Emanuele Severino recensisce LABIRINTO FILOSOFICO di Massimo Cacciari, Adelphi, 2014

Ancora oggi, come sempre, le religioni stanno al centro della storia. Sia pure in modi tra loro conflittuali, aiutano i popoli a risolvere le forme più profonde delle loro inquietudini. Parlano un linguaggio che si fa capire. Dicono quel che l’uomo vuol sentirsi dire. Inevitabile quindi che venga il tempo in cui egli voglia sapere anche perché le cose debbano stare come egli vuole che stiano. Il tempo della filosofia. Vi si rimane anche quando si dice che la filosofia è morta e che le cose stanno come è stabilito dalla scienza moderna. Le cose ! Conosciamo il significato della parola «cosa»? È proprio così ovvio? O non dovrebbe essere il primo a venir messo in luce? Iniziando il proprio cammino, proprio questo si domanda la filosofia. Essa chiama «essente» (ón, «ente») la cosa. L’intero sviluppo storico della filosofia riguarda il modo in cui essa pensa l’essente . Ma ovunque si guardi — in terra o in cielo, nella veglia o nei sogni, nella vita quotidiana e in ogni attività pratica, nella scienza, nell’arte, nella normalità psichica o nella pazzia — ci si imbatte in cose , essenti, in «qualcosa che è». Il modo in cui la filosofia ha inteso la «cosa» e l’«essente» è il terreno in cui cresce la storia dell’Occidente. L’Europa non è più il centro del mondo, ma il mondo è ormai dominato dal modo in cui l’Europa — cioè la filosofia — ha pensato l’essente.
Credo che questo discorso possa venir condiviso anche da Massimo Cacciari,

vai all’intero articolo qui:  Oltrepassare la Follia. L’uomo nel labirinto – Filosofia.it.

Emanuele Severino alla Scuola della Cattedrale, il 5 maggio 2014

Emanuele Severino sul dominio della tecnica, Otto e Mezzo 3 aprile 2014

Emanuele Severino, in Mp3 Ouch

vai a: Emanuele Severino Mp3 download.

Emanuele Severino, Perché non siamo figli del nulla, in Corriere della sera 9 aprile 2014

Perché non siamo figli del nulla

Il timore della morte ci accompagna. Ma ogni cosa viene da qualcosa Anche se non vogliamo riconoscerlo, noi, in fondo, siamo sempre scontenti di tutto ciò che siamo ed abbiamo ….

tutto l’articolo qui:

Perché non siamo figli del nulla.

IL DESTINO DELL’ESSERE. Dialogo con Emanuele Severino, a cura di Davide Spanio, Morcelliana, 2014. Relazioni del Convegno: IL DESTINO DELL’ESSERE, dialogo con (e intorno al pensiero di) EMANUELE SEVERINO, Venezia, Università Ca’ Foscari, Ca’ Dolfin, aula magna Silvio Trentin, 29 e 30 maggio 2012

Ho avuto il fortunato destino di essere presente a questo convegno:

Ora ci sono anche le relazioni pubblicate:

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i religiosi del creazionismo e i religiosi della matematica che odiano Emanuele Severino

scrivo ad alcuni cultori della filosofia e del linguaggio:

segnalo una lezione di emanuele severino trascritta da ritiri filosofici
nel post ho riportato solo l’analisi linguistica, ma c’è il link che rimanda all’intero testo
non aggiungo gli aggettivi dei miei elogi, per evitare di urtare la sensibilità chi di voi è ipercritico
saluti
e buon futuro
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mi scrive una persona :

Ciao, stai tranquillo sei molto misurato. Accettiamo sbilanciamenti fatti per il puro godimento intellettuale. Grazie mille  per quanto mi mandi. ***

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rispondo:

grazie ***
fra i miei “amici” ci sono dei “religiosi della matematica” (come quello che recentemente ha detto che il tribunale di norinberga è stata una ingiustizia … non ricordo neppure come si chiama ..  ) che, se potessero, tornerebbero alla inquisizione per bruciare vivo emanuele severino
ciao
ecco
mi è venuto in mente come si chiama
odifreddi (detto anche, da me, torquemada)
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mi scrive la persona
In effetti  hai toccato un punto sensibile, Severino, mi dicono quelli che lo frequentano, a volte prende precauzioni contro gli inevitabili fanatici religiosi, sia cristiani che sopratutto islamici.Brescia è in percentuale  la città col maggior numero di immigrati. C’è uno zoccolo duro dei cattolici locali e romani ,che lo vede come il fumo negli occhi.
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rispondo:
temevo che ci fosse un problema così
lui fa parlare la filosofia per mettere in discussione il creazionismo (

“Creatio est productio rei ex nihilo sui et subjecti”, Sant’Agostino, 

(da cui si deve trarre la logica conseguenza che il primo omicida è dio, perchè lo ha annullato ancor prima di farlo nascere)
figuriamoci cosa gli vorrebbero fare i religiosi di ogni religione
lo strano è che lo vorrebbero morto anche omuncoli come odifreddi, che più volte lo ha insultato
ed infatti emanuele severino non si degna neppure di nominarlo nel suo libro LA LEGNA E LA CENERE con cui discute con tutti i suoi interlocutori. tutti, tranne che i minimi di cui sopra
speriamo che il “dolore” inaspettato non gli arrivi proprio dagli islamici che popolano ormai i nostri habitat
ciao

Emanuele Severino, FATO E LIBERTA’, lezione tenuta a Carpi il 19 settembre 2010 (Festival della filosofia di Modena) e trascritta da Mauro Longo, in RitiriFilosofici.it

Il 19 settembre 2010 MM ha seguito la lezione magistrale di Severino a Carpi su Fato e Libertà, nell’ambito del Festival della Filosofia 2010 e Mauro Longo ha curato la trascrizione integrale, che potete leggere di seguito.
…………..
Fortuna/Fato.
Qui si è parlato della fortuna. Credo che molti abbiano rilevato la parentela della parola fortuna con la parola latina fors.
Forse molti hanno rilevato questo. Ho detto “forse molti”: ma la parola “forse” è una parola che sta alla radice della parola fortuna.
La fortuna è il destino buono o cattivo? “Forse” può essere buono o può essere cattivo. Il “forse” indica l’ambiguità del concetto.
Da un lato la fortuna è ciò che ineluttabilmente accade. Dall’altro lato è ciò che accade inspiegabilmente, e non ineluttabilmente, ma casualmente.
Ma guardiamo l’altra faccia della medaglia. Noi diciamo “fortuna” che è parola latina che ha un accompagnamento di parole quanto mai significative.
Il forse per esempio equivale al “fortasse” latino, al “forsitan“, che indicano l’incertezza, l’incertezza degli accadimenti. Se la fortuna indica anche la necessità, allora la parola latina è preceduta da una serie di parole greche che indicano a loro modo con intensità particolare il fato.
Per esempio la parola δικη (dike) che vuol dire giustizia: ma la parola giustizia suona debole perché δικη in greco è costruita sulla parola δεικνυμι (deiknimi) che vuol dire mi mostro, mi mostro con autorità.
I greci dunque per indicare il fato utilizzano la parola δικη, αναγκη (ananke), ovvero la necessità, ma poi anche la parola λογος (logos), νομος(nomos) e questo per quanto riguarda l’ambiguità del linguaggio che insegna mostrando la polivalenza della parola fortuna, fato.
Libertà.
Ma il titolo dice fato e libertà. Le cose si complicano sempre di più…Anche qui la parola libertà, nostra italiana, deriva dal latino libertasliber: alla radice sta il termine liber, il concreto liber, che anche foneticamente suona simile al greco ελευϑερος (eleutzeros). Senonché le lingue anglosassoni hanno un modo del tutto diverso per indicare la libertà. Il tedesco usa per esempio la parola frei: anche acusticamente loro sentono che c’è differenza tra liber e frei. L’inglese dice free: almeno apparentemente, dal punto di vista acustico, i suoni dei due gruppi di parole suonano foneticamente
molto divaricato.
Che cosa vuol dire liber? Anche qui la glottologia fa risalire la parola liber e anche la parola  ελευϑερος (poi prenderemo congedo da questa introduzione glottologica ma intanto è opportuno sentire che cosa la riflessione sul linguaggio e che cosa innanzitutto il linguaggio dice). Ebbene rilevavo che la glottologia fa derivare la parola liber dalla radice indoeuropea leut che ha stranamente questi due significati: vuol dire gente ma anche crescita. Il tedesco dice leute (per gente, ndr): perché la stessa parola indica due ambiti semantici così diversi, gente e crescita? Innanzitutto crescita nel senso della fioritura arborea: la fioritura indica lo stato in cui il vivente vegetale si solleva dall”oscurità del terreno, si espande nell’aria, si libera dall’oscurità e dai vincoli che la terra costituiscono rispetto ad esso.  
Crescita è appunto il liberarsi dal vincolo, dall’ostacolo, dalla tenebra, dal limite. Bene, si dirà…Questo lo abbiamo capito: ma cosa c’entra “gente”? (perchè abbiamo detto che la radice leut vuol dire insieme crescita e gente). Ora, la gente è quell’insieme di eventi che ad un certo momento percepisce se stessa come capace di affrancarsi dall’incombere della natura del mostro più forte e di respirare così come respira la vegetazione. Quando ad un certo momento il gruppo sociale si sente autonomo, ecco che chiama se stesso col nome con cui aveva indicato in un primmo tempo la crescita, la fioritura. Allora ci spieghiamo come mai la radice leut possa significare ad un tempo e la crescita degli alberi e la crescita di quella vegetazione umana che il gruppo sociale che è riuscito a svincolarsi (prima avevo usato la parola mostro…) dai mostri archetipici, originari, arcaici e si sente espansa così come si espande nell’aria la vegetazione. E questo andrebbe bene per quanto riguarda allora il gruppo di parole che si rifanno alla radice leut e che risuona nella parola latina liber.
Solo che avevamo detto che c’è quell’altro gruppo di parole anglosassoni, altotedesche, gotiche che usano quel timbro tutto diverso che avevamo esemplificato con la parola tedesca frei e la parola inglese free. Anche qui è interessante sentire cosa dice la glottologia in proposito che fa risalire queste parole a una radice indoeuropea che suona così: pri da cui proviene probabilmente l’aggettivo πριαμος (priamos) che vuol dire caro, amabile, diletto. Ed anche qui è strano come mai ciò che poi viene detto libero è il diletto, il caro, l’amabile..Eppure si può spiegare con relativa facilità. Perché che cos’è il diletto e l’amato se non quello rispetto al quale l’amante sgombra il campo, libera gli ostacoli, gli rende la vita vivibile, lo lascia espandere, lo lascia accrescere. Ciò che mi è caro è ciò rispetto a cui esercito la mia facoltà di lasciarlo crescere e di incentivare la sua crescita.
Ecco che i due gruppi linguistici apparentemente lontani, liber/ελευϑερος da una parte, frei/free dall’altra, finiscono per dire la stessa cosa: la liberazione, il riuscire a respirare senza ostacolo dell’oscurità della terra che limita la crescita. Si presenta cioè il concetto di libertà come liberazione. E sempre dicevamo che fato significa, in uno dei suoi due lati, l’irrevocabilità degli eventi e quindi ciò che non è forsitan, ciò che non è fortasse ma che è necessitàallora la libertà come liberazione è liberazione dal fato.
E allora anche qui nulla di strano ma molto di vicino a noi anche se non ci interessiamo di filosofia o di scienza o di religione. Molto vicino a noi perché quando l’uomo incomincia a guardarsi attorno nei primi tempi della sua esistenza sulla terra, ciò da cui si sente soprattutto legato e vincolato è il dolore, la morte. Infatti molte delle parole che nominano il fato nominano anche la morte. Per esempio la parola μοιρα (moira) in greco, che alla lettera vuol dire parte, la parte data a ciascuno, nomina molto spesso quella parte che è la morte. Qui non è il caso di avere passione per la filosofia, per la scienza o per la religione o per altro. Qui tutti noi siamo toccati in ciò che più ci preme da vicino: liberarci o allontanare il più possibile o esercitare al massimo la liberazione dal dolore e dalla morte, che sono il fato!
La liberazione dal fato originario: il mito.
Il fato iniziale, l’ineluttabilità iniziale. In effetti il mito, se prima dicevamo è organizzazione della vita politica, è tale proprio in quanto insieme e il modo più antico di far fronte al dolore e alla morte perché iscrive il dolore e la morte all’interno di un senso del mondo che in qualche modo anticipa gli eventi futuri e anticipandoli li rende sopportabili. Perché nulla è più pericoloso dell’ignoto che noi attendiamo e non conosciamo e nulla è più salvifico dello sguardo anticipante, previdente che squarcia le nubi e guarda che cosa sarà in futuro. Il mito e poi tutte le religioni hanno questo scopo: squarciare i veli del futuro ed assicurare l’uomo. E intorno a ciò che è il fato originario e che è il dolore e la morte. Liberazione dal fato originario è dapprima il mito, l’esistenza mitica e la liberazione originaria.
La liberazione dal mito: la filosofia.
Ma loro comprendono che la posta in gioco è troppo importante perché ci si possa accontentare del mito e della religione. 
continua (e grazie, grazie tantissime al trascrittore)

tutta la trascrizione qui: Ritiri Filosofici – Emanuele Severino, Fato e libertà..

Omaggio a Emanuele Severino promosso dall’Associazione Artisti Bresciani con il patrocinio del Comune e della Fondazione Brescia Musei, 17 marzo all’Auditorium di Santa Giulia dalle ore 17.30, alla presenza dello stesso Severino e con l’intervento di Massimo Cacciari, pensatore e docente dell’Università Vita Salute, Carlo Sini, già professore di Filosofia teoretica all’Università statale di Milano, e Vincenzo Vitiello, professore di Filosofia della storia all’Università Vita Salute San Raffaele.

Caro Paolo ti giro questa notizia in modo che tu possa evidenziarla sul tuo bel sito
sempre grato
Gabriele Simino

http://www.bresciaoggi.it/stories/Cronaca/672994_arte_e_filosofia_unite_nel_nome_di_severino/?refresh_ce&scroll=1200

 

Omaggio a Emanuele Severino In Santa Giulia

Oggi pomeriggio, alle ore 17.30, nell’Auditorium di Santa Giulia si terrà l’incontro Omaggio a Emanuele Severino, promosso dall’AAB con il patrocinio di Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei. L’iniziativa vuole essere un tributo al grande intellettuale bresciano e a uno dei massimi filosofi, accademico dei Lincei, professore di Ontologia fondamentale all’Università Vita – Salute S. Raffaele.

Dopo un breve saluto di Laura Castelletti, vice Sindaco e Assessore alla Cultura del Comune di Brescia, Fausto Lechi, Presidente della Fondazione Brescia Musei, e Paolo Corsini, Senatore della Repubblica,

interverranno:
–         Massimo Cacciari, professore di pensare filosofico e metafisica all’Università Vita – Salute S. Raffaele
–         Carlo Sini, già professore di filosofia teoretica all’Università statale di Milano
–         Vincenzo Vitiello, professore di filosofia della storia all’Università Vita – Salute S. Raffaele

Nell’occasione verrà presentato il numero monografico di Il Pensiero. Rivista di filosofia 2/2012 Omaggio a Emanuele Severino, che contiene 11 saggi dei più importanti filosofi italiani. In particolare, Vincenzo Vitiello ripercorre 40 anni del pensiero del filosofo bresciano, a partire dalla pubblicazione di un’opera fondamentale di Severino “La struttura originaria”.

Nato a Brescia il 26 febbraio 1929, Emanuele Severino si è laureato a Pavia con una tesi su Heidegger e la metafisica. Dopo un periodo di insegnamento all’Università Cattolica di Milano, nel 1970 diventa ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Venezia. Scrive sul Corriere della Sera, dove accanto a temi prettamente filosofici, affronta questioni di grande attualità come la strage di piazza Loggia, tasse e amnistia, tecnica del diritto. Per l’AAB risultano di notevole interesse le riflessioni di Severino su Arte e tecnica, su Arte e tendenza fondamentale del nostro tempo.

Costituisce sempre una grande opportunità sentire Emanuele Severino, per il suo grandissimo pensiero, ma anche per come si pone al pubblico con un linguaggio che tende ad eliminare la discrasia tra il tecnicismo filosofico e i problemi pratico – politici. Sostiene infatti Severino “Che noi si viva nel mondo, e che il mondo sia fatto così come crediamo…con una struttura sociale nella quale esistono forze politiche, economiche, religiose, e industrie, fabbriche… è la grande fede alla quale nessuno di noi vuole rinunciare”.

Omaggio a Emanuele Severino
Auditorium di Santa Giulia
di via Piamarta 4, Brescia
Ingresso libero.

EMANUELE SEVERINO Crisi della tradizione occidentale, Christian Marinotti edizioni

  • Pagine160
  • Prezzo13.94
  • Anno1999
  • ISBN978-88-8273-006-2
  • Note

AGGIUNGI AL CARRELLO

EMANUELE SEVERINO

Crisi della tradizione occidentale

Che cosa è stato il Novecento? La risposta di Emanuele Severino è perentoria: il Novecento è stato crisi, ovvero separazione e distruzione. Alle diverse “fenomenologie della crisi”, che vengono oggi da più parti avanzate, Severino contrappone un pensiero della crisi quale essenza stessa della nostra epoca. Ciò da cui il Novecento si separa e che il Novecento distrugge è la tradizione europea, intesa non come mero retaggio culturale, bensì come l’insieme di tutte le opere e le istituzioni dell’Occidente.
Severino individua nel pensiero filosofico i germi della crisi che costituisce l’essenza della nostra epoca: la crisi consiste, innanzitutto, nella distruzione del pensiero filosofico stesso. L’inevitabilità della distruzione delle posizioni filosofiche che animano la tradizione europea si rivela nell’opera dei tre autori fondamentali del pensiero contemporaneo: Leopardi, Nietzsche e Gentile. Essi sono coloro che hanno reso evidente l’intima debolezza di ogni pretesa di trovare riparo in una verità assoluta, in un “sapere che sta e non si lascia smentire” (epistéme). Ogni sapere siffatto è destinato alla distruzione in quanto porta in sé la negazione del suo stesso fondamento: quella fede nel divenire che sta al cuore dell’intera tradizione europea.
In questo scritto, Severino riesce nel compito – singolare e prezioso – di raccogliere in sintesi i punti nodali del proprio pensiero, mostrando, con semplicità e rigore, come soltanto entro uno sguardo genuinamente filosofico sia possibile comprendere il senso essenziale della storia dell’Occidente.

Emanuele Severino, nato nel 1929 a Brescia, è uno dei maggiori pensatori contemporanei. Autore di numerose pubblicazioni tradotte in varie lingue, scrive regolarmente sul “Corriere della Sera” ed è docente ordinario di Filosofia teoretica all’Università Ca’Foscari di Venezia, dopo aver insegnato in passato all’Università di Pavia e all’Università Cattolica di Milano.
Presso la nostra casa editrice ha pubblicato nel 1999 il libro Crisi della tradizione occidentale riscontrando ampio successo.

Rassegna stampa

Crisi della tradizione occidentale | CHRISTIAN MARINOTTI EDIZIONI – JEAN PAUL SARTRE, MARTIN HEIDEGGER, LE CORBUSIER, EMANUELE SEVERINO.

Oggi EMANUELE SEVERINO compie 85 anni

sev

Auguri, professore,

l’augurio, per lei e per noi,

è che la sua intelligenza unita alla sua empatia ci accompagnino ancora per molti anni.

Abbiamo bisogno di quell’insegnamento che sa unire con sapienza i tempi della antica Grecia, con gli anni che stiamo attraversando

Filosofia: aver cura di ciò che deve essere reso chiaro.

Lei sa fare questo

Paolo Ferrario

Colloquio con Emanuele Severino, a cura di di Saverio Mariani e Andrea Cimarelli, in Ritiri Filosofici

Primo febbraio 2014.  Un lungo viaggio in auto ci porta a Brescia. Profondo settentrione d’Italia. La città ci accoglie, nel primo pomeriggio, fredda, con una leggera pioggia ed il cielo plumbeo. Attraversiamo corso Garibaldi, dove il grigio dei sampietrini è amplificato dalle pozze d’acqua. Gli abitanti di questa città stanno iniziando il pomeriggio libero, prima del sabato sera. Una passeggiata in centro, un caffé in un bar di piazza Pio VI, un giro in libreria. Noi ci posizioniamo in un B&B, con una finestrella che dà sui tetti di Brescia. Bagnati, umidi, refrattari al calore. Quando attraversiamo le vie centrali della città, in largo anticipo – per goderci anche il luogo nel quale siamo venuti – sembra che le persone a passeggio stiano trascorrendo un pomeriggio di svago, di divertimento e di relax.

Noi, come semplici turisti, guardiamo i palazzi di quella città lombarda, affascinante e anche un po’ magica. In realtà è per noi un giorno speciale, perché alle sei del pomeriggio abbiamo un appuntamento con Emanuele Severino.

Ci accoglie a casa sua come fossimo due suoi amici. Con la cordialità e la signorilità che solo i grandi hanno. Ci accomodiamo in una splendida stanza, arredata da altissime librerie piene zeppe, da alcuni tappeti, da un pianoforte a coda e dall’Orfeo scolpito da suo figlio. Il tutto illuminato, soavemente, da alcune lampade. Sediamo su un divano rosso bordeaux, che fa angolo con due poltrone.

Severino è curioso di sapere quali sono i nostri studi, il nostro ambito di ricerca. Ognuno di noi gli racconta, brevemente, ciò che studia e l’argomento sul quale sta lavorando per la tesi di laurea. Lui è interessato, regalandoci spunti possibili e consigli di lettura.

Comincia così il nostro colloquio con Emanuele Severino.

segue qui:

Ritiri Filosofici – Colloquio con Emanuele Severino.

Emanuele Severino, L’uomo in debito cerca la libertà, Corriere della Sera | 13 Gennaio 2014

Fede e dubbio segnano da sempre la condizione umana che è prima di tutto cammino, ricerca  di un altrove che ha mille volti e mille nomi.
Emanuele Severino

L’uomo in debito cerca la libertà

Un altro amico, e fraterno, se ne è andato. Dove? Ognuno di noi abita una «casa» , chiamiamola così. Attorno, a perdita d’occhio, la brughiera. Il fuoco è acceso, la tavola imbandita. Ma capita, guardando verso la finestra, che il vento ci faccia credere di trovarci là fuori — e ci si dimentichi di dove siamo davvero. Si è «a casa». Sin da prima dell’inizio dei tempi. Ci rimarremo in eterno; la casa sarà sempre più accogliente. E invece crediamo di vivere nella terra inospitale che ci ha ghermito col vento. Stando là fuori diciamo: «Ecco il mondo; questa è la vita che ci è toccata». Ci crediamo mortali. Ma quando si muore non si va da qualche parte. Ci si risveglia accanto al fuoco. Non più ingannati dal vento. Né intimoriti delle ombre e dal gelo della brughiera. Una povera favola? Non direi; ma una metafora sì: dello Spettacolo che da gran tempo tento di indicare. (Il tentativo è delle parole, non di ciò che esse indicano).
E Carlo Arata conosceva a fondo i miei scritti, sin dai primi. Dopodomani, 15 gennaio, è il trigesimo della sua morte. Una delle figure più importanti, la sua, della filosofia italiana dal dopoguerra ai nostri giorni. Ma estremamente schivo, nemico dei compromessi sul piano culturale, accademico (ma professore emerito dell’Università di Genova), politico (famiglia socialista e antifascista, sorella deportata a Dachau).
Nato nel 1924, cattolico, si era voluto laureare con Antonio Banfi, il maestro laico e antimetafisico della Statale di Milano. Tuttavia il suo cattolicesimo è andato configurandosi in modo sempre più originale e autonomo. Si era fatto sempre più centrale per lui il principio che di Dio non si può parlare «in terza persona», riducendolo a un «Egli», sia pure con la lettera maiuscola. Invece lo si deve lasciar parlare come parla nell’Esodo: «Ego sum qui sum». In prima persona. Messo dinanzi come oggetto, lo si snatura: non è più Dio. Solo Dio può parlare di Dio. Ma, di qui, il crescente rovello di Arata, troppo filosofo per non sapere che, d’altra parte, siamo pur sempre noi a lasciar parlare Dio: proprio perché ci tiriamo da parte per fargli spazio, questo nostro sforzo finisce addirittura con l’identificare noi, che, per quanto rarefatti e ridotti, continuiamo a pensare Dio, a lui che parla.
La bestemmia più grave per chi pone Dio nel più alto dei cieli. La nostra discussione era incominciata sin dai primi anni Sessanta ed è durata fino in fondo. Pochi giorni prima di morire, aveva consegnato all’editrice Morcelliana il suo ultimo lavoro, da poco pubblicato, e anche lì la nostra discussione continua, all’interno del problema — sempre più complesso e di cui Arata è pienamente consapevole — del rapporto tra uomo e Dio.
Questo libro s ‘intitola Reditio. Un’espressione allusiva, ma anche enigmatica. Significa «ritorno». Ritorno a un suo iniziale atteggiamento problematico («banfiano», come egli scrive), provvisoriamente accantonato dalla intermedia parabola metafisico-teologica, ma che incomincia a riaffacciarsi con la tematica a cui ho accennato qui sopra? Sembra di sì, stando alle prime parole del saggio: «Nulla è ovvio, nulla è scontato, tutto è problema, enigma, al limite mistero. Questa la premessa essenziale (…) della presente Reditio».
Eppure la metafisica continua ad esser presente anche in queste sue ultime pagine. Per le quali l’uomo non è autore di alcunché, nemmeno di quello che scrive (e qui Arata è d’accordo con me); ma non è autore perché non si è «posto», non ha prodotto se stesso, non è «causa» di sé, ma è «indebitato». E tipicamente metafisica, appunto, è la domanda da dove provenga ciò che noi siamo e verso «Chi» o «che cosa» noi si sia in debito. Per Arata il problema si complica ulteriormente, perché, pur essendo in debito, l’uomo «aspira alla libertà», a riscattare il debito e farsi signore di sé ed esser dunque Dio. Libertas ut Deus. E il problema si aggrava per la presenza del male e della sofferenza universale. Ricevuti anch’essi da «Chi», da «che cosa»? Perfino il male patito rende l’uomo debitore verso la fonte da cui lo riceve.
(Ma si tratta di implicazioni tutte dovute al residuo metafisico che, nonostante le intenzioni, si è detto, rimane vivo nel discorso di Arata).
Respinta ogni forma di pensiero che, volendo affermare Dio, finisce col porre se stesso come Dio, ad Arata resta la fede, del tutto consapevole della propria insuperabile problematicità. La vicinanza alla prospettiva luterana diventa notevole; nemmeno della propria fede l’uomo può essere autore. Anch’essa è un dono della «grazia»; come la speranza e la preghiera che accompagnano la fede.
Anche la preghiera del credente proviene da «altro» — e rimane enigmatico per Arata che l’«altro» sia l’«Altro». Come rimane un enigma la promessa della fede per la quale la morte conduce nell’altra vita. L’altra vita che comunque non potrà mai essere la casa di cui narravo all’inizio e dalla quale Carlo si è sempre sentito «sommamente provocato».
il Corriere della Sera | 13 Gennaio 2014

Conversando con Gino Mazzoli sul pensiero filosofico di Emanuele Severino (e altro), alla luce di un intervento di Luigi Vero Tarca, 8 gennaio 2014

Mi scrive Gino Mazzoli:

carissimo
qui trovi una critica “costruttiva” (che probabilmente conosci) alla posizione filosofica di Severino:

la trovo interessante perchè introduce una gradualità in un ragionamento (quello di Severino) che a mio avviso è troppo segnato dal “bianco o nero” che disconosce tutto ciò che si colloca nell’area della possibilità e della gradualità
ovviamente sono mie opinioni e come ti ho detto mi piacerebbe discuterne una volta con te che hai molta più competenza di me in materia
ma non si profila ancora uno spazio per farlo
spero che l’occasione si crei per cose che devo venire a fare dalla tue parti
nel frattempo un caro saluto e un augurio sincero per un 2014 per lo meno democratico…
a presto
gino

1. Risposta di Paolo Ferrario tramite un Audio (per valorizzare la fluidità dei processi di pensiero), Conversando con Gino M. sul pensiero filosofico di Emanuele Severino, alla luce di un intervento di Luigi Vero Tarca:

2. Replica di Gino Mazzoli tramite audio:

Audio in formato mp3: Mazzoli conversazione con Paolo

Allegati citati nell’audio:

DIO, nel programma Voci di filosofia, Dibattito fra GIOVANNI REALE e EMANUELE SEVERINO, coordina ARMANDO TORNO, in Fondazione Corriere della Sera, video di un’ora e 31 minuti in Corriere della Sera TV (video.corriere.it), 2010

AUDIO DELL’INTERO INCONTRO

https://drive.google.com/file/d/11C5zeZScdDUAK9Os23ID81uQeZ0zlXEO/view?usp=sharing

AUDIO DELLE SINGOLE PARTI

 

fonte informativa:

IL DESTINO DELL’ESSERE, Dialogo con (e intorno al pensiero di) Emanuele Severino, 29/30 maggio 2012, registrazioni audio

 Convegno di studi
IL DESTINO DELL’ESSERE

                                      Dialogo con (e intorno al pensiero di)
Emanuele Severino
   Aula Magna Silvio Trentin – Ca’ Dolfin  Venezia
29- 30 maggio 2012

                                   Direzione scientifica: Davide Spanio

Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali Università Ca’ Foscari Venezia
PRIN 2009 Percorsi dell’Ontologia: Linguaggio, Socialità e forme della Politica

le registrazioni audio sono qui: Scuola di filosofia per adulti

 Di seguito le registrazioni degli interventi in formato mp3 (per scaricare i files cliccare con il tasto destro sul titolo)

  

        Martedì 29 maggio 2012
 
1 Saluti e introduzione al Convegno 
Luigi Perissinotto  (Univ. Ca’ Foscari Venezia)
Luigi Ruggiu (
Coordinatore scientifico nazionale PRIN 2009)
 

 


  I sessione 
   2 Presiede – Mario Ruggenini (Univ. Ca’ Foscari Venezia)
 3 Immutabile/mutevole: l’essere nell’apparire dell’ente – Mauro Visentin 
(Univ. di Sassari)
4 
 Severino e la metafisica – Leonardo Messinese (Pontificia Università Lateranense, Roma)
II sessione
5 Presiede – 
Lucio Cortella 
(Univ. Ca’ Foscari)
   6 Nota sulle modalità dell’essere – Paolo Pagani (Univ. Ca’ Foscari)
7 
“Sentiamo e sperimentiamo di essere eterni”: Severino interprete di Spinoza – Giorgio Brianese (Ca’ Foscari)
 8 Anticipare il niente. Intorno alla lettura severiniana di Gentile – Davide Spanio (Univ. Ca’ Foscari)
9 
Intervento – Giulio Goggi
10 Intervento – 
Veniero Venier

                                                                Mercoledì 30 maggio 2012
    
III sessione
11 Presiede – Carmelo Vigna 
(Univ. Ca’ Foscari)
12 
Severino e Aristotele – Enrico Berti (Univ. degli Studi di Padova)
13 
Gli abitatori del tempo. La tecnica e la storia nel pensiero di Severino – Pietro Barcellona 
(Univ. di Catania)
14 Quesito – Riccardo Fanciullacci
15 Risposta – 
Enrico Berti

IV sessione
16 Presiede – 
Luigi Vero Tarca (Univ. Ca’ Foscari)
17
 Diritto positivo e normatività della tecnica – Natalino Irti (Università “La Sapienza” Roma)
18 
Tautà aeí. La logica dell’inerenza di E.Severino – Vincenzo Vitiello (Univ.Vita e Salute San Raffaele di Milano)

      V sessione  Dialogo con Emanuele Severino
Tavola rotonda presieduta da 
 19
 Luigi Perissinotto

                                                                 20 Emanuele Severino
21 Salvatore Natoli
22 Mario Ruggenini

23 Luigi Ruggiu
24 Carmelo Vigna
                                           25 Luigi Lentini
26 Arnaldo Petterlini
27 Emanuele Severino
28 Italo Sciuto
29 
Luigi Vero Tarca
30 Finale              

alle radici della parola CHAOS, secondo Emanuele Severino

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in Emanuele Severino, ISTITUZIONI DI FILOSOFIA (1968), Morcelliana, 2010, pag. 110

Emanuele Severino: riflessioni sulla situazione della politica italiana, ritagli da Il fatto quotidiano del 15 dicembre 2013

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LA TERRA ISOLATA DAL DESTINO, da Emanuele Severino, Adelphi, 2011, pag 180

clicca per ingrandire

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Emanuele Severino a: Le “Cattedre di Sophia”, 2013

Emanuele Severino, figura eminente del panorama filosofico italiano, ospite della prima “Cattedra di Sophia” del 2013, svoltasi il 17 maggio

vai a    AlzogliOcchiversoilCielo: Le “Cattedre di Sophia”: Emanuele Severino.

Emanuele Severino: Pietro Barcellona pensatore inquieto, Corriere della sera 6 novembre 2013


E proprio il suo ultimo libro è tutto volto a sostenere che, nonostante le differenze, il mio discorso filosofico può essere ricondotto al nichilismo e al determinismo fatalistico delle neuroscienze, ossia a quella dimensione sulla quale Cristo gli era apparso indubitabilmente vittorioso.Non è questo il luogo dove prolungare la nostra discussione. Anzi, mi è caro pensare che, con queste sue convinzioni, Pietro si fosse un po? liberato dall?inquietudine, peraltro fecondissima, che lo aveva sempre accompagnato ? mentre l?Immenso che lui non sospettava stava attendendolo; come attende ogni uomo

vai all’intero articolo pIETRO bARCELLONA PENSATORE INQUIETO.

Umberto Galimberti: “dal sistema di pensiero di Emanuele Severino o si restava fuori nella più assoluta indifferenza, o, se si entrava, se ne restava a tal punto incatenati da non non poterne più uscire” | PolSer: POLITICHE SOCIALI e SERVIZI

quanto dice Umberto Galimberti in un breve scritto contenuto in “Le parole dell’Essere” (Bruno Mondadori):

Fin da quando, nel lontano 1960, ascoltavo le lezioni di Emanuele Severino, ho avuto la sensazione immediata che da quel sistema di pensiero o si restava fuori nella più assoluta indifferenza, o, se si entrava, se ne restava a tal punto incatenati da non non poterne più uscire.”

(citazione segnalata in un messaggio di Alberto Maso)

da  Umbero Galimberti: “dal sistema di pensiero o si restava fuori nella più assoluta indifferenza, o, se si entrava, se ne restava a tal punto incatenati da non non poterne più uscire” | PolSer: POLITICHE SOCIALI e SERVIZI.

Domandiamo a Gesù se a Cesare — cioè allo Stato — si possa dare qualcosa che sia contro Dio. Risponderebbe di no!, da Emanuele Severino, SE CESARE NON E’ DALLA PARTE DI DIO, in Corriere della Sera 25 settembre 2013

Domandiamo a Gesù se a Cesare — cioè allo Stato — si possa dare qualcosa che sia contro Dio.
Risponderebbe di no! Assolutamente no!

Ciò significa che le leggi dello Stato non potranno essere contro le leggi di Dio, del Dio di Gesù, della cui verità oggi la Chiesa si ritiene depositaria.
Domandiamogli ancora se allo Stato si possono dare leggi neutrali, che cioè consentano ai cittadini sia di agire contro Dio, sia di non essergli contrari. Ancora una volta Gesù risponderebbe di no, e altrettanto risolutamente: si renderebbe lo Stato libero da Dio; si lascerebbe ai cittadini la libertà di vivere contro Dio. Con la prima risposta lo Stato sarebbe costretto a essere uno Stato cristiano (anzi cattolico); con la seconda lo si lascerebbe libero di non esserlo. Ma anche questa libertà è un modo di essere contro Dio. Quindi per Gesù le leggi dello Stato debbono essere cristiane (e cattoliche).

L’estremismo islamico che massacra i cristiani non è forse la conseguenza ultima della convinzione che nella società non si debba consentire ciò che — come le altre fedi — è contro il Dio in cui si crede? E viceversa, nel fanatismo degli amici di Cesare
(vedi rivoluzioni francese e bolscevica) non si massacrano i credenti in nome del principio che non si debba dare al loro Dio ciò che è contro Cesare?

qui tutto l’articolo di Emanuele Severino:

LEGNA E CENERE: l’apparire dell’esser sè di Emanuele Severino nella tavernetta con il camino acceso

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La legna sta bruciando. Dapprima appaiono i suoi contorni nella luce del fuoco; poi essi scompaiono e appare l’incandescenza delle braci; a sua volta, poi, questa incandescenza scompare e appare la cenere.
La legna spenta, la legna accesa, le braci, la cenere e il vento che la disperde si sono avvicendati nel cerchio luminoso dell’apparire. Al subentrare di ognuno di questi eventi, il precedente esce dall’apparire. Il cerchio dell’apparire non attesta che la legna si trasforma in cenere: appunto perché non attesta che la legna si annienta come legna. Per “trasformarsi”, o “diventare” cenere è infatti necessario che la legna si annienti come legna. Ma se l’annientamento della legna non appare, non può apparire nemmeno il suo “diventare” cenere.
All’interno di quel cerchio, la cenere non è la sorte toccata alla legna; essa non grida, ma tace la sorte della legna. In quel cerchio, la legna non diventa cenere, così come gli uomini non diventano polvere: la cenere è il successore della legna; la polvere dell’uomo. Ma l’annientamento di ciò che muore non appare.

da:

Emanuele Severino . Che significa morire?, estratto da: La strada, già pubblicato in  Amici a cui piace Emanuele Severino

LA FILOSOFIA FUTURA rivista semestrale di filosofia teoretica, presentazione di Emanuele Severino

LA FILOSOFIA FUTURA

L’espressione «filosofia futura», nel significato che le ha dato Emanuele Severino, non indica il futuro della filosofia così come si è configurata storicamente, ma la «testimonianza» dell’assoluta innegabilità dell’esser sé di ogni essente in quanto tale («destino della verità» nel linguaggio severiniano). Affermare l’assoluta innegabilitàdell’esser sé – che è tale perché la sua negazione è immediatamente autonegativa – significa affermare che ogni essente è eterno, che ogni essente è già, da sempre e per sempre.

In quanto afferma il «destino», la filosofia futura afferma il “passato originario” di ogni storia, di ogni tempo, di ogni essente.

Il destino della verità, ovvero ciò’ che noi siamo da sempre è lo stare nel cerchio di luce dove appare la terra

Il destino della verità,

ovvero ciò’ che noi siamo da sempre

è lo stare nel cerchio di luce dove appare la terra

La casa editrice Mimesis ha pubblicato ‘Téchne’, le lezioni che il filosofo Emanuele Severino ha tenuto all’Università San Raffaele

La casa editrice Mimesis ha pubblicato ‘Téchne’, le lezioni che il filosofo Emanuele Severino ha tenuto all’Università San Raffaele. Il libro, con un saggio di Nicoletta Cusano, contiene un cd per ascoltare il corso universitario che parte dalla spiegazione della filosofia greca come fondamento della civiltà occidentale e si dipana con l’approfondimento di cosa è la tecnica. Per Severino la tecnica è la forma della prassi e del pensiero dell’Occidente che pervade le ideologie dominanti.

PREZZO: €18,00 €15,30

PAGINE:70

DATA PUBBLICAZIONE: 2013

ISBN:978-88-5751-647-9

A CURA DI:Nicoletta Cusano

Emanuele Severino

TÉCHNE

CD (Emanuele Severino)
Per capire il senso ultimo del nostro tempo si deve capire il senso ultimo della «tecnica». Partendo da questa premessa, le lezioni di Emanuele Severino mostrano che la tecnica è destinata a diventare lo scopo delle forze di cui è attualmente mezzo e a dominare il nostro tempo. Si può comprendere tale «destinazione al dominio» solo se si risale alle origini greche delle tecnica, cioè a quell’affermazione filosofica della cosa come «ente» che radicalizza il senso prefilosofico della cosa quale «diventare altro». Tale radicalizzazione perfeziona ontologicamente l’isolamento della «terra» dal «de-stino» della verità. Tuttavia, come il «paradiso» della tecnica è destinato a non avere l’ultima parola, rivelandosi un «inferno» in cui la felicità realizzata è essenzialmente precaria, così anche l’isolamento è destinato a tramontare definitivamente.

Libro (Nicoletta Cusano)
Il libretto contiene tre brevi saggi. Nel primo, partendo dalla definizione di «tecnica», si analizza il rapporto tra la tecnica e le altre forze che si contendono il dominio planetario. Nel secondo la riflessione si sofferma sul rapporto mezzo-fine e spiega l’essenziale contraddittorietà dell’esser «mezzo» e dell’esser «fine» alla luce del loro fondamento ultimo: la logica contraddicentesi dell’agire. Nel terzo saggio, dopo aver mostrato che l’essenza della tecnica consiste nella posizione della necessaria superabilità di ogni contenuto del processo conoscitivo-produttivo, si riflette sulla vicinanza formale tra la «tecnica» e la «Gloria» severiniana e la si spiega come il modo alterato in cui la «verità» è presente nella «non verità».

Emanuele Severino (Brescia 1929) è tra i più profondi e originali pensatori del nostro tempo, già ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Venezia, è professore emerito della stessa Università. Dal 2002 insegna Ontologia fondamentale alla facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele. Accademico dei Lincei è autore di opere fondamentali tra le quali: La Struttura Originaria (1958),Studi di filosofia della prassi (1962), Essenza del nichilismo (1972, 1982), Destino della Necessità (1980), Oltre il linguaggio (1992),Tautòtes (1995), L’Anello del ritorno (1999), La Gloria (2001),Fondamento della contraddizione (2005), Oltrepassare (2007), La morte e la terra (2011). Per Mimesis ha pubblicato La follia dell’angelo(2006), Volontà Fede e Destino (2008), La guerra e il mortale (2010),Pòlemos (2012).

Nicoletta Cusano svolge attualmente attività di ricerca presso l’Università di Wuppertal e collabora con la cattedra di Ontologia fondamentale dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano

Emanuele Severino su INTORNO AL SENSO DEL NULLA

I l senso del vuoto, della privazione, dell’assenza sta al centro della storia dell’uomo. Il significato radicale che il «nulla» ha assunto nel pensiero filosofico accompagna come un’ombra non solo questa forma di pensiero, ma l’intera storia dell’Occidente. È la radice dominante dell’angoscia dell’uomo occidentale (che ormai è l’uomo planetario). Non solo perché il nulla è il nulla, ma anche per il carattere ambiguo di tale radice. Già Platone si accorge che pensare il nulla e parlare del nulla è pensare qualcosa e parlare di qualcosa. Come se il nemico che si ha di fronte si sdoppiasse. E ci ingannasse sulla sua identità.Da gran tempo i miei scritti hanno affrontato questo evento spaesante: da La struttura originaria (1958) a La morte e la terra (2011). Appunto a queste due opere si ricollega Intorno al senso del nulla: da un lato mostrando come l’ambiguità del nulla sia ben più profonda di quanto possa sembrare, dall’altro approfondendo le condizioni che rendono possibile la via di uscita.

tutto l’articolo qui   Oltre l’ombra paurosa del Nulla dove le cose non finiscono mai.

LA FILOSOFIA FUTURA: rivista semestrale di filosofia teoretica presieduta da Emanuele Severino, Mimesis editore

FILOSOFIA FUTURA

Rivista diretta da Nicoletta Cusano e presieduta da Emanuele Severino.

Comitato scientifico: Francesco Altea, Carlo Arata, Pietro Barcellona, Enrico Berti, Francesco Berto, Ilario Bertoletti, Remo Bodei, Giorgio Brianese, Alessandro Carrera, Hervé Cavallera, Piero Coda, Nicoletta Cusano, Massimo Donà, Michele Di Francesco, Biagio De Giovanni, Maurizio Ferraris, Umberto Galimberti, Giulio Giorello, Giulio Goggi, Thomas Hoffmann, Luca Illetterati, Natalino Irti, Romano Madera, Giacomo Marramao, Eugenio Mazzarella, Leonardo Messinese, Vincenzo Milanesi, Fabio Minazzi, Salvatore Natoli, Sebastian Neumeister, Federico Perelda, Ugo Perone, Arnaldo Petterlini, Luigi Perissinotto, Bruno Pinchard, Giovanni Reale, Umberto Regina, Mario Ruggenini, Luigi Ruggiu, Gennaro Sasso, Carlo Scilironi, Italo Sciuto, Pierangelo Sequeri, Emanuele Severino, Carlo Sini, Umberto Soncini, Davide Spanio, Luca Taddio, Andrea Tagliapietra, Luigi Vero Tarca, Ines Testoni, Francesco Totaro, Gianni Vattimo, Carmelo Vigna, Mauro Visentin, Vincenzo Vitiello.

Comitato di Redazione: Giorgio Brianese, Nicoletta Cusano, Giulio Goggi, Davide Spanio, Ines Testoni.

Per abbonarsi alla rivista: scarica il file .pdf allegato (51,2 KB)



La filosofia futura

LA FILOSOFIA FUTURA

La Filosofia Futura è una rivista semestrale di filosofia teoretica presieduta da Emanuele Severino, uno dei più importanti filosofi viventi. Il progetto nasce da un gruppo dei suoi allievi e annovera nel comitato scientifico molte voci tra le più signifi  [Dettagli…]
€16,00 €13,60

PAGINE 192

 

 

 

Armando Torno su “La filosofia futura“, rivista diretta da Nicoletta Cusano e presieduta da Emanuele Severino
Corriere della Sera, 7 luglio 2013

Filosofia futura

Emanuele Severino: LA CRISI DELL’EUROPA

“cacciare il dolore con verità”, ESCHILO, tradotto da EMANUELE SEVERINO, in IL GIOGO, alle origini della ragione: Eschilo, Adelphi, 1989

da l’Inno a Zeus, che sta al centro del primo canto intorno all’ara, nell’AGAMENNONE di Eschilo, nella traduzione di Emanuele Severino in Interpretazione e traduzione dell’Orestea di Eschilo, Rizzoli, 1985

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da Emanuele Severino, IL GIOGO, alle origini della  ragione: Eschilo, Adelphi, 1989

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Emanuele Severino a Notti d’autore, giugno 2013

Si chiude con un’intervista al grande filosofo Emanuele Severino in onda il 27 giugno 2013 alle 0.30 su Rai Radio 1, il primo ciclo di “Notti d’autore, Viaggio nella vita e nelle opere dei protagonisti del nostro tempo” il programma ideato e condotto da Luigia Sorrentino (vai al sito poesia di luigia sorrentino).
Emanuele Severino è nato a Brescia il 26 febbraio del 1929. La sua opera filosofica, vastissima, è raccolta in una sessantina di volumi. L’ultimo lavoro pubblicato nel 2013, “Intorno al senso del nulla”, ritorna ad una riflessione importante attorno alla quale ha ruotato tutto il suo pensiero filosofico, a partire dalla sua prima opera, “La struttura originaria” del 1958, fino a “La morte e la terra”, del 2011. E’ forse l’ultimo vero filosofo, perché parla una lingua incontaminata che esprime anche una certa durezza che non abbassa la fronte davanti a niente e nessuno pur di salvare il linguaggio della filosofia. Prendendo in prestito una sua espressione si può affermare che per Emanuele Severino la lingua è “come una nave porta con sé le alghe che le si sono attaccate alla chiglia.”

Audio Qui

Frasi e citazioni di Emanuele Severino

vai a   Frasi di Emanuele Severino: le migliori solo su Frasi Celebri .it.

 

… “varieranno i rimedi, ma rimarrà costante sia l’essenza del dolore, sia la volontà di trovare rimedio al dolore” … , Emanuele Severino, in IL GIOGO, alle origini della Ragione, Adelphi, 1989, pag. 385

Lungo la storia dell’Occidente varieranno i rimedi, ma rimarrà costante sia l’essenza del dolore, sia la volontà di trovare rimedio a dolore,

Emanuele Severino, in IL GIOGO, alle origini della Ragione: Eschilo, Adelphi, 1989, pag. 385

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Emanuele Severino: ognuno di noi è infinitamente di più di quel che crede solitamente di essere …

ognuno di noi è infinitamente di più di quel che crede solitamente di essere: è lo sguar­do eterno in cui eternamente appare lo splendore delle «stelle», l’eterno apparire del firmamento

Sennonché, nella luce del firmamento che noi siamo si fa innanzi questa nostra terra, la quale, sì, corrisponde all’Inferno del poeta. In­fatti, abitandola, noi ci chiudiamo in quel che per lo più crediamo di es­sere e non vediamo il firmamento che noi siamo (al di sopra del quale sta un Firmamento ancora più infinito).

Educare al pensiero o alla vita? Dibattito tra Emanuele Severino e Massimo Borghesi | Associazione culturale universitaria “Antonio Rosmini”

Educare al pensiero o alla vita? Dibattito tra Emanuele Severino e Massimo Borghesi | Associazione culturale universitaria “Antonio Rosmini”.

Emanuele Severino: la parola “FILOSOFIA”

Emanuele Severino sull’IDEA DI EUROPA, intervista di Luca Taddio, in http://www.filosofia.rai.it/

Luca Taddio intervista Emanuele Severino sull’idea di Europa, su cosa sia rimasto della cultura europea e cosa è rimasto dell’idea di Europa oggi.

vai a: Emanuele Severino – Ripensare l`Europa

Emanuele Severino, SUL SENSO DELLA VERITA’, da “Le cattedre di Sophia”, 17 maggio 2013, Auditorium di Loppiano – ore 18.00. AUDIO E VIDEO

da Le “Cattedre di Sophia”: http://www.iu-sophia.org/

Emanuele Severino

“Sul senso della verità”

17 maggio 2013

Auditorium di Loppiano – ore 18.00

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Biografia del professor Emanuele Severino

Figura eminente del panorama filosofico italiano, nasce il 26 gennaio 1929 a Brescia, si laurea a Pavia nel 1950 con Gustavo Bontadini, con una tesi su “Heidegger e la metafisica”.

L’anno successivo ottiene la libera docenza in filosofia teoretica.

Dal 1954 al 1970 insegna filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Dal 1970 è ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia dove è tra i fondatori della Facoltà di Lettere e Filosofia e direttore del Dipartimento di filosofia e teoria delle scienze fino al 1989.

Tra i suoi insegnamenti anche Logica, Storia della filosofia moderna e contemporanea e Sociologia.

Nel 2005 l’Università Ca’ Foscari di Venezia lo ha proclamato Professore emerito.

Attualmente insegna Ontologia fondamentale presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

È accademico dei Lincei e Cavaliere di Gran Croce.

Da alcuni decenni collabora con il Corriere della sera. Massimo Cacciari lo definisce “un gigante” del pensiero, l’unico filosofo che nel Novecento si possa mettere a confronto con Heidegger.

Tra le sue numerosissime opere: La struttura originaria (1957), Milano, 1981; Essenza del nichilismo, Milano, 1972; Gli abitatori del tempo, Roma, 1978; Legge e caso, Milano, 1979; Téchne. Le radici della violenza, Milano, 1979; Destino della necessità. Katà tò chreòn, Milano, 1980; La tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, 1988; Tautotes, Milano, 1995; Il destino della tecnica, Milano, 1998; La gloria, Milano, 2001; Oltrepassare, Milano, 2007; Intorno al senso del nulla, Milano, 2013.

Con il preside di Sophia, Piero Coda, ha scritto: La verità e il nulla. Il rischio della libertà, Milano, 2000; si veda anche: Massimo Donà, La libertà oltre il male. Dialoghi con Piero Coda ed Emanuele Severino, Roma, 2006.

da Le “Cattedre di Sophia”: Emanuele Severino – Istituto Universitario Sophia | Chiara Lubich | University Institute.

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Biografia del Prof. Coda Piero

Preside e Prof. ordinario di Teologia sistematica

Titoli di studio conseguiti

–  Laurea in Filosofia della Religione, nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Torino, il 7 dicembre 1978.

–  Licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Lateranense, il 28 giugno 1983.

– Dottorato in Teologia, presso la Pontificia Università Lateranense, (Summa cum laude, 90/90), il 29 ottobre 1986.

Incarichi Accademici e Scientifici

– Ha partecipato in qualità di teologo all’Assemblea ecumenica di Basilea su “Pace, giustizia e salvaguardia del creato” del 1989 e di Graz su “Riconciliazione”. Dono di Dio, sorgente di vita nuova” del 1997, e in qualità di perito all’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Europa del 1991. È stato membro del gruppo di lavoro per la redazione del Libro Sinodale del Sinodo Diocesano di Roma e relatore generale del III Convegno nazionale della Chiesa in Italia nel 1995, a Palermo;

– dal 1995 è membro del Comitato di consulenza scientifica del Progetto Culturale presso la Conferenza Episcopale Italiana;

– dal 1996 al 2000 è stato membro del Segretariato per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza Episcopale Italiana e della Commissione Teologico-Storica del Grande Giubileo del 2000;

– dal 1996 è Consultore del Pontificio Consiglio per il Dialogo tra le Religioni;

– dal 1998 al 2003 è stato Direttore dell’Area Internazionale di Ricerca Sefir (Scienza e Fede nell’Interpretazione del Reale), presso l’Università Lateranense;

– dal 2000 al 2006 ha svolto l’ufficio di Vice-decano della Facoltà di Teologia dell’Università Lateranense;

– dal 2000 è Docente stabile per l’insegnamento di Dogmatica I (Il mistero di Dio Uno e Trino) nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Ecclesia Mater” presso la Pontificia Università Lateranense;

– dal 2000 è Direttore dell’Istituto Superiore di Cultura “Sophia” del Movimento dei Focolari;

– dal 2003 è membro del Comitato scientifico della Cattedra “Gloria Crucis” presso la Pontificia Università Lateranense;

– dal 2004 è membro del Comitato scientifico per il progetto STOQ (Science, Theology and the Ontological Question);

– dal 2005 è membro del Comitato di Coordinamento per la Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa nel suo insieme;

– dal 2005 è membro del Consiglio Scientifico dell’Istituto della Enciclopedia Italiana;

– è membro del Comitato di Direzione delle riviste “PATH” della Pontificia Accademia di Teologia, “Lateranum” della Facoltà di Teologia dell’Università Lateranense, “Filosofia e Teologia”, “Nuova Umanità” e “La Sapienza della Croce”; e del comitato scientifico delle riviste “Dialoghi” (promossa dall’Azione Cattolica, in collaborazione con l’Istituto “Vittorio Bachelet” e l’Istituto “Paolo VI”), “Teologia” (Madrid), “Rivista Teologica di Lugano” (Lugano), “Soter” (della Facoltà Teologica dell’Università Vytautas Magnus a Kaunas, Lituania), “Il Pensiero. Rivista di filosofia” (Napoli); dell’International Advisory Board della rivista “Irish Theological Quarterly”;

– è membro del Consiglio scientifico dell’Associazione Centro Studi Piero Rossano; del Consiglio Scientifico dell’Istituto “Veritatis Splendor” della Diocesi di Bologna e del Centro Studi e della Scuola Abbà del Movimento dei Focolari;

– dirige le collane: “Teologia”, “Contributi di Teologia” e “Universitas” presso Città Nuova, “Scrittori di Dio” (con E. Guerriero) presso la San Paolo, “Koinonia” (con A. Giordano) presso Pazzini, “Saggi di Cristologia” (con C. Pagazzi e A. Cozzi) presso Cittadella Editrice.

“Epistéme” per Emanuele Severino

“il sapere che si impone sul diventare altro”

Emanuele Severino

biografia filosofica di Emanuele Severino, da Istituto Universitario Sophia

Figura eminente del panorama filosofico italiano, nasce il 26 gennaio 1929 a Brescia, si laurea a Pavia nel 1950 con Gustavo Bontadini, con una tesi su “Heidegger e la metafisica”.

L’anno successivo ottiene la libera docenza in filosofia teoretica.

Dal 1954 al 1970 insegna filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Dal 1970 è ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia dove è tra i fondatori della Facoltà di Lettere e Filosofia e direttore del Dipartimento di filosofia e teoria delle scienze fino al 1989.

Tra i suoi insegnamenti anche Logica, Storia della filosofia moderna e contemporanea e Sociologia.

Nel 2005 l’Università Ca’ Foscari di Venezia lo ha proclamato Professore emerito.

Attualmente insegna Ontologia fondamentale presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

È accademico dei Lincei e Cavaliere di Gran Croce.

Da alcuni decenni collabora con il Corriere della sera. Massimo Cacciari lo definisce “un gigante” del pensiero, l’unico filosofo che nel Novecento si possa mettere a confronto con Heidegger.

Tra le sue numerosissime opere: La struttura originaria (1957), Milano, 1981; Essenza del nichilismo, Milano, 1972; Gli abitatori del tempo, Roma, 1978; Legge e caso, Milano, 1979; Téchne. Le radici della violenza, Milano, 1979; Destino della necessità. Katà tò chreòn, Milano, 1980; La tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, 1988; Tautotes, Milano, 1995; Il destino della tecnica, Milano, 1998; La gloria, Milano, 2001; Oltrepassare, Milano, 2007; Intorno al senso del nulla, Milano, 2013.

Con il preside di Sophia, Piero Coda, ha scritto: La verità e il nulla. Il rischio della libertà, Milano, 2000; si veda anche: Massimo Donà, La libertà oltre il male. Dialoghi con Piero Coda ed Emanuele Severino, Roma, 2006.

da Le “Cattedre di Sophia”: Emanuele Severino – Istituto Universitario Sophia | Chiara Lubich | University Institute.

Emanuele Severino, COSE PRIME, Modena 2012

Gianfranco Cordì. Emanuele Severino e il fraintendimento del senso del nulla 10 Maggio 2013, in TELLUS folio

La riflessione di Severino può dirsi a questo punto conclusa. 

Intorno al senso del nulla (attraverso anche Parmenide, Platone, Hegel ed Heidegger) il filosofo di Brescia ci ha portati ad intravedere il gioco di una mancanza. Il mondo della vita è assente nella terra isolata. C’è solo il nulla, per il nichilismo.

La verità sta in un cerchio molto più largo e generale. La verità sta sullo «sfondo». C’è un «contesto» che deve essere valutato e considerato. Non si può prescindere dalla vastità.

TUTTO L’ARTICOLO QUI   TELLUS folio.

le mani ragionanti di Emanuele Severino

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Festa della filosofia con Severino, Garbagnate, 4 maggio 2013

 

vai a   Festa della filosofia con Severino, Garbagnate, 4 maggio 2013.

Emanuele Severino: “credo di più e più spesso nelle cose in cui comunemente si crede, … ma … “, da INTORNO AL SENSO DEL NULLA, Adelphi, 2013, pag 210-211

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Franco Ricordi, SHAKESPEARE FILOSOFO DELL’ESSERE, presentato da Luca Taddio e Giuseppe Bevilacqua

TADDIOda http://www.losguardo.net/public/archivio/num4/articoli/2010-04.%20Sergio%20Sabbatini_Lacan_e_antropologia_il_problema_del_simbolo.pdf

 

nella terra isolata, la “cosa” è la madre di tutte le guerre, Emanuele Severino

nella terra isolata, la “cosa” è la madre di tutte le guerre

da  Modifica articolo ‹ Antologia del Tempo che resta — WordPress.

la parola COSA. in relazione all’ultimo libro: Emanuele Severino, INTORNO AL SENSO DEL NULLA, Adelphi, 2013

Gran parte delle parole che nelle lingue indoeuropee indicano la «cosa» alludono più o meno direttamente ai beni, alle ricchezze, a ciò che serve e si adopera, a ciò di cui si ha bisogno, ai valori, al bestiame, all’affare, a ciò che è pregiato, alla sostanza e al patrimonio. Qui ci si limiti a richiamare il latino res, il greco prâgma, chrêma, il tedesco Ding (inglese thing) e Sache.
Perfino lo spettro semantico del participio greco tà ónta (gli essenti, le cose che sono) include le sostanze e i beni, e anche il participio ousía nomina la sostanza intesa come patrimonio. Significati che precedono quelli che a queste stesse parole il pensiero filosofico ha in seguito assegnato.
Ma è rilevante che quei più antichi significati della «cosa» implichino, a volte in modo del tutto esplicito, che il loro contenuto sia tutt’altro che indifferente alle singole volontà, le quali invece se li disputano anche in tempo di pace. Quei significati implicano cioè una situazione conflittuale e il luogo in cui essa viene discussa, che vengono in luce, ad esempio, in Ding, thing, che significano anche «causa», «tribunale», «parlamento», «assemblea», «verdetto, «processo».
La stessa parola «cosa» proviene dal latino «causa», intesa sia come matrice e principio del diventar altro (dynamis eis tò patheîn e dynamis eis tò poieîn), sia in senso giuridico, come motivazione del diritto al possesso di ciò che è conteso tra volontà differenti.

Che la parola «cosa» significhi questa conflittualità, mostrata nelle antiche formazioni linguistiche della terra isolata è una figura che rinvia alla conflittualità originaria, dove la «cosa» è la risultante della lotta tra la volontà e l’Inflessibile, ossia è la forma originaria (quindi preontologica) del diventar altro.

Dicendo che Pólemos è il padre di tutte le cose e che quindi ogni cosa è lotta, conflitto, Eraclito dice già implicitamente che il conflitto è il significato originario dell’esser «cosa» — sì che, come altre volte ho rilevato, si può dire che, nella terra isolata, la cosa è la madre di tutte le guerre.

da http://archiviostorico.corriere.it/2013/aprile/17/Oltre_ombra_paurosa_del_Nulla_co_0_20130417_eaa2616a-a720-11e2-8df1-aa298bd24180.shtml

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Adriano Fabris sul tema LA QUESTIONE DELLA COSA:

CAPITALISMO SENZA FUTURO – Filosofia ed economia Emanuele Severino con Giuseppe Girgenti, Polo Culturale Insieme Groane – PENSARE IL PIANETA: INAUGURAZIONE FESTA DELLA FILOSOFIA, 4 maggio 2013

Sabato, 4 Maggio 2013
L’Associazione AlboVersorio presenta LA FESTA DELLA FILOSOFIA – 4′ edizione 2013
Tema: Pensare il pianeta
– ore 20.15
INAGURAZIONE CON LE AUTORITA’
– ore 20.30
CAPITALISMO SENZA FUTURO – Filosofia ed economia Emanuele Severino con Giuseppe Girgenti
– ore 21.30
CONCERTO D’ARPA con Federica Sainaghi
– Progetto fotografico in mostra, di Sissi Roselli (4 maggio – 9 giugno)Giuseppe Girgenti
Insegna alla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È segretario delle collane di filosofia “Il Pensiero occidentale”, “Testi a fronte” e “InPrincipio”. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Introduzione a Porfirio, Il pensiero forte di Porfirio e Giustino martire.

Emanuele Severino

Emanuele Severino nasce nel 1929 a Brescia, si laurea a Pavia nel 1950 con una tesi straordinaria su ” Heidegger e la metafisica “. Ottiene la libera docenza in filosofia teoretica nel 1951. Dopo un periodo di insegnamento come incaricato all’Università Cattolica di Milano, nel 1962 diventa ordinario di Filosofia morale presso la stessa Università. Nel 1964 sconvolge il dibattito teoretico con il saggio ” Ritornare a Parmenide “. Dal 1970 è ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università di Venezia dove è stato direttore del Dipartimento di filosofia e teoria delle scienze fino al 1989. E’ accademico dei Lincei.

Eventi 2013
Pensare il Pianeta

VAI AL PROGRAMMA LA FESTA DELLA FILOSOFIA – 4′ edizione 2013

 Polo Culturale Insieme Groane – PENSARE IL PIANETA: INAUGURAZIONE FESTA DELLA FILOSOFIA.

Emanuele Severino sulla connessione fra l’età del rame e il senso del SACRO

una cronaca del dibattito:

http://www.bresciaoggi.it/stories/Home/493382_monari-severino_il_sensodel_sacro_unisce_e_divide/

INTERVISTA A EMANUELE SEVERINO IL FILOSOFO E LA MUSICA di Renzo Baldo, in http://www.filarmonicacapitanio.it/articolo%20N19P1.htm

…………………..

Oggi che impressione le fa a riguardare le sue composizioni?
Troppo “piene”, manca il “silenzio”. Mi divertivo molto, troppo, a combinare suoni, ritmi e timbri. D’altra parte, ripensandoci ora, ero proprio immerso, avevo proprio assimilato una delle caratteristiche della cosiddetta musica moderna, l’assenza o, quanto meno, l’annebbiarsi della Stimmung (N.d.r.: si può tradurre con “sensibilità”, “atmosfera”, “stato d’animo”).

A questo punto mi consenta, allora, di chiederLe più specificatamente il suo parere sulla musica d’oggi. Non senza prima ricordarLe alcune frasi che si trovano in un suo scritto, dove si legge che oggi “la scissione fra musica e società è netta”, che “i musicologi, quando fanno seriamente il loro mestiere, sono meno comprensibili dei matematici”, e ancora, che “la musica contemporanea, non solo per il popolo, è un enigma”.
La musica contemporanea è un fenomeno che si sviluppa in modo conseguente col fenomeno che massimamente caratterizza il nostro tempo: la distruzione di strutture eterne. Si prende congedo dall’eterno, dall’immutabile, da ogni possibile apriori. Per fare delle analogie: la critica marxiana dell’economia politica, le geometrie non-euclidee, la “crisi” del sapere scientifico di tipo positivista etc.

Nel campo della musica, secondo Lei, quando ha avuto inizio questo fenomeno?

Direi da Beethoven, il quale non ne aveva consapevolezza, anzi riteneva di dominare la tradizione. Il fenomeno si fa macroscopico in Wagner (aveva perfettamente ragione Thomas Mann quando affermava che il Tristano è, contemporaneamente,opus metaphisicum maximum e decadente consolazione per i decadenti) per raggiungere piena consapevolezza, essere teorizzato, nel nostro secolo. La dodecafonia costituisce il volto più coerente di questa consapevolezza: la negazione di ogni apriori immutabile, la negazione dell’apriori armonico-tonale.

segue

tutta l’intervista è qui  Articolo N19P1.

Umberto Galimberti sul SACRO

audio di Umberto Galimberti sul SACRO:

alle origini della parola FESTA, a partire da una lezione di Emanuele Severino

Sono partito da questo estratto da una lezione di Emanuele Severino sulla parola FESTA:

Il dizionario etimologico dice “giorno di riposo“, dal latino FESTUS, alla cui radice sentiamo FES

Ma Severino ci indica di ricercare “gruppi di significati”.

Seguiamoli.

1. le radici DHE o anche DHES che portano a “luce”

Emile Benveniste nel suo VOCABOLARIO DELLE ISTITUZIONI INDOEUROPEE (Einaudi 1976, prima edizione francese 1969) ritiene che le radici originarie indoeuropee siano:

DHA (S) e BHAS

che rimandano alla “luce divina”

benvenistedhe221

Franco Rendich ci dice che la consonante d significava “luce” e che

dalla radice di

da intendere come “moto continuo” [i] della luce [d],

derivò il corrispondente sanscrito di, didyati “brillare”, “splendere)

DHA significava “portare il fuoco”

benvenis2223

“parola divina” rappresentano lo stesso evento mistico anche secondo la Qabbalah ebraica”

Le sequenze di significati trovati da Rendich sono:

dal sanscrito BHAS, “splendere, essere luminoso”

al greco PHAS, da cui PHAOS, “luce”

al latino FAS, che “mostra la luce” e che porta a FESTUS 

bhas224

dha225

2. Ancora sulla radice DHA che attraverso DHE,  arriva a  felix, felice

Secondo Rendich (ripreso da Severino)

DHA è anche “che porta energia”,  “poppare”,  “succhiare”

DHA diventa DHE

poi THE in greco

da cui il greco Thele, “capezzolo”, “mammella”

fino al latino fe, che porta a  felix, “che ha avuto un buon rapporto con il seno materno”, “felice”

thele226

3. arrivando a  THEORIA

Il sanscrito DHI diventa in greco THE che dà origine a parole come:

THEOS

theOS228

THESPHATOS, “enunciato da un dio”, “fissato da una decisione divina”, “stabilito dagli dei”

THEORIA, come “contemplazione, meditazione” e, nella lezione di severino, “contemplazione festiva”

theoria227

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Bibliografia:

alle origini della parola FESTA, partendo da Emanuele Severino e passando attraverso Emile Benveniste, Franco Rendich, Giovanni Semerano

Sono partito da questo estratto da una lezione di Emanuele Severino sulla parola FESTA:

Il dizionario etimologico dice “giorno di riposo“, dal latino FESTUS, alla cui radice sentiamo FES

Ma Severino ci indica di ricercare “gruppi di significati”.

Seguiamoli.

1. le radici DHE o anche DHES che portano a “luce”

Emile Benveniste nel suo VOCABOLARIO DELLE ISTITUZIONI INDOEUROPEE (Einaudi 1976, prima edizione francese 1969) ritiene che le radici originarie indoeuropee siano:

DHA (S) e BHAS

che rimandano alla “luce divina”

benvenistedhe221

Franco Rendich ci dice che la consonante d significava “luce” e che

dalla radice di

da intendere come “moto continuo” [i] della luce [d],

derivò il corrispondente sanscrito di, didyati “brillare”, “splendere)

DHA significava “portare il fuoco”

benvenis2223

“parola divina” rappresentano lo stesso evento mistico anche secondo la Qabbalah ebraica”

Le sequenze di significati trovati da Rendich sono:

dal sanscrito BHAS, “splendere, essere luminoso”

al greco PHAS, da cui PHAOS, “luce”

al latino FAS, che “mostra la luce” e che porta a FESTUS 

bhas224

dha225

2. Ancora sulla radice DHA che attraverso DHE,  arriva a  felix, felice

Secondo Rendich (ripreso da Severino)

DHA è anche “che porta energia”,  “poppare”,  “succhiare”

DHA diventa DHE

poi THE in greco

da cui il greco Thele, “capezzolo”, “mammella”

fino al latino fe, che porta a  felix, “che ha avuto un buon rapporto con il seno materno”, “felice”

thele226

3. arrivando a  THEORIA

Il sanscrito DHI diventa in greco THE che dà origine a parole come:

THEOS

theOS228

THESPHATOS, “enunciato da un dio”, “fissato da una decisione divina”, “stabilito dagli dei”

THEORIA, come “contemplazione, meditazione” e, nella lezione di severino, “contemplazione festiva”

theoria227

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Bibliografia:

Emanuele Severino: religioni e tecnica

Penso che tutte le religioni debbano fare i conti con la tecnica. La tecnica oggi è la forza vincente, è la fede vincente, è quella che convince tutti, perché fa vedere in concreto quello che la religione promette. Oggi non è più la “fede che muove le montagne”, oggi è la tecnica che muove le montagne. Però è singolare il fatto che la fede religiosa e la tecnica si esprimano con lo stesso cifrario, per cui la validità di entrambe consiste nella capacità di muovere le montagne. Cioè, sia la razionalità scientifico-tecnologica, sia la fede, hanno quella forma di volontà di potenza che stravolge, per esempio, il significato di quel bellissimo quadro di Duhrer, dove c’è l’innocenza di Gesù contrapposta alla violenza, alla dissacrazione. Oggi tutti i volti hanno la fisionomia della volontà di potenza. Anche il volto di quella che è stata chiamata la Chiesa dei Santi. Lì c’è Gesù che rappresenta la Chiesa dei Santi, e attorno ci sono i Sapienti, che possono rappresentare la razionalità laica oppure la Chiesa di Pietra. Oggi sta venendo alla luce che sia la fede religiosa, sia la fede della razionalità moderna, è volontà di potenza, capacità di muovere le montagne. Rispetto ai satelliti, rispetto alla dominazione planetaria, salvare in eterno l’anima è un atto di superpotenza.

da   Emanuele Severino: La filosofia e la fede.

Emanuele Severino: La filosofia e la fede

vai a  Emanuele Severino: La filosofia e la fede.

Emanuele Severino, La fantasia e la terra, Modena 2008

ascolta la lezione cliccando qui   mp34.gif  

oppure scarica il file mp3 da qui: http://aulevirt.files.wordpress.com/2013/12/severino-fantasia.mp3

DA  Emanuele Severino.

Emanuele Severino: “la bellezza appartiene alla categoria del rimedio, l’ultimo rifugio della natura, è tutto ciò che resta dopo che la stessa civiltà della tecnica avrà fallito”

“Più volte ho insistito sul carattere tecnico della parola ars, che costituisce il rimedio; la radice ar- allude sempre al carattere di strumento salvifico; però la bellezza appartiene alla categoria del rimedio, l’ultimo rifugio della natura, è tutto ciò che resta dopo che la stessa civiltà della tecnica avrà fallito.”
Emanuele Severino “Del Bello” Mimesis edizioni, 2011, pag. 22

Emanuele Severino su Tecnica e capitalismo

[youtube http://youtu.be/RRSzEg-nBQ4]

audio breve: https://antemp.com/wp-content/uploads/2013/03/intervista-milania-tecnica-capit.mp3

audio 33 minuti: https://antemp.com/wp-content/uploads/2013/03/societc3a0-della-tecnica-e-tramonto-del-capitalismo.mp3

A lezione da Emanuele Severino: Pòlemos, Mimesis editore

corso per intero tenuto da Severino all’Università Vita-Salute San Raffele, dove dal 2002 insegna Ontologia Fondamentale

Albert Einstein con Emanuele Severino

uomini che hanno una fiducia incommensurabile dell’uomo e credono nelle possibilità illimitate degli stessi

vai all’intero articolo   Albert Einstein con Emanuele Severino.

Emanuele Severino, Nella nobile rinuncia di Benedetto il grande turbamento della fede, da Corriere della Sera 19 febbraio 2013

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Emanuele Severino, APPARENZA, REALTA’ E L’ISOLAMENTO DELLA TERRA, rassegna “Abitatori del Tempo”, Monza, 8 febbraio 2013. Audio e Video della lezione

E’ affidata ad Emanuele Severino – filosofo tra i più noti in Italia ed intellettuale pubblico – l’apertura della nona edizione della rassegna “Abitatori del Tempo“, il ciclo itinerante di incontri con i più grandi filosofi e pensatori contemporanei, tutti dedicati alla riflessione sull’oggi, per offrire “una maggiore consapevolezza del tempo che abitiamo”

abitatori2013103

Intitolata quest’anno al tema “Apparenza e Realtà” la rassegna

si aprirà venerdì 8 febbraio 2013 al teatro Manzoni di Monza – ore 21, ingresso gratuito –

con l’ intervento del prof. Emanuele Severino dal titolo “L’isolamento della terra” 

da   Monza e Brianza


  • Audio della presentazione:
  • Audio della Lezione magistrale di Emanuele Severino:
  • Audio della risposta su Parmenide

Lezione magistrale, prima ora:

gli ultimi 20 minuti della lezione:


Associo ai contenuti della lezione questa pagina tratta da Emanuele Severino, LA MORTE E LA TERRA, Adelphi, 2011, pag. 188- 189

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Un ricordo della serata in fotografia:

il professor Fabio Botto, l’amico dottore in scienze pedagogiche Maurizio Fratea e il professor Emanuele Severino

severino-fratea-botto


caro maurizio
anche per me ieri sera è stato un grande piacere incontrarti
questa fotografia è BELLISSIMA !!!mi spiace di essere andato via alle 11 e 10, ma avevo un treno alle 11 e 25. comunque è stato un ritorno pieno di pensieri legati alla lezione (realtà , apparenza, terra, verità, uomo, pensiero arcaico, miti, presente,  passato, scienza ….)
ho perso l’occasione di essere immortalato in una fotografia con emanuele severino!
tuttavia questa vostra fotografia “fa memoria” ancora di più. ci sei tu, con il tuo coraggio e la tua forza di “essente”, c’è il tuo amico che fa con tanta passione il suo lavoro culturale  e c’è questo straordinario interprete filosofico della nostra appartenenza alla “terra isolata dal destino”.
oggi metto sul mio blog filosofico video e audio della lezione di ieri sera e ti darò qualche suggerimento su come accostare la architettura del pensiero severiniano
mi autorizzi a pubblicare anche questa “eterna” fotografia?
un caro saluto
e a rileggerci

Paolo


PROGRAMMA degli incontri

EMANUELE SEVERINO – L’ISOLAMENTO DELLA TERRA

Venerdì 8 febbraio 2013
Monza – Teatro Manzoni
Via Manzoni, 23

Filosofo tra i più noti in Italia, intellettuale pubblico, a partire dai saggi giovanili è venuto articolando un organico sistema filosofico che muovendo dalla riflessione su temi come l’essere, il divenire e il nulla, fornisce un’analisi di fenomeni quali la natura della tecnica, il nichilismo, la fede religiosa.

MICHELE LENOCI – REALTÀ, APPARIRE, APPARENZA, PARVENZA: IL MONDO È FORSE UN SOGNO COERENTE?

Giovedì 14 febbraio 2013
Cesano Maderno – Teatro Excelsior
Via San Carlo, 20

Professore ordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Ontologia e metafisica e Storia della filosofia contemporanea. Sue pubblicazioni più recenti: “Le filosofie cristiane”, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani 2012, “Il materiale e il formale nell’etica: Scheler vs. Kant”, Guida 2011, “Si può amare la verità?”, Mimesis 2011.

MASSIMO CACCIARI – LA REALTÀ E I NOMI DEI MORTALI

Lunedì 25 febbraio 2013
Monza – Teatro Manzoni
Via Manzoni, 23

Filosofo, uomo politico, intellettuale pubblico, ha sviluppato, a partire da figure di riferimento quali Nietzsche e Heidegger, un percorso filosofico che ha tra i suoi motivi principali i temi del pensiero negativo e del tragico.

GIULIO GIORELLO – FILOSOFI E FANTASMI

Lunedì 4 marzo 2013
Lissone – Palazzo Terragni
Piazza Libertà

Filosofo, matematico, intellettuale pubblico, la sua riflessione ha al suo centro l&rsquointreccio tra impresa scientifica e pensiero libertario.

FRANCESCO BOTTURI – FILOSOFIA DELL’AMORE APPARENTE

Venerdì 8 marzo 2013
Giussano – Sala Consiliare
Piazzale Aldo Moro, 1

Professore ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Etica e Filosofia morale. Sue pubblicazioni più recenti: “Experience: Reason and Faith”, Peter Lang 2012, “Affettività e generatività”, il Mulino 2011, “La generazione del bene. Gratuità ed esperienza morale”, Vita e Pensiero 2009.

CLOTILDE CALABI – CHE COSA È UN’ILLUSIONE PERCETTIVA?

Venerdì 15 marzo 2013
Vimercate – Centro Omnicomprensivo
Via Adda, 6

Professore associato di Filosofia e teoria dei linguaggi presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell&rsquoUniversità degli Studi di Milano, dove insegna Teorie del linguaggio e della mente. Suoi campi di ricerca: filosofia della percezione, teorie dell’intenzionalità, filosofia dell’azione. E’ autrice di numerosi articoli su riviste internazionali; tra le sue pubblicazioni: con A. Voltolini, “I problemi dell’intenzionalità”, Einaudi 2009 e “Filosofia della percezione”, Laterza 2009.

ELIO FRANZINI – ARTE TRA APPARENZA E REALTÀ?

Venerdì 5 aprile 2013
Arcore – Teatro Nuovo
Via S. Gregorio, 25

Studioso di estetica, ha condotto le sue ricerche ispirandosi alla tradizione della fenomenologia e concentrando la sua attenzione soprattutto sul ruolo dell’immaginazione e del sentimento nell’esperienza dell’arte.

ANDREA MORO – L’EFFETTO “BABELE”. CERVELLI E GRAMMATICHE

Venerdì 12 aprile 2013
Villasanta – Teatro Astrolabio
Via Mameli, 8

Professore ordinario di Linguistica generale presso la Scuola Superiore Universitaria ad Ordinamento Speciale IUSS di Pavia dove dirige il NeTS, centro di ricerca per la Neurosintassi e la linguistica teorica e il dottorato in Neuroscienze cognitive e filosofia della mente. Oltre a molti importanti studi internazionali, è autore di: “Parlo dunque sono”, Adelphi 2012, “Breve storia del verbo essere”, Adelphi 2010, “I confini di Babele”, Longanesi 2006.

ROBERTO MORDACCI – LA LIBERTÀ NON APPARE

Lunedì 15 aprile 2013
Desio – Auditorium Liceo Scientifico E. Majorana
Via Agnesi, 20

Filosofo morale, si è occupato di questioni di bioetica e dei fondamenti della filosofia pratica, in particolare attraverso i due temi delle ragioni morali e dell&rsquoidentità personale.


Conduce gli incontri
FABIO BOTTO
Insegna scienze umane al Liceo “Legnani” di Saronno. È dottorando in Scienze dell’Educazione presso l’Università di Milano-Bicocca. Si occupa del rapporto tra nichilismo e rimozione del pensiero simbolico. Tra le sue pubblicazioni: Da Yahwèh ai Fantastici Quattro, Atì, 2008; Madre della filosofia, vol. I, Nichilismo e immaginazione, Mimesis, 2005.

 

I viventi e l’ambiente. Ossia gli essenti sulla Terra isolata da Destino

Ogni uomo è l’apparire eterno degli eterni. Un cerchio in cui è destinato a sopraggiungere quell’eterno che è la Terra, Emanuele Severino

Ascolta l’audio: http://www.divshare.com/download/13657984-da1

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da Siamo re che si credono mendicanti, in Che cosa vuol dire morire, a cura di Daniela Monti, Einaudi, 2010, p. 139

Cusano, Nicoletta, Capire Severino. La risoluzione dell’aporetica del nulla, da Recensioni filosofiche

Monza, nona edizione della rassegna filosofica ABITATORI DEL TEMPO. Tema: “Apparenza e Realtà”

Torna la seguitissima rassegna filosofica voluta da Rosanna Lissoni

Torna la seguitissima rassegna filosofica voluta da Rosanna Lissoni

Si aprirà venerdì 8 febbraio 2013 al teatro Manzoni di Monza la nona edizione della rassegna “Abitatori del tempo”, un ciclo itinerante di incontri dedicati alla riflessione sull’oggi, con la partecipazione dei più grandi filosofi e pensatori contemporanei.

La rassegna sarà introdotta da un intervento del filosofo e scrittore Emanuele Severino, docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e autore del libro “Abitatori del tempo”, che darà il via alla serie di appuntamenti destinati a diffondere  “una maggiore consapevolezza del tempo che abitiamo”. Si deve proprio ad un’intuizione della ex-allieva di Emanuele Severino – divenuta poi professoressa di filosofia al liceo classico Zucchi – Rosanna Lissoni, la nascita della Rassegna, che ha saputo offrire nel corso degli anni  uno sguardo sui grandi temi del presente e sulle questioni più vere e autentiche della dimensione umana.

L’edizione 2013 prevede un ciclo di 9 appuntamenti che termineranno il 15 aprile e saranno interamente dedicati al rapporto tra “Apparenza e Realtà“, con la direzione scientifica del preside della facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, prof. Michele Di Francesco, e la presentazione dei singoli incontri da parte del prof. Fabio Botto.

Protagonisti saranno i maggiori pensatori ed esponenti del pensiero filosofico contemporaneo in Italia: oltre ad Emanuele Severino, si avvicenderanno nelle varie location Michele Lenoci, Massimo Cacciari, Giulio Giorello, Francesco Botturi, Clotilde Calabi, Elio Franzini, Andrea Moro e Roberto Mordacci.

Rassegna seguita in modo particolare – l’edizione 2012 ha fatto registrare 4mila presenze –  si svolge in collaborazione con i comuni di Monza, Cesano Maderno, Lissone, Giussano, Vimercate, Arcore, Villasanta e, per la prima volta, Desio. Sono coinvolti anche prestigiosi atenei lombardi, dall’Università Statale di Milano all’Università Vita Salute San Raffaele, dall’Università Cattolica alla Scuola Superiore Universitaria IUSS di Pavia.

Tutti gli incontri avranno inizio alle ore 21.00, con ingresso libero fino ad esaurimento posti.

Il Calendario degli incontri 2013 – “Apparenza e Realtà”

8 FEBBRAIO 2013 – MONZA – TEATRO MANZONI – VIA MANZONI, 23
EMANUELE SEVERINO: “L’isolamento della terra”

14 FEBBRAIO 2013 – CESANO MADERNO – TEATRO EXCELSIOR
MICHELE LENOCI (PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA): “Realtà, apparire, apparenza, parvenza: il mondo è forse un sogno coerente?”

25 FEBBRAIO 2013 – MONZA – TEATRO MANZONI
MASSIMO CACCIARI: “La realtà e i nomi dei mortali”

4 MARZO 2013 – LISSONE – PALAZZO TERRAGNI –  PIAZZA LIBERTÀ
GIULIO GIORELLO: “Filosofi e fantasmi”.

8 MARZO 2013 -GIUSSANO – SALA CONSILIARE –  PIAZZALE ALDO MORO, 1
FRANCESCO BOTTURI (PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA):  “Filosofia dell’amore apparente”

15 MARZO 2013 – VIMERCATE – CENTRO OMNICOMPRENSIVO – VIA ADDA, 6
CLOTILDE CALABI (PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA): “Che cosa è un’illusione percettiva?”

5 APRILE 2013 – ARCORE – TEATRO NUOVO – VIA S. GREGORIO, 25
ELIO  FRANZINI: “Arte tra apparenza e realtà?”

12 APRILE 2013 – VILLASANTA –TEATRO ASTROLABIO – VIA MAMELI, 8
ANDREA MORO (PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA): “L’effetto “Babele”. Cervelli e grammatiche”

15 APRILE 2013 – DESIO – AUDITORIUM LICEO SCIENTIFICO E. MAJORANA – VIA AGNESI

ROBERTO MORDACCI: “La libertà non appare”

da Abitatori del Tempo: torna la seguitissima rassegna di filosofia tra “Apparenza e Realtà” Eventi a Monza.

Elémire ZOLLA, Che cos’è la Tradizione? – Storia della Filosofia l AM

vai a Che cos’è la Tradizione? – Storia della Filosofia l AM.

Emanuele Severino sull’attualità di Giambattista Vico – in Corriere della Sera 04.01.2013

vai a   Emanuele Severino sull’attualità di Giambattista Vico – Corriere Della Sera 04.01.2013.

Emanuele Severino, intervista a Lettera 43. Nessuno dà la giusta attenzione a ciò che sta succedendo veramente: La distruzione non solo del capitalismo, ma di tutte le ideologie del nostro tempo

severino

Da tempo si dà per scontato, ormai anche a sinistra, che l’unico tipo di organizzazione sociale sia quella capitalista.
D. Marx si starà rivoltando nella tomba…
R.
 Oggi la sinistra italiana si vanta di ispirarsi al modello democratico americano. Nessuno dà la giusta attenzione a ciò che sta succedendo veramente.
D. Cioè?
R.
 La distruzione non solo del capitalismo, ma di tutte le ideologie del nostro tempo.
D. Perché stanno scomparendo?
R.
 Ognuna di queste forze vuole escludere le altre. E questo le rende meno potenti rispetto alla tecnica, che invece  cerca di incrementare all’infinito la capacità di realizzare i suoi obiettivi, aumentando così la potenza a disposizione dell’uomo.
D. Quindi la fine del capitalismo non sarà la fine del mondo?
R.
 Che il capitalismo vada in malora non è un esito negativo, perché questo mette a disposizione dell’uomo quelle potenzialità che nella civiltà occidentale il dominio delle ideologie ha tenuto a freno.
D. Può spiegarlo meglio?

R. La tecnica vuole essere aumento della potenza e mira quindi alla eliminazione della scarsità. Scopo questo del capitalismo, che vuole perpetrare la carenza delle merci. Il capitalismo quindi si serve di un servitore, la tecnica, che lavora contro gli interessi del padrone.

tutta l’intervista qui   Severino: capitalismo senza futuro – ECONOMIA.

Antonio Saccà: Emanuele Severino ha dedicato gran parte della sua esistenza al capitalismo, e allo studio del capitalismo

Per Severino l’Occidente ha un destino, il destino dell’Occidente è quello di scadere nella volontà di potenza, privandosi di concezioni di ben diversa consistenza e validità. La volontà di potenza caratterizza l’Occidente, perché l’Occidente è in balia del «divenire». Il divenire è, in Severino, il sottrarsi continuo delle cose a se stesse, un essere e non essere contemporaneamente, un venire dal niente e andare verso il niente, esso contiene l’antitesi insormontabile, ritenere l’essere idoneo a morire. Cosa da folli: come può l’essere non essere! Il peccato originale dell’Occidente, è considerare che la realtà diviene e muore. Che rapporto ha questa convinzione di Severino con il capitalismo? L’Occidente è passato da una visione della società in cui era la filosofia a guidare la politica, ad una situazione in cui era l’economia a guidare la politica, ad una fase in cui è la tecnocrazia a guidare la politica. 

da   Il Tempo – Spettacoli – di Antonio Saccà Emanuele Severino ha dedicato gran parte della sua esistenza al capitalismo, e allo studio del capitalismo..

Emanuele Severino: capitalismo senza futuro – intervista di Antonietta Demurtas, Lettera 43, 28 dicembre 2012

vai a:

Severino: capitalismo senza futuro – ECONOMIA.

Emanuele Severino, Perché il divenire è un eterno errore – Corriere.it 18 dicembre 2012

 Chiedo a de Giovanni di indicarmi, per uscire dalla supposta monocromia, da un lato un solo punto, nella storia dell’uomo, dove non si creda nell’esistenza della trasformazione delle cose – almeno di quelle mondane, e dall’altro lato un solo errore che non presupponga questa fede. Poi, se vorrà, potremo discutere il punto decisivo, ossia i motivi per i quali affermo che tale fede, nonostante la sua apparente plausibilità ed «evidenza» è l’Errore più profondo a cui l’uomo è stato destinato (ma dal quale l’Inconscio più profondo dell’uomo è già da sempre libero).

tutto l’articolo qui   Perché il divenire è un eterno errore – Corriere.it.

TECNICA, MORTE, GIOIA, Alessandro Aleotti intervista Emanuele Severino, a cura del sito di Milania

a partire dal libro:

Emanuele Severino, LA MORTE E LA TERRA, Adelphi, 2011, p. 560

vai al sito di Milania

Emanuele Severino, la scienza e il rimedio secondo Prismi – Pensieri filosofici

 

secondo Severino, tutti i rimedi tentati fin qui, incluso quello tecnologico, sono ugualmente fallimentari. Diversamente, però, dai suoi precursori, che imputavano l’inefficacia del rimedio alla sua incapacità di reggere l’urto con il “reale”, per Severino è proprio la fede in questo reale a costituire il presupposto indiscusso della filosofia e la sentina di tutti i mali del genere umano. Qual è, infatti, si domanda Severino, la sotterranea persuasione che, affermatasi con la filosofia greca, ha permeato le strutture profonde della psiche occidentale (e ormai del globo intero), se non la persuasione che reale sia unicamente il divenire, e dunque l’annichilamento, mentre illusori sono tutti i rimedi o gli espedienti per sfuggirgli, come appunto la filosofia e la religione? Il nichilismo, insomma, è il destino dell’Occidente. E anche se oggi le previsioni riguardo alla scienza sono più ottimistiche, Severino non dubita che quest’ennesima illusione sia destinata a cadere. La scienza, infatti, appare come il rimedio più efficace perché è realmente capace di governare il divenire, cioè il passaggio dall’essere al nulla e viceversa (un solo esempio: l’ingegneria genetica). Ma non si sfugge alla trappola nichilista se la cura è identica al male. E il male, nell’ottica di Severino, è appunto la fede nel divenire che la follia dell’Occidente, contraddicendosi, ha prima teorizzato e poi negato (senza successo); fede nella quale anche la scienza è fatalmente irretita.

tutto il post è qui   Il Senso, Severino e Münchhausen « Prismi – Pensieri filosofici.

Emanuele Severino, È il crepuscolo delle tradizioni – Corriere.it 15 novembre 2012

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Emanuele Severino, È il crepuscolo delle tradizioni. Pdf

il Tempo, Oral – La Legna e la Cenere, Sul Sacro Emanuele Severino, Massimo Cacciari

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Emanuele Severino, “Scienza e società. Aspetti etici, politici e cognitivi”, 30 settembre 2006

GIACOMO LEOPARDI, LA GINESTRA (1836). Lettura di Carmelo Bene e un commento di Emanuele Severino (2010)

 

Carmelo Bene recita LA GINESTRA: 
Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
Giovanni,  III, 19

Qui su l’arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null’altro allegra arbor nè fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti. Anco ti vidi
de’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
che cingon la cittade
la qual fu donna de’ mortali un tempo,
e del perduto impero
par che col grave e taciturno aspetto
faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
lochi e dal mondo abbandonati amante,
e d’afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
di ceneri infeconde, e ricoperti
dell’impietrata lava,
che sotto i passi al peregrin risona;
dove s’annida e si contorce al sole
la serpe, e dove al noto
cavernoso covil torna il coniglio;
fur liete ville e colti,
e biondeggiàr di spiche, e risonaro
di muggito d’armenti;
fur giardini e palagi,
agli ozi de’ potenti
gradito ospizio; e fur città famose
che coi torrenti suoi l’altero monte
dall’ignea bocca fulminando oppresse
con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
una ruina involve,
dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo
di dolcissimo odor mandi un profumo,
che il deserto consola. A queste piagge
venga colui che d’esaltar con lode
il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
è il gener nostro in cura
all’amante natura. E la possanza
qui con giusta misura
anco estimar potrà dell’uman seme,
cui la dura nutrice, ov’ei men teme,
con lieve moto in un momento annulla
in parte, e può con moti
poco men lievi ancor subitamente
annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
son dell’umana gente
le magnifiche sorti e progressive.

Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco,
che il calle insino allora
dal risorto pensier segnato innanti
abbandonasti, e volti addietro i passi,
del ritornar ti vanti,
e proceder il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl’ingegni tutti,
di cui lor sorte rea padre ti fece,
vanno adulando, ancora
ch’a ludibrio talora
t’abbian fra se. Non io
con tal vergogna scenderò sotterra;
ma il disprezzo piuttosto che si serra
di te nel petto mio,
mostrato avrò quanto si possa aperto:
ben ch’io sappia che obblio
preme chi troppo all’età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
vuoi di novo il pensiero,
sol per cui risorgemmo
della barbarie in parte, e per cui solo
si cresce in civiltà, che sola in meglio
guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
dell’aspra sorte e del depresso loco
che natura ci diè. Per questo il tergo
vigliaccamente rivolgesti al lume
che il fe palese: e, fuggitivo, appelli
vil chi lui segue, e solo
magnanimo colui
che se schernendo o gli altri, astuto o folle,
fin sopra gli astri il mortal grado estolle.

Uom di povero stato e membra inferme
che sia dell’alma generoso ed alto,
non chiama se nè stima
ricco d’or nè gagliardo,
e di splendida vita o di valente
persona infra la gente
non fa risibil mostra;
ma se di forza e di tesor mendico
lascia parer senza vergogna, e noma
parlando, apertamente, e di sue cose
fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
non credo io già, ma stolto,
quel che nato a perir, nutrito in pene,
dice, a goder son fatto,
e di fetido orgoglio
empie le carte, eccelsi fati e nove
felicità, quali il ciel tutto ignora,
non pur quest’orbe, promettendo in terra
a popoli che un’onda
di mar commosso, un fiato
d’aura maligna, un sotterraneo crollo
distrugge sì, che avanza
a gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
che a sollevar s’ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato, e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato in sorte,
e il basso stato e frale;
quella che grande e forte
mostra se nel soffrir, nè gli odii e l’ire
fraterne, ancor più gravi
d’ogni altro danno, accresce
alle miserie sue, l’uomo incolpando
del suo dolor, ma dà la colpa a quella
che veramente è rea, che de’ mortali
madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
congiunta esser pensando,
siccome è il vero, ed ordinata in pria
l’umana compagnia,
tutti fra se confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune. Ed alle offese
dell’uomo armar la destra, e laccio porre
al vicino ed inciampo,
stolto crede così, qual fora in campo
cinto d’oste contraria, in sul più vivo
incalzar degli assalti,
gl’inimici obbliando, acerbe gare
imprender con gli amici,
e sparger fuga e fulminar col brando
infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
quando fien, come fur, palesi al volgo,
e quell’orror che primo
contra l’empia natura
strinse i mortali in social catena,
fia ricondotto in parte
da verace saper, l’onesto e il retto
conversar cittadino,
e giustizia e pietade, altra radice
avranno allor che non superbe fole,
ove fondata probità del volgo
così star suole in piede
quale star può quel ch’ha in error la sede.

Sovente in queste rive,
che, desolate, a bruno
veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
seggo la notte; e sulla mesta landa
in purissimo azzurro
veggo dall’alto fiammeggiar le stelle,
cui di lontan fa specchio
il mare, e tutto di scintille in giro
per lo vòto Seren brillar il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
ch’a lor sembrano un punto,
e sono immense, in guisa
che un punto a petto a lor son terra e mare
veracemente; a cui
l’uomo non pur, ma questo
globo ove l’uomo è nulla,
sconosciuto è del tutto; e quando miro
quegli ancor più senz’alcun fin remoti
nodi quasi di stelle,
ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo
e non la terra sol, ma tutte in uno,
del numero infinite e della mole,
con l’aureo sole insiem, le nostre stelle
o sono ignote, o così paion come
essi alla terra, un punto
di luce nebulosa; al pensier mio
che sembri allora, o prole
dell’uomo? E rimembrando
il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
il suol ch’io premo; e poi dall’altra parte,
che te signora e fine
credi tu data al Tutto, e quante volte
favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
per tua cagion, dell’universe cose
scender gli autori, e conversar sovente
co’ tuoi piacevolmente, e che i derisi
sogni rinnovellando, ai saggi insulta
fin la presente età, che in conoscenza
ed in civil costume
sembra tutte avanzar; qual moto allora,
mortal prole infelice, o qual pensiero
verso te finalmente il cor m’assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.

Come d’arbor cadendo un picciol pomo,
cui là nel tardo autunno
maturità senz’altra forza atterra,
d’un popol di formiche i dolci alberghi,
cavati in molle gleba
con gran lavoro, e l’opre
e le ricchezze che adunate a prova
con lungo affaticar l’assidua gente
avea provvidamente al tempo estivo,
schiaccia, diserta e copre
in un punto; così d’alto piombando,
dall’utero tonante
scagliata al ciel, profondo
di ceneri e di pomici e di sassi
notte e ruina, infusa
di bollenti ruscelli,
o pel montano fianco
furiosa tra l’erba
di liquefatti massi
e di metalli e d’infocata arena
scendendo immensa piena,
le cittadi che il mar là su l’estremo
lido aspergea, confuse
e infranse e ricoperse
in pochi istanti: onde su quelle or pasce
la capra, e città nove
sorgon dall’altra banda, a cui sgabello
son le sepolte, e le prostrate mura
l’arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
dell’uom più stima o cura
che alla formica: e se più rara in quello
che nell’altra è la strage,
non avvien ciò d’altronde
fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde.

Ben mille ed ottocento
anni varcàr poi che spariro, oppressi
dall’ignea forza, i popolati seggi,
e il villanello intento
ai vigneti, che a stento in questi campi
nutre la morta zolla e incenerita,
ancor leva lo sguardo
sospettoso alla vetta
fatal, che nulla mai fatta più mite
ancor siede tremenda, ancor minaccia
a lui strage ed ai figli ed agli averi
lor poverelli. E spesso
il meschino in sul tetto
dell’ostel villereccio, alla vagante
aura giacendo tutta notte insonne,
e balzando più volte, esplora il corso
del temuto bollor, che si riversa
dall’inesausto grembo
sull’arenoso dorso, a cui riluce
di Capri la marina
e di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
del domestico pozzo ode mai l’acqua
fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
desta la moglie in fretta, e via, con quanto
di lor cose rapir posson, fuggendo,
vede lontano l’usato
suo nido, e il picciol campo,
che gli fu dalla fame unico schermo,
preda al flutto rovente
che crepitando giunge, e inesorato
durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
dopo l’antica obblivion l’estinta
Pompei, come sepolto
scheletro, cui di terra
avarizia o pietà rende all’aperto;
e dal deserto foro
diritto infra le file
dei mozzi colonnati il peregrino
lunge contempla il bipartito giogo
e la cresta fumante,
ch’alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell’orror della secreta notte
per li vacui teatri, per li templi
deformi e per le rotte
case, ove i parti il pipistrello asconde,
come sinistra face
che per voti palagi atra s’aggiri,
corre il baglior della funerea lava,
che di lontan per l’ombre
rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell’uomo ignara e dell’etadi
ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno
dopo gli avi i nepoti,
sta natura ognor verde, anzi procede
per sì lungo cammino,
che sembra star. Caggiono i regni intanto,
passan genti e linguaggi: ella nol vede:
e l’uom d’eternità s’arroga il vanto.

E tu, lenta ginestra,
che di selve odorate
queste campagne dispogliate adorni,
anche tu presto alla crudel possanza
soccomberai del sotterraneo foco,
che ritornando al loco
già noto, stenderà l’avaro lembo
su tue molli foreste. E piegherai
sotto il fascio mortal non renitente
il tuo capo innocente:
ma non piegato insino allora indarno
codardamente supplicando innanzi
al futuro oppressor; ma non eretto
con forsennato orgoglio inver le stelle,
nè sul deserto, dove
e la sede e i natali
non per voler ma per fortuna avesti;
ma più saggia, ma tanto
meno inferma dell’uom, quanto le frali
tue stirpi non credesti
o dal fato o da te fatte immortali.

Emanuele Severino commenta LA GINESTRA DI LEOPARDI:


Emanuele Severino, Le ‘Opere di Genio’: Leopardi

intervista di Renato Parascandolo rilasciata a Napoli Nella sede Vivarium il 4 giugno 1993

Professor Severino, in che modo è stata considerata e si considera oggi, dal punto di vista filosofico, l’opera di Leopardi?

Che Leopardi fosse un genio e che la sua opera avesse una rilevanza filosofica, apparì subito chiaro a Nietzsche, a Schopenhauer, a Wagner, e, per quanto riguarda la cultura italiana, a De Sanctis. Nonostante che negli ultimi tempi il pensiero filosofico di Leopardi sia andato incontro ad una consistente rivalutazione, rimaniamo tuttavia ancora ben lontani dal comprendere la sua eccezionale potenza e radicalità. Personalmente, sostengo che si tratti del maggior pensatore della filosofia contemporanea. Leopardi ha infatti posto anticipatamente le basi di quella distruzione della tradizione occidentale che sarà poi continuata e sviluppata – ma non resa più radicale – dai grandi pensatori del nostro tempo, da Nietzsche, da Wittgenstein e da Heidegger.

Purtroppo, si deve riconoscere – pur non volendo ora sottovalutare i meriti di questa attività culturale – che la critica letteraria ha contribuito a mettere in ombra l’importanza filosofica di Leopardi. Il critico letterario si è mosso nelle pagine di Leopardi senza rendersi conto che il loro autore è in un grande colloquio con il pensiero greco, ovvero con la grande tradizione filosofica dell’Occidente.

Ma non vi sono stati studiosi che hanno considerato anche questo aspetto del genio di Leopardi ?

Certo, proprio in Italia, il pensiero di Leopardi è stato oggetto dell’attenzione di De Sanctis, che lo riconduceva a Schopenhauer, e, in ambito marxista, di Luporini, che invece scorgeva in lui un precursore di Marx. Credo, però, che queste letture, nonostante il loro indubbio merito, abbiano offuscato più che messo in rilievo, il peso filosofico di Leopardi, e che vada rovesciata l’impostazione loro sottesa. Se, infatti, si studia l’interpretazione di Luporini, ci si accorge facilmente che, nella sua prospettiva, Leopardi, pur avendolo potentemente anticipato, rimane comunque un semplice antesignano di Marx. Questa rapporto va invertito: se Marx o Nietzsche possono dire qualcosa, ciò accade perché essi si pongono sulla strada che solo Leopardi ha aperto loro.

Si potrebbe obiettare che, nella cultura contemporanea, la fortuna di Leopardi non è minimamente equiparabile a quella di Nietzsche, perché questi è stato percepito nella sua importanza storica mentre quello è stato, per così dire, un “emarginato”. Si osservi, però, che Nietzsche conosceva Leopardi. Si potrebbe dire che Leopardi, anche se emarginato, ha fatto sentire la propria voce in tutto il pensiero contemporaneo attraverso Nietzsche. Questi parlava di Leopardi come del maggior prosatore del secolo non rendendosi conto di occultarne, così affermando, l’importanza filosofica. Ciò nonostante, attraverso Nietzsche, Leopardi ha parlato al nostro tempo, nel senso che ha contribuito a stabilire le condizioni fondamentali perché noi operassimo quel rifiuto radicale della tradizione filosofica, che è oggi il terreno normale su cui ci manteniamo in ambito scientifico-filosofico.

Professor Severino, che cosa unisce Leopardi a Nietzsche e, più in generale, al pensiero occidentale?

Avendo Nietzsche ereditato il centro del pensiero di Leopardi, si può dire che questi anticipa la sostanza del discorso nietzschiano. Come noto, il motivo fondamentale dell’opera di Nietzsche è costituito dall’idea secondo cui la poesia è menzogna, ma è anche l’illusione senza la quale la vita è impossibile. Si tratta, in realtà, di un tema essenziale del pensiero di Leopardi. Mentre Platone era convinto che “i poeti mentono molto”, e ciò costituiva, per lui, motivo per scacciarli dalla città, Leopardi, pur nutrendo la stessa convinzione platonica, è anche persuaso che non ci può essere vita senza poesia. Essendo la poesia l’erede della festa arcaica, cioè del momento in cui l’uomo respira al di sopra dell’oppressione del dolore della vita, Leopardi, pur riconoscendo che “i poeti mentono molto”, sa che non può esservi vita senza l’illusione della poesia. E’, questo, il momento della festa in cui l’uomo si raccoglie, raggiungendo, così, uno stato paradisiaco. E’ dall’anima della festa, dalla danza, dal canto primordiale, che nasce la poesia. La festa è dunque pensata, in questa prospettiva, come rimedio originario, da cui, successivamente, prendono origine la filosofia, la scienza e la tecnica. Per Leopardi, alla fine dell’età della tecnica, la poesia ha ancora un’ultima parola da dire prima dell’annientamento definitivo dell’uomo.

Leopardi è stato il primo nella cultura occidentale a mostrare che la verità, come visione autentica delle cose, mette in luce il loro uscire dal nulla e il loro ritornare nel nulla. Si tratta, a ben vedere, dei grandi temi dell’ontologia greco-moderna. Se l’uomo appartiene al movimento dell’uscire dal nulla e del ritornare nel nulla, allora la contemplazione di questo movimento – come dice Leopardi in uno dei suoi Pensieri – “è verissima pazzia”. “Pazzia”, perché chi guarda la nullità, propria di sé e delle cose, non può che essere isterilito in ogni volontà di sopravvivere. La “pazzia”, inoltre, è “verissima” perché mostra come stanno effettivamente le cose.

Professor Severino, nella Sua interpretazione di Leopardi, acquistano particolare rilievo quelle che, nei Pensieri, vengono chiamate le “opere di genio”. Può chiarire il significato di questa espressione collocandola nel quadro complessivo del pensiero leopardiano?

L’espressione “opere di genio”, sulla quale ho tentato di richiamare l’attenzione, si trova in quell’opera che io, seguendo Carducci, preferisco chiamare Pensieri e che, invece, è normalmente intitolata lo Zibaldone.
Per giungere a chiarire l’espressione “opere di genio”, sarà meglio tener presente anche un celeberrimo e grande – forse il più grande – canto di Leopardi, “La ginestra”. Ricordo innanzitutto che questa poesia è stata scritta nei primi anni della stesura dei Pensieri. Avverto, però, che non è mia intenzione ricavare a forza, a partire dalla prosa filosofica di Leopardi, il significato del canto. Mi propongo soltanto di mostrare che quanto “La ginestra” dice a suo modo è anticipato nella prosa filosofica di Leopardi e, più precisamente, in quel giro di frase dei Pensieri che contiene l’espressione “opere di genio”. A mio avviso, questo passo, insieme ad altri paralleli, è la chiave per comprendere l’importanza che ha il “genio” quale rimedio al dolore.

Leggiamo il testo 259/61 dei Pensieri, scritto nell’ottobre del 1820:
“Hanno questo di proprio le opere di genio, cioè le opere del genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l’inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia, ad un animo grande che si trovi anche in uno stato di estremo abbattimento, servono sempre di consolazione”.

L’opera è del genio perché essa – come il poeta canta nel “La ginestra” – pur mostrando il carattere devastante del fuoco, consola con la forza con cui vede questa devastazione. La forza della visione, non lasciandosi risucchiare dalla devastazione, è capace di consolazione. Essa è quindi come il profumo del fiore del deserto di cui parla il canto, che si solleva al di sopra della nullità prodotta dal fuoco devastante.
Il cielo verso cui porta il profumo non è un cielo abitato da divinità alle quali ci si possa rivolgere con una supplica. Il canto chiude, infatti, dicendo che la ginestra non supplica, ma è un profumo che consola il deserto. Analogamente, l’opera del genio consola l’animo grande che avverte la nullità e si trova “in uno stato di estremo abbattimento” e disinganno. Tra il testo dei Pensieri e “La ginestra” c’è addirittura identità di termini: così come il fiore del deserto “consola” anche l’opera del genio è “di consolazione”.

Infine, Professor Severino, vorrei chiederle cosa, per Lei, ha ancora da dire l’opera leopardiana alla cultura occidentale?

Se vuole rimanere coerente con se stessa, la cultura dell’Occidente non può che consentire con quanto dice Leopardi. Leopardi non è una stravaganza all’interno della nostra cultura. Egli è pessimista come lo sono i Padri della Chiesa, Hegel, Aristotele, ma lo è in modo più radicale di loro. Alla radice della cultura occidentale sta ormai la persuasione che le cose reali con cui abbiamo a che fare sono effimere. Possiamo anche tentare di accaparrarne e trattenerne presso di noi il maggior numero possibile, ma rimane comunque incontestato il fatto che non ci sono più i grandi dèi immutabili che costituiscono il senso stabile del mondo.
Il messaggio che la nostra cultura trasmette all’uomo contemporaneo, è che tutto è nulla, nel senso che tutto esce dal nulla e va nel nulla. Mi chiedo, allora, se coloro che assumono atteggiamenti psicologicamente devianti, i pazzi, i depressi, coloro che non diciamo normali, non siano, in realtà, lungimiranti. Lungimiranti perché, con il loro comportamento, traggono la conseguenza inevitabile che si deve trarre dalla visione della nullità delle cose. A ben vedere, infatti, l’incitamento a vivere per quel tanto che ci è concesso, a organizzarci il più possibile, a resistere, a darci da fare, a costruire mondi, ad attraversare le galassie, è operato sulla base di una verità di fondo per la quale tutte le cose sono nulle. Questa verità non si esprime solo attraverso la consapevolezza che non ci sono più dèi eterni, ma anche nella tesi della cosmologia astronomica secondo cui all’origine c’è un nulla iniziale e tutte le cose sono soggette ad un processo entropico di distruzione. Il messaggio inviatoci dalla nostra cultura produce ciò che Leopardi chiama la “verissima pazzia”. Tutto il resto è soltanto un tentativo di mascherare l’orrenda verità delle cose con alternative provvisoriamente devianti che non riescono a togliere dall’orizzonte dell’uomo la minaccia radicale della nullificazione che investe ormai tutto.
Leopardi è un grande maestro del nichilismo. Prendere in considerazione Leopardi è importante nella misura in cui è necessario vedere se esiste un’alternativa alla storia dell’Occidente. Se l’Occidente incomincia così come è incominciato, la filosofia dell’Occidente è quella di Leopardi. Ma la domanda decisiva, anche e soprattutto nei riguardi di questo errore puro in cui consiste Leopardi, è se non sia da mettere in questione la fede nel divenire, da cui muove l’intera civiltà occidentale e di cui Leopardi è il seguace più rigoroso.
Sulla base della fede costitutiva dell’Occidente – la fede nel divenire – è inevitabile la caduta di tutti i rimedi. L’esigenza stessa di un rimedio, sia esso rappresentato dalla filosofia, dalla religione, dalla tecnica, dalla poesia o dalla festa arcaica, è possibile solo a partire dalla fede nel divenire. Dobbiamo allora chiederci: si deve continuare a considerare la fede nel divenire come qualche cosa che sta assolutamente fuori discussione, fuori dell’ambito su cui si esercita il nostro spirito critico, oppure, essendo tale fede responsabile dell’intera storia dell’Occidente, occorre che ci si interroghi su di essa e sulla sua consistenza?

da http://www.emsf.rai.it/articoli/articoli.asp?d=36


Emanuele Severino

Giacomo Leopardi. “La ginestra”

da “Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche. L’universo della conoscenza”, intervista del giugno 1993
(trascrizione integrale della video-lezione).

tratta dal sito del professor Casanova: http://nonquidsedquomodo.altervista.org/italiano/programma-di-5/512-severino-la-ginestra-di-leopardi

Tutti avevano capito che Leopardi era un genio: lo sapeva molto bene Nietzsche, lo sapeva Schopenhauer, lo sapeva anche Wagner; e certamente, per quanto riguarda la cultura italiana, De Sanctis se n’era ampiamente accorto, e si era accorto anche dell’importanza filosofica di Leopardi. E la rivalutazione alla quale è andato incontro il pensiero filosofico di Leopardi negli ultimi tempi è consistente. Però siamo ancora lontani dal comprendere la potenza eccezionale di questo pensatore, tanto radicale da poter far sostenere legittimamente la tesi, che da parte mia da tempo sostengo, che si tratta del maggiore pensatore della filosofia contemporanea. Cioè di colui che in modo anticipato e radicale pone le basi della distruzione della tradizione occidentale, quella distruzione che poi sarà sviluppata, ma non resa più radicale, dai grandi pensatori del nostro tempo: da Nietzsche, a Wittgenstein, a Heidegger.

  1. La nullità di tutte le cose

Potremmo dire molto sinteticamente che, se Eschilo è il primo a pensare che il rimedio contro il dolore è la verità, cioè la conoscenza vera delle cose, non il mito, Leopardi è il primo a rilevare che la conoscenza della verità non può essere il rimedio del dolore, ma è la causa del dolore, perché ormai con Leopardi viene in prima luce che la verità è la nullità di tutte le cose.

Purtroppo il lavoro dei critici letterari è quanto mai meritorio, ma un poco è successo questo: che il critico letterario si è mosso nelle pagine di Leopardi senza rendersi conto che Leopardi è in un grande colloquio con i tratti essenziali del pensiero filosofico; e quindi il critico letterario, pur con i meriti che indubbiamente si devono ascrivere a questo tipo di attività culturale, ha contribuito a tenere nascosto questo grande colloquio che Leopardi ha col pensiero greco, con la grande tradizione filosofica dell’occidente. Può non essere inutile ricordare che Leopardi mostra di muoversi nel Sofista di Platone, uno dei testi più difficili del pensiero filosofico; conosce naturalmente i testi di Aristotele; sviluppa una delle critiche più radicali, pressoché ignota, del principio di non-contraddizione; sviluppa delle considerazioni, esse stesse pressoché ignote, formidabili, sul senso della matematica.

Leopardi – dicevo – per primo nella cultura occidentale mostra che la verità come visione autentica delle cose mette in luce il loro uscire dal nulla e il loro ritornare nel nulla: questi sono i grandi temi dell’ontologia greco-moderna. Se l’uomo è appartenente a questo movimento dell’uscire dal nulla e del ritornare nel nulla, allora la contemplazione di questo movimento – dice Leopardi in uno dei suoi Pensieri – è «verissima pazzia»: pazzia, perché chi guarda la propria nullità e la nullità di tutte le cose non può che essere isterilito in ogni volontà di sopravvivere, di continuare a vivere; ma è pazzia verissima, perché questa pazzia mostra come stanno effettivamente le cose.

  1. La ginestra o il fiore del deserto

Attraverso una poesia che è quanto mai nota di Leopardi, un grande canto, forse il più grande canto, che è La ginestra, mi propongo di far vedere che quanto il canto dice a suo modo (e La ginestra è scritto poco tempo prima della morte: sono gli ultimi tempi della vita di Leopardi), nei primi anni della stesura dello Zibaldone (mi riferisco al 1820) e quanto il canto fa e dice era anticipato nella prosa filosofica di Leopardi, precisamente in quella prosa che contiene l’espressione «opere di genio», e che è la chiave, a mio avviso, insieme ai passi paralleli, per comprendere l’importanza che ha il genio relativamente al rimedio contro il dolore.

Tutti sanno che il canto incomincia con l’avverbio «qui»: quando dico a qualcuno che è qui, vuol dire vicino a me, mi è vicino: il canto intende dire che la vicinanza è identità tra ciò che è qui e il cantore. Che cosa è qui? lo sappiamo tutti: il canto si rivolge al fiore del deserto, all’«odorata ginestra» (vv. 1-3),

Qui su l’arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,

«formidabil» vuol dire ciò che produce formido, terrore, e produce terrore perché sterminatore. E poco dopo il canto usa le parole decisive per dire che questa metafora della distruzione, che costituisce il luogo in cui noi viviamo, è la metafora di ciò che annulla: il canto dice «con lieve moto in un momento annulla» (v. 45);  e poi «con moti | Poco men lievi ancor subitamente | Annichilare in tutto» (vv. 46-48). Annichilare in tutto l’uomo: abbiamo qui le parole decisive dell’ontologia occidentale.

«Qui su l’arida schiena» non è semplicemente un’immagine poetica, ma qui nel luogo della distruzione, è in riferimento alla situazione dell’uomo: l’uomo di fronte alla fonte della distruzione, che incomincia ad essere il vulcano, l’elemento igneo del vulcano; elemento igneo che poi nel prosieguo del canto si estende fino a diventare il fuoco del cielo, e su questo fuoco del cielo vorrei poi richiamare l’attenzione.

Ma intanto: se è la ginestra che è «qui su l’arida schiena | del formidabil monte», e il testo dice una schiena «la qual null’altro allegra arbor né fiore» (v. 4), poco dopo il canto dice che è il cantore stesso a essere «qui sull’arida schiena | del formidabil monte», perché intorno al v. 160 il canto dice:

Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,           160
Seggo la notte; …

Il cantore siede là dove si trova la ginestra, siede nel luogo della ginestra, è la ginestra. Sarebbe interessante mostrare come c’è una fitta rete di riscontri in cui il canto si rivolge al cantore, e dunque il canto parla di se stesso. Si dice continuamente che quella di Hölderlin è una poesia che canta la poesia: certamente il discorso vale per Hölderlin, ma vale supremamente per questo canto, che dunque è un canto in cui il cantore si rivolge a se stesso.

È notevole come compaiano dei termini apparentemente difficili da interpretare: sempre nei primi versi del canto: «l’arida schiena | … la qual null’altro allegra arbor né fiore» (v. 4): il canto parla qui dell’assenza di ogni elemento rallegrante, là dove l’unico elemento rallegrante è il fiore del deserto, cioè il canto, cioè la poesia, se sta ferma la vicinanza-identità che abbiamo cominciato a indicare analizzando il senso della parola «qui».

Il fiore del deserto «allegra»; e poco dopo si dice che «l’odorata ginestra» è «contenta dei deserti» (vv. 6-7). Il deserto è il luogo abbandonato, il luogo della nullificazione: vuol forse dire Leopardi qualche cosa di simile a ciò che afferma Nietzsche, quando nel Crepuscolo degli idoli afferma che il super-uomo è il “sì alla vita”? Qui Leopardi non lo dice, ma non lo dice proprio perché, parlando mezzo secolo prima di Nietzsche, si pone dopo il pensiero nietzschiano e mostra l’inconsistenza su questo punto della metafisica idealistica in base alla quale Nietzsche può dire “sì alla vita”. In Nietzsche si dice “sì alla vita” (lo dice in Quel che devo agli antichi) “per essere noi stessi il piacere dell’annientamento”: ora questa frase è comprensibile, cioè che si provi piacere per l’annientamento, solo in quanto l’individuo, l’uomo si è spostato sul piano del divenire eterno, si sente identico al divenire eterno, e può guardare con piacere l’annientamento delle cose. Ma questa è appunto una metafisica super-idealistica, che Leopardi ante litteram ha tolto di mezzo: l’uomo non può identificarsi allo stesso divenire eterno, non può diventare il super-uomo che, essendo eterno come il divenire, si rallegra dell’annientamento delle cose. E quindi, quando il testo dellaGinestra dice che il fiore del deserto è «contenta dei deserti», questa affermazione vuol dire innanzitutto qualcosa di completamente diverso da quello che poi sentiamo dire a Nietzsche, ma positivamente accenna appunto al tema dal quale siamo partiti: accenna all’opera del genio.

Sono altre le espressioni apparentemente sconcertanti, perché lo scenario è terrificante, si è di fronte al nulla e alla fonte del nulla, e ci sono queste parole: «allegra», «contenta dei deserti»; e poi poco dopo si dice che essa è «di tristi | Lochi e dal mondo abbandonati amante | E d’afflitte fortune ognor compagna» (vv. 14-16); e potremmo proseguire in quei tre/quattro versi formidabili, dove sempre della ginestra si dice:

Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo            35
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola.

C’è il profumo, c’è la consolazione, c’è la commiserazione dei danni altrui.

Ecco: come prima dicevamo che e il fiore del deserto e il poeta, poiché sono lo stesso, sono entrambi di fronte al pericolo dell’annientamento, così anche qui questo amore della ginestra per i «lochi dal mondo abbandonati», questa consolazione della ginestra e questo profumo che essa emana, corrispondono all’atteggiamento che è proprio, come poi dice il canto, della nobile natura che è la nobile natura del cantore, il quale è preso da vero amore per i propri simili.

Se ci sono degli equivoci da abbandonare leggendo la Ginestra, sono proprio gli equivoci della lettura progressista di Leopardi: per un uomo, per un filosofo che sa che tutto è illusione, che non esiste alcuna verità definitiva, pensare che a questo livello di radicalità egli si lasci prendere dal mito del vero amore per i propri simili, o si vuole attribuire un’incoerenza eccessivamente vistosa a Leopardi, oppure non se n’è colto il senso.

Bisogna prepararsi a intendere il vero amore, non come fondato sull’etica, ma come fondato sulla poesia. Se si capisce questo, si comprende anche il senso dell’opera di genio: siamo ancora qualche passo indietro rispetto alla chiarificazione dell’espressione «opera di genio».

Ma vorrei richiamare l’attenzione su quel notturno che è nella Ginestra, che a chi vedeva in Leopardi il sommo lirico, ha fatto pensare che si fosse davanti a uno dei grandi squarci di poesia lirica nel discorso di Leopardi. È una lirica ambigua: se dovessimo usare delle metafore musicali, direi che questo notturno è multi-tonale (la multi-tonalità in musica vuol dire la presenza di ritmi sonori diversi, di consistenze sonore diverse, e quindi la multi-tonalità è essenzialmente ambigua). Dov’è l’ambiguità di questo, che ho chiamato il grande notturno della Ginestra? Leggendolo mi propongo di far vedere quell’amplificazione dell’elemento igneo, cioè quel distendersi del fuoco annientante, quell’oltrepassare il «bipartito giogo» del Vesuvio, e il collocarsi nella totalità del cielo, come sì luce, ma luce che è costituita da quello stesso fuoco che è la radice dell’annientamento di tutte le cose.

Certo che si può essere presi dalla potenza di quello che stiamo chiamando notturno, ma di che cosa parla questa potenza? parla della nullificazione. E d’altra parte, la nullificazione come è vista? è vista con potenza: questa visione potente della nullificazione è ciò che Leopardi chiama «opera del genio». La visione potente della nullità delle cose, la potenza con cui si vede la vanità di tutte le cose.

  1. Le opere di genio

Dice il canto:

Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,             160
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall’alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro                           165
Per lo vòto seren brillare il mondo.

Ecco: fiammeggiare, scintille, brillare, sono i termini che qualificano il fuoco. Poi prosegue ancora il canto:

E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch’a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare           170
Veracemente; a cui
L’uomo non pur, ma questo
Globo ove l’uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz’alcun fin remoti                   175
Nodi quasi di stelle,
Ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l’aureo sole insiem, le nostre stelle                 180
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio …

Questo è il notturno.

Dunque è una notte riempita di luce, cioè riempita di fuoco. L’ambivalenza o la multi-tonalità di cui parlavo, è appunto – se posso ripetere – data dalla circostanza che da un lato l’animo del lettore di fronte alla potenza della descrizione della notte, se vogliamo usare un’espressione un po’ enfatica, si ingrandisce, si potenzia, si innalza; ma dall’altro lato questo innalzamento dell’ascolto, questo potenziamento dell’ascolto, è il potenziamento di un ascolto che ascolta la voce del fuoco, il potenziamento di una visione che vede la luce annientante del fuoco.

Forse abbiamo gli elementi per prendere in mano quel testo dove è contenuta l’espressione «opere del genio». È un testo del 4 ottobre 1820, che anticipa ciò che il canto fa o deve fare quando è canto autentico. Il genio – dice Leopardi – è unità di filosofia e di poesia, non più il semplice poeta che non vede il vero, perché dice la Ginestra che la nobile natura del genio non detrae nulla al vero («nulla al ver detraendo», v. 115), non è semplice filosoficità, e non è nemmeno semplice poesia; è unità di poesia e di filosofia; questo è il genio.

Tra l’altro Leopardi, che ogni parola che usava la usava consapevolmente, e cioè estremamente attento alla storia e alla potenza del linguaggio, quando pronuncia la parola genio ha in mente, sente la parola gigno: genero, produco, sono forte, cioè esplico quel tipo di forza che l’occidente oggi sente come civiltà della tecnica, come tecnica; il genio è diverso dal tecnico, ma ha la stessa natura del tecnico: è il portatore della potenza.

Ma dunque, in relazione all’ambivalenza, alla multi-tonalità del notturno, sentiamo dunque questo testo dello Zibaldone (pp. 259-261):

Hanno questo di proprio le opere di genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l’inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ad un’anima grande che si trovi anche in uno stato di estremo abbattimento, disinganno, nullità, noia e scoraggiamento della vita, o nelle più acerbe e mortifere disgrazie (sia che appartengano alle alte e forti passioni, sia a qualunque altra cosa); servono sempre di consolazione,

L’opera del genio è del genio in quanto, pur mostrando il carattere devastante del fuoco, consola con la forza con cui essa vede questa devastazione; la forza della visione si solleva al di sopra della devastazione, e questo sollevarsi, che non si lascia risucchiare dalla devastazione, ma in qualche modo dà forza e consolazione, è come un profumo che nel deserto si solleva al di sopra della nullità prodotta dal fuoco devastante. È appunto il profumo del fiore del deserto, che consola – come dice il canto – e che si porta verso il cielo, non nel senso che ci sia un cielo abitato da dèi verso i quali ci si possa rivolgere con una supplica (il canto conclude infatti dicendo che la ginestra non supplica), ma è un profumo che consola il deserto, così come appunto l’opera del genio serve sempre di consolazione. C’è un’identità anche di termini: il fiore del deserto consola; l’opera del genio è di consolazione.

E aggiunge il testo:

raccendono l’entusiasmo, e non trattando né rappresentando altro che la morte,

perché la morte è la verità delle cose, e se il genio vede la verità, non può che parlare della morte e della nullità delle cose,

le rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta. […]

L’animo grande, guardando la nullità delle cose, perde la vita e appunto sprofonda verso quella «verissima pazzia» della noia, che è appunto verità, ma che insieme è disfacimento della mente, perché se la verità è il nulla, la vita è insopportabile. Il canto evita questo sprofondare nel niente, nel senso che la potenza della visione del niente rende almeno momentaneamente quella vita che aveva perduta.

Il testo ha ancora alcune espressioni che vale la pena di sentire, perché chiariscono questo concetto della potenza salvifica della forza con cui la visione del genio, la visione della nobile natura, coglie la nullità delle cose: la potenza della visione del nulla, una potenza che, in quanto tale, non si lascia risucchiare dal nulla, ma è positività, è essere, è un galleggiare provvisoriamente ancora per poco sul nulla. Dice il testo:

E lo stesso conoscere l’irreparabile vanità e falsità di ogni bello e di ogni grande è una certa bellezza e grandezza che riempie l’anima, quando questa conoscenza si trova nelle opere di genio.

Lo stare davanti al vulcano, non vedendo altro che la potenza devastante del vulcano; questo stare davanti al vulcano è lo stare del fiore-cantore: allora è profumo, è consolazione.

E lo stesso spettacolo della nullità, è una cosa in queste opere, che par che ingrandisca l’anima del lettore, la innalzi, e la soddisfaccia di se stessa e della propria disperazione. […] Ma se questo sentimento è vivo, come nel caso ch’io dico, la sua vivacità prevale nell’animo del lettore alla nullità della cosa che fa sentire,

Il lettore qui è colui che contempla l’opera del genio: può essere il genio che guarda se stesso. La vivacità del sentimento del nulla prevale sullo spettacolo che questo sentimento ha dinanzi:

e l’anima riceve vita (se non altro passeggiera) dalla stessa forza con cui sente la morte perpetua delle cose, e sua propria.

Direi che basterebbe questa pagina per fare di un pensatore un grande pensatore, anche perché un risvolto di questo tipo di considerazioni è quello che potremmo chiamare il rovesciamento dell’argomento contro lo scettico: lo scettico dice “non esiste verità”; si obietta allo scettico “dunque quello che tu dici: che non esiste verità, è la verità”. Dunque la negazione della verità è accompagnata dalla verità.

Leopardi mostra come la verità, quando è grandemente, autenticamente espressa, è inevitabilmente accompagnata dalla non-verità, e la non-verità è appunto la forza del canto, perché se tutto è illusione, se ogni positività è illusione, nel senso che si illude di permanere salva al di fuori del nulla, laddove è destinata a sprofondarsi daccapo nel nulla, se la verità è questa, e se lo sprofondare nel nulla è la verità, e allora se ogni positività è un’illusione, è illusione allora anche la forza del canto con cui il canto vede la nullità.

E quindi, se l’argomento contro lo scettico dice che la negazione della verità è necessariamente accompagnata dalla verità, cioè si presenta inevitabilmente come verità, Leopardi mostra come la verità sia necessariamente accompagnata dall’illusione. Cioè nel canto del genio la visione vera è espressa con quella forza, con quella positività, che d’altra parte, come tutte le positività, è illusione e non-verità; e d’altra parte è quella non verità da cui il genio non può separarsi, e la visione della verità non può separarsi.

Nella Ginestra, il monte sterminatore ha ai suoi piedi le città distrutte: Pompei è chiamata «scheletro», viene alla luce lo scheletro di Pompei. Quindi la situazione del fiore del deserto non è semplicemente quella dell’attualità in cui l’uomo si trova di fronte alla minaccia radicale del nulla, ma guarda al futuro, perché tutte le città, le grandi epoche, giacciono distrutte ai piedi del vulcano. È vero che il canto fa un accenno alle nuove città che si sono costituite, ma è un accenno in un contesto in cui si parla della natura «ognor verde», che vede passare le epoche, e quindi vedrà passare anche queste città attuali che sopravvivono alla grande distruzione. La metafora cioè si riferisce a un futuro in cui le possibilità della tecnica si sono già sviluppate, e hanno mostrato il loro fallimento.

Allora il fiore del deserto è la situazione in cui, dopo il fallimento del paradiso della tecnica, c’è questo, Leopardi lo chiama «quasi ultimo rifugio», che è il rifugio della poesia. Ma non è un rimedio stabile: consente all’uomo di cantare ancora per un poco, di stare ancora per un poco nella festa. La poesia si ricollega al senso originario della festa.

Ora tutto questo vale la pena di dirlo perché, se l’occidente, se la nostra cultura vuole essere coerente a se stessa, non può che dire quello che dice Leopardi; Leopardi non è una stravaganza all’interno della nostra cultura: Leopardi è pessimista tanto quanto lo sono i Padri della chiesa, Hegel, Aristotele. È pessimista come loro, ma più radicalmente di loro, perché alla base di tutta la nostra cultura sta questa persuasione: ormai le cose reali con cui noi abbiamo a che fare sono effimere; possiamo sì tentare di accaparrarle il più possibile, di trattenerle il più possibile presso di noi; per esempio maggiore, non ci sono più i grandi dèi che stanno eterni e che costituiscono il senso stabile del mondo, così come in Eschilo viene potentemente alla luce: tutti gli dèi della tradizione sono perenni.

Allora il messaggio che trasmette la nostra cultura all’uomo contemporaneo è che tutto è nulla, nel senso che tutto esce dal nulla e tutto va nel nulla. Da questo punto di vista, quando noi consideriamo quegli atteggiamenti su cui ama intrattenersi la psicopatologia, gli atteggiamenti psicologicamente devianti: i pazzi, i depressi, coloro che noi non diciamo normali, costoro sono devianti, o non dobbiamo dire piuttosto che sono lungimiranti? Lungimiranti perché traggono col loro comportamento la conseguenza inevitabile che si deve trarre dalla visione della nullità delle cose.

È chiaro che ci può essere l’incitamento a vivere, a vivere per quel tanto che ci è concesso, a organizzarci il più possibile, a resistere, a darci da fare, a costruir mondi, a attraversare le galassie. Ma questo incitamento è operato su una base in cui la verità di fondo è la nullità di tutte le cose: non ci sono più dèi eterni, quindi nelle cose reali – lo dice anche la cosmologia astronomica – c’è un nulla iniziale, poi c’è un processo entropico di distruzione delle cose.

Il messaggio che ci dà la nostra cultura è quello che produce ciò che Leopardi chiama la «verissima pazzia»; tutto il resto è il tentativo di mascherare la verità orrenda delle cose con veli, con alternative provvisoriamente devianti, che non riescono a togliere dall’orizzonte dell’uomo la minaccia radicale della nullificazione che ormai investe tutto.