Le lezioni che tutti avremmo voluto ascoltare, a scuola e nella vita.
«È gioco, sfida, provocazione. È gettare un sasso e contare i cerchi che si allargano sull’acqua. Porte che si aprono su altre porte, senza mai fermarsi alla prima».
Linea intera, linea spezzata di Milo De Angelis (Mondadori).
Mary B. Tolusso su Tuttolibri (La Stampa): «“Mi hanno sempre attratto in modo irresistibile gli scrittori del Contrasto. Forse ho amato solo quelli, da Empedocle a Lucrezio, Tasso, Leopardi, Pavese. Sono autori che non si limitano a rappresentare un ‘ossimoro’ – termine troppo tecnico –, ma vivono con se stessi e con il mondo uno scontro frontale, sanguinoso, assetato di vita”. Milo De Angelis, uno dei maestri della poesia contemporanea, è sempre stato un autore concentrico, pochi temi ma potenti, che ritornano in un affresco di varianti e perfetti contrasti, l’adolescenza e il declino, l’eternità spezzata, l’infinito nel poco, gli istanti perpetui. In fondo le contraddizioni stesse sono una contraddizione: tragedia ma anche motore dell’umano. Tanto più in un poeta che ce le restituisce nella pienezza della ricerca di un senso. Quest’anno compirà settant’anni, un’età importante, quando alle spalle hai un’opera ma hai anche esperito quell’eccezionalità che ci rende unici, quegli istanti esclusivi che l’artista sa rendere collettivi; e De Angelis ha attraversato l’esistenza al servizio della poesia. […] Iniziamo dalla fine, dal suo ultimo libro, Linea intera, linea spezzata. Cosa significa? “È un’espressione presente nell’I Ching che mi ha subito colpito. Mi ha colpito questo modo semplicissimo e lampante di definire la vita umana. Una linea, una pura linea che prosegue fino all’attimo in cui si spezza e interrompe il suo cammino. E la sezione finale del libro è una passerella di creature che scelgono di recidere la linea della propria vita, raccontando gli ultimi istanti della mente e del respiro”. In giugno compirà settant’anni. Lei crede in un’età anagrafica? “Diciamo che stasera ci credo. Vedo che i foglietti del calendario appeso in cucina cadono per terra uno alla volta con un volo demoniaco, dettano le leggi di ogni vita e la rinchiudono in un segmento, la riducono alla verità matematica del suo inizio e della sua fine”. […] In quest’ultimo libro scrive: “la poesia non sta dalla nostra parte”. Dove, allora? “La poesia ci parla da un luogo sconosciuto e, ascoltandola, ci accorgiamo di non conoscere più nemmeno il nostro. D’altra parte sono fatte così le parole poetiche, non si lasciano osservare in santa pace, come diceva Karl Kraus: più noi le guardiamo da vicino, più loro ci guardano da lontano”».
Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani è un’appassionata riflessione sulla mentalità, il carattere e la moralità della società italiana. Dall’osservatorio privilegiato della sua solitudine recanatese, Leopardi guarda ai suoi contemporanei per smascherarne vizi e limiti.
Eppure questo testo, scritto tra la primavera e l’estate del 1824, sembra profeticamente parlare dell’oggi.
Vincenzo Guarracino è poeta, critico letterario e d’arte e traduttore. Tra le sue opere ricordiamo le raccolte di poesie Gli gnomi del verso (1979), Dieci inverni (1989) e Una visione elementare (2005); le traduzioni Carmi di Catullo (1986), Versi aurei di Pitagora (1988), Lirici greci (1991), Poeti latini (1993), Poema sulla Natura di Parmenide (2006), Poeti greci (2011), Poeti cristiani latini (2017). Per quanto riguarda Leopardi, ha curato l’edizione dell’Appressamento della morte (1993), il Diario del primo amore e altri scritti autobiografici (1998), le antologie Infinito Leopardi (1999), Il verso all’infinito. L’idillio leopardiano e i poeti italiani alla fine del Millennio (1999), Interminati spazi sovrumani silenzi. Un infinito commento: critici, filosofi e scrittori alla ricerca dell’Infinito di Leopardi (2001), l’antologia Caro Giacomo. Poeti e Pittori per Giacomo Leopardi (1998), Giacomo Leopardi. Canti e Pensieri (2005) e il carteggio con Antonio Ranieri Addio, anima mia (2003)
Viviamo un presente confuso, in cui sono incessanti, e talvolta allarmanti, le innovazioni scientifiche e tecnologiche e i cambiamenti politici, sociali e culturali. Abbiamo bisogno di bussole che indichino la direzione verso cui andare e di mappe che ci ricordino da dove veniamo.
Un nuovo format del Servizio Pubblico in quattro puntate in prima serata su Rai3, il 12, il 19, il 27 dicembre e il 3 gennaio – pensato per sostenere e dare la possibilità di esibirsi a moltissime realtà dello spettacolo dal vivo bloccato dal lockdown: “Ricomincio da RaiTre”. Il programma nasce da una idea di Rai3 per dare risposta ad una situazione drammatica in cui si muove lo spettacolo dal vivo in Italia a causa della pandemia: migliaia di operatori del settore rimasti senza lavoro, un flusso di arte interrotto, consuetudini e centri di arricchimento culturale congelati. “Ricomincio da RaiTre” si propone di offrire uno spazio al teatro in cui mostrarsi in tutto il suo splendore, creando una sorta di gigantesco cartellone nazionale mai rappresentato prima d’ora. Tanti rappresentanti del mondo teatrale, ma non solo, hanno aderito immediatamente ed entusiasticamente a questo richiamo. Chi portando un estratto dello spettacolo interrotto, chi regalando le prove del prossimo, chi creando qualcosa ad hoc, e chi, semplicemente, venendo a raccontare e raccontarsi. Direttore artistico del programma sarà Massimo Romeo Piparo, anche autore insieme a Felice Cappa e Stefano Massini. Sarà quest’ultimo a tenere le fila di tutto e, con la sua capacità affabulatoria, costruirà legami, creerà racconti, svelerà storie nelle storie. Accanto a lui Andrea Delogu che del mondo dello spettacolo ha una visione a 360 gradi come attrice, conduttrice e scrittrice.
Il luogo in cui questa magia si ricostruisce è il Teatro Sistina di Roma dove le produzioni interrotte troveranno la loro ribalta e la possibilità di lavorare di nuovo dal vivo con i propri attori, ballerini, musicisti, cantanti, tecnici, creativi. Prosa, Musical, Danza, Varietà, Commedia, Monologhi, ma anche ensemble e cast di eccellenze artistiche italiane che rappresentano centinaia di migliaia di lavoratori del comparto e che di solito non appaiono in televisione.
Una selezione degli spettacoli sospesi raccontati di volta in volta da Stefano Massini e Andrea Delogu che trasporteranno lo spettatore dalla platea di casa al palcoscenico – non solo attraverso la presentazione sul palco di un estratto dello spettacolo o attraverso le immagini registrate della versione integrale- ma anche con interviste, racconti, curiosità. Si conosceranno gli interpreti più da vicino, si sbircerà dietro le quinte delle loro produzioni, ripercorrendo le tappe della gestazione delle Opere, le storie e gli aneddoti correlati. Come in un “ideale” cartellone multidisciplinare, con “Ricomincio da RaiTre” il telespettatore diventa “l’abbonato in prima fila” per continuare a godere della bellezza dello spettacolo dal vivo e ricordare che L’Arte è viva, ma anche, e sempre, che deve tornare dal vivo.
GLI OSPITI DELLA LA PRIMA PUNTATA
Alessio Boni porterà un monologo dallo spettacolo Il Visitatore scritto dal grande drammaturgo francese Eric-Emmanuel Schmitt nel 1993 e diretto da Valerio Binasco.
Luca & Paolo faranno un pezzo sui negazionisti per poi farci entrare in clima natalizio con un estratto da Canto di Natale di Charles Dickens.
Tullio Solenghi e Massimo Lopez porteranno uno dei loro cavalli di battaglia, lo sketch dei due papi e la canzone natalizia Let it snow, con Tullio Solenghi nei panni di Dean Martin e Massimo Lopez nei panni di Frank Sinatra.
E ancora Full Monty, il musical di Terrence Mc Cally e David Yazbec dall’omonimo film del 1997, nella messa in scena di Massimo Romeo Piparo, con Luca Ward, Paolo Conticini, Nicolas Vaporidis, Gianni Fantoni e Jonis Bascir.
L’attrice Valentina Lodovini reciterà un estratto dallo spettacolo Tutta casa letto e chiesa, il primo testo che Dario Fo ha scritto a quattro mani con Franca Rame.
Marco Paolini sarà in collegamento dal Teatro Villa dei Leoni di Mira in provincia di Venezia per commentare le immagini del suo ultimo spettacolo Teatro fra parentesi. Le mie storie per questo tempo, storie brevi che ci riportano ad una ipotetica antologia intima dell’autore.
Paolo Jannacci canterà alcuni brani e, nel corso dello spettacolo, accompagnerà alcuni monologhi dei presentatori Stefano Massini e Andrea Delogu.
Ci sarà anche la danza contemporanea, con un pezzo creato per l’occasione dal coreografo fiorentino Virgilio Sieni. Il suo linguaggio parte dal concetto di trasmissione e tattilità e, attraverso l’ Accademia sull’arte del gesto, viene ulteriormente approfondito in contesti di formazione rivolti a persone di qualsiasi età, provenienza e abilità.
Un inedito duo teatrale, formato da Vinicio Marchioni e Francesco Montanari, si esibirà in un brano concepito con Stefano Massini sui luoghi comuni del mondo del teatro e della cultura (e non solo) in questo periodo di lockdown.
La giovane attrice e drammaturga Marta Cuscunà tornerà sul tema della discriminazione di genere con un estratto dal suo spettacolo La semplicità ingannata. Satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donne,
mentre, in collegamento da Palermo, l’attrice e regista Emma Dante ci mostrerà le immagini del suo nuovo progetto sulle fiabe che ha sviluppato insieme a suo figlio durante quest’ultimo lockdown.
Si chiuderà con il teatro più classico di William Shakespeare, insieme a Glauco Mauri e Roberto Sturno.
Questi solo alcuni dei numerosi ospiti previsti nelle successive puntate: Luca Zingaretti, Renzo Arbore, Amanda Sandrelli, Flavio Insinna, Ascanio Celestini, Arturo Brachetti, Serena Autieri, Toni Servillo, Fabrizio Gifuni, Anna Foglietta, Gabriele Lavia, Sonia Bergamasco, Elena Sofia Ricci, Lella Costa, Valerio Mastandrea.
Un programma di Felice Cappa, Stefano Massini, Massimo Romeo Piparo – Scritto con Serena Fornari, Pamela Maffioli – Direzione artistica Massimo Romeo Piparo – Produttore esecutivo Giulia Lanza –
Questa volta ho deciso di approcciarmi diversamente alla recensione del libro. Non sono impazzita, il motivo è molto semplice: a scuola abbiamo partecipato a un progetto basato sulla lettura dentro e fuori le carceri e il compito era quello di leggere Candido e, successivamente, di scrivere un testo. Non ci sono state date altre informazioni o altri parametri da seguire: dovevamo riempire il foglio di carta con qualsiasi riflessione ci venisse in mente. Abbiamo quindi letto questo libro in contemporanea ai detenuti di un carcere della zona che hanno poi, come noi, messo per iscritto i loro pensieri che poi abbiamo confrontato.
Ecco quindi ciò che Candido mi ha fatto provare, buona lettura!
RIFLESSIONE:
Non credo di aver mai riso così tanto come ho fatto con Candido.
Non mi sarei nemmeno mai aspettata, sinceramente parlando…
<<Perchè noi non facciamo la rivoluzione sociale, ma la liberazione nazionale.>>
Dal libro Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino
INFORMAZIONI GENERALI:
TITOLO: Il sentiero dei nidi di ragno
AUTORE: Italo Calvino
GENERE: romanzo storico
VOTO:
★★★
IL LIBRO:
Nel suo primo romanzo, Calvino racconta il fenomeno della Resistenza visto attraverso gli occhi di un bambino di nome Pin.
Nella sinossi del libro sono riportate le parole dell’autore stesso:
<<Tutto doveva essere visto dagli occhi di un bambino, in un ambiente di monelli e vagabondi. Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo…>>
Italo Calvino
Non amo particolarmente il modo di scrivere di questo autore, ma non posso fare a meno di riconoscere la genialità della sua idea, genialità dovuta all’insolito…
Massimo Gramellini sul Corriere della Sera: «Prima che il settecentesimo anniversario della morte dell’Alighieri (1265-1321) tracimi su tutti gli schermi, con il rischio di farcelo venire quasi in uggia, Aldo Cazzullo ci offre un prezioso manuale di sopravvivenza dantesca: A riveder le stelle (Mondadori). […] L’idea di Cazzullo è semplice e necessaria. Raccontare il viaggio immaginario di Dante scena per scena, rendendo a noi lo stesso servizio che Virgilio rese a lui. Qualcuno, scrive l’autore, gli aveva suggerito di selezionare la folla d’anime di cui pullula la Commedia, limitandosi a tratteggiare i personaggi più famosi. Si vede che quel qualcuno lo conosceva poco. Non c’è contemporaneo che possa rivaleggiare con Cazzullo nella capacità di trasformare la scrittura in una corsa a perdifiato, ma al tempo stesso in punta di piedi, dove si passa da Francesca da Rimini a Vasco Rossi da Zocca nel giro di un capoverso, senza tralasciare un’informazione né un’emozione. Ignavi, taccagni, scialacquatori, demoni, giganti, lonze, sodomiti e traditori: nessuno resterà impunito. Se la Commedia è un compendio del sapere universale, il riassunto che ne ha fatto Cazzullo non è da meno: gli basta un verso di Dante sul golfo del Carnaro per apparecchiare un excursus sull’irredentismo, Alcide De Gasperi e Nazario Sauro, e non farete in tempo a riprendervi che vi avrà già scaraventato nella polvere della battaglia di Montaperti o tra le pieghe di qualche mito, raccontandovi di Ercole, di Medea, ma anche di Nesso e della camicia omonima. […] Su tutto il racconto, naturalmente, incombe la parabola umana di Dante, che Cazzullo cattura con una frase: “La dura prova dell’esilio e le divisioni tra italiani e tra cittadini sono la tragedia della sua vita”. […] Quanto ai difetti (perché un difetto bisogna pur trovarlo, in una recensione che si rispetti), l’unico che ho riscontrato è che finisce troppo presto. Si ferma alla prima cantica, lasciandoci sulla porta del Purgatorio e completamente a digiuno di Paradiso».
(Renno é una renna peluche nata nel dicembre 2017. Indossa la maglietta della Roma. Sin dal suo apparire ha manifestato il desiderio di favole prima di addormentarsi).
IL LAGO
C’era una volta un lago molto profondo, circondato da montagne di altezza diversa che fungevano da barriera all’ingresso degli intrusi.
Su quel lago circolavano molte teorie che vantavano il privilegio di conoscerne i segreti. C’era chi parlava della presenza di luci improvvise che danzavano sull’acqua nelle notti più buie. Alcuni erano certi di aver visto fate e folletti che si rincorrevano scivolando sulla superficie senza mai riuscire a toccarsi. La voce più diffusa ed accreditata sosteneva che nel profondo delle acque s’intravedeva Atlantide scomparsa, abitata da gente vestita di bianco che celebrava riti dedicati al Sole e alla Luna.
Nel corso degli anni si era intensificata l’attività di ricerca per scoprire il segreto del lago. C’era un motivo. Una profezia di origine misteriosa avvertiva che il lago sarebbe scomparso nel corso di una ricorrenza molto importante per l’umanità, a causa del franare delle montagne intorno. La parola d’ordine era accelerare la ricerca del segreto del lago prima della scomparsa di quest’ultimo.
Il tempo passava senza risultati attendibili e le domande continuavano a restare domande senza risposta. Uno dopo l’altro i ricercatori si arresero e abbandonarono il lago ai suoi misteri. Il lento e inesorabile trascorrere del tempo, la tranquilla stabilità delle montagne intorno convinsero il mondo che la profezia era falsa, un espediente per impedire la colonizzazione dei luoghi atta a favorire lo sviluppo dell’urbanesimo.
La frenetica ricerca perse la sua forza fino a spegnersi, prima nell’indifferenza, poi nella dimenticanza. In tutto il mondo si sviluppò un nuovo progetto per violentare le montagne attraverso l’abbattimento dei loro boschi e delle loro scoscese pareti per adattarle a luogo di turismo.
Nel corso di una notte di dicembre dei primi anni del nostro secolo, una notte speciale, quella in cui si attende l’apparire di una cometa, una ragazzina scelse di trascorrere il tempo dell’attesa sulla riva del lago. Faceva molto freddo ma lei, la ragazzina, s’inoltro’ lo stesso nel fitto bosco e percorse il sentiero che conduceva ad un salotto naturale fatto di tronchi e pietre, proprio vicino alla riva del lago. Si sedette e alzò lo sguardo verso il cielo in cerca della cometa. Sentì all’improvviso crescere in sé un dolore sordo, una malinconia struggente che si tradussero in un pianto senza lacrime. Nascose il volto tra le mani e ascoltò una voce sommessa che le parlava con dolcezza. Non capiva le parole, ma il suono della voce la indusse ad alzarsi e dirigersi verso l’acqua del lago. Accarezzo’ con tenerezza una piccola onda. Improvvisa, la cometa saetto’ e, come una freccia, si diresse verso il centro del lago illuminandone il fondo.
Quello che la ragazzina vide non fu altro che la propria vita come aveva sempre desiderato che fosse.. Si guardo intorno, chiamò per nome la voce, alzò lo sguardo verso le montagne inventandosi una muta preghiera. Una mano si tese verso la sua, quella mano che aveva sempre cercato e si lascio’ andare verso il fondo, nell’ assoluta consapevolezza che non c’era niente altro da desiderare.Le montagne si sgretolarono in pietre che favoriscono la sua discesa e si adagiarono , le une sulle altre, fino a coprire tutto il lago e il suo mistero.Più in là, il mondo scartava regali sotto gli abeti addobbati così come accadeva e sarebbe accaduto ancora ogni Natale.Per la ragazzina il regalo più bello. Il silenzio.
A riveder le stelle, lo speciale concerto inaugurale della stagione 2020/2021 del Teatro alla Scala di Milano
Alberto Mattioli su La Stampa: «La prima della Scala covidata più strana di tutti i tempi: niente pubblico in sala, niente opera, ma un concertone lirico per la tivù (quasi tutto registrato). Titolo: A riveder le stelle, insieme un augurio e una constatazione, dato che le stelle del canto ci sono quasi tutte. Unica certezza: sul podio, come sempre, il direttore musicale della Casa, Riccardo Chailly. Rimpianti? “Sinceramente sì. Dovevamo inaugurare con una Lucia di Lammermoor che non abbiamo nemmeno mai potuto annunciare ufficialmente. Avevamo però già fatto due settimane di prove, lo spettacolo iniziava a prendere forma. È un grande dolore, una sofferenza, non vederlo in scena. Era dal ’67, dalla famosa edizione Abbado-De Lullo, che la Scala non apriva con Donizetti. Allora c’ero, sarebbe stato bello riportare Lucia alla prima”. Parliamo di questo 7 dicembre. Il programma è lungo e in gran parte sarà registrato prima. Che effetto le fa? “Intanto bisogna venirne a capo. La gabbia organizzativa è molto complessa, con arrivi e partenze continui di cantanti che raggiungono Milano da tutto il mondo, in un momento in cui viaggiare non è esattamente facile”. […] Però non c’è l’opera, ma una specie di antologia… “L’idea è che non sia soltanto un serie di arie staccate, ma un vero percorso sia dentro i singoli titoli, con più brani di ognuno, sia attraverso un secolo di opera italiana, dal Tell di Rossini a Turandot di Puccini. Più qualche brano non italiano, come Carmen o il finale del primo atto di Walküre di Wagner. Per l’orchestra si tratta chiaramente di un impegno enorme: non solo per la quantità di musica, circa tre ore, ma anche per le differenze stilistiche, che ovviamente non bisogna appiattire. Per chi suona, un viaggio epocale”. La fine è l’inizio: il programma si chiude con l’apoteosi finale del Tell. “L’ho voluto in italiano e non nell’originale francese perché si capiscano le parole di Calisto Bassi sulla musica sublime di Rossini: “Tutto cangia, il ciel s’abbella,/ L’aria è pura, il dì è raggiante”. Un messaggio di speranza che dalla Scala si alzerà verso Milano, l’Italia e il mondo, sperando che questa pandemia non sia soltanto una tragedia ma anche una catarsi purificatrice”. Come sarà fare musica senza pubblico? “Sono sincero: non lo so. Non mi è mai capitato. Ma so che senza il calore del pubblico, senza l’applauso finale, sarà diverso, si avvertirà un vuoto. Stiamo facendo un lavoro che non è il nostro, in condizioni che non sono quelle abituali, in una situazione di emergenza dove tutto è inusuale, a cominciare dal fatto che l’orchestra suona in platea, il coro canta nei palchi e io dirigo guardando verso il palco reale. È un unicum, un’esperienza eccezionale e non ripetibile”».
Opere di Gianni Rodari (Mondadori): volume edito nella collana «I Meridiani». Gino Ruozzi su Domenica (Il Sole 24 Ore): «Rodari non è solo un grande scrittore per bambini: è un grande scrittore. Perciò benissimo hanno fatto i Meridiani Mondadori ad accoglierlo nel centenario della nascita e a quarant’anni dalla morte (1920-1980) nella collezione più prestigiosa dei nostri autori del Novecento, dandogli il rilievo che merita nella letteratura italiana. In questa prospettiva la curatela e l’introduzione di Daniela Marcheschi, già curatrice per i Meridiani delle opere di Collodi e di Pontiggia, è tanto precisa quanto illuminante, perché riconosce a Rodari la giusta dimensione di classico del Novecento, capace di parlare a tutti, di rivolgersi sia ai piccoli sia ai grandi, nell’ottica più volte ribadita di “dual audience”. Autori “anfibi” li chiamava Luigi Malerba, che nel 1983 nell’introduzione alla prima edizione postuma di Favole al telefono (1962) ne sottolineava la forza penetrante ed eversiva, di erosione e opposizione al potere, perché c’è “qualcosa di inafferrabile e di stregonesco nel raccontatore di favole, qualcosa che ha finito per mettere in sospetto le autorità senza fantasia”. È già dal 1937-1938 che Rodari pensa e fonda la “grammatica della fantasia”, cercando a suo modo di rispondere alle dittature del proprio tempo, provando a fornire un pensiero divergente a quello repressivo del potere. Credo che sia stato questo il filo conduttore del suo lavoro di scrittore, maestro, giornalista, uomo di cultura. Cercare risposte alternative alle narrazioni autoritarie, ai linguaggi e ai codici uniformanti. […] Favole, filastrocche, fiabe, favolette sono titoli che indicano intrecci e contaminazioni coscienti di generi letterari e nello stesso tempo volontà di superamento di ogni rigida barriera, nel segno costante di un’utopia edificatrice. Questo Meridiano è una miniera di testi e di informazioni, fertili e coinvolgenti occasioni di lettura e di riflessione. Un altro versante messo in opportuna evidenza da Marcheschi è quello del giornalismo, che “all’insegna dell’umorismo” Rodari praticò con esattezza e insieme felice creatività. Secondo il principale modello di Collodi, che Rodari ripercorre sul “filo dell’ironia, della satira di costume, del paradosso”. L’edizione è arricchita da un prezioso secondo volume che raccoglie le copertine e le illustrazioni che hanno accompagnato nei decenni i libri di Rodari».
Il Nobel per la Letteratura 2020 è stato assegnato alla poetessa statunitense Louise Glück. L’Accademia svedese l’ha premiata «per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende l’esistenza individuale universale». Settantasette anni, nata a New York da genitori ebrei ungheresi, oltre a scrivere Glück insegna alla Yale University. Ha pubblicato dodici antologie di poesie. Nel 1993 ha vinto il Premio Pulitzer per la raccolta The Wild Iris («L’iris selvatico», tradotto in italiano da Massimo Bacigalupo, per l’editore Giano, che ha anche reso nella nostra lingua Averno pubblicato da Dante&Descartes). Nel 2014 ha ricevuto il National Book Award con Faithful and virtuous night. «Non è l’America di Don DeLillo o di Cormac McCarthy, gli scrittori statunitensi che, morto Philip Roth, in molti si aspettano di vedere ricevere la medaglia dal re di Svezia, ma un universo poetico con molti riferimenti al mondo classico, ai miti greci e romani, (ma anche Gretel e Giovanna d’Arco per esempio) che Glück mescola a temi come la solitudine, i legami familiari, l’infanzia, le separazioni, la morte, in un viaggio interiore severo che non teme di affrontare il dolore» [Taglietti, CdS]. • «I bookmaker si guadagnano da vivere con le scommesse, sono gente pratica, guardano alle probabilità non al merito della puntata. Louise Glück era data 25 a 1 come Marylinne Robinson e Edna O’Brien. Scovare l’intruso. […] Pare che in Svezia Louise Glück sia molto tradotta e gli svedesi abbiano accolto con gioia l’annuncio. Meglio non riportare per intero la frase sul jazz di John Coltrane: sosteneva che, come certe manifestazioni fisiologiche del corpo umano, piace solo a chi lo fa. In Italia è stata pubblicata da un piccolo e coraggioso editore napoletano. Complimenti a lui in ogni caso. L’Accademia di Svezia ribadisce in ogni caso autonomia di giudizio, austerità e indipendenza. Potrebbe anche permettersi di cambiare la ragione sociale: SNOB-EL» [Dario Olivero, Rep].
La cura dello sguardo. Nuova farmacia poetica di Franco Arminio (Bompiani) (ore 18.30). Gianluigi Simonetti su Il Sole 24 Ore: «Nella nota introduttiva, l’autore si presenta come un malato e insieme un guaritore, armonizzando due sottogeneri narrativi oggi fra i più diffusi: opere che raccontano un’infermità, opere che propongono qualche forma di assistenza o auto-aiuto. Alla confluenza tra i due ambiti, Arminio offre “istruzioni semplici”, “consigli che posso dare, piccoli precetti fatti in casa” – dove l’accento cade tanto sull’artigianato quanto sull’efficacia della scrittura (“la poesia è letteralmente un farmaco”; “la lingua è una grande cura”; “la medicina del futuro è la poesia”). […] Per funzionare, cioè per agire sul numero più alto possibile di lettori, un testo deve essere veloce: “un mondo che si è fatto velocissimo richiede una letteratura semplice e breve, diretta e limpida”; “molti ancora indugiano a scrivere come se le persone avessero ancora tempo per star dietro ai giochi con la lingua”. […] Aprendo il libro di Arminio troviamo innanzitutto una grande quantità di “poesia”, intesa come emotività decomplessata; ma una poesia che si dispiega quasi sempre nella prosa – cioè senza la fatica, la scommessa e il rischio dell’andare a capo (i testi versificati sono sei in duecento pagine). […] Nella Cura dello sguardo c’è un passo, rivelatore, in cui chi scrive esprime il proprio umanissimo bisogno di conferme: “Ho sempre cercato vanamente l’approvazione del paese, come quella del padre. Ma forse per un poeta questa è la cosa più difficile”. Infatti. Per molto tempo Arminio ha cercato l’approvazione della critica, che lo ha consacrato scrittore “di qualità”; adesso cerca l’approvazione di un pubblico vasto, che lo consacri scrittore “di successo”. E tuttavia non si può dire che il suo impianto retorico sia sostanzialmente cambiato (come non è cambiato il suo ansioso bisogno di padri); si è solo adeguato a un posizionamento differente, attenuando i marcatori stilistici associati alla qualità “per pochi” (per esempio il registro lugubre e autoptico, l’ipocondria nera, l’ironia fantastica, la fissità elencatoria) ed enfatizzando quelli che si associano alla letteratura “per tutti” (per esempio l’enfasi sentimentale, lo slancio terapeutico, i picchi patetici, i dispositivi oratori). Ma gli uni e gli altri erano già presenti nella sua scrittura. […] Il percorso di questo autore, al di là di ogni liquidazione o idolatria, è interessante per almeno due ragioni: mostra dove va la letteratura che vuole farsi leggere da molti, e quale prezzo può pagare per realizzare questo scopo; fa riflettere sulle contraddizioni della critica – su come la qualità, al pari dell’impegno, possa rivelarsi niente più che un’etichetta». Un estratto, da Doppiozero: «Con grande sorpresa sono arrivato al sessantesimo anno. Sono nato a Bisaccia, Irpinia d’oriente, il 19 febbraio del 1960. Mio padre Luigi e mia madre Flora tenevano l’osteria, allora la chiamavano cantina. Era appartenuta a mio nonno Vito, morto a trentasette anni, e al mio bisnonno. Quando avevo tre mesi fui ricoverato al Cotugno di Napoli. Avevo la difterite, malattia per cui mia madre mi raccontava che morivano tanti bambini che erano in quell’ospedale. Lei divenne cardiopatica, e mi diceva sempre che era per colpa della mia malattia. Mio padre aveva un malumore di fondo, mischiato a una straordinaria capacità, anche comica, di intrattenere i clienti. Niente sembrava che gli andasse bene: neppure io, ovviamente. Non aver goduto della sua stima forse mi ha creato quella voragine di incredulità intorno a cui ruota tutta la mia vita. Anzi, le voragini sono due. L’altra viene da mia madre, dal suo perenne sentirsi malata. Per anni ho temuto la sua morte, poi sono passato a temere la mia. Evento cruciale un attacco di panico sulla sedia del barbiere, il 29 maggio 1986. Da allora vivo come se avessi davanti a me un’ora di vita. L’ansia e la scrittura si sono ben presto intrecciate, formando un nodo inestricabile nel mio corpo. Nella scrittura si fondono le due voragini: scrivo a oltranza perché ogni giorno c’è un guasto da riparare, sono la vittima e il miglior custode della mia nevrosi».
Dante Alighieri, uno dei più grandi poeti della letteratura mondiale, affronta il concetto di empatia in modo profondo nella sua opera principale, la Divina Commedia. In particolare, nel IX canto del Paradiso, egli utilizza l’espressione “s’io m’intuassi, come tu t’inmii”, che può essere interpretata come un invito a una comprensione profonda e reciproca tra le anime.
Il Concetto di Empatia in Dante
Definizione e Riferimenti
L’empatia, derivante dal greco “empatéia” (che significa “sentire dentro”), implica una connessione emotiva e una partecipazione attiva ai sentimenti altrui. Questo concetto è ben rappresentato nel verso di Dante, dove l’atto di “intuarsi” e “inmïarsi” suggerisce un dialogo che va oltre la semplice comunicazione, arrivando a una fusione di esperienze e stati d’animo tra l’io e il tu[1][3].
Empatia e Relazione con l’Altro
Nella Divina Commedia, Dante esplora la relazione con l’altro attraverso un’etica del rispetto e della comprensione. La sua visione non è quella di giudicare i peccatori, ma piuttosto di cercare di comprenderli. Questo approccio si traduce in un atteggiamento compassionevole, dove la conoscenza dell’altro non è invasiva ma accogliente[2][3]. Filippo La Porta, in un saggio dedicato a Dante, sottolinea come il poeta proponga un’interazione che valorizza l’integrità dell’altro, promuovendo una forma di empatia che trascende il giudizio[2].
L’Empatia nell’Estetica
Dante non si limita a esplorare l’empatia nelle relazioni umane; essa si estende anche all’estetica. L’incontro con l’opera d’arte può evocare una risposta empatica, permettendo all’osservatore di entrare in sintonia con le emozioni trasmesse dall’artista. Questo fenomeno è descritto come “simpatia estetica”, dove il pubblico vive un’esperienza condivisa con l’opera[1][3].
Conclusione
L’opera di Dante Alighieri offre una visione complessa dell’empatia, non solo come capacità di comprendere gli altri ma anche come fondamentale per l’esperienza estetica. Attraverso i suoi versi, egli invita i lettori a riflettere sulla profondità delle relazioni umane e sull’importanza di un approccio empatico nella comprensione dell’altro. La sua eredità continua a essere rilevante oggi, invitandoci a coltivare un atteggiamento di apertura e accoglienza nei confronti delle esperienze altrui.
“Mary Shelley a zonzo sul lago di Como” è un progetto dell’associazione Sentiero dei Sogni, realizzato in sinergia con il liceo “Teresa Ciceri”, l’istituto tecnico economico “Caio Plinio” e la rete di associazioni di “Como futuribile”, programma sostenuto da Regione Lombardia. Prevede la traduzione integrale del primo dei tre tomi, inedito in Italia, del libro di viaggio di Mary Shelley “Rambles in Germany and Italy” e la rivisitazione dei luoghi che descrive e degli aneddoti che racconta l’autrice, per trarne dei percorsi fruibili dai visitatori di oggi. Durante l’emergenza per il coronavirus, chiuse in casa come Mary Shelley a Villa Diodati nell’anno senza estate 1816, quando scrisse “Frankenstein”, alcune ragazze del liceo “Ciceri”, hanno realizzato dei brevi video con il testo di Mary da loro tradotto e le immagini delle località del Lario da lei descritte, per permettere a…
Scrittore cileno. Esordì nel 1989 con Il vecchio che leggeva romanzi d’amore dedicato a Chico Mendes e scritto dopo sette mesi trascorsi nella foresta amazzonica con gli indios Shuar. «Con il secondo romanzo, Il mondo alla fine del mondo, descrisse invece ciò che gli era sembrato inevitabile dal ponte di una nave di Greenpeace, organizzazione a cui si era unito negli anni Ottanta: navi-fabbrica che trascinano a bordo balene esangui e si trasformano in mattatoi, inseguimenti tra le nebbie dell’Antartide, militanti ecologisti contro pescatori giapponesi» [Parmeggiani, Rep]. Della sua produzione si ricordano anche alcune favole, tra cui Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare (pubblicato nel 1996 da Salani) che ha ispirato il film d’animazione La gabbianella e il gatto, uscito nel 1998 e diretto da Enzo D’Alò. Da ultimo ha pubblicato nel 2018 Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa. «La madre Irma, ricordava, era di origine mapuche. Per questo diceva che era fatto per resistere alle prove anche le più dure. Impegnato in tante battaglie, sempre in guerra contro un potere tiranno (i dittatori dell’America Latina ma anche le multinazionali che avevano condannato i paesi del Cono Sud a una dipendenza economica che somiglia alla schiavitù) Lucho stava dalla parte degli oppressi, quelli che la legge dei padroni considerava banditi, fuorilegge. E lui era nato fuorilegge, con “un mandato di cattura” che pendeva sulla testa di suo padre, José Sepúlveda, cuoco e comunista, che la famiglia di Irma aveva denunziato per “rapimento di minorenne e sequestro di persona”. Così era nato a Ovalle, cittadina del Nord, in una camera d’albergo che certo, rideva, non era “un hotel cinque stelle”» [Polese, CdS]. Durante la presidenza di Salvador Allende s’iscrisse al Partito Socialista ed entrò a far parte della guardia personale del presidente cileno. Arrestato nel 1973 dopo il colpo di stato del generale Augusto Pinochet, fu torturato per sette mesi e liberato dopo per le pressioni di Amnesty International. Un nuovo arresto lo condannò all’esilio. Nel 1979 in Nicaragua si unì alle Brigate Internazionali Simon Bolivar. Nel 1978 si trasferì ad Amburgo, in Germania, quindi in Francia. Dal 1996 viveva a Gijón, nelle Asturie, in Spagna. Morto alle 10 e 18 di ieri, in ospedale a Oviedo, dov’era ricoverato da fine febbraio dopo aver contratto il coronavirus al Festival letterario Correntes d’Escrita, in Portogallo. Lascia quattro figli e una moglie, la poetessa Carmen Yáñez, 66 anni, sposata due volte. Tra i due matrimoni convolò a nozze con Margarita, una donna tedesca conosciuta in Ecuador con la quale ebbe tre figli. Spiega la moglie Carmen: «Quando sarà possibile organizzeremo una piccola cerimonia di addio perché tutti i suoi figli e i suoi nipoti e i suoi amici possano salutarlo. E poi lo porteremo in Patagonia».
Jorge Méndez Blake, artista messicano, nelle sue opere cerca di connettere le arti visive e la letteratura. E in un suo lavoro ispirato a Kafka evidenzia metaforicamente l’impatto che può avere un solo libro…
La capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici,
di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà,
di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere la propria identità.
L’Associazione Antonio e Luigi Palma per la cura del dolore al fine di estendere la conoscenza dell’attività che svolge e di promuovere il valore e la funzione della scrittura e della lettura, a fronte del grande successo delle prime due edizioni lancia una terza edizione del concorso letterario rivolto ai racconti inediti e alla poesia dal titolo “Resistere e ripartire guardando al domani”.
Il momento difficile e di grande smarrimento che stiamo vivendo può essere occasione di profonde riflessioni sulla vita, su noi stessi ma, soprattutto, sul domani. Il concorso, a iscrizione gratuita, è rivolto a chi ha il desiderio, attraverso la scrittura, di trasmettere e condividere messaggi di speranza che vanno oltre le fatiche psicologiche che il momento storico ci sta costringendo ad affrontare.
I racconti e le poesie saranno valutati da una giuria di professionisti composta da: Maria Grazia Gispi (Presidente giuria, giornalista e responsabile ufficio stampa Centro Servizi per il Volontariato dell’Insubria), Paolo Ferrario (sociologo), Mauro Fogliaresi (scrittore e poeta), Antonella Grignola (docente di italiano e latino, Liceo Teresa Ciceri di Como), Claudia Rancati (docente di lettere presso il Liceo Scientifico “P. Carcano” di Como), Angelo Palma (Presidente Associazione Palma).
La data ultima per la consegna degli elaborati è fissata per il 30 giugno 2020 e i testi, in formato word (con un massimo di 6 cartelle, cioè 18.000 caratteri, titolo e spazi inclusi), devono essere inviati all’indirizzo di posta elettronica camilla.palma@manzoni22.it.
Come per le passate edizioni, i migliori racconti e le migliori poesie segnalati dalla giuria saranno pubblicati in un’antologia del Premio.
Il concorso prevede che al primo classificato per entrambe le sezioni (racconti inediti e poesia) venga corrisposto un premio in denaro pari a euro 500. I premi dovranno essere ritirati personalmente dai vincitori (o loro delegati) durante la cerimonia di premiazione che si terrà in autunno in data e luogo da definire. Prosegue il Premio Speciale Giovani rivolto ai partecipanti di età compresa tra i 15 e i 25 anni. Al primo classificato verrà corrisposto un premio in denaro pari a euro 300.
Per scaricare il bando del concorso e per avere informazioni riguardo alle modalità di partecipazione, è possibile visitare il sito internet dell’Associazione Palma, all’indirizzo http://www.associazionepalma.org oppure inviare una mail con la richiesta specifica a camilla.palma@manzoni22.it.
L’associazione Antonio e Luigi Palma è nata a Como nel 1992 su iniziativa del
Prof. Aldo Rossini e del Dott. Luciano Tadini per perpetuare la memoria di due benemeriti professionisti della città di Como, il Dott. Antonio Palma e l’Avv. Luigi Palma. L’Associazione offre da 27 anni assistenza e cure gratuite alle persone con malattie croniche presso il loro domicilio, mediante l’intervento di un’equipe qualificata (medici specialisti, infermieri, Operatori Socio – Sanitari, psicologo e volontari), per il supporto al malato e alla sua famiglia volto al mantenimento di un’adeguata qualità di vita e al sostegno psicologico.
L’assistenza, che è gratuita, riguarda:
Supporto al Medico di Medicina Generale nella gestione del paziente fragile
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