lo composi a Francoforte). E’ anche necessario leggere i libri di questo professore. E rileggere gran parte dei testi di Marx. Che gran lavoro! Spero di sopravvivere, io che purtroppo non riesco a lavorare in modo superficiale. Quasi sicuro è che il 18 settembre mi aspettano a Montecitorio (ci sarà un convegno sui 100 anni dalla nascita di Claudio Napoleoni: illustre economista, mio relatore alla laurea, ho curato un suo libro importante a Francoforte). E con queste parole mi congedo per oggi, dopo la mia lamentazione che si è ahimé accodata al ringraziamento.
Stia bene! Tanti auguri per le sue vacanze. Grazie!
Nick Spatari e Hiske Maas sul finire degli anni ’60, decidono di ridare nuova vita ad un luogo abbandonato nel cuore della Locride, facendolo diventare un luogo di sperimentazione artistica, dove trasmettere e condividere nuove frontiere di tecnica, materia, forma e colore. Nasce così il MuSaBa
L’ambizione di questi versi di Vincenzo Guarracino è quella di poter “amalgamare nel messaggio poetico – lucrezianamente e leopardianamente – immaginazione e pensiero”, come rileva il poeta e prefatore Gilberto Isella, in un dire che nella scena dell’oggi non nasconde “l’intento di investigare i fondamenti perduti, o meglio oggi travisati, dell’essere-al-mondo, in breve l’archè… (in) una lingua che, interpellando l’ethos ai primordi, approfitti per mettere in luce le proprie valenze spirituali”.
Dante vede un dannato che avanza ed è tagliato dal mento sino all’ano, proprio come una botte che ha perso le doghe del fondo: le interiora gli pendono tra le gambe e sono visibili il cuore e lo stomaco.
Il poeta lo osserva e lui si apre il petto con le mani e lo invita a guardare bene: si presenta come Maometto e indica il dannato che lo precede come Alì, tagliato dal mento alla fronte.
Il dannato spiega che tutti loro sono stati seminatori di scandalo e scisma, perciò sono tagliati a pezzi; un diavolo armato di spada mozza loro parti del corpo e poi le ferite si richiudono, finché non tornano davanti a lui
Nella Divina Commedia, Dante colloca Maometto tra i dannati nell’Inferno, precisamente nella nona bolgia dell’ottavo cerchio, destinata ai seminatori di discordia.
Perché Maometto è all’Inferno?
Dante, essendo cristiano e seguendo la teologia del suo tempo, considerava l’Islam come un’eresia e Maometto un falso profeta. Per questo motivo, nella Commedia, il poeta lo punisce condannandolo all’Inferno tra coloro che hanno fomentato discordie e divisioni nel mondo.
Come viene descritto Maometto?
Dante descrive Maometto in maniera cruenta e grottesca, sottolineando la sua condizione di dannato orribilmente mutilato. Viene rappresentato con il petto squarciato da cui pendono le viscere e con una ferita profonda che gli taglia il viso dalla fronte al mento.
Qual è il significato della pena di Maometto?
La pena di Maometto rappresenta la condanna della sua dottrina, considerata da Dante come scismatica e pericolosa per l’unità della fede cristiana. La sua mutilazione simboleggia la lacerazione che le sue azioni hanno provocato all’interno della comunità dei fedeli.
“Quell’estate compresi che l’amore non aveva limiti, e imparai che era materia pericolosa. Non ho mai amato nessuno quanto Vittoria amava Paolo. E forse nemmeno quanto Paolo amava la mia migliore amica, pur ingannandola.” Alcune storie sono universali, altre sono legate inesorabilmente al momento in cui esistono. Questa storia nasce alla fine degli anni Ottanta, quando Internet non c’era e le informazioni transitavano solo attraverso le chiacchiere o i libri. Quando, per capire come funzionava la sessualità, ci si fidava di un’amica che si proclamava più esperta, o di un giornaletto pornografico. Serena e Vittoria sono inseparabili, condividono tutto dall’infanzia: versioni di greco e discoteche, fughe in motorino dal liceo prestigioso del quartiere Trieste di Roma e brividi di libertà vissuti durante i tanto attesi soggiorni studio a Londra. Per entrambe, l’amicizia reciproca è salvezza e supporto rispetto al senso di inadeguatezza verso una società soffocante. Vittoria appare la più sicura e reattiva, Serena la più analitica e cerebrale. Un’estate nella vita di Vittoria compare Paolo, si innamorano, ma sarà Serena che avrà il compito difficile di scoprire la verità su di lui, in una contrapposizione tra vittime e carnefici che scardinerà ogni certezza. Tra complicità, tradimenti, colpi di scena e traumi, A te vicino così dolce è un romanzo tenero e avvincente, ma anche doloroso e pieno di coraggio, su quanto siamo disposti a farci ingannare dall’amore. Serena Bortone racconta con una prosa graffiante e fresca una stagione della vita in cui i sentimenti sembrano prevalere su tutto, trascinandoci in un vortice oscillante tra illusione e bruschi ritorni alla realtà. E ci consegna il ritratto di una generazione che scopre di non essere mai stata così libera come le hanno fatto credere.
Nel 2018 l’Editore Einaudi ha completato la traduzione di tutte le raccolte di short-stories di Alice Munro.
La danza delle ombre felici (Dance of the Happy Shades, 1968), Milano, La Tartaruga, 1994, ; col titolo Danza delle ombre felici, trad. Susanna Basso, Torino, Einaudi, 2013
La vita delle ragazze e delle donne (Lives of Girls and Women, 1971), trad. Susanna Basso, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, 2018,
Chi ti credi di essere? (Who Do You Think You Are?; pubblicato anche col titolo The Beggar Maid, 1978), Roma, Edizioni e/o, 1995, ; Torino, Einaudi, 2012,
Le lune di Giove (The Moons of Jupiter, 1982), Torino, Einaudi, 2008,
Il percorso dell’amore (The Progress of Love, 1986), Milano, Serra e Riva, 1989,; Torino, Einaudi, 2005,
Stringimi forte, non lasciarmi andare (Friend of My Youth, 1990), Milano, La Tartaruga, 1998, -3; Amica della mia giovinezza, trad. Susanna Basso, Torino, Einaudi, 2015,
Selected Stories (1996, anche coi titoli: Selected Stories 1968–1994; A Wilderness Station: Selected Stories, 1968–1994)
No Love Lost (2003)
Vintage Munro (2004)
Lasciarsi andare. Diciassette racconti scelti dall’autrice (Carried Away: A Selection of Stories, 2006), Introduzione di Margaret Atwood, trad. Susanna Basso, Collana SuperET, Torino, Einaudi, 2014, . [pubblicati tra il 1977 e il 2004]
My Best Stories (2009)
New Selected Stories (2011; poi Lying Under the Apple Tree. New Selected Stories, Vintage, London, 2014) [15 racconti]
Racconti, a cura e con un saggio introduttivo di Marisa Caramella, Collana I Meridiani, Milano, Mondadori, 2013,
Mobili di famiglia, 1995-2014 (Family Furnishings: Selected Stories 1995–2014, 2014), trad. Susanna Basso, Collana Super ET, Torino, Einaudi, 2016, [24 racconti].
Uno scrittore, reduce da un periodo di crisi, s’incammina per la città dopo un pomeriggio di lavoro. Attraversa strade e piazze, giunge alla periferia e rientra a casa quando l’oscurità è già calata.
Che accada poco, in queste pagine, è pura apparenza: si tratta del resoconto di un viaggio attraverso il mondo intero.
Lo scrittore racconta del suo scrivere e del prezzo che per questo deve pagare, della sua vita e del poco tempo che gli rimane dopo i momenti di più intenso lavoro: una leggera pigrizia, il piacere di girovagare, la distaccata percezione delle cose quotidiane e dei particolari più insignificanti.
E tutto rientra nello scrivere: assieme a un dubbio costante, nei confronti di se stesso e degli altri. Sotto il sole pomeridiano, alla luce del crepuscolo e poi dell’oscurità notturna, Peter Handke percorre una lunga strada attraverso la città e attraverso se stesso, offrendo al lettore una profonda riflessione su una letteratura che si alimenta nel concreto rapporto con la realtà
È il respiro consapevole l’inizio di ogni cambiamento. Il respiro è cura e guarigione dalle ferite nel corpo e nell’anima. È rivoluzione profonda e inesorabile nel cuore e nel mondo. Meditare è restare in contatto con questa verità che Thich Nhat Hanh, nel corso della sua esistenza, non ha mai smesso di trasmettere con amorevole compassione a discepoli e discepole di ogni dove.
Lo sbocciare di un loto, edizione rivista e ampliata de Lo splendore del loto (Ubaldini), è il lascito di quegli anni di insegnamento: è la raccolta più completa degli esercizi per la pratica della meditazione di consapevolezza, introdotti e spiegati dalla voce calma e sincera del Maestro dell’interessere, ma è anche, e soprattutto, una guida capace di avvicinare chiunque, dai praticanti alle prime armi a quelli più esperti, al proprio intimo sé per abbracciare l’umanità intera e il Pianeta in ogni sua forma di vita.
Anche noi, esseri umani, siamo fiori nel giardino dei fenomeni, ma a volte dimentichiamo la nostra bellezza, che è un riflesso di quella dell’universo. È in questa dimenticanza, in questo doloroso allontanarci dalla nostra vera natura, che nascono difficoltà e complicazioni, e si genera sofferenza per sé e per gli altri. “No mud, no lotus.” Senza fango, non c’è il fiore di loto. Senza sofferenza, non c’è possibilità di sbocciare a nuova consapevolezza. La meditazione ha il potere di riportarci a casa, di accorciare la distanza tra noi e gli altri, tra noi e tutto ciò che ci circonda. Rivolgendo l’attenzione al corpo nel semplice e primordiale atto di inspirare ed espirare, potremo ritornare al momento presente e fare esperienza diretta dell’interdipendenza e dell’impermanenza del reale.
Riconoscendo e accogliendo ciò che sorge in noi riprenderemo contatto con i nostri sensi e il sentire stesso, si dissolveranno le emozioni difficili, la paura, la rabbia, le incomprensioni, e il nostro essere nel mondo acquisirà un senso nuovo.
È nella cura del proprio giardino interiore, nella scelta quotidiana di quali semi innaffiare e quali no, che può nascere la pace, dentro e fuori di noi.
È stato insegnante, studioso, attivista per la pace. Nato in Vietnam nel 1926 e ordinato monaco a 16 anni, ha dedicato la sua vita al lavoro umanitario, alla risoluzione dei conflitti e alla diffusione del buddhismo. Nel 1982 ha fondato Plum Village in Francia, un centro per la pratica della consapevolezza
«In fondo, la vera materia della Storia, quel che la costituisce, è pur sempre la geografia». È su questo assunto che Paolo Pagani dà inizio al suo viaggio, in parte biografia e in parte reportage, in parte narrazione romanzesca e in parte memoir, sulle tracce di Walter Benjamin, filosofo inafferrabile, randagio per vocazione prima ancora che per necessità, intellettuale raffinatissimo e poliedrico, capace di interessarsi a «una costellazione di temi solo in apparenza inconciliabili: il messianismo teologico, i giocattoli, i romanzi gialli, l’arte, il dramma barocco tedesco, la radio, la fotografia, i nuovi media, le esperienze allucinogene con gli stupefacenti, le città e i loro misteri nascosti benché eloquenti». Eppure incamminarsi con lui attraverso le sue esperienze, i suoi nomadismi, il suo pensiero spesso impervio e anticipatore significa non soltanto seguire il dipanarsi di un’esistenza, ma anche compiere un itinerario incandescente dentro a una stagione di ferro e fuoco, dagli inizi del Secolo Breve sino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Significa incontrare Benjamin, dunque, ma anche le idee della sua epoca, i formidabili ingegni del suo tempo: da Ernst Bloch a Theodor Adorno, da Max Horkheimer a Bertolt Brecht, da Hannah Arendt a Joseph Roth e moltissimi altri. E quel cammino che Pagani ha ripercorso quasi passo passo per infiniti anfratti d’Europa non poteva che cominciare dalla fine, dalla stanza numero 4 dell’hotel di Port-Bou, al confine tra Francia e Spagna, dove intorno alle dieci di sera del 26 settembre 1940, sopraffatto dalla tragedia della Storia e dalle assurdità degli uomini, il dottor Walter Benjamin ingoia una dose letale di pillole di morfina e muore. A un soffio dalla salvezza e per sempre ignaro dell’ultima, feroce beffa della sorte.
Figlio indisciplinato e renitente di un grand seigneur, uomo sfortunatissimo e totalmente sprovvisto di senso pratico, marxista eterodosso e libertario, filosofo atipico e sincopato, indagatore della modernità capitalista, critico letterario sopraffino, traduttore di Baudelaire e Proust, teorico rivoluzionario molto sui generis, scrittore asistematico ma saggista eccelso, Walter Benjamin, classe 1892, una delle figure intellettuali più originali, inclassificabili e poliedriche del Novecento, vittima predestinata della barbarie.
Hanno detto di Nietzsche on the road:
«La scrittura di Pagani procede con un metodo che non è filosofico, ma narrativo: con tutti i colpi di scena necessari alla drammaturgia del personaggio, col risultato di trovarci davanti a un “reportage sentimentale”, a un “dramma filosofico in movimento”». Massimo Onofri, Avvenire
«Ciò che Pagani riesce a comunicarci, a partire dalla geografia, è la profondità di un’inquietudine che ha il colore bluastro e la cupezza di certe tele di Munch». Paolo Di Paolo, Robinson
Redenta è nata a Castrocaro il giorno del delitto Matteotti. In paese si mormora che abbia la scarogna e che non arriverà nemmeno alla festa di San Rocco. Invece per la festa lei è ancora viva, mentre Matteotti viene ritrovato morto. È cosí che comincia davvero il fascismo, e anche la vicenda di Redenta, della sua famiglia, della sua gente. Un mondo di radicale violenza – il Ventennio, la guerra, la prevaricazione maschile – eppure di inesauribile fiducia nell’umano. Sebbene Bruno, l’adorato amico d’infanzia che le aveva promesso di sposarla, incurante della sua «gamba matta» dovuta alla polio, scompaia senza motivo, lei non smette di aspettarlo. E quando il gerarca Vetro la sceglie come sposa, il sadismo che le infligge non riesce a spegnere in lei l’istinto di salvezza: degli altri, prima che di sé. La vita di Redenta incrocia quella di Iris, partigiana nella banda del leggendario comandante Diaz. Quale segreto nasconde Iris?
– Ha qualcosa che non va, la purina, – dicevano. – È la scarogna, – ripeteva tranquilla mia madre, premendomi sulla bocca il seno. – Però ha una bella faccina, – aggiungevano, e quel «però» era il segno della loro compassione. «Però è buona», «Però è tranquilla». Però non è come gli altri. – Com’è che non piange? – chiedeva la sera mio padre. – Piangerà. Le donne prima o poi piangono tutte.
Hanno detto de Il valore affettivo:
«L’autrice procede con voce sicura nel dipanare il filo dei ricordi, con autenticità, senso del ritmo e padronanza di tempi». Viola Ardone
«Nicoletta Verna ha scritto un romanzo familiare di rara intensità che affonda nell’enigma di un sentimento di colpa senza redenzione». Corrado Augias
«Una penna che controlla perfettamente trama e personaggi». Valeria Parrella
Centro Casa Severino – Via Antonio Callegari 15, Brescia
Presentazione libro: “Di fantasmi, incantesimi e destino. Emanuele Severino, ultimo calligrafo della verità”, di Massimo Donà, 8 maggio 2024, Ore 16:00
Discutono:
– Massimo Donà: autore del libro e Ordinario di Filosofia Teoretica dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano
– Alberto De Vita: Dottorando dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano
– Michele Ricciotti: Dottorando dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano
L’evento sarà realizzato in modalità mista presenza-remoto, registrato e trasmesso in diretta streaming sul canale YouTube di “Associazione Studi Emanuele Severino” (https://www.youtube.com/@associazionestudiemanueles3078 ).
INGRESSO LIBERO FINO A ESAURIMENTO POSTI.
E’ RICHIESTA CONFERMA DI PARTECIPAZIONE A: centrocasaseverino@gmail.com
In Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, il protagonista-narratore si chiedeva: «qual è la differenza fra chi viaggia in motocicletta sapendo come la moto funziona e chi non lo sa?». E varrà la pena ricordare la sua risposta: «Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore».
A quel pensiero sarebbero seguite altre domande e altre risposte, che avrebbero trasformato quella grande avventura on the road in un libro-simbolo, un «itinerario della mente» in cui si sarebbe riconosciuto, e ancora oggi si riconosce, un numero altissimo di lettori.
Questa antologia, che per la prima volta raduna lettere, conferenze, saggi, aforismi, appunti personali, coprendo un arco temporale di quasi cinquant’anni, illustra con chiarezza e incisività il tema centrale dell’opera di Pirsig e l’evoluzione del suo pensiero, dai sommessi esordi sino alla formulazione di una vera e propria Metafisica della Qualità.
Ma che cos’è la Qualità? Ognuno di noi sa che esiste, e istintivamente sappiamo riconoscerla, eppure non riusciamo a definirla. Questo perché, secondo Pirsig, la Qualità non è una «cosa» ma un «evento».
Per avvicinarsi a comprendere di quale evento si tratti, non resta che leggere questo piccolo libro – taccuino privato di una vita trascorsa in un’incessante riflessione filosofica. Una lettura obbligata per chi ama Pirsig e la perfetta introduzione per chi ancora non lo conosce.
“Sulla qualità. Scritti scelti e inediti” è un’antologia postuma di Robert M. Pirsig, curata dalla moglie Wendy K. Pirsig e pubblicata da Adelphi nel gennaio 2024 nella collana Piccola Biblioteca Adelphi (n. 798).ibs+2
Contenuti
L’opera raccoglie per la prima volta lettere, conferenze, saggi, aforismi e appunti personali dell’autore, coprendo quasi cinquant’anni di produzione e mostrando l’evoluzione del suo pensiero dalla fase iniziale fino alla Metafisica della Qualità. Il volume, tradotto da Svevo D’Onofrio, conta 164 pagine con 21 immagini in bianco e nero, e affronta il concetto centrale della “Qualità” come evento indefinibile ma intuitivamente riconoscibile, non come semplice oggetto.libreriauniversitaria+4
Contesto
Questa raccolta funge da introduzione ideale per i neofiti di Pirsig e come approfondimento per i lettori di “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”, collegando il celebre viaggio on the road alla riflessione filosofica sulla Qualità. È disponibile in formato cartaceo (ISBN 9788845938566) ed eBook (ISBN 9788845987243).lafeltrinelli+3
“Something is not”: being, time and nothingness between Severino’s thought and free logics, Claudio Antonio Testi.
The primal judgement and the unity-multiplicity of the categories, Mattia Cardenas.
The problem of negation in the primalstructure, Marco Vasile.
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AA. VV., Il sentiero del giorno, «La Filosofia Futura», XIV (2020):
Conversazioni con Emanuele Severino. sull’irriducibilità di destino e cristianesimo,Francesco Alfieri.
Prefazione diEmanuele Severino
Sul ricordo,Nicoletta Cusano.
Il pensiero di Emanuele Severino nella prospettiva anagogica,Giuseppe Barzaghi.
Sul fondamento da un punto di vista esistenziale e antropologico,Massimiliano Cabella.
La struttura originaria, la verità che salva, la metafisica originaria,Leonardo Messinese.
Eternità, immobilità e intelligenza,Enrico Berti.
La pagina della strega, o l’epoca dell’immagine del mondo e l’apparire della terra isolata. Per Emanuele Severino,Alessandro Carrera.
Eternità e tempo dell’eterno. A partire da Emanuele Severino,Giulio Goggi.
Come cambiano gli immutabili,Federico Perelda.
Attualismo e neoparmenidismo,Mauro Visentin.
Destino e filosofia. Al bivio di una scienza nuova,Francesco Altea.
Severino e la «scacchiera» greca,Carlo Scilironi.
I Sentieri del Giorno,Lugi Vero Tarca.
Emanuele Severino, un grande Maestro,Vincenzo Vitiello.
Il tema del formativo nel pensiero di Emanuele Severino,Hervé Cavallera.
Oltre la speranza e la volontà di morire: Severino,Ines Testoni.
Heidegger, Severino e il mantra dell’ascosità,Massimo Donà.
Tesi sul niente,Eugenio Mazzarella.
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AA. VV., Il sentiero del giorno II, in «La Filosofia Futura», XIV (2020):
La Coscienza del Giorno,Giorgio Brianese.
La metafisica dell’antimetafisica e il suo rovesciamento critico. Severino eleata parmenideo versus Carnap formalista empirista,FabioMinazzi.
Logica dell’anticipazione. Severino, Gentile e l’ontologia,Davide Spanio.
Severino e l’essere che ha da essere,Francesco Totaro.
Qualche appunto su Severino nella mia storia,Angelo Scola.
Severino e la teologia. Nota su una “possibile consonanza” in ordine all’istituzione di una nuova ontologia,Piero Coda.
Processo a Emanuele Severino,Paolo Barbieri.
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V. Vitiello, Emanuele Severino, un grande maestro, in “Il pensiero”, LIX, 1 (2020).
M. Visentin, Rileggendo Emanuele Severino. Neoscolastica, neoidealismo e neoparmenidismo, in “Giornale critico della filosofia italiana”, 3 (2020).
R. Berutti, Considerazioni intorno alla natura equivoca del “nulla” nel pensiero di Emanuele Severino, in “Giornale critico della filosofia italiana”, 3 (2020).
P. Rossi, Alla fine di un’epoca, in “Rivista di filosofia”, 2 (2020).
V. Venier, Il silenzio del divenire. Severino, Husserl e la coscienza del tempo, in “Dialeghestai. Rivista di Filosofia”, 22 (2020).
Le monografie su Emanuele Severino (2021)
L. Messinese, Nel castello di Emanuele Severino, Inschibboleth, Roma 2021 (pp. 208).
F. Farotti, Presagi del destino. Emanuele Severino e il cristianesimo, Padova University Press, Padova 2021
AA. VV., Ai confini della contraddizione: Tommaso d’Aquino, Florenskij e Severino, con saggi di: G. Barzaghi, N. E. Cerrigone, N. Cusano, F. Perelda, S. Tagliagambe, C. A. Testi, Insedicesimo, Modena 2021 (pp. 238).
Gli articoli e altri contributi su Emanuele Severino (2021)
AA. VV., Eternity & Contradiction, III, 4 (2021):
Primal structure – Chapter IV Guide to Reading, Giulio Goggi.
Nothing Really Matters to Me A critique of Emanuele Severino’s Resolution of the Aporia of Nothingness, Filippo Costantini.
Aristoteles’s Aporia and the Thought that looks at Notihing, Giulio Goggi.
Representing Nothingness,Federico Perelda.
Severino on Nothingness,Graham Priest.
Nothingness and ineffability,Marco Simionato.
Nothing in particular,Giuseppe Spolaore.
The Nothingness of (the) Nothing,Alberto Voltolini.
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AA.VV., Eternity & Contradiction, III, 5 (2021):
The Error of Wanting to Overturn the Hourglass: How the Heidegger- Severino Relationship Arose,Ines Testoni.
On What Appears Heidegger and Severino in Concordia Discors,Manuel Pedro Bortoluzzi.
Identity and difference: Severino and Heidegger,Gaetano Chiurazzi.
Metaphisics of Dasein as foundation of mataphisics. Heidegger in Severino’s thought,Leonardo Messinese.
The Indifference of Being. Parmenide, Heidegger and Severino,Davide Spanio.
Aristotele, Leopardi, Severino: the Endless Game of Nothingness,Luigi Capitano.
The Primal Structure of Agàpe,Alberto Cividati.
Mystic forebodings of destiny,Fabio Farotti.
The Silence of Becoming Severino, Husserl and Time-Consciousness,Veniero Venier.
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AA. VV., Sul fondamento della conoscenza, «La Filosofia Futura», XVII (2021):
Presentazione,Massimo Donà.
“Giudicare delle cose avanti alle cose”. Schlick e Leopardi,Marco Calzavara.
Fondamento della conoscenza, conoscenza del fondamento,Gaetano Chiurazzi.
Contro la metafisica. Severino interprete del Neopositivismo logico,Massimo Donà.
Per un fondamento della conoscenza, Severino e Schlick,Myriam Garaguso.
Senso, attualità della verità, esperienza: il dialogo di Severino con Schlick e il neopositivismo,Michele Lenoci.
Filosofia della civiltà della scienza,Luigi Lentini.
A partire da Das Realitätsproblem in der modernen Philosophie. L’Ur-Heidegger e il problema della conoscenza,Samuele Manfrinati.
Il rovesciamento critico del rovesciamento antimetafisico del neopositivismo. Emanuele Severino metafisico versus Moritz Schlick empirista,Fabio Minazzi.
Dal fondamento al Fondamento: Severino critico di Heidegger,Pietro Prunotto.
Severino e il problema dell’immediatezza tra Rosmini, Gentile e il neopositivismo,Michele Ricciotti.
Emanuele Severino e la predicazione come tautologia. A partire dalla lettura schlickiana delle proposizioni analitiche,Marco Rienzi.
Il fondamento della conoscenza tra scienza e metafisica. Sul dialogo a distanza tra Moritz Schlick ed Emanuele Severino,Luigi Vero Tarca.
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A. Di Prospero, Una fenomenologia della perfezione. Ontologia ed emozione a partire da Wittgenstein e Severino, in “Il pensiero”, LX, 2 (2021).
In Neri ha sempre agito l’esigenza morale di tenersi estraneo a ogni forma di ricerca artificiosa, mosso dalla forte convinzione che la semplicità non fosse un punto di partenza ma un punto di arrivo.
E la natura della sua perfetta mano d’artista gli ha sempre consentito di arrivare, dunque, all’esito di quella che dovremmo chiamare una semplicità profonda, così difficile da raggiungere ma che ogni pagina di questo libro esprime.
Nel 1494, solo due anni dopo la ‘scoperta dell’America’, a Tordesillas, una piccola località della Castiglia, veniva firmato un trattato tra Spagna e Portogallo che divideva il mondo in due e inventava l’Occidente come spazio, comunità e cultura. Mai nessuno si sarebbe potuto aspettare che una semplice firma avesse conseguenze così gigantesche e durature.
Questa è la storia di come, tra medioevo ed età moderna, le società europee (all’inizio spagnoli e portoghesi in testa) spinsero le proprie ambizioni sempre più verso l’oceano e così facendo trasformarono l’idea che esse avevano dell’Ovest: quella che era una direzione divenne poco alla volta uno spazio pensabile.
È perciò una storia di grandi navigatori e di dibattiti violenti tra geografi, una storia di sfide e di esplorazioni che solcarono l’ignoto. Ma è anche la storia dei dibattiti culturali che ne seguirono e che inventarono e definirono quell’Occidente che prima mancava dalle mappe. E il punto di arrivo di questa storia siamo noi.
In un momento in cui tutto questo appare ormai largamente messo in discussione, forse vale la pena riprendere il discorso da capo e chiedersi come si sia giunti alla nostra idea di Occidente. Come una direzione geografica ha fatto nascere e maturare un’idea di appartenenza.
Quel che non possiamo fare è darlo per scontato. Pensare che noi si sia davvero da sempre così, che la nostra storia, la nostra cultura e la nostra civilizzazione corrispondano da sempre a quello spazio indistinto con i piedi in Europa e la testa nell’Atlantico: quell’Occidente che in questo secolo faticoso appare sempre più difficile da stringere nelle nostre idee e nelle nostre mappe.
Nell’autunno del 1981, la vita di un gruppo di diciassettenni californiani che frequentano l’elitaria Buckley School viene sconvolta dall’arrivo di un ragazzo tanto affascinante quanto disturbato e perverso.
Cosa nasconde Robert Mallory, e qual è il suo legame con il serial killer che sta imperversando in città? In una Los Angeles sensuale e violenta, fatta di feste in piscina e musica new wave, vodka e cocaina,
Bret Easton Ellis racconta la sua storia piú personale, emozionante e oscura.
I romanzi di Don Winslow sono acclamati per la loro scrittura potente, la trama avvincente e i personaggi complessi. Ecco alcuni punti salienti:
Stile:
Winslow è noto per la sua prosa incisiva e realistica, che cattura l’essenza del mondo criminale e le sue sfumature.
Le sue descrizioni sono vivide e spesso brutali, non risparmiando i dettagli crudi della violenza e della corruzione.
La sua scrittura è ricca di dialoghi serrati e ritmo incalzante, che rende i suoi romanzi irresistibili e difficili da mettere giù.
Temi:
I romanzi di Winslow esplorano temi come la guerra alla droga, il cartello messicano, la corruzione politica, la violenza e la vendetta.
Offre una visione realistica e spesso critica di queste tematiche, senza scadere nel sensazionalismo o nella banalizzazione.
I suoi personaggi sono spesso moralmente ambigui, costretti a prendere decisioni difficili in un mondo dominato dalla violenza e dal crimine.
Trilogie:
Winslow è famoso per le sue trilogie, come “Il potere del cane”, “Il cartello” e “Città in fiamme”.
Ciascuna trilogia offre un affresco epico e dettagliato di un determinato tema o contesto, come la guerra alla droga o la storia del Messico.
I personaggi e le loro storie si intrecciano tra i diversi libri, creando una narrazione ricca e avvincente.
Alcuni titoli da non perdere:
“Il potere del cane”: Un thriller psicologico che esplora la mente di un agente della DEA ossessionato dalla cattura di un boss del cartello.
“Il cartello”: Una trilogia epica che racconta la guerra tra il cartello di Sinaloa e il governo messicano.
“Città in fiamme”: Un romanzo ambientato a Providence, Rhode Island, che esplora la corruzione e la violenza dilagante in una città americana.
“L’inverno di Frankie Machine”: Un noir ambientato a New York City che segue la storia di un ex poliziotto corrotto in cerca di redenzione.
In sintesi:
I romanzi di Don Winslow sono una lettura imperdibile per gli amanti del thriller, del noir e della narrativa contemporanea. Offrono una visione realistica e spesso cruda del mondo criminale, con personaggi complessi e storie avvincenti.
Inoltre:
Winslow è stato elogiato da critici e scrittori come Stephen King, James Ellroy e George Pelecanos.
I suoi romanzi hanno vinto numerosi premi, tra cui il Premio Edgar Allan Poe e il Premio Hammett.
Diversi suoi libri sono stati adattati per il cinema e la televisione.
Se ti piacciono i romanzi di Don Winslow, potresti anche apprezzare:
Non esiste un vascello veloce come un libro per portarci in terre lontane né corsieri come una pagina di poesie che si impenna – questa traversata può farla anche il povero senza oppressione di pedaggio – tanto è frugale il carro dell’anima.
Ottobre 1963: una studentessa ventitreenne è costretta a percorrere vie clandestine per poter interrompere una gravidanza. In Francia l’aborto è ancora illegale – la parola stessa è considerata impronunciabile, non ha un suo «posto nel linguaggio». L’evento restituisce i giorni e le tappe di un’«esperienza umana totale»: le spaesate ricerche di soluzioni e la disperata apatia, le ambiguità dei medici e la sistematica fascinazione dei maschi, la vicinanza di qualche compagna di corso e l’incontro con la mammana, sino al senso di fierezza per aver saputo attraversare un’abbacinante compresenza di vita e morte. Calandosi «in ogni immagine, fino ad avere la sensazione fisica di “raggiungerla”», Ernaux interroga la memoria come strumento di conoscenza del reale. Dalla cronistoria di un avvenimento individualmente e politicamente trasformativo sorge una voce esattissima, irrefutabile, che apre uno spazio letterario di testimonianza per generazioni di donne escluse dalla Storia.
Il padre della lingua italiana, l’autore di un capolavoro che è anche un trattato di psicologia umana — i drammi dei dannati, le pene del purgatorio, le glorie celesti — che diventa un veicolo allegorico della salvezza umana: Dante e la Divina Commedia sono al centro del nuovo c. Ogni martedì alle 21.10 su Rai Storia
La sera è il mio libro. Risplende nella rilegatura di damasco rosso. Sfiorando l’oro delle cuciture la apro con le mani, adagio. E leggo la sua prima pagina: felice di trovare un tono calmo leggo più sottovoce la seconda, e la terza già la sogno.
La sera è il mio libroLa sera è il mio libro. Risplendenella rilegatura di damasco rosso.Sfiorando l’oro delle cuciturela apro con le mani, adagio.E leggo la sua prima pagina:felice di trovare un tono calmoleggo più sottovoce la seconda,e la terza già la sogno.
“Ho scoperto i Peanuts sul primo numero di Linus, nel 1965, e da allora ho seguito le vicende dei personaggi, che posso dire di conoscere abbastanza bene. Meno bene conoscevo il loro creatore e i suoi rapporti con loro. Funny Things colma la lacuna con molte informazioni, con affetto e grande sensibilità.” — ALTAN
“In queste pagine prende vita l’uomo (pieno di dubbi, orgoglioso, dedito al lavoro e a volte cupo) che ha creato una delle opere artistiche più significative del ventesimo secolo. Utilizzando lo stesso linguaggio visivo delle strisce dei Peanuts, Debus e Matteuzzi attingono al nostro inconscio collettivo […] è un’idea geniale, e ci volevano i cosiddetti per metterla in pratica. Tanto di cappello.” — JEFF SMITH, THE NEW YORK TIMES
Alla scoperta del creatore di Charlie Brown, Snoopy e della banda dei Peanuts
Un geniale e affettuoso tributo alla vita e all’arte di Charles Schulz
Charles M. Schulz è probabilmente il fumettista più popolare e influente di sempre, e nel corso dei cinquant’anni di pubblicazione dei Peanuts ha inserito molte delle sue emozioni e delle sue esperienze all’interno della sua striscia. Luca Debus e Francesco Matteuzzi omaggiano il maestro raccontandone la storia attraverso il linguaggio che l’ha reso immortale: la striscia comica.
Pagina dopo pagina, ogni striscia offre un sorriso e un frammento dell’esistenza di questo straordinario artista. Iniziando dagli ultimi momenti della sua monumentale carriera, Funny Things salta avanti e indietro nel tempo per raccontare sia i successi creativi di Schulz sia gli episodi della vita privata che lo hanno formato come essere umano e come artista. I lettori scopriranno in che modo la vita reale ha ispirato l’iconica mitologia dei Peanuts (come l’amore di Schulz per il baseball, la musica classica, una ragazza dai capelli rossi e un cane bianco e nero che potrebbe essere più intelligente di qualsiasi persona), approfondendo i temi della sua grande fede religiosa, dei suoi momenti di solitudine, del suo immenso impulso creativo e della sua complessa vita familiare.
Affascinante e ricolmo di affetto e di momenti toccanti, Funny Things guarda Schulz attraverso le lenti della sua stessa arte, invitandoci a conoscere il creatore di alcuni dei personaggi più amati di sempre.
Ha ventisette anni, Abel, quando diventa leggenda. Ha messo fine a una rapina sparando simultaneamente con due pistole contro obiettivi diversi.
Un colpo detto il Mistico, che pochi sono in grado di mettere a segno con la sua precisione. È lo sceriffo della cittadina di un Ovest immaginario ed è innamorato di Hallelujah Wood, una donna che ha addosso una specie di mistero, mani piccole e labbra orientali.
Anche lei lo ama: ogni tanto parte senza che lui sappia dove va – “passiamo senza fermarci, è inteso così” –, ma torna sempre. La madre di Abel, invece, anni prima se n’è andata per non tornare mai più.
Ha preso i quattro cavalli migliori e ha lasciato lui, i fratelli e la sorella al loro destino. Una bruja una volta gli ha detto: “Sarà molto doloroso, ma un giorno, Abel, te lo prometto, nascerai”.
Alessandro Baricco dà vita a un romanzo che è una storia spirituale, sapienziale, e al tempo stesso un western dove la scrittura è geometrica e il racconto visionario
Alessandro Baricco è uno scrittore, sceneggiatore, critico musicale e conduttore radiofonico e televisivo italiano. Si laurea in Filosofia a Torino con una tesi in Estetica e studia contemporaneamente al Conservatorio dove si diploma in pianoforte. L’amore per la musica e per la letteratura ispireranno sin dagli inizi la sua attività di saggista e narratore.
Come saggista esordisce con Il genio in fuga. Due saggi sul teatro musicale di Gioacchino Rossini (Il Melangolo, 1988; Einaudi, 1997). Castelli di rabbia (Rizzoli, 1991; Universale Economica Feltrinelli, 2007), suo primo romanzo, Premio Selezione Campiello e Prix Médicis Etranger, è un’autentica rivelazione nel panorama della letteratura italiana e ottiene il consenso della critica e del pubblico….
Claudio Strinati ci accompagna in un’esplorazione affascinante dei luoghi e dei tempi fondamentali della storia dell’arte, a partire dalle meraviglie del mondo antico fino alle soglie dell’Illuminismo. Un viaggio popolato di immagini sempre nuove che segue anche l’evoluzione dell’uomo, da primitivo già capace di meraviglia e di spiritualità a filosofo in cerca di un ordine universale a padrone del proprio mondo con lo sbocciare dell’Umanesimo e del Rinascimento. Lo scopo di questo libro è provare a restituire la complessità di elementi e di spunti che intessono l’esperienza artistica in ogni luogo e in ogni tempo, in un gioco di riflessioni e di rimandi che mostreranno come la nostra evoluzione sia indissolubilmente legata a un costante anelito verso la bellezza. L’arte infatti è una forma di comunicazione peculiare che dona all’umanità un beneficio incomparabile, e questo beneficio non consiste solo nel creare la bellezza, come spesso si pensa. Queste pagine non contengono un semplice resoconto storico ma ci insegnano a rispecchiarci nel percorso appassionante della riflessione sul bene e sul bello, riconoscendo negli artisti e nelle loro opere le stesse istanze che animano la vita di ciascuno di noi.
Cosa resta del padre nell’epoca della sua evaporazione?
Cosa vuol dire essere figli, onorare l’eredità senza lasciarsi schiacciare dal suo peso?
È possibile fare spazio al nostro desiderio singolare in un’epoca votata al culto narcisistico dell’Io?
Come vivere il nostro corpo senza ridurlo a una macchina asservita al principio di prestazione?
Sono alcune delle domande che attraversano questo libro, in cui vengono raccolte letture diverse che Massimo Recalcati ha dato, dal 2007 a oggi, delle opere di scrittori, poeti, registi, teologi e altri psicoanalisti.
Perché «allargare l’orizzonte dei propri riferimenti alla filosofia, alla storia, alla politica, all’arte, alla letteratura e al cinema rinvia alla dimensione necessariamente estesa della formazione dello psicoanalista».
Leggere i libri degli altri (da Cormac McCarthy a Philip Roth, da Freud a Lacan, da Sartre a Deleuze) significa farsi toccare dall’imprevisto dell’incontro. Queste meditazioni ricompongono l’autobiografia intellettuale di uno psicoanalista che non smette di interrogare il mistero della parola, il miracolo dell’amore come evento inaudito, la forza generativa del desiderio.
MASSIMO RECALCATI
Filosofo e saggista, è lo psicoanalista che più ha contribuito alla trasmissione del pensiero di Jacques Lacan in Italia. È membro della Società Milanese di Psicoanalisi, direttore dell’Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata di Milano e fondatore di Jonas (Centro di Clinica Psicoanalitica per i nuovi sintomi). Ha insegnato nelle Università di Urbino, Bergamo, Losanna e Pavia, e attualmente presso l’Università di Verona e allo Iulm di Milano. Ha condotto vari programmi televisivi, tra cui: L’inconscio dell’Opera (Sky Arte, 2016); Lessico famigliare, Lessico amoroso e Lessico civile (Rai 3, 2018-2020). Nel 2017 gli è stato conferito il Premio Hemingway “Testimone del nostro tempo”. Nel 2018 ha ricevuto l’Ambrogino d’oro della città di Milano. Collabora con «la Repubblica» e con «La Stampa». Fra le sue ultime pubblicazioni: Ritorno a Jean-Paul Sartre. Esistenza, infanzia e desiderio (Einaudi, 2021), Esiste il rapporto sessuale? Desiderio, amore e godimento (Raffaello Cortina Editore, 2021), La legge della parola. Radici bibliche della psicoanalisi (Einaudi, 2022) e La luce delle stelle morte. Saggio su lutto e nostalgia (Feltrinelli, 2022).
Edward Hopper è un artista unico che fonde tradizioni e tendenze contraddittorie.
Utilizza modelli della scuola classica (Vermeer, Watteau, Rembrandt, ecc.) che, in un mix di ironia, cinismo e malinconia, trasporta nella realtà americana.
L’Occidente ha due radici: il mondo greco e la tradizione giudaico-cristiana. Per quanto dischiudano orizzonti completamente diversi, entrambi descrivono un mondo dotato di ordine e stabilità. Ma noi viviamo nell’età della tecnica. È finito l’incanto del mondo tipico degli antichi. È finito anche il disincanto dei moderni, che ancora agivano secondo un orizzonte di senso e un fine. La tecnica non tende a uno scopo, non apre scenari di salvezza, non svela la verità: la tecnica funziona. L’etica, come forma dell’agire in vista di fini, celebra la sua impotenza. Il mondo è ora regolato dal fare come pura produzione di risultati. L’unica etica possibile, scrive Umberto Galimberti, è quella del viandante. A differenza del viaggiatore, il viandante non ha meta. Il suo percorso nomade, tutt’altro che un’anarchica erranza, si fa carico dell’assenza di uno scopo. Il viandante spinge avanti i suoi passi, ma non più con l’intenzione di trovare qualcosa, la casa, la patria, l’amore, la verità, la salvezza. Cammina per non perdere le figure del paesaggio. E così scopre il vuoto della legge e il sonno della politica, ancora incuranti dell’unica condizione comune all’umanità: come l’Ulisse dantesco, tutti gli uomini sono uomini di frontiera. Oggi l’uomo sa di non essere al centro. L’etica del viandante si oppone all’etica antropologica del dominio della Terra. Denuncia il nostro modello di civiltà e mette in evidenza che la sua diffusione in tutto il pianeta equivale alla fine della biosfera. L’umanesimo del dominio è un umanesimo senza futuro. Il viandante percorre invece la terra senza possederla, perché sa che la vita appartiene alla natura. Così ci guida Galimberti: “L’etica del viandante avvia a questi pensieri. Sono pensieri ancora tutti da pensare, ma il paesaggio da essi dispiegato è già la nostra instabile, provvisoria e incompiuta dimora”.
Nell’età della tecnica non comprendiamo più il mondo a partire da un senso ultimo. La storia non è più inscritta in un fine. L’unica etica possibile è quella che si fa carico della pura processualità: senza meta, come il percorso del viandante.
Ho interrogato l’ Intelligenza Artificiale e questa è la risposta.
In L’etica del viandante, Umberto Galimberti propone una nuova visione dell’etica per l’uomo contemporaneo.
Il filosofo sostiene che l’etica tradizionale, basata su valori e credenze universali, non è più in grado di rispondere alle esigenze dell’uomo nell’età della tecnica.
Nella prima parte del libro, Galimberti analizza le caratteristiche dell’età della tecnica. Egli sostiene che la tecnica ha posto fine sia all’incanto del mondo tipico dell’antichità, sia al suo disincanto tipico della modernità.
L’incanto del mondo era basato sulla credenza in un ordine trascendente, mentre il disincanto della modernità era basato sulla credenza nella sola realtà immanente. L’età della tecnica, invece, è caratterizzata da un’assenza di senso.
La tecnica non è finalizzata a un fine ultimo, ma è solo un mezzo per raggiungere scopi contingenti. In questa assenza di senso, l’uomo contemporaneo è alla ricerca di un’etica che gli permetta di orientarsi.
Galimberti sostiene che l’etica tradizionale non è più in grado di rispondere a questa esigenza. L’etica tradizionale, infatti, è basata su valori e credenze universali che, nell’età della tecnica, sono stati messi in discussione.
Nella seconda parte del libro, Galimberti propone una nuova visione dell’etica. Egli sostiene che l’etica del viandante è l’unica etica possibile nell’età della tecnica. Il viandante è colui che non ha una meta, ma che cammina per il gusto di camminare.
La sua è un’etica della processualità, che si fa carico dell’assenza di uno scopo. L’etica del viandante si basa su tre principi fondamentali:
Responsabilità: il viandante è responsabile delle sue azioni, anche se non ha una meta. Le sue azioni devono essere rispettose della natura e degli altri esseri umani.
Presenza: il viandante è presente al mondo, non lo trascura. Si ferma a guardare il paesaggio, a parlare con le persone, a gustare il cibo.
Libertà: il viandante è libero di scegliere il suo percorso. Non è legato a regole o convenzioni.
L’etica del viandante è un’etica aperta, che lascia spazio alla creatività e alla sperimentazione. È un’etica che invita l’uomo a ritrovare il suo posto nel mondo, in un’epoca in cui l’uomo si sente sempre più smarrito.
Alcune considerazioni sul libro Il libro di Galimberti
è un’opera importante, che offre una riflessione originale sull’etica nell’età della tecnica. L’etica del viandante è una proposta stimolante, che invita l’uomo a ripensare il suo rapporto con il mondo. Tuttavia, il libro non è esente da critiche. Alcuni critici hanno sostenuto che l’etica del viandante è troppo vaga, e che non fornisce indicazioni concrete su come comportarsi nella vita quotidiana. Altri critici hanno sostenuto che l’etica del viandante è individualistica, e che non tiene conto della dimensione sociale dell’uomo.
Nonostante le critiche, il libro di Galimberti è un’opera che merita di essere letta e discussa. È un libro che può aiutare l’uomo a riflettere sul suo ruolo nel mondo, e a trovare un nuovo senso alla sua vita.
Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario all’università Ca’ Foscari di Venezia, titolare della cattedra di Filosofia della Storia. Dal 1985 è membro ordinario dell’international Associ ation for Analytical Psychology.
Dopo aver compiuto studi di filosofia, di antropologia culturale e di psicologia, ha tradotto e curato Jaspers, di cui è stato allievo durante i suoi soggiorni in Germania: Sulla verità (raccolta antologica), La Scuola, Brescia, 1970. La fede filosofica, Marietti, Casale Monferrato, 1973. Filosofia, Mursia, Milano, 1972-1978, e Utet, Torino, 1978.
Di Heidegger ha tradotto e curato: Sull’essenza della verità, La Scuola, Brescia, 1973.
Opere
1975 – Heidegger, Jaspers e il tramonto dell’Occidente, Marietti, Casale Monferrato, (Ristampa, Il Saggiatore, Milano, 1994). 1977 – Linguaggio e civiltà, Mursia, Milano, (2° edizione ampliata 1984). 1979 – Psichiatria e Fenomenologia, Feltrinelli, Milano. 1983 – Il corpo, Feltrinelli, Milano, 1983 (Premio internazionale S. Valentino d’oro, Terni, 1983). 1984 – La terra senza il male. Jung dall’inconscio al simbolo, Feltrinelli, Milano (premio Fregene, 1984) 1977 – Linguaggio e civiltà, Mursia, Milano, (2° edizione ampliata 1984). 1985 – Antropologia culturale, ne Gli strumenti del sapere contemporaneo, Utet, Torino. 1986 – Invito al pensiero di Heidegger, Mursia, Milano. 1987 – Gli equivoci dell’anima, Feltrinelli, Milano. 1988 – La parodia dell’mmaginario in W. Pasini, C. Crepault, U. Galimberti, L’immaginario sessuale, Cortina, Mila no. 1989 – Il gioco delle opinioni, Feltrinelli, Milano. 1992 – Dizionario di psicologia, Utet, Torino. (Nuova edizione: Enciclopedia di Psicologia, Garzanti, Milano, 1999). 1992 – Idee: il catalogo è questo, Feltrinelli, Milano. 1994 – Parole nomadi, Feltrinelli, Milano. 1996 – Paesaggi dell’anima, Mondadori, Milano. (Nuova edizione: Feltrinelli, Milano, 2017). 1999 – Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano. 2000 – E ora? La dimensione umana e le sfide della scienza (opera dialogica con Edoardo Boncinelli e Giovanni Maria Pace), Einaudi , Torino. 2000 – Orme del sacro, Feltrinelli, Milano (premio Corrado Alvaro 2001). 2001 – La lampada di psiche, Casagrande, Bellinzona. 2003 – I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano. 2004 – Le cose dell’amore, Feltrinelli, Milano. 2005 – Il tramonto dell’Occidente, Feltrinelli, Milano. 2006 – La casa di psiche. Dalla psicoanalisi alla consulenza filosofica, Feltrinelli, Milano. 2007 – L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano. 2008 – Il segreto della domanda. Intorno alle cose umane e divine, Apogeo, Milano. 2009 – I miti del nostro tempo, Feltrinelli, Milano. 2012 – Cristianesimo. La religione dal cielo vuoto, Feltrinelli, Milano. 2018 – La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo, Feltrinelli, Milano. 2018 – Nuovo dizionario di psicologia, psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze, Feltrinelli, Milano. 2019 – Perché? 100 storie di filosofi per ragazzi curiosi, Feltrinelli, Milano. 2020 – Heidegger e il nuovo inizio. Il pensiero al tramonto dell’Occidente, Feltrinelli, Milano. 2021 – Il libro delle emozioni, Feltrinelli, Milano. 2021 – Che tempesta!, Feltrinelli, Milano.
Di fronte alla violenza inaudita che viene commessa nel nome di Dio e delle Scritture è lecito chiedersi se esista una violenza intrinseca del discorso religioso monoteista. Rileggendo alcuni brani dell’Antico Testamento, Assmann ritrova le radici storiche di tale violenza nel carattere esclusivo dell’unico Dio e nell’immagine di una divinità che si mostra irata e punitiva. Tuttavia contesta che la violenza rappresenti una conseguenza necessariamente inscritta nel monoteismo, e conclude che essa nasce, piuttosto, dall’uso che della religione è stato fatto in senso politico e fondamentalista.
Jan Assmann è professore di Egittologia nell’Università di Heidelberg. Fra i suoi libri: “La memoria culturale” (1997), “Potere e salvezza” (2002), “La morte come tema culturale” (2002), pubblicati da Einaudi, e “Mosè l’egizio” (Adelphi, 2000).
Autore di illustrazioni e fumetti apparsi sul Time, MAD, The New York Times, co-fondatore di World War 3 Illustrated. Con Rovine (edito da Tunué) ha vinto l’Eisner Award nel 2016 per il miglior graphic novel riuscendo a costruire un successo planetario. Ha vissuto a Oaxaca, in Messico, tiene diversi corsi alla Harvard University e ha insegnato fumetto alla School of Visual Arts per oltre 25 anni. In Italia per Tunué sono usciti anche Diario di New York e Cuore di Tenebra.
DICONO DI GLI INCUBI DI KAFKA
«[Kuper] fa ciò che amo. Jazz. Questo libro è una serie di riff, improvvisazioni visive su brevi riprese del vecchio maestro. Diventa un atto deviante, persino audace, di alto livello, in cui l’alienazione europea di Kafka si incontra e si fonde con l’alienazione rock-and-roll americana di Kuper. » (Jules Feiffer, vignettista vincitore del Premio Pulitzer)
«Brillante…. L’umorismo kafkiano è intatto, persino migliorato.» (Wall Street Journal)
«Il lavoro di Kafka è opaco e pronto per essere reinterpretato, ma è l’arte di Kuper che lo rende così fresco» (Tom Tivnan, Supplemento letterario del Times)
«L’umorismo kafkiano è intatto, persino migliorato.» (Sarah Boxer, Wall Street Journal)
«Interpretazioni nette ma giocose nella tradizione della xilografia di Käthe Kollwitz, Frans Masereel e Lynd Ward.» (Boston Globe)
«Kafkiano ha la qualità di essere non semplicemente un adattamento, ma un oggetto artistico a sé stante.» (John W. W. Zeiser, Los Angeles Review of Books)
«Guai al lettore che cerca di sfiorare il Kafkiano di Peter Kuper… Le finte xilografie [di Kuper], con i loro volti esplosivi e il cupo chiaroscuro, non possono essere facilmente digerite, una virtù suprema.» (Abramo Riesman, Vulture)
Fin dalle prime righe, questo libro ci invita a un gesto semplice e prezioso: fare buon uso delle parole.
Le parole che pronunciamo, scriviamo, leggiamo ogni giorno sono una moltitudine, ma troppo spesso attraversano le nostre vite senza lasciare traccia. Franco Arminio allora si inoltra nel silenzio – quello dei paesi delle aree interne svuotati dall’emigrazione, quello delle notti in cui siamo soli di fronte alla nostra ossessione – e, come un rabdomante, cerca la vena in cui ancora scorrono parole dense di significato e di luce. I suoi versi si offrono a tutti come occasione per aprire il cuore alla meraviglia e alla fratellanza, cantano l’importanza di prestare attenzione al minuscolo per sentirci parte dell’immenso.
Il fardello della famiglia in cui siamo nati, la fatica di amare e lasciarsi amare, l’angoscioso orizzonte della morte che sembra chiudersi davanti a ogni pensiero – tutto viene riscattato dal potere della gratitudine, che illumina i doni nascosti in ogni singolo giorno.
A queste pagine Arminio consegna il frutto di anni di ascolto di se stesso e del mondo, la summa di ciò che ha imparato nel suo cammino attraverso città e paesi: la parola poetica dispiega la sua forza trasformativa, da esperienza intima si fa comunitaria e ci chiede di essere pronunciata come sfida all’indifferenza, come forma di resistenza, come il più salvifico dei contagi.
Franco Arminio è nato e vive a Bisaccia, in Irpinia d’Oriente. È ispiratore e punto di riferimento di molte iniziative contro lo spopolamento dell’Italia interna, come la Casa della paesologia a Bisaccia e il festival “La luna e i calanchi” ad Aliano. Da anni racconta disagi e meraviglie dei paesi più trascurati.
Ha pubblicato più di trenta libri, tra i quali Viaggio nel cratere, Vento forte tra Lacedonia e Candela, Cartoline dai morti, Terracarne, Cedi la strada agli alberi, Resteranno i canti, L’infinito senza farci caso, La cura dello sguardo, Lettera a chi non c’era, Studi sull’amore e Sacro minore.
Quest’opera-mondo, che racconta la creatività umana, la letteratura, il pensiero, le arti figurative e la musica, dai lirici greci a Bob Dylan, da Catullo a Maria Callas, dal Gilgamesh a Roberto Bolaño – ognuno può trovare il “da/a” che preferisce, il più divertente, il più coerente, il più assurdo, il più iperbolico – è forse, prima di tutto, un atto d’amore. Amore verso la vita, prima ancora che verso la lettura, perché non c’è pagina, che parli di poesia T’ang, di sapienti indiani, di Marziale o di Friedrich Nietzsche, in cui non si intraveda nitidamente la vita del ragazzo, del giovane, dell’uomo che su quelle pagine si è entusiasmato, si è interrogato e ha sognato, e che di quelle pagine si è nutrito fino a tramutarle in sua carne e suo sangue.
Quanto vale “sillabare l’incendio della vita che solo la poesia oggi ci offre”? Che cosa significa definire una metafora non come una figura retorica ma, semplicemente, come il “tentativo di strappare alle parole un’immagine vivente”? La risposta alla prima domanda è “un valore inestimabile”, la risposta alla seconda implica abbattere tutti i muri delle competenze, della gradualità; significa rompere gli indugi e mettersi a leggere per vivere con pienezza. Certo, soltanto sfogliare queste pagine e scorrere l’indice apre la mente, mette tutto ciò che già conosciamo in una luce e una prospettiva diverse.
La narrativa sempre più assume un ruolo di primo piano nella produzione letteraria, e diventa quindi oggetto di studio e di riflessione per gli studenti, sia medi sia universitari; ma alla narrativa si accostano volentieri lettori appartenenti a fasce diverse di età e di cultura. Per questo la Casa Editrice Bignami, da sempre attenta alle esigenze degli studenti e alla divulgazione della cultura, ha ritenuto utile presentare un quadro esauriente della produzione di romanzi della letteratura italiana, dagli inizi dell’Ottocento – cioè dalle origini della moderna letteratura italiana – fino ad oggi. Si sono scelti quei romanzi che sono citati dai manuali di storia della letteratura italiana in uso nelle scuole medie superiori, cioè solo le opere narrative che abbiano un valore letterario; di ciascun romanzo si è tracciato un breve profilo della trama, premettendo gli essenziali dati informativi e facendo seguire un breve giudizio critico. Lo scopo è di completare le informazioni fornite dai testi scolastici (che spesso si limitano a citare i titoli), consentendo con l’esposizione della trama di memorizzare meglio le opere, ma anche di invitare alla lettura sia gli studenti sia i semplici lettori, sollecitandone l’interesse con la trama, e aiutandone la valutazione con il giudizio critico. L’ordine delle opere è storico-critico, in quanto gli autori non sono disposti in ordine strettamente cronologico, ma tenendo conto dei generi e delle correnti letterarie. Per esempio, per quanto riguarda l’Ottocento, abbiamo distinto i romanzi “storici” da quelli “scapigliati” e da quelli “veristi”; e per il Novecento, abbiamo periodizzato la narrativa, distinguendone le varie fasi (primo Novecento, tra le due guerre, dal neorealismo alla neoavanguardia, ecc.). Perciò l’opera non rimane un semplice manuale di consultazione, ma diventa in qualche modo una sorta di storia del romanzo italiano, dalla sua nascita ad oggi.
Scritte come un’improvvisazione jazzistica, le prime tre opere di Trevisan sono l’elaborazione letteraria dell’incessante ruminare di pensieri, ricordi, immagini che affollano la mente di Thomas.
A caratterizzarle è la scrittura: uno standard che prende, via via, la forma del soliloquio, in un intreccio serrato tra processo mentale e linguistico. Cosí, in Un mondo meraviglioso, il moto senza pace di Thomas, nei dintorni di Vicenza, apre squarci su una provincia italiana ormai putrescente, mentre ricordi dolci/amari lo conducono a un padre dall’insopportabile filosofia di vita.
I quindicimila passi sono invece la distanza che Thomas conta, con una precisione metodica, da casa alla questura, da casa al tabaccaio, da casa allo studio del notaio Strazzabosco: gesti esatti, netti, che rincorrono il vano tentativo di attenuare il senso di vuoto e di morte che lo opprime.
Infine Il ponte, ultimo atto, alfa e omega, inizio e fine dei conti con un passato ancora troppo presente. Thomas ha visto, sognato, immaginato ciò che non c’è o non c’è piú, attraverso un racconto del mondo, il suo, che rende organica l’esistenza, cosí come la scrittura di Trevisan ha strutturato il mondo, il nostro, in uno scenario mitico e tragico in grado di portare piú avanti e piú a fondo la riflessione sull’umano destino.
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