In treno verso Venezia per:
Categoria: AUTORI
Armando Torno sul convegno di Venezia su Emanuele Severino, 29 e 30 maggio 2012
Emanuele Severino, Verità e relativismo, la sfida impossibile, in Corriere della Sera 25 maggio 2012
“Creatio est productio rei ex nihilo sui et subjecti”, Sant’Agostino
Nel mito di Adamo l’uomo vuole “uccidere dio” per impossessarsene.
Ma è altrettanto vero che, PRIMA ANCORA, dio è il primo omicida, perchè pretende di creare l’uomo dal niente.
Pretendendo di crearlo afferma il principio che l’uomo era il nulla assoluto.
“Creatio est productio rei ex nihilo sui et subjecti ” dice Sant’Agostino
Traduco alla buona: “la creazione è produzione della cosa da un precedente niente sia di se stesso che di ogni oggetto“.
La parola “creazione” vuole, dunque, imporre la totale inesistenza dell’ “essere” (e quindi del mondo) prima della sua produzione da parte di dio.
La nozione di creazione pone l’accento sul NULLA del punto di partenza (“ex nihilo“) dell’azione creatrice.
Ecco perchè Emanuele Severino indica che tutte le religioni partecipano delle visioni nichiliste.
Ben prima di Nietzsche
Riflessione frammentaria dopo due colpi di terremoto. Emanuele Severino: “L’uomo trova un riparo nelle proprie abitazioni non perché riceva da esse certe prestazioni, ma perché è il loro essere simbolo dell’Eterno che consente loro di fornirle. E’ perchè le costruisce in modo che siano simbolo dell’Eterno che egli, abitandole, si sente al riparo”
Due scosse di terremoto, con epicentro nella valla padana.
Abbiamo sentito quella di questa notte alle 4.10 (dicono anticipata alla 1.00) e un’altra, poco fa, alle 15.18
Affronto l’angoscia con queste parole dei Emanuele Severino:
“Nella tradizione dell’Occidente la città, la casa, il tempio, il teatro, lo stadio, la chiesa, il castello non vogliono esistere in eterno, e tuttavia vogliono rispecchiare l’Ordinamento eterno del mondo e quindi intendono essere il meno caduchi possibile e presentarsi essi stessi con una certa aura di eternità.
Volendo rispecchiare l’Ordinamento eterno del mondo, vogliono esserne il simbolo.
L’uomo trova un riparo nelle proprie abitazioni non perché riceva da esse certe prestazioni, ma perché è il loro essere simbolo dell’Eterno che consente loro di fornirle.
E’ perchè le costruisce in modo che siano simbolo dell’Eterno che egli, abitandole, si sente al riparo”
da Emanuele Severino “Tecnica e Architettura”, Raffaello Cortina Editore
la citazione è tratta da qui:
http://www.de-architectura.com/2008/06/eseverino-e-nsalingaros-due-visioni.html
Emanuele Severino su IL DIRITTO NATURALE E LA SFIDA DELLA DEMOCRAZIA PLURALISTICA al Convegno IL DIRITTO NELL’ETA’ DELLA TECNICA, sessione del 17 maggio 2012
Emanuele Severino, La legna e la cenere in L’IDENTITA’ DELLA FOLLIA, lezioni veneziane, Rizzoli, 2007, pagg. 219-240
Emanuele Severino, La legna e la cenere
in L’IDENTITA’ DELLA FOLLIA, lezioni veneziane, Rizzoli, 2007, pagg. 219-240
Convegno di studi IL DESTINO DELL’ESSERE Dialogo con (e intorno al pensiero di) Emanuele Severino 29-30 maggio 2012 Aula Magna Silvio Trentin – Ca’ Dolfin Dorsoduro 3825/e – Venezia, Locandina con i programma
CONVERSARE SULLA CENTRALITA’ DELLA FILOSOFIA PER IL NOSTRO TEMPO ATTRAVERSO LA VOCE DI EMANUELE SEVERINO. Incontro con Paolo Ferrario, Como, 15 maggio 2012, ore 21. Audio ascoltati e Grafici
All’origine di questa serata di conversazione c’è questo invito di Anna e Alessandro:
E’ NATO CON MOLTA SPONTANEITA’ IL DESIDERIO DI UN INCONTRO CON L’AMICO PAOLO FERRARIO, APPASSIONATO ESTIMATORE DEL FILOSOFO EMANUELE SEVERINO. CON ALESSANDRO ABBIAMO CONTEMPORANEAMENTE MATURATO L’INTERESSE DI INVITARLO NEL NOSTRO GRUPPO A TESTIMONIARCI IL SUO TIPO DI APPROCCIO CON LA FILOSOFIA.
L’INCONTRO, SECONDO NEL MESE , E’ PROPOSTO PER MARTEDI’ 15 MAGGIO ALLE H.21.00, A CASA MIA.
L’OCCASIONE E’ PARTICOLARE DATA LA MOLTEPLICITA’ D’INTERESSI, LA CURIOSITA’ E LA RICERCA DI TIPO ESISTENZIALE DELL’AMICO PAOLO.
DISCUSSIONE
Abbiamo parlato di:
RIMEDIO
FEDE E FILOSOFIA
delle ragioni del suo allontanamento dalla Università Cattolica
del rapporto di “anima” con la moglie Esterina
…
CONCLUSIONE
Con bellissima voce e dizione, una componente del gruppo ha letto l’inizio del libro IL MIO RICORDO DEGLI ETERNI
Infine ci siamo salutati e detti che, forse, ci sarà un altro incontro.
In futuro
“Del tragico Amore” (proseguimento de “La struttura concreta dell’infinito”), di Marco Pellegrino
e in data 16 novembre , Marco pellegrino annuncia la sua prossima riflessione:
vai a: http://marcopellegrino.blogspot.it/2013/11/su-le-materie-prime-della-coscienza.html?spref=fb
“Del tragico Amore” (proseguimento de “La struttura concreta dell’infinito”)
Titolo: Del tragico Amore
Editore: Youcanprint
Pagine: 421
Di prossima pubblicazione
INDICE
Prefazione
Prologo
Dialogo tra me e me
Avvertenza
PARTE PRIMA
INTRODUZIONE. Da La struttura concreta
dell’infinito a Del tragico Amore
CAPITOLO PRIMO. Richiami e delucidazioni sulle tematiche principali sviluppate ne La struttura concreta dell’infinito
1. Richiamo generale: le stanze della casa infinita dell’essere
2. L’intenzione di indicare la verità e l’autentico significato della <<filosofia>>
3. Identità e differenze semantiche tra termini: l’<<essere>> è l’<<apparire>> cioè l’<<eternità>> (<<totalità>>, <<infinito>>, <<felicità>>, etc.), distinti e legati alla <<parte>> identica al <<tempo>> cioè al <<luogo>>(<<finitezza>>, <<nascita e morte>>, <<sofferenza>>, etc.)
4. Trascendenza infinita e finitezza diveniente; numerabilità delle parti in relazione al primo e all’ultimo evento dell’infinito; la coscienza altrui
5. Il significato autentico della contraddizione è negazione dell’esistenza della <<contraddizione C>>
CAPITOLO SECONDO. Del tragico Amore risponde alle domande de La struttura concreta dell’infinito
1. Il prevalere del Tutto si lascia alle spalle il prevalere della parte
2. Tragicità modale dell’Amore coscienziale: dalla Prima Volta al Ritorno
3. Prima della nascita e dopo la morte: i <<passaggi>> e il Passaggio <<centrale>>
4. Rapporto tra il percorso finito del Tutto e la <<storia dell’uomo>>
5. Ripresa della metafora del <<libro>> e delle sue <<pagine>>
APPENDICI (ALL’INTRODUZIONE)
APPENDICE PRIMA. Il linguaggio ultimo di Severino
Breve sintesi de La morte e la terra
APPENDICE SECONDA. Tra il <<personale>> e l’infinito, tra Severino e l’Occidente
Risposta ad alcune domande di Alessandro Bagnato
APPENDICE TERZA. Tra il mio linguaggio filosofico e quello di Severino
Discussione con Roberto Fiaschi
APPENDICE QUARTA. Delucidazioni sul par. 2 del cap. I de La struttura concreta dell’infinito: <<Il segno è oltrepassato da ciò di cui esso è il segno>>
Confronto con Pietro De Luigi
APPENDICE QUINTA. La <<classe>>, l’<<inclusione>>, la <<parte>>: tra Gödel, Strumia e Russell (e altri ancora)
Una replica ad altre interessanti osservazioni di De Luigi
PARTE SECONDA
PARTE CENTRALE: SVILUPPO ANALITICO. La Prima Volta, il Passaggio e il Ritorno: amarsi dall’Inizio alla vita dell’Ultimo
CAPITOLO PRIMO. L’eternità del movimento: oltre i malintesi provocati dal linguaggio
1. Precisazione sulle differenze linguistiche
2. Delucidazione intorno all’identità semantica tra la differenza di Tutto-parte e la differenza tra le parti
3. Sui termini <<eternamente>> e <<temporalmente>>
CAPITOLO SECONDO. La <<vita>> e la numerabilità dei modi in cui l’infinito è infinito
1. L’equilibrio strutturale tra gli squilibri: la relazione tra il prevalere del finito e il prevalere dell’infinito
2. Domandare e rispondere
3. I modi in cui <<questa mia vita>> si distingue ed è unita ad <<ogni altra vita>>
4. Noi siamo la totalità delle <<vite>>: il rinvio dei <<modi>> non si prolunga in indefinitum
CAPITOLO TERZO. Il cammino della Prima Volta: l’Inizio e il prevalere del dolore della morte
1. La vita dell’Inizio
2. I <<passaggi>> e la morte; diacronie e sincronie
3. Passare da una vita all’altra del tracciato della Prima Volta: la morte come un <<prender fiato>>
4. Non leggere i segni: dimenticanza del passato e imprevedibilità del futuro
5. Ascesa senza saliscendi: la scala perfetta dell’infinito
6. La Prima Volta: dalla paura alla depressione
CAPITOLO QUARTO. Il Passaggio e la via del Ritorno: il prevalere dell’Amore
1. Il Passaggio: rimembrare il passato ed annunciare il futuro
2. Libera necessità di essere il tragico Amore
3. Il Ritorno: il riaffiorare di tutti gli eterni della Prima Volta
4. Il valore autentico di ogni cosa: gioire soffrendo
5. Verso la vita dell’Ultimo
6. Aporia e soluzione
PARTE TERZA
POSTILLE. Confronto tra Del tragico Amore e La morte e la terra; su Severino: impossibilità dell’<<istante>> della morte
CAPITOLO PRIMO. Richiami e approfondimenti sulla confutazione dell’impianto logico che ha condotto Severino alle conseguenze de La morte e la terra
1. L’inevitabile <<sopraggiungente inoltrepassabile>> e l’oltrepassamento autentico di ogni oblio
2. Identità e differenza tra l’Io della verità e l’io dell’errore
3. Il vero senso del Tutto infinito
CAPITOLO SECONDO. <<Reincarnarsi>> e <<risorgere>> nella verità del tragico Amore e negazione degli infiniti <<istanti>> del morire
1. Inattuabilità dell’<<istante senza attesa>> e il presupposto sbagliato della <<contraddizione C>>
2. Necessità dell’autentico senso della <<resurrezione>>, della <<reincarnazione>> e delle <<vite precedenti e successive>>
3. Ancora sulla contraddittorietà di quell’<<istante>>. Impossibilità dell’<<Indecifrabile>>
4. <<Questa nostra vita>> è vissuta, in verità, dall’Io infinito: negazione delle <<simultaneità>> cui si rivolge Severino
5. Nel prevalere dell’Amore il dolore rimane; la <<Gloria della Gioia>> come sublime vanagloria
Epilogo
Ripresa del <<Prologo>>
Conclusioni
Glossario
Note bibliografiche
EMANUELE SEVERINO, «L’UMANITÀ DELLA TECNICA È LA MORTE DELL’UOMO» Al «Teatro Carani» di Sassuolo, 2006, a cura di Gianfranco Cordì – Filosofia.it
EMANUELE SEVERINO
«L’UMANITÀ DELLA TECNICA È LA MORTE DELL’UOMO»
a cura di Gianfranco Cordì
Al «Teatro Carani» di Sassuolo si tiene l’ultima Lezione Magistrale di questa sesta edizione del «Festivalfilosofia» di Modena prevista originariamente in Piazza. La lezione è stata spostata nella sala del teatro «Carani» a causa della pioggia caduta su Sassuolo fin dalla mattina.
Il titolo della Lezione è «L’essenza della tecnica» e a parlare è Emanuele Severino.
Per l’intero articolo vai a: L’umanità della tecnica è la morte dell’uomo – Filosofia.it.
Emanuele Severino: “il tempo che stiamo vivendo, non è un tempo fatto di semplice scetticismo. Esso è fondazione dell’impossibilità di un Ordinamento Assoluto quale è appunto quello proposto dal passato” – a cura di Gianfranco Cordì, in Filosofia.it
Quando si parla di ateismo ci sono parecchi atteggiamenti ateisti che bisogna considerare. Dall’ateismo “di strada” su su salendo fino a forme sempre più rigorose di ateismo. Oggi, i popoli Occidentali prevalentemente, si stanno allontanando da Dio. E in maniera anche massiccia. Ma questo atteggiamento – facciamo attenzione – può essere altrettanto dogmatico dell’atteggiamento opposto: di tutti coloro che vogliono rimanere fedeli a Dio. Esiste una piramide. Dall’ateismo di strada a salire passando per atteggiamenti e modi di comportamento nei quali viene manifestata una crescente forza di negazione della tradizione, del passato. Ed è certamente diversa la negazione di strada del divino dalla negazioneincontrovertibile del divino. Il vertice della piramide per me è costituito dallafilosofia degli ultimi due secoli. Sicché l’autentico nemico dell’Islam non è l’Occidente ma è appunto l’ateismo stesso. E non l’ateismo nella sua forma diffusa (attraverso i vari strati della piramide). Ma quell’atteggiamento che mostra (in sé stesso) l’impossibilità di qualsiasi adesione al passato.
Il nostro tempo, il tempo che stiamo vivendo, non è un tempo fatto di semplice scetticismo. Esso è fondazione dell’impossibilità di un Ordinamento Assoluto quale è appunto quello proposto dal passato.
da L’umanità della tecnica è la morte dell’uomo – Filosofia.it.
CONVERSARE ATTRAVERSO LA VOCE DI EMANUELE SEVERINO. Incontro con Paolo Ferrario, Como, 15 maggio 2012, ore 21
………….. E’ quindi inevitabile che, da che nasce, l’uomo avverta come prioritario l’andare alla ricerca di un Rimedio, di un Riparo che gli consenta di sopportare o addirittura di vincere l’angoscia, la sofferenza, la morte. Nascere è avvertirle da subito, sia pur confusamente.
Lo scopo essenziale, fondamentale di ogni forma di civiltà e di cultura è il continuo potenziamento del Riparo. Ogni gesto, azione, pensiero, affetto della vita quotidiana è sin dalla nascita un’espressione della volontà di essere al Riparo, cioè della volontà di potenza e di salvezza. Anche un bambino che un pomeriggio dalla luce grigio-previnca che precede il temporale sta sotto al tavolo grande della cucina ad aspettare un estraneo si sta mettendo a quel Riparo.
Emanuele Severino, IL MIO RICORDO DEGLI ETERNI, autobiografia, Rizzoli, 2011, pag.49/50
SALVATORE NATOLI fornisce alcune chiavi di accesso al PENSIERO FILOSOFICO DI EMANUELE SEVERINO, AUDIO in Radio Svizzera/Laser, 2012
Salvatore Natoli fornisce alcune chiavi di accesso al pensiero filosofico di Emanuele Severino,
Audio estratto da: Colloquio in quattro tappe con Emanuele Severino, a cura di Antonio Ria,
Televisione Svizzera, Programma LASER, RSI Rete 2, 30 aprile -3 maggio 2012
- Vai al file Mp3 per ascoltare l’audio:
Salvatore Natoli: alcune chiavi interpretative della filosofia di EMANUELE SEVERINO
Emanuele Severino: l’immagine della LEGNA e la CENERE
Per Emanuele Severino, «la morte non è annientamento.
Nell’eterno apparire del tutto, in cui l’uomo consiste, la morte è il passaggio da uno spettacolo dove gli eterni costituiscono ciò che chiamiamo “vita” allo spettacolo degli eterni che oltrepassano l’alienazione del vivere (…).
Non può essere l’annientamento di alcunché di ciò che un uomo è stato. Ecco lì il cadavere: si crede che esso sia la prova… “vivente” dell’annientamento della vita.
Ma il cadavere non è l’apparire dell’annientamento del corpo vivente, non appare che il corpo vivente sia diventato niente. Ma dopo l’apparire del corpo vivente appare il cadavere. L’esperienza, di fronte alla quale tutti, più o meno consapevolmente, si tolgono il cappello, non mostra l’annientamento delle cose.
Ho sempre usato per chiarire un poco queste affermazioni la metafora della legna e della cenere: la legna sta al vivente come la cenere sta al cadavere. La cenere è il cadavere della legna. Ma quando si esperisce la cenere, non si esperisce l’annientamento della legna. Quando si esperisce la cenere, questo esperire è il compimento di una serie di esperienze in cui appare la legna spenta, poi la legna accesa, poi la legna meno accesa, poi il suo cadavere, la cenere»
da Emanuele Severino, i re e i mendicanti | I Fatti del Molise.
Colloquio in quattro puntate con EMANUELE SEVERINO, a cura di Antonio Ria, Televisione Svizzera, Programma LASER, RSI Rete 2, 30 aprile -3 maggio 2012. 4 Audio
Il lungo colloquio in quattro tappe con Emanuele Severino, che Antonio Ria ha incontrato nella sua casa di Brescia, prende l’avvio dalla pubblicazione di due importanti libri: la sua autobiografia, edita da Rizzoli col titolo “Il mio ricordo degli eterni”, e “La morte e la terra”, pubblicato da Adelphi, volume che in qualche modo corona e, almeno per ora, conclude la pluriennale ricerca dell’ottantatreenne filosofo italiano, dal pensiero complesso e sorprendente, definito da Massimo Cacciari «un gigante della filosofia e l’unico filosofo che nel Novecento si possa accostare a Heidegger».
Autore quindi di opere fondamentali per la ricerca filosofica europea (fra cui “La struttura originaria”, “Essenza del nichilismo”, “Destino della necessità”, “Oltre il linguaggio”, “La Gloria”, “Oltrepassare”, “Téchne. Le radici della violenza”, “Declino del capitalismo”), Severino è professore emerito dell’Università di Venezia e attualmente insegna all’Università San Raffaele di Milano.
Negli incontri, a cui partecipa anche il filosofo Salvatore Natoli, vengono affrontati i temi del suo pensiero filosofico, intrecciato alle sue vicende biografiche: memoria e eternità, tempo e nichilismo, problema religioso e “contraddizione della fede”, “scontro con la Chiesa” e “morte di Dio”; quindi il rapporto tra destino della verità e fede, superamento della contrapposizione tra teismo e ateismo; poi critica dell’etnocentrismo e dell’alienazione (“follia estrema dell’Occidente”), e rapporto tra destino e cristianesimo; infine la riscoperta della tecnica e il collegamento fra tecnica e violenza. In sintesi, nella sua opera Severino intende mettere in questione la “fede nel divenire” entro cui l’Occidente si muove.
clicca e ascolta gli audio:
1 Audio del 30 aprile 2012: IL MIO RICORDO DEGLI ETERNI. Mp3
2 Audio del 1 maggio 2012
3. Audio del 2 maggio 2012
4. Audio del 3 maggio 2012
da RSI Il filosofo “errante” – Incontro con Emanuele Severino, a cura di Domenico Ria
Laser è lo storico magazine di riferimento della Rete Due per gli approfondimenti. Si occupa di personaggi e di temi nell’ambito della società, cultura, politica, economia. Propone analisi, inchieste con un taglio sociologico e storico e incontri con personaggi e personalità. E’ il contenitore privilegiato dei grandi reportage e audio documentari della RSI.
E’ inevitabile che, da che nasce, l’uomo avverta come prioritario l’andare alla ricerca di un Rimedio, di un Riparo che gli consenta di sopportare o addirittura di vincere l’angoscia, la sofferenza, la morte, Emanuele Severino
Il diventar altro è la morte di ciò che si è. Tale convinzione è la negazione, per lo più inconsapevole, del destino. Ed è la radice dell’angoscia e della sofferenza umana.
Propriamente, l’uomo è questa radice, (Ma noi siamo infinitamente di più dell’uomo)
E’ quindi inevitabile che, da che nasce, l’uomo avverta come prioritario l’andare alla ricerca di un Rimedio, di un Riparo che gli consenta di sopportare o addirittura di vincere l’angoscia, la sofferenza, la morte. Nascere è avvertirle da subito, sia pur confusamente.
Lo scopo essenziale, fondamentale di ogni forma di civiltà e di cultura è il continuo potenziamento del Riparo.
Ogni gesto, azione, pensiero, affetto della vita quotidiana è sin dalla nascita un’espressione della volontà di essere al Riparo, cioè della volontà di potenza e di salvezza.
Anche un bambino che un pomeriggio dalla luce grigio-previnca che precede il temporale sta sotto al tavolo grande della cucina ad aspettare un estraneo si sta mettendo a quel Riparo.
Emanuele Severino, IL MIO RICORDO DEGLI ETERNI, autobiografia, Rizzoli, 2011, pag.49/50
“NICHILISMO E DESTINO” CON EMANUELE SEVERINO | LinkedIn
“NICHILISMO E DESTINO” CON EMANUELE SEVERINO
Lunedi’ 23 aprile, ore 18.30, “Nichilismo e Destino” con Emanuele Severino al Circolo Filologico Milanese.
Vale Philosophia!, in Via Clerici 10 a Milano filologico.it
Un ciclo di incontri per scoprire l’attualità del pensiero dei grandi
filosofi di ieri.
L’ingresso è libero a partire dalle 17.30 fino a esaurimento posti
FEDE E VERITA’, Video/Lezione di Emanuele Severino, da Filosofia.rai.it
Emanuele Severino, professore di filosofia teoretica presso l’Università di Venezia, in studio, risponde alle domande degli alunni del liceo Plauto di Roma sul tema “La fede e la verità”:
- Video: http://www.filosofia.rai.it/embed/emanuele-severino-fede-e-verit%C3%A0/6198/default.aspx
- Audio: Fede e Verità, conversazione in un Liceo 1999, da Filosofia.rai.it
Le tradizioni e le nostre personalità nel tempo attuale | di Paolo Ferrario, in Muoversi Insieme, 2012
“Ogni innovazione è una tradizione ben riuscita”. In questa incisiva frase di Carlo Petrini, il fondatore dell’associazione “Slow Food” e poi promotore dei meeting di Terra Madre, è contenuto in modo efficace il dilemma entro cui si sviluppano i cambiamenti dell’epoca in cui stanno vivendo le giovani e vecchie generazioni. In quest’articolo prenderemo in esame il tema della coppiatradizione/innovazione nelle loro conseguenze sulla vita quotidiana delle persone. E’ proprio in tempi di crisi come quelli che stiamo attraversando noi abitatori della vecchia Europa che si fanno più vive le domande “chi siamo ?” e “dove stiamo andando ?” … segue
tutto l’articolo qui:
la legna fiammeggiante, le braci, la cenere, il vento che le disperde sono eterni astri dell’essere che si succedono nel cerchio dell’apparire, Emanuele Severino
“ …se il divenire non appare come annientamento, ma come l’entrare e l’uscire delle cose dal cerchio dell’apparire, allora l’affermazione dell’eternità del tutto stabilisce la sorte di ciò che scompare: esso continua a esistere, eterno, come un sole dopo il tramonto.
Non solo la legna fiammeggiante, le braci, la cenere, il vento che le disperde sono eterni astri dell’essere che si succedono nel cerchio dell’apparire, ma anche tutte le fasi dell’albero che [nella valle ove fresca era la fonte e il giovane verde dei cespugli giocava al fianco delle calme rocce e l’etere tra i rami traluceva e quando intorno i fiori traboccavano ( Holderlin)] hanno preceduto la legna tagliata per il fuoco.
Quando gli astri dell’essere escono dal cerchio dall’apparire, il destino della verità li ha già raggiunti e impedisce loro di diventare niente. Appunto per questo essi, TUTTI, POSSONO RITORNARE.”
da: La strada, Rizzoli
Gianfranco Cordì recensisce: Emanuele Severino, Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia (2011) in TELLUS folio
Una filosofia che cancella quanto c’è di sbagliato ed emenda, rettifica, equilibra, sana infine il malinteso. Alla luce della considerazione di tutta la propria esperienza di pensiero, Emanuele Severino (Brescia, 26 febbraio 1929) ha pubblicato per la Rizzoli questo suo Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia (2011) che racchiude il senso completo di un itinerario speculativo partito prestissimo e transitato attraverso alcune delle tappe cruciali del Novecento, secolo di cui il nostro autore è stato anche un protagonista e un interprete tra i più raffinati. Il volume contempla ed illustra le tappe principali del cammino teoretico di Severino alternandole a momenti, invece, più direttamente privati della sua vita. Il tutto raccontato con uno stile che è sempre schietto e preciso specie nelle diverse descrizioni afferenti alla sfera familiare della vita del filosofo, descritte in un’alternanza (peraltro molto interessante) continua rispetto ai passaggi più strettamente filosofici – spesso generati e scaturenti dalle vicissitudini della stessa esistenza di Severino …. segue
tutta la recensione qui: TELLUS folio.
La struttura originaria di Emanuele Severino, l’ editrice La Scuola ha appena pubblicato in anastatica l’edizione iniziale, presentazione di Armando Torno
I l saggio La struttura originaria di Emanuele Severino aprì nel 1981 la collana Adelphi dedicata ai suoi scritti. L’ opera venne pubblicata la prima volta nel 1958 da La Scuola di Brescia. L’ autore, appena ventinovenne, poneva in queste pagine le basi del suo sistema. Ad esse aveva lavorato tra il 1953 e il 1957, mentre attendeva anche a studi su Aristotele (un suo saggio finirà, in quegli anni, nella raccolta sul pensatore greco realizzata dalla «Rivista di filosofia neoscolastica», con una presentazione di Agostino Gemelli). Ma La struttura originaria resta qualcosa a sé. Anzi rappresenta – notò Severino nel 1981, introducendo la nuova edizione – «il terreno dove tutti i miei scritti ricevono il senso che è loro proprio». Oggi l’ editrice La Scuola, che sta rinnovandosi nel catalogo e nei programmi rivolgendo molte attenzioni alla filosofia, ha appena pubblicato in anastatica l’ edizione iniziale de La struttura originaria. Ancora con la copertina color paglierino chiaro e il titolo verde turchino (pp. 416, 23,50). Il libro ritrova la sua semplice immagine da anni Quaranta
tutto l’articolo qui: L’ ESSERE ETERNO SECONDO SEVERINO.
Emanuele Severino
GLI ABITATORI DEL TEMPO, lezione del filosofo Emanuele Severino, al Teatro Sociale di Bergamo Alta, incontro organizzato e curato dalla associazione Noesis, 3 aprile 2012. AUDIO DELLA LEZIONE MAGISTRALE
martedì sera, 3 aprile 2012, ho avuto il grande privilegio di essere a Bergamo, ad ascoltare la sapienza filosofica che si esprime attraverso EMANUELE SEVERINO.
Ci sono filosofi che rendono chiaro il sentiero della storia che abbiamo imparato a conoscere nella nostra evoluzione culturale e personale.
Emanuele Severino fa un’altra cosa: spalanca la vista su una strada completamente nuova e diversa
Paolo Ferrario
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3 aprile 2012, ore 20.00, al Teatro Sociale, Città Alta
Emanuele Severino
GLI ABITATORI DEL TEMPO
Le nostre vite sono le più lunghe della storia dell’umanità e, tuttavia, nella nostra società il tempo non basta mai. Il filosofo Emanuele Severino ci porta in un viaggio non nel tempo, ma nel valore del tempo per gli uomini.
In collaborazione con il XIX Corso di Filosofia, promosso dall’Associazione Culturale Noesis.
VERBA MANENT vuole essere un appuntamento fisso di alto livello culturale che non disdegna, nel suo intento di divulgazione la partecipazione di personaggi noti anche ad un pubblico più popolare. Il programma è suddiviso in slots e verrà aggiornato durante il corso dell’anno
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Audio della lezione magistrale di Emanuele Severino:
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Qui in formato mp3: AbitareTempoBG-3apr2012.mp3
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Audio di una risposta ad una domanda
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Qui in formato mp3: AbitareTempoBG-3apr2012-2.mp3
il tema è: ABITATORI DEL TEMPO
sembra che ogni riflessione che non si riferisca ai problemi concreti in cui ci troviamo infastidisca.
Perchè viviamo dentro la crisi economica, la crisi demografica, la crisi ecologica, la crisi nucleare
Sembra che di fronte alla pericolosità e incertezza del mondo sia un lusso parlare di Tempo
D’altra parte l’incertezza e il pericolo del mondo bisogna guardarli in faccia, perchè non capiti che, non sapendo dove ci si trova, succeda come a quel tizio che, stando sulla barca e non sapendo dove si trova, scende nell’acqua per fare quattro passi ed annega.
E’ essenziale sapere DOVE ci troviamo
Soprattutto è essenziale capire il SENSO dell’incertezza e del pericolo in cui l’uomo in quanto tale si trova.
Perchè il tema gli ABITATORI DEL TEMPO?
Si abita un luogo quando si è protetti da quel luogo e, insieme, lo si protegge e se ne ha cura.
Abitare un luogo, una casa è esserne protetti e, insieme, averne cura.
E allora cosa vuol dire aver cura del tempo e essere protetti dal tempo?
Perché diciamo di “abitare il tempo”?
la risposta nella sua formulazione più semplice è che: Abitiamo il tempo per poter vivere.
Andiamo con la mente ai primi passi dell’uomo. Andiamo all’uomo dal punto di vista ontogenetico
Portiamoci agli inizi dell’esser uomo.
L’uomo arcaico ( e dunque ognuno di noi da quando gli è dato essere uomo) vive in una situazione in cui deve smuovere l’ambiente in cui vive.
Di questo possiamo fare esperienza anche noi. Se ci troviamo in situazioni in cui non possiamo smuovere nè la nostra volontà, nè il contesto da cui siamo circondati non riusciamo a vivere.
Vivere significa smuovere ciò che dapprima si crede inflessibile.
L’uomo arcaico dapprima si trova in un ambiente in cui c’è una barriera davanti a lui e dentro di lui che lo irrigidisce nella sua immobilità. E se non vuol morire deve smuovere e flettere l’immobilità da cui è circondato
Vivere è: flettere il proprio ambiente
Dunque c’è una prima forma di terrore per la barriera
Si vive solo se si flettono le barriere.
Questa opera di frazionamento non è soltanto una cosa che possiamo pensare in astratto
Per esempio il pensiero mitico raccoglie un’ampia serie di racconti nei queli il mondo esiste solo se un dio è smembrato
Solo se un dio è smembrato, se c’è questo sacrificio del dio può cominciare ad esistere il mondo.
Lo smembramento del dio corrisponde a ciò che ho chiamato “flessione dell’inflessibile”
Si trovano queste tracce nei miti del Pacifico (la dea Inuele- ?-), del Medio Oriente (kiamat) , dell’Egitto (Osiride), della Grecia ( Dioniso), dell’India (Purusha, Prajapati). Tutti dei che con il loro smembramento rendono possibile la vita dell’uomo
Ma nella nostra cultura c’è l’esempio più significativo: il sacrificio di Cristo. E’ vero che quando Cristo muore il mondo c’è già, però il mondo con quel sacrificio rinasce. e viene rifondato.
La vicenda cristologica riconduce anche al momento originario vetero testamentario: quello in cui il serpente tenta Adamo
“eritis sicut dii”, sarete come dei, se mangerete il frutto proibito
Ma cosa vuol dire essere come dio? vuoldire occupare il suo posto.
Significa detronizzarlo, comunque spartire con lui un regno in cui lui prima era il padrone, il controllore.
Allora il “mangiare il frutto” ha un significato profondo. Se mangiando il frutto che è stato proibito si è come dio e cioè si uccide dio, allora anche qui abbiamo l’esempio di un tentativo di smembramento che va per il momento a finir male, perchè dio lo punisce.
Ma poi il tentativo è ripreso dall’intervento di Cristo il quale, per iniziativa divina, rende l’uomo dio.
Tutto questo per richiamare che c’è un terrore iniziale per l’immobilità cui costringe la barriera che circonda l’uomo all’inizio della nostra storia. E per richiamare che c’è un terrore che scaturisce dalle conseguenze di questa decisione che ci consente di vivere e di sopravvivere.
Di nuovo: cosa c’entra l'”abitare il tempo”? Perchè abitare il tempo?
Abitiamo il tempo per vivere. Aristotele dice che il tempo è “il numero del movimento secondo il prima e il poi” (Aristotele, Fisica, D,10 e G,11). Il tempo è impensabile senza il movimento, senza il divenire che è appunto quel sommovimento, quello smuovere per cui l’uomo comincia a vivere vive solo se flette l’inflessibile.
Abitatori del tempo perchè se non si abita il tempo, pensano gli umani, si muore di fronte alle barriere.
E questo è il primo terrore: il terrore di morire perchè non si è in grado di smuovere il luogo in cui ci si trova.
Vedere l’inflessibile significa vedere la forma originaria del dio.
Proviamo a pensare se ci trovassimo di fronte a un cristallo non scalfibile: non sarebbe possibile alcuna azione.
Allora noi possiamo agire solo se lo frantumiamo, lo smembriamo.
Lo smembramento è ciò che nella definizione aristotelica si chiama DIVENIRE
Il divenire è la forma astratta dell’indicare tutte le situazioni estremamente concrete.
Ma c’è un seconda forma di angoscia da cui è preso l’uomo quando smembra il dio.
La prima è l’angoscia per non poter respirare.
La seconda è che, operando lo smembramento, si produce proprio quell’incertezza, qualla pericolosità che scaturisce dal divenire delle cose. Nascita, morte, insondabilità della nascita e della morte.
L’uomo per vivere smembra il dio, ma ottiene un ulteriore pericolo che è dato da ciò che egli con lo smembramento ha evocato: il fluire delle cose, fino a quello che Nietsche chiama il Caos.
C’è una parola interessante con la quale il pensiero indica questa seconda angoscia, l’angoscia per l’imprevedibilità del fluire delle cose.
THAUMA
Ha una gamma di significati straordinari.
Tradotta male con “meraviglia”.
Il significato vero è:
Angosciato terrore del divenire del mondo
Volevamo arrivare qui.
C’è un primo terrore perchè non si riesce a respirare. E’ il terrore provocato dall’inflessibile.
Ma poi c’è il secondo terrore: l’incertezza per la pericolosità del mondo.
E si procede dal terrorizzante e si cerca UN RIMEDIO a ciò che terrorizza.
Il mito: mithos vuol dire “parola”, “racconto” .
Il modo in cui i greci usano la parola mithos indica il racconto su come stanno le cose.
C’è la capacità del mito di indicare che di fronte al pericolo suscitato dallo smembramento si va alla ricerca di un rimedio che è indicato dalla parola sacrificio. Che non è il sacrificio del dio, ma è il sacrificio che l’uomo fa in quanto si sente colpevole dello smembramento, della uccisione del padre.
Il tema centrale della angoscia per la vendetta dell’antenato ucciso.
Il concetto che si fa avanti con il sacrificio ha a che fare con la necessità che l’uomo sente di ricostituire le fonti iniziali di potenza che egli ha dovuto smembrare per vivere.
Smembramento
Vita
Colpa
Sentirsi in debito
Rafforzamento della fonte che si è dovuto spezzare per poter vivere.
Stiamo parlando dei modi in cui l’uomo, per vivere, abita il tempo.
Quando si parla di RIMEDIO si intende ciò che consente di sopportare la seconda forma di angoscia, cioè Thauma.
I rimedi nella storia dell’uomo sono raccoglibil in alcuni pochi tratti:
– il racconto mitico
– il Logos, la Ragione
– la Tecnica
La vita è pericolosa, è’ insopportabile, è tragica per il suo fluire, per il suo divenire, per la sua temporalità, per la imprevedibilità del divenire.
Il rimedio, cioè ciò che consente di sopravvivere al Thauma angoscia del divenire, a sopportare l’imprevedibile
Il cristiano autentico è, dopotutto, in pace con se stesso e con le cose: “siamo nelle mani di dio”. Essere nelle mani di dio significa, sentirsi nelle mani di dio, significa avere dinanzi già tutto raccolto , tutto il futuro. Perchè tutto il futuro fa parte del materiale che è nelle mani di dio.
Quindi il dolore, l’angoscia, il pericolo del mondo è reso sopportabile da questo sue essere avvolto dal senso in cui l’uomo è riuscito ad ALLEARSI CON LA POTENZA SUPREMA
Smembramento, colpa, sacrificio: il mito aggiunge la categoria della previsione, che rende sopportabile il dolore.
due modi di abitare il tempo
1 pre- ontologico: non conoscenza delle parole essere e nulla
Il divenire e il tempo conducono nel nulla
2 ontologico
tre forme di rimedio
apparato mitico: vanno e ritornano
ma con il nulla il rimedio comincia ad essere pensato in modo ontologico
si comincia a morire di fronte al nulla
apparato razionale
apparato della scienza e tecnologia
il relativismo è una concezione debole
andare nel sottosuolo
morte di dio: è morto ogni limite
si ripropone il tema dello smembramento di dio
troppo poco il mito
da cui l’alleanza con dio
eschilo
se l’uomo è deicida
il dio è originariamente omicida
giovanni 8/44
la radice dell’omicidio:
fare andare nel nulla
spingere nel nulla da dove non si può tornare
persuasione che le cose siano nulla
dio come satana
dio è il primo tecnico
demiurgo
ergon azione
crazione ex nihilo et subiecti
far uscire dal nulla le cose e la materia
dio pensa la nullità del mondo
pensa la nostra nullità e quella delle cose
poiesis
tecnica la forma più radicale di
se perpetua la scarsità delle merci e si serve della tecnica
… indefinito della potenza
Tecnica deve eliminare la scarsità può farlo finchè non c’è un limite
Il capitale deve aumentare la scarsità
Paradiso della tecnica
Viviamo un periodo intermedio
Quando prevarrà la tecnica
Verso un tempo di benessere
Più cresce la felicità più temiamo di perderla
Ma la tecnica dice che sono un sapere probabilistico e ipotetico
Felicità senza sicurezza
Manca la verità della felicità
Quello sarà il tempo
Le stelle
Un senso diverso

Note su La morte e la terra di Emanuele Severino, di Eugenio Mazzarella
BACHELARD e le “provocazioni della materia, Università di: Milano Bicocca, Bergamo, Perugia, 7, 8, 9 marzo 2012
1. La materia seduce la filosofia – intervento di Paolo Mottana (Università Milano-Bicocca)
2. L’immaginario e la virtualizzazione del reale. Percorsi bachelardiani — intervento di Paolo Bellini (Università dell’Insubria)
3. L’immaginazione ludica come respiro della materia – intervento di Francesca Antonacci (Università Milano-Bicocca)
4. Promozione immaginale: Bachelard, Dufrenne, Corbin – intervento di Valeria Chiore (Napoli, insegnante)
5. Bachelard e l’estasi della metamorfosi – intervento di Antonio Allegra (Università di Perugia)
6. Rythme et matière chez Gaston Bachelard – intervento di Julien Lamy (Université de Lyon)
7. Dal ritmo al ritornello: Deleuze lettore di Bachelard – intervento di Cristina Zaltieri (Università di Bergamo)
8. Bachelard et les rêveries cristallines – intervento di Ionel Buse (Università di Craiova — Romania)
9. Bachelard et la matière ténébreuse – intervento di Vincent Bontems (CEA — Paris)
Emanuele Severino, Discussioni intorno al senso della verità – Ed. ETS: recensione di Armando Torno, Croce e Gentile, stranieri in casa, in Corriere della Sera 10 novembre 2009
GASTON BACHELARD, Il poeta solitario della Rêverie | a cura di Flavia Conte, Mimesis editore
PREZZO: €16,00
PAGINE:232
DATA PUBBLICAZIONE: 2010
ISBN:9788857502724
A CURA DI:Flavia Conte
Gaston Bachelard
IL POETA SOLITARIO DELLA RÊVERIE
Se per risplendere magicamente il mondo ha bisogno della solitudine del poeta, Bachelard vi si immerge come in un’avventura onirica rigeneratrice che scopre nella propria forza metaforica la pienezza di una vita felice.
Il mondo della rêverie Bachelardiana è bello prima di essere vero e il sognatore vi si lascia guidare per attingere alla sorgente originale anche della nostra fantasia onirica, perché un autentico “istinto poetico”, dice Bachelard, abita l’essere di ogni uomo. Come in un libero gioco alchemico, sono le immagini semplici degli elementi primordiali a suggerire con le loro quattro potenze materiali una benefica esperienza di metamorfosi della parola. Da Baudelaire a Rilke passando per Eluard, Lautréamont, Kafka, per non parlare di Nietzsche e Valéry, il sognatore Bachelard ci induce a seguirlo nelle sue fantastiche migrazioni senza cercare di spiegarci le immagini; egli dà solo voce alla loro aurorale gratuità per prepararci a nuovi godimenti poetici.
Gaston Bachelard (Bar-sur-Aube 1884; Parigi 1962) è fondatore illustre dell’epistemologia contemporanea, interprete originale delle svolte teoriche della fisica-matematica novecentesca e promotore in Francia della stagione dell'”epistemologia storica”. Straordinario esploratore dei campi del sapere ben oltre lo specialismo scientifico di formazione, Bachelard solca la via di un linguaggio filosofico inedito sull’immaginario poetico della rêverie di cui diviene nel nostro tempo il più geniale e sorprendente studioso. Tra le sue opere: Le nouvel esprit scientifique (1934), La psychanalyse du feu (1938), Le rationalisme appliqué (1949), Le materialisme rationnel (1953), La poétique de l’espace (1957), La poétique de la rêverie (1960).
Flavia Conte (1957), allieva di Emanuele Severino, si è laureata a Venezia nel 1985 in “Filosofia contemporanea”. Traduttrice del testo di Jacques Brosse “L’ordre des choses” (Paris 1986) ha collaborato come redattrice con la rivista “L’Ippogrifo” (Pordenone). Ha svolto il dottorato in “Sciences de l’Education” a Parigi sotto la direzione del filosofo Dany-Robert Dufour ottenendo le “félicitations” e diritto di pubblicazione. Insegna filosofia al liceo. È membro
dell’“Equipe Paideia” e del gruppo CIRCEFT, all’università Paris VIII Vincennes-Saint-Denis.
da Il poeta solitario della Rêverie | Volti | Collane | Mim-Edizioni S.r.L..
Stevens Wallace, Harmonium : poesie 1915-1955, a cura di Massimo Bacigalupo, Einaudi, 1994
| Autore principale: | Stevens, Wallace | |
| Titolo: | Harmonium : poesie 1915-1955 / Wallace Stevens ; a cura di Massimo Bacigalupo | |
| Editore: | Torino : Einaudi, 1994 | |
| Descrizione fisica: | XXXVIII, 699 p. : tav. : 21 cm. | |
| Collana: | (I millenni) | |
| ISBN: | 88-06-12621-0 |
Emanuele Severino: … siamo il luogo eterno in cui sopraggiunge la terra
“Noi non siamo i mortali.
Noi siamo il luogo eterno in cui sopraggiunge la terra”
Marco Pellegrino, La struttura concreta dell’infinito, negare la “storia dell’uomo” oltrepassando il pensiero di Severino, www.youcanprint.it
La struttura concreta dell’infinito: Quarta di copertina – Esergo – prime righe dell’Introduzione – Indice

Sottotitolo: negare la <<storia dell’uomo>>, oltrepassando il pensiero di Severino.
Non solo: ciò che è divenuto un passato non è la semplice prima pagina,
ma anche…
INDICE: http://www.youcanprint.it/anteprime_libri/pellegrino_infinito_anteprima.pdf
Emanuele Severino: … noi siamo il luogo eterno in cui sopraggiunge la Terra
Venezia si tiene con Iosif Brodskij e la voce di Domenico Pelini
da Iosif Brodskij, FONDAMENTA DEGLI INCURABILI, Adelphi 1989, pag.40 e pag. 29.
Le letture di Domenico Pelini sono tratte dal suo canale su Youtube
Wallace Stevens, Harmonium, Einaudi
…
una poesia della coscienza come mondo, che si muove con tranquilla sicurezza alla scoperta della vita nella mente e della mente nella vita. Lo sguardo dell’habitué di Manhattan e del Waldorf Astoria ha la robustezza dei Padri Pellegrini che sbarcarono in Nuova Inghilterra nel 1620. Ha tuttavia rinunciato del tutto alle loro convinzioni religiose (ai contenuti, non ai modi), per fare una religione di se stesso: del sentire, del vedere e dell’essere. Del mero essere è infatti il titolo di quella che è forse l’ultima poesia dell’inesauribile libro stevensiano. Libro sacro e mondano in cui trovano posto canzonette ironiche accanto a pensosi poemi e a partecipi riflessioni sui grandi eventi di un secolo di guerre e rivoluzioni sociali. Il tutto trasformato da questo eccentrico della normalità, indistinguibile dai suoi connazionali della classe media, che però non scrisse mai una parola che non fosse assolutamente individuale. Un lento fuoco di ghiaccio.
…
Gianfranco Cordì legge: Sean Carroll, il perenne corso del «tempo», in TELLUS folio
…
Sean Carroll arriva a conclusioni che si ritrovano molto vicine a quelle di Emanuele Severino. Il nostro universo è parte di un sistema molto più grande. Un sistema collettivo, multiplo, molteplice, composito. Il quadro, la cui cornice era appunto il multiverso, si fa adesso più copioso, più pingue, più ubertoso. Siamo dalle parti dell’abbondanza piuttosto che della scarsezza. Non abbiamo semplicemente allargato il nostro universo, ne abbiamo dato una definizione molto più dettagliata. In questo senso Carroll apre il proprio sguardo cosmologico al campo sterminato delle possibilità. Questa sua «predizione» – così egli stesso considera la risposta alla domanda da cui era partito – rende il tempo come «una sequenza ordinata di eventi correlati, che presi insieme costituiscono l’intero universo. Il tempo è allora qualcosa che ricostruiamo a partire dalle correlazioni di questi eventi». Questa sua «predizione» rende il tempo qualcosa che non è strettamente limitato alla vita del nostro universo. Un meccanismo o «un’idea» o un elemento caratteristico globale e onnicomprensivo. Un tempo smisurato: qualcosa che se potesse essere misurata sfuggirebbe ad ogni conteggio. Dall’eternità a qui è dunque un libro davvero smisurato, che aprendo le nostre menti al regno delle possibilità, ci fa viaggiare lieti lungo la strada della libertà intellettuale e della irrefrenabile ricerca pura.
tutta la recensione qui: TELLUS folio.
Emanuele Severino: ERRORE O ERRARE, registrazione audio del 10 febbraio 2012, all’interno del ciclo ABITATORI DEL TEMPO promosso dalla Provincia di Monza, Cesano Maderno, Teatro Excelsior
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Audio 1 : Emanuele Severino – Errore o errare
(nella prima parte dell’audio il docente-conduttore della serata sintetizza il precedente incontro, tenuto dal professor Massimo Marazzi)
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Audio 2: Domande e Risposta
Venerdì 10 febbraio 2012, a Cesano Maderno nel Teatro Excelsior
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vai alla scheda del progetto:
http://www.provincia.mb.it/Temi/cultura/Abitatori/edizione_2012.html
Emanuele Severino, GLI ABITATORI DEL TEMPO, al Teatro sociale Città alta di Bergamo, martedì 3 aprile 2012, ore 20
“la paura di essere dei re” di Emily Dickinson e il “siamo re che si credono mendicanti” di Emanuele Severino SI TENGONO INSIEME
Non conosciamo mai la nostra altezza
Finché non siamo chiamati ad alzarci.
E se siamo fedeli al nostro compito
Arriva al cielo la nostra statura.
L’eroismo che allora recitiamo
Sarebbe quotidiano, se noi stessi
Non c’incurvassimo di cubiti
Per la paura di essere dei re
carri, cavalli, tempo, eternità in un accostamento fra Emily Dickinson e Parmenide
Non potevo fermarmi per la Morte.
Essa, benigna si fermò per me.
Il carro noi due sole conteneva
e l’ Immortalità.
Era lento (la morte non ha fretta)
e dovetti riporre
il mio lavoro ed anche i miei trastulli
per quella visita.
Passammo oltre la scuola, dove bimbi facevano
la ricreazione, in cerchio;
ed oltre i campi d’attonito grano
e oltre il sole e il tramonto.
O piuttosto fu il sole che passò oltre di noi;
venne la guazza tremolante e fredda,
ché la mia gonna era garza sottile
e la mia mantellina solo tulle.
Sostammo ad una casa che sembrava
un rigonfio del suolo:
il suo tetto si distingueva appena;
per cornicione aveva poche zolle.
Sono passati secoli, ma ognuno
è più breve del giorno
in cui seppi che volte eran le teste
dei cavalli verso l’eternità.
Emily Dickinson
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Le cavalle che mi portano fin dove il mio desiderio vuol giungere,
mi accompagnarono, dopo che mi ebbero condotto e mi ebbero posto sulla via che dice molte cose,
che appartiene alla divinità e che porta per tutti i luoghi l’uomo che sa.
Là fui portato. Infatti, là mi portarono accorte cavalle tirando il mio carro, e fanciulle indicavano la via.
L’asse dei mozzi mandava un sibilo acuto,
infiammandosi – in quanto era premuto da due rotanti
cerchi da una parte e dall’altra –, quando affrettavano il corso nell’accompagnarmi,
le fanciulle Figlie del Sole, dopo aver lasciato le case della Notte,
verso la luce, togliendosi con le mani i veli dal capo.
Là è la porta dei sentieri della Notte e del Giorno,
con ai due estremi un architrave e una soglia di pietra;
e la porta, eretta nell’etere, è rinchiusa da grandi battenti.
Di questi, Giustizia, che molto punisce, tiene le chiavi che aprono e chiudono.
Le fanciulle, allora, rivolgendole soavi parole,
con accortezza la persuasero, affinché, per loro, la sbarra del chiavistello
senza indugiare togliesse dalla porta. E questa, subito aprendosi,
produsse una vasta apertura dei battenti, facendo ruotare
nei cardini, in senso inverso, i bronzei assi
fissati con chiodi e con borchie. Di là, subito, attraverso la porta,
diritto per la strada maestra le fanciulle guidarono carro e cavalle.
E la Dea di buon animo mi accolse, e con la sua mano la mia mano destra
prese, e incominciò a parlare cosí e mi disse:
“O giovane, tu che, compagno di immortali guidatrici,
con le cavalle che ti portano giungi alla nostra dimora,
rallegrati, poiché non un’infausta sorte ti ha condotto a percorrere
questo cammino – infatti esso è fuori dalla via battuta dagli uomini –,
ma legge divina e giustizia. Bisogna che tu tutto apprenda:
e il solido cuore della Verità ben rotonda
e le opinioni dei mortali, nelle quali non c’è una vera certezza.
Eppure anche questo imparerai: come le cose che appaiono
bisognava che veramente fossero, essendo tutte in ogni senso”.
Parmenide, SULLA NATURA, i frammenti
nella traduzione di Giovanni Reale
Emanuele Severino sull’APPARIRE
Emanuele Severino, audio sul “COMANDAMENTO” del RICORDATI DI SANTIFICARE LE FESTE
profilo di EMANUELE SEVERINO, stilato da lui stesso. Grazie a Gabriele per la segnalazione
Emanuele Severino parla della sua filosofia, dialogo con Armando Torno, Mendrisio (Svizzera), 25 gennaio 2012, incontro organizzato dalla Associazione Mendrisio MARIO LUZI poesia del mondo, AUDIO di 98 minuti
- Vai all’Audio:
-

fonte: Associazione Mendrisio Mario Luzi Poesia del Mondo
Mercoledì 25 gennaio 2012, ospite dell’Associazione Mendrisio Mario Luzi Poesia del Mondo, Emanuele Severino ha regalato perle del suo pensiero filosofico ai numerosi ospiti accorsi per l’occasione presso la sala del Museo d’Arte di Mendrisio. L’incontro, che si è svolto dalle ore 18:00 alle 20:00 circa, ha coinvolto anche i presenti in sala, alcuni dei quali hanno avuto il privilegio di potersi rivolgere direttamente all’illustre filosofo di Brescia.
… per insondabile legge ciò che più arde più resta … di Achille Abramo Saporiti, donata da Papavero di campo
Un fremere di foglie
è già vita
è vita il fiotto, la stasi è vita;
per insondabile legge
ciò che più arde
più resta.
di Achille Abramo Saporiti
per me è grandiosa!
Papavero
Emanuele Severino, “… quando la vicenda terrena dell’uomo sarà giunta al proprio compimento, sarà necessario che ognuno faccia esperienza di tutte le esperienze altrui …”, in IL MIO RICORDO DEGLI ETERNI di Emanuele Severino, Rizzoli, 2011, pag 11
… Poi, quando la vicenda terrena dell’uomo sarà giunta al proprio compimento, sarà necessario che ognuno faccia esperienza di tutte le esperienze altrui e che in ognuno appaia la Gioia infinita che ognuno è nel profondo. Essa oltrepassa ogni dolore sperimentato dall’uomo …
da IL MIO RICORDO DEGLI ETERNI di Emanuele Severino, Rizzoli, 2011, pag 11

Abitatori del Tempo: sul tema dell’ERRARE. Riflessione sull’oggi nell’incontro con grandi filosofi, da 3 febbraio al 30 marzo 2012, in 9 Comuni della Provincia di Monza

Dal 3 febbraio al 30 marzo 2012 tornano gli appuntamenti con i grandi filosofi contemporanei.
Riparte la rassegna “Abitatori del tempo”, ciclo itinerante di incontri in Brianza dedicati alla riflessione sull’oggi con i grandi filosofi.
Abitatori del tempo: 10 Incontri in 9 comuni della Provincia, per riflettere insieme sul tema dell’ “Errore”.
La VIII edizione di Abitatori del Tempo è dedicata al tema dell’ Errore, questione con importanti significati in campo scientifico, filosofico e letterario. Si parte dall’antica Grecia con l’ identificazione Socratica tra sapere e virtù dove l’errore morale coincide con quello conoscitivo per giungere, all’interno della riflessione epistemologica contemporanea, alla svolta fattibilistica di Popper che considera l’errore un ingrediente inevitabile di ogni sapere. Nell’ambito scientifico il tema della rassegna sarà sviluppato per dimostrare come l’errore e le metodologie di lavoro “try and error” siano fondamentali per l’evoluzione ed il progresso scientifico.
INGRESSO LIBERO – Ore 21 (fino ad esaurimento posti)
PROGRAMMA degli incontri
Massimo Marassi – La colpa e il suo fantasma
Venerdì 3 febbraio 2012 – Monza – Teatro Manzoni
Emanuele Severino – Errore o errare
Venerdì 10 febbraio 2012 – Cesano Maderno – Teatro Excelsior
Laura Boella – Agire, errare, perdonare
Mercoledì 15 febbraio 2012 – Arcore – Teatro Nuovo
Massimo Cacciari – Storia ed errore
Giovedì 23 febbraio 2012 – Monza – Teatro Manzoni
Vittorio Possenti – Errore, colpa, pentimento
Venerdì 2 marzo 2012 – Giussano – Sala Consiliare
Elio Franzini – Errore, arte e immaginazione
Martedì 6 marzo 2012 – Brugherio – Teatro San Giuseppe
Salvatore Natoli – Per prova ed errore: campi di esperienza e pratiche di conoscenza
Venerdì 9 marzo 2012 – Lissone – Palazzo Terragni
Giulio Giorello – La libertà di errare
Venerdì 16 marzo 2012 – Nova Milanese – Auditorium
Edoardo Boncinelli – L’errore generatore di vite
Venerdì 23 marzo 2012 – Vimercate – Teatro Astrolabio
Franca D’Agostini – Il falso, tra errore e inganno
Venerdì 30 marzo 2012 – Vimercate – Centro Omnicomprensivo
Fonte: http://www.provincia.mb.it
Emanuele Severino, dopo la pubblicazione dell’ultimo libro LA MORTE DELLA TERRA, parla della sua filosofia, Mendrisio (Svizzera), 25 gennaio 2012
Mark Strand, Elegia per mio padre, lettura di Domenico Pelini
Emanuele Severino: molti sensi dell’altro
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Essere Sopravvissuti – riApparire | di Simona Rinaldi, kolonistuga
Brani dal Poema di Parmenide “Sulla natura” e due interventi di Hans-Georg Gadamer ed Emanuele Severino, che unisce idealmente Parmenide ad Einstein
Buon 2012 e Buon futuro, alla insegna della Polis, Paolo Ferrario e Luciana Quaia, nella notte del 31 dicembre 2011
Continua il tempo della crisi e, proprio per questo, il 2012 sarà più che mai centrato sulle risorse della Polis, ossia sul vincolo del “tenersi assieme”, perché nessuno può farcela da solo.
E, dunque, questi saranno auguri tutti sotto il segno della Polis.
Gli ultimi mesi dell’anno hanno mostrato sulla scena pubblica una Italia satura di Io divisi.
Il solo progetto di una riforma delle pensioni fondata sulla equità generazionale (conservare il decrescente risparmio previdenziale dei giovani lavoratori e non consumarlo tutto per le pensioni attuali) ha mobilitato i sindacati, che ormai tutelano solo chi il lavoro lo ha già, contro questa tardiva e necessaria riforma transgenerazionale.
E in quale considerazione vengano tenuti i giovani e le giovani è simbolicamente testimoniato da questa registrazione (per fortuna espressiva solo di una parte della cultura degli italiani):
In un orizzonte fosco e malmoso, tuttavia, si è manifestato un segno di speranza sostenuto dal “grande vecchio” (tutt’altro che Senex) Giorgio Napolitano.
Il Governo Monti, come ci ricorda Massimo Cacciari, è “politicus maxime” per tre essenziali motivi: perché governo del Presidente, secondo la lettera costituzionale; perché accetta le difficoltà sistemiche delle istituzioni di fronte alla crisi; perché manifesta in modo incontrovertibile il fallimento delle due coalizioni che si sono finora affrontare sulla scena politica italiana.
Il 2012 imporrà a ciascuno cambiamenti molecolari nella vita psichica e nelle relazioni interpersonali.
L’augurio è di viverlo nel quadro prospettico anticipato anni fa da Alberto Melucci, del quale ricorre il decennale della morte ma che qui si rivela “eterno”:
“Non esiste più un ancoraggio stabile ai criteri e ai valori che guidano le nostre scelte se non quello che possiamo produrre insieme, riconoscendone il carattere costruito e i confini temporali. Per gli individui come per le collettività si tratta di accettare di esistere a termine e di poter cambiare. E’ il tema della metamorfosi, della capacità di mutare forma, anche come condizione per la convivenza.
Una simile scelta può riannodare tutti i fili che ci legano alla specie, ai viventi e al cosmo. Ciascuno può riconoscere allora la sua parte di responsabilità verso il destino del genere umano e verso le generazioni future. Ma anche ritrovare il rispetto per le altre specie viventi e per l’universo di cui l’uomo è parte (da Il gioco dell’Io, Feltrinelli, 1991, pag. 134-135)
BUON 2012
E BUON FUTURO
Paolo Ferrario e Luciana Quaia
nella notte del 31 dicembre 2011
IOSIF BRODSKIJ: letture di Domenico Pelini
TOMAS TRANSTROMER: letture di Domenico Pelini
Biografia e libri della poetessa Marisa Zoni (1935-2011)
Marisa Zoni (1935-2011) è stata una poetessa italiana nata a Castel San Pietro Terme, in provincia di Bologna. Ha vissuto a Bologna e ha insegnato lettere per circa quarant’anni tra il nord e il centro Italia.
La sua produzione poetica è stata significativa nell’ambito della letteratura italiana contemporanea.
Tra le sue opere si ricorda “La scarpinata” (Mondadori, 1967) tra altri libri di poesie, e ha lavorato anche con importanti figure come Paolo Volponi e Lalla Romano.
È nota per un linguaggio poetico ricco e personale e ha mantenuto un ruolo rilevante nel panorama culturale fino alla sua morte a 75 anni circa nel 2011.
Insegnante di lettere per tutta la vita, Marisa Zoni ha percorso con la sua poesia uno spazio espressivo originale, e il suo lavoro è oggetto di studi e ricostruzioni da parte di studiosi e amici, come riportato in ricordi e raccolte dedicate a lei.
Il primo libro di poesie risale al 1959, “Testa o croce del soldone” e la sua attività letteraria ha avuto una lunga durata nel tempo.
Queste informazioni offrono un quadro biografico essenziale di Marisa Zoni, evidenziando la sua nascita, attività professionale e contributo alla poesia italiana del Novecento.nuovo-opac.sbn+6
- https://nuovo-opac.sbn.it/c/opac/autori/view?groupId=20122&id=RAVV031476
- https://www.peacelink.it/marenostrum/a/14999.html
- https://www.abebooks.it/scultore-carta-Poesie-Marisa-Zoni-Logogrifi/9310096315/bd
- https://traccesent.com/2018/09/10/in-ricordo-di-marisa-zoni-1935/
- https://www.satisfiction.eu/addio-a-marisa-zoni/
- https://www.noidonne.org/articoli/le-parole-che-incidono-la-carta-00235.php
- https://antemp.com/2025/11/11/marisa-zoni-fra-qualche-anno-1966/
- https://www.ebay.it/itm/115413879694
- https://www.facebook.com/Poesia2.0/photos/marisa-zoni/465357433503559/
- https://traccesent.com/category/autori/zoni-marisa/
Le opere principali di Marisa Zoni con le rispettive date di pubblicazione sono:
- “Testa o croce del soldone” (1959), suo primo libro di poesie.
- “La scarpinata” (1967), pubblicato da Mondadori.
- “Lo scultore di carta” (1975), opera composta da 46 poesie.
- “Come un metallo o un tamburo” (1999), pubblicato da Manni Editore.
- “Tu paria dai mille occhi” (2004), pubblicazione che raccoglie i suoi ultimi lavori inediti.
Queste opere rappresentano alcuni dei contributi più significativi di Marisa Zoni alla poesia italiana contemporanea, con una produzione che copre diversi decenni e mostra l’evoluzione del suo stile poetico.lin+4
- https://www.lin.it/libri-autore/marisa-zoni.html
- https://www.lafeltrinelli.it/scultore-di-carta-libri-vintage-marisa-zoni/e/2560031014028
- https://www.bibliomo.it/SebinaOpac/query/baldassini%20l?context=catalogo
- https://www.ebay.it/itm/297481282130
- https://www.mondadoristore.it/autore/marisa-zoni/c/00034891
- https://traccesent.com/2018/09/10/in-ricordo-di-marisa-zoni-1935/
- https://www.ibs.it/libri/autori/marisa-zoni
- https://traccesent.com/category/autori/zoni-marisa/
- https://www.pendragon.it/catalogo/manufacturers/marisa-zoni.html?tmpl=component
- https://www.abebooks.it/scultore-carta-Poesie-Marisa-Zoni-Logogrifi/9310096315/bd
- https://antemp.com/2025/11/11/marisa-zoni-fra-qualche-anno-1966/
Domenico Pelini legge LA PAROLA di Vladimir Nabokov
Lettura tratta da “Una Bellezza Russa”Adelphi editore su musica di Arvo Part (Spiegel im Spiegel)
Nella biblioteca di Emanuele Severino, in La Banda del Book, Rai5
L’Annunciazione di Rainer Maria Rilke nella traduzione di Giaime Pintor, con musica di Alejandro Fasanini e voce di Domenico Pelini
l’ultima intervista a James Hillman, di Silvia Ronchey: «Sto morendo, ma non potrei essere più impegnato a vivere» , in La Stampa TuttoLibri 29 ottobre 2011
«Sto morendo, ma non potrei essere più impegnato a vivere». Così aveva scritto, nella sua ultima mail. E così l’ho trovato, quando sono andata a salutarlo per l’ultima volta nella sua casa di Thompson, nel Connecticut, pochi giorni prima che morisse: il fantasma di se stesso, ma incredibilmente vitale; il corpo fisico ridotto al minimo, quasi mummificato, tutto testa, pura volontà pensante. Restare pensante era la sua scommessa, la sua sfida. Per questo aveva ridotto al minimo la morfina, a prezzo di un’atroce sofferenza sopportata con quella che gli antichi stoici chiamavano apatheia: un apparente distacco dalla paura e dal dolore che traduceva in realtà un calarsi più profondo in quelle emozioni. L’unica cosa che contava era analizzare istante dopo istante se stesso e quindi la morte come atto oltre che nella sua essenza. Se Steve Jobs, morendo, ha lasciato detto «stay hungry, stay foolish», l’ultimo insegnamento di James Hillman può riassumersi così: «Resta pensante» fino all’ultima soglia dell’essere
Il tempo qui sembra fermo, le lancette puntate sull’essenza ultima.«Oh, sì. Morire è l’essenza della vita».
Com’è morire?
«Uno svuotamento. Si comincia svuotandosi. Ma, si potrebbe chiedere, che cos’è o dov’è il vuoto? Il vuoto è nella perdita. E che cosa si perde? Io non ho “perso” nel senso comune di “perdere”. Non c’è perdita in quel senso. C’è la fine dell’ambizione. La fine di ciò che si chiede a se stessi. E’ molto importante. Non si chiede più niente a se stessi. Si comincia a svuotarsi degli obblighi e dei vincoli, delle necessità che si pensavano importanti. E quando queste cose cominciano a sparire, resta un’enorme quantità di tempo. E poi scivola via anche il tempo. E si vive senza tempo. Che ore sono? Le nove e mezza. Di mattina o di sera? Non lo so».
E’ una condizione perseguita dai mistici.
«Oh sì, dall’induismo per esempio, gli induisti ne scrivono. Ma in questo caso è tutto unwillkürlich, involontario. E’ accidentale».
Comunque non credo non ti sia rimasta nessuna ambizione.«Davvero?» [Apre di scatto gli occhi finora socchiusi, con un lampo azzurro di sfida.]
Ti resta quella degli antichi romani: lasciare il tuo pensiero ai posteri.
«E’ vero. E’ molto importante per me che il mio pensiero rimanga. Ma la parola posteri mi rimanda a postea, a un dopo, a un futuro, in cui non voglio essere trasportato adesso».
Perché esisti solo al presente.
«Sì, e voglio tenere chiusa la porta con il cartellino “Exitus”. La potrò aprire a un certo punto, quando capirò come farlo nel modo giusto. [Tenta di scuotere il capo, ma il dolore lo ferma]. Non saprei ora come aprire quella porta senza che ne dilaghi una folla di creaturine che vogliono qualcosa. Molti degli antichi filosofi ne sono stati catturati, probabilmente tu sai chi lo è stato più degli altri. Io non voglio. Il mio compito è dialogare e tenere il dialogo aperto su quel che accade momento per momento. Il mio è piuttosto un reportage. Dal vivo. Dal vero»
Non potrebbe essere altrimenti: o non fai il reportage – come la maggior parte di chi si trova nella tua condizione – oppure ciò che riferisci è la verità. E penso che tutti siano affamati di questa verità.
«Tutti sono affamati di morte. La nostra cultura lo è. Io, qui, come vedi, ne parlo continuamente. Ma non la esprimo. Perché nella morte io sono impegnato. Non voglio uscirne, per esprimerla, per vederla o guardarla in trasparenza. Non cerco di formularla. Ogni tanto si realizza qualcosa che mi porta in un altro luogo dal quale posso osservarla. Magari anche di riflesso. Ogni sorta di cose si riflettono in questa introspezione, ma non l’attività essenziale di ciò in cui sono impegnato [ossia l’atto del morire]. Il tempo che mi dò è il qui e ora».
Capisco
«E’ molto importante ciò che semplicemente il giorno ci dà, ogni singola cosa che si realizza durante il giorno. La persona, l’osservazione che ha fatto, l’odore dell’aria in quel momento. E queste cose hanno bisogno di accettazione, di ricognizione, di riconoscimento... Adesso non ho ancora la parola giusta. Ma trovare le parole è magnifico. Trovare la parola giusta è così importante. Le parole sono come cuscini: quando sono disposte nel modo giusto alleviano il dolore».
E il dialogo aiuta a trovarle?
«Sì, e mi rende così felice. Sai, da qualche tempo le persone vengono da me come se avvertissero in me il richiamo di quel vuoto di cui parlavo. Se io non fossi così vuoto, non verrebbero».
Come un risucchio che attira.
«Dev’essere così».
O una condizione di saggezza?
«No. Una calamita. Cercano qualcosa cui attaccarsi. Vogliono qualcosa, ed è la mia capacità di cristallizzare e formulare. Due parole che sono usate per una delle ultime fasi dell’alchimia. Cristallizzazione e formulazione. Le persone sono in pessima forma di questi tempi, il mondo è in pessima forma. E in qualche modo il mio avere trovato qualche solidità li attrae.
Ma non parlavi di vuoto?
«Sì. Il mio stato di svuotamento esprime qualcosa che non avevo finora realizzato e che può riassumersi nella parola coagulatio. Due princìpi governano tutti i processi alchemici: la coagulatio e la dissolutio. Coagulatio in alchimia significa rapprendersi in un punto, diventare più solidi, più definiti, formati, dotati di morphe. Ora l’intero processo che sto attraversando è la coagulazione della mia vita nel tempo. Ma la coagulatio è sempre seguita dalla dissolutio. Che è esattamente il contrario: dissoluzione, le cose che si separano, si sciolgono, perdono la loro capacità di definirsi. La cosa interessante è che improvvisamente questo spiega i miei sintomi. Non faccio che pensare, morbosamente, che sto affondando sempre di più, che mi sto dissolvendo. Ma le due cose, dissoluzione e coagulazione, sono inscindibili. Non è fantastico? Non ci avevo riflettuto finché non mi è venuta per la prima volta in mente la coagulatio. E la rubefactio, che permette alla bellezza di mostrarsi. Così ora sono una persona diversa. Non avevo mai percepito queste cose dentro di me. O non le avevo mai riconosciute. Prima, non avevo mai saputo chi ero».
Da dove viene questa consapevolezza?
«Oh, decisamente dal morire».
Ti dici «impegnato nel morire». Vuoi arrivare alla morte in piena consapevolezza. Ma, come diceva Epicuro cercando di spiegare perché non bisogna averne paura, «se ci sei tu non c’è la morte, e se c’è la morte non ci sei tu». «Esatto».
Mi sto domandando se allora questo tuo morire non sia un’intensificazione del vivere. «Assolutamente sì, non c’è il minimo dubbio. Quando la morte è così vicina la vita cresce, si esalta. Ne sono certo. Ma non vorrei essere presuntuoso».
In che senso?«Orgoglio, arroganza, hybris: attenzione a non peccare contro gli dèi. Mai, in nessuna occasione».
Certo, ma non credo che la tua sia hybris. Credo sia puro coraggio affrontare la morte a occhi aperti. E’ raro, ed è per questo che il tuo reportage è così prezioso.«E’ prezioso, sì. Mi sto rendendo conto di qualcosa che non avevo mai realizzato prima. Ha a che fare con un certo argomento di cui Margot ed io dovremo parlare prima, una certa decisione che io potrei prendere. Sai, nel mondo di oggi mi è consentito, come lo sarebbe stato nel mondo greco».
Capisco a cosa alludi.
«Ma il punto è che dovrei mettermi nelle loro mani, e sarebbero loro a decidere. In qualche modo io sarei il loro strumento, non loro il mio. Intendiamoci, lo spero. Ma sarebbero loro a informarmi quand’è il mio momento. Oppure potrei prenderlo nelle mie mani, che sono lo strumento classico: la mano [Hillman fa il gesto di trafiggersi il petto], o la vasca da bagno, come Petronio. Ma il fatto è che l’intera cerimonia – perché la definirei così – non è ancora lontanamente immaginabile. O meglio, l’idea è immaginabile, dato che ne sto parlando ora. Ma c’è un’altra idea, sempre antica, che in qualche modo contrasta. Primum nil nocere. Primo, non fare del male. [Si tratta del giuramento di Ippocrate.]
E allora, qual è la decisione migliore? che ne pensi?
Gli antichi stoici dicevano, a proposito del suicidio: “C’è del fumo in casa? Se non è troppo resto, se è troppo esco. Bisogna ricordarsi che la porta è sempre aperta”. Evidentemente, la tua casa non è ancora piena di fumo. Quando lo sarà, lo sentirai.
«Riuscirò a sentirlo?»
Forse ti sentirai confuso. Quello che so è che ora stai respirando, non c’è fumo nel tuo cervello, nella tua psiche, nella tua anima. Quando ci sarà, forse prenderai in considerazione il suggerimento degli stoici. Non sei forse un pagano? non hai allenato per tutta la vita il tuo istinto a percepire le epifanie degli dèi?
«Oh sì che sono un pagano. E’ questo il punto».
E’ pagana anche la tua percezione della bellezza, del grande teatro verde della natura che hai scelto per questa tua ars moriendi, questa tua arte pagana del morire che è anche, o anzi è soprattutto un’arte estrema del vivere.
Multiculturalismo
in Giovanni Sartori, La democrazia in trenta lezioni, Mondadori editore, 2008
pagg. 99-100
Destra e Sinistra
in Giovanni Sartori, La democrazia in trenta lezioni, Mondadori editore, 2008
pagg. 77-80
Eguaglianza
in Giovanni Sartori, La democrazia in trenta lezioni, Mondadori editore, 2008
pagg. 55-58
Mosca, Michels, Schumpeter
in Giovanni Sartori, La democrazia in trenta lezioni, Mondadori editore, 2008
pagg. 35-38
Partecipazione
in Giovanni Sartori, La democrazia in trenta lezioni, Mondadori editore, 2008
pagg. 23-26
Opinione pubblica
in Giovanni Sartori, La democrazia in trenta lezioni, Mondadori editore, 2008
pagg. 19-22
Gianfranco Cordì. La morte, la terra e il «gran finale» Sul nuovo libro di Emanuele Severino 17 Novembre 2011, su TELLUS folio
Proviamo a tracciare uno scenario. Da una parte c’è il «destino». Ovvero «l’apparire della necessità della differenza dei differenti, e insieme della necessità dell’esser sé e non l’altro da sé, da parte di ognuno dei differenti». Ogni elemento è perciò se stesso nel «destino» e non può mutare, cambiare, cangiarsi in qualcos’altro. Dall’altra parte c’è la «terra isolata». Questa «è in ogni sua parte la follia estrema che intende l’esser cosa come l’esser altro da (cioè il non essere) ciò che esso è». Il «mondo» – che «appare nel cerchio originario e in ogni altro cerchio del destino» – è quella «fede» (che è quindi «volontà» e quindi «dubbio») che gli elementi in esso presenti siano altro da sé: che mutino, che possano trasformarsi, che diventino qualcosa di diverso da quello che essi stessi erano in partenza. Sulla scorta di tale scenario, Emanuele Severino in questo suo La morte e la terra (Adelphi, 2011) costruisce un impalcatura teoretica molto conseguente anche se un po’ intricata e a momenti, forse, un po’ inintelligibile …. segue
l’intero articolo (di profonda cultura) è qui: TELLUS folio.
Marisa Zoni (1935-2011) è stata una poetessa …
Marisa Zoni (1935-2011) è stata una poetessa nata a Castel San Pietro Terme, in provincia di Bologna.
Ha pubblicato il suo primo libro di poesie, “Testa o croce del soldone,” nel 1959. Per circa quarant’anni ha insegnato lettere tra il nord e altre regioni, oltre a dedicarsi alla scrittura poetica, con diverse pubblicazioni di poesia nel corso della sua vita.
Tra le sue raccolte più recenti si segnala “Tu paria dai mille occhi,” che raccoglie lavori inediti e rappresenta un compendio del suo lungo percorso poetico.
Marisa Zoni è ricordata anche per il contributo alla cultura poetica italiana del XX secolo e la sua attività di insegnamento.noidonne+4
- https://www.noidonne.org/articoli/le-parole-che-incidono-la-carta-00235.php
- https://www.pendragon.it/catalogo/manufacturers/marisa-zoni.html?tmpl=component
- https://iris.unive.it/retrieve/99e9fe62-9483-4bf4-bfa2-df4c9e5d74c2/Smerilliana-26-13×21-con-copertina-1.pdf
- https://books.google.com/books/about/Tu_paria_dai_mille_occhi_Poesia_16.html?id=CE2D1VnMEzcC
- https://traccesent.com/2018/09/10/in-ricordo-di-marisa-zoni-1935/
- https://irinsubria.uninsubria.it/retrieve/9af61076-d944-4d4c-912f-21e3c8e8009b/iss-9-2022_2HV2XhK%20(1).pdf
- https://www.abebooks.it/scultore-carta-Poesie-Marisa-Zoni-Logogrifi/9310096315/bd
- https://antemp.com/2022/06/07/quando-pensi-di-avere-tutte-le-risposte-la-vita-ti-cambia-tutte-le-domande-charlie-brown/
Ci ha lasciato la poetessa Marisa Zoni (1935-2011), dal sito di Stefano Mencherini
VAI A
Mark Strand, Il tuo morire, letta da Domenico Pelini | Tracce e Sentieri
La follia degli antichi. Dei, eroi, uomini
![]() |
Simone Bedetti – La follia degli antichi Vol. 1 (download)
Prezzo:
€ 2,95 Autore: Bedetti Simone
Voce narrante: Palmieri Valentina Durata: 1h41′ Anteprima audio: clicca qui per ascoltare Copyright audio: Area51 Publishing Supporto: 1 file zip (mp3) |
La follia degli antichi. Dèi, eroi, uomini. Vol.1 è un audiolibro proposto da Area51 Publishing. Una visione cosmogonica della follia attraverso una serie di biografie magnifiche e terribili, solari e allucinate di dèi, eroi, tiranni, filosofi… uomini che l’autore, Simone Bedetti, racconta con queste parole: ‘Ho voluto raccontare la follia non come patologia ma come cosmogonia. Ci fu un tempo, ci fu necessariamente un tempo, in cui accadde un movimento improvviso, uno strappo, e dal vuoto lacerato del nulla precipitò l’universo. Penso che questo strappo, lo spalancarsi della vita sulla meraviglia, la sofferenza e l’amore accada e riaccada costantemente nella nostra testa’. Dioniso, Orfeo, Eracle e Icaro sono alcuni tra gli dei, gli eroi e gli uomini la cui follia è raccontata in questo audiolibro, letto dalla voce di Valentina Palmieri e intervallato da brani musicali. L’audiolibro è realizzato in collaborazione con il Teatro della Rabbia. Contenuto: La follia degli antichi. Dèi, eroi, uomini. Vol.1 Indice delle tracce: 1. Coscienza Cosmica (brano musicale) 2. Dioniso. Dio delirante 3. Prigioniero dell’illusione (brano musicale) 4. Orfeo. Poeta 5. Trionfo di Orfeo (brano musicale) 6. Eracle. Epilettico 7. Bar-do (brano musicale) 8. Era. Madre matrigna 9. Bhavacakra (brano musicale) 10. Soma. Nettare divino 11. Nettare divino (brano musicale) 12. Aiace. Protettore di cadaveri 13. Un nuovo mondo (brano musicale) 14. Icaro. Malinconico 15. Trionfo di Icaro (brano musicale)
Emanuele Severino, citazione da La morte e la terra
“Per quanto grandi siano le speranze e le supposizioni umane“, scrive Emanuele Severino sulla soglia di questo suo nuovo libro, “esse si accontentano di poco, rispetto a ciò da cui l’uomo è atteso dopo la morte e a cui è necessario che egli pervenga“.
Severino procede qui risolvendo un problema decisivo, lasciato ancora aperto: se “la terra isolata dal destino è oltrepassata dalla terra che salva e dalla Gloria“, nondimeno su questa nostra vita – si potrebbe dire – incombe la morte, e continuamente vi irrompe.
L’inedito cammino della «Gloria», pubblicazione PUBB«La morte e la terra» opera cruciale del filosofo Emanuele Severino, articolo di Ines Testoni
È appena uscita «La morte e la terra» (Adelphi), opera cruciale di Emanuele Severino, in quanto parte conclusiva del suo percorso teoretico dedicato «all’indicazione autentica dell’eternità». Inteso come «destino», tale concetto non ha niente a che vedere con quello considerato dalla tradizione metafisica o, all’opposto, dalla fisica di Einstein, bensì più radicalmente riguarda l’«impossibilità del divenir altro/nulla» e la coscienza che tutto ciò che appare è necessario. Ogni ente, quindi, in quanto eterno, né può essere creato né può essere annientato. In questa originaria fondazione si inscrive il problema della morte, che viene da sempre e comunemente intesa come annientamento parziale o totale della persona.
Mostrando come tale interpretazione sia uno degli esiti della corruzione fondamentale del «nichilismo», Severino inscrive dunque l’accadimento della morte nel luogo dell’avvicendarsi degli eterni: la «terra», il cui inizio ha però conciso con la caduta nell’oblio dell’eternità in cui consiste l’«isolamento». La «terra isolata» è l’essenza del nichilismo in cui abitano i mortali, incapaci di ricordare la propria identità. Questa scotomizzazione è destinata a tramontare con l’avvento della «terra che salva», la quale «al di là di ogni resurrezione» si manifesta come «apocalisse», in cui ogni istante, già accaduto e mai annientato ma solo oscurato, si illumina della propria coscienza.
l’intero articolo qui: Bresciaoggi.it – Home – Cultura & Spettacoli.
Angelicamente, antologia a cura di Baldo Lami, Zephyro edizioni, presentazione di Baldo Lami, Paolo Ferrario e Francesco Pazienza alla Associazione Antroposofica milanese, 11 novembre 2011, ore 21, Via Vasto 4, Milano
Scheda del libro sul sito della casa editrice Zephyro Edizioni
curatore: Baldo Lami
Nella crisi di passaggio che caratterizza il nostro secolo in cui, recisi i legami col passato, speranza e futuro sembrano collassare in un presente sempre più mutevole e indistinto, l’angelo torna a far parlare di sé. Ma come possiamo intenderlo nel clamore delle voci e delle immagini che lo sovrastano? Un ampio numero di persone, tra studiosi, ricercatori o semplici professionisti in diversi settori dell’attività umana, si sono ritrovati a parlarne nel campo ideale del progetto di questo libro, secondo la loro personale esperienza o il loro peculiare modo di vedere e pensare. Ne esce un quadro molto eterogeneo e policromo ricco di suggestioni, per un viaggio memorabile nel tempo caduco dell’uomo odierno, ma condotto sulle ali senza tempo dell’angelo.
Indice:
Premessa
I. L’angelo come metafora della presenza dell’infinito e dell’oltre, Grazia Apisa
II. Gli angeli nella Bibbia e nella Riforma, Eliana Briante
III. Essere angelo per qualcuno, Gabriele De Ritis
IV. Il Genius Loci come angelo del luogo, Paolo Ferrario
V. La mistica del colore. Gli angeli di luce rossa, di luce gialla e di luce blu, Pietro Gentili
VI. L’influenza dell’angelo sull’anima umana, Claudio Gregorat
VII. La missione disconosciuta degli angeli emotigeni, Baldo Lami
VIII. Angeli e custodi, Massimo Marasco
IX. L’angelo dell’Annunciazione, Paola Marzoli
X. Michele e Lucifero. Cosa avranno ancora quei due da dirsi?, Maria Luisa Mastrantoni
XI. Angeli dell’Europa, Francesco Pazienza
XII. Lucifero dinamica divina, Bianca Pietrini e Fabrizio Raggi
XIII. Distanze che disegnano orizzonti, Massimo Pittella
XIV. La sincronicità come manifestazione angelica dell’unità di senso interno-esterno, Claudia Reghenzi
XV. Quale angelo sulla scena della violenza alle donne?, Stefania Valanzano
XVI. L’angelo nel cinema, Gruppo lettura film
Qui Baldo Lami presenta i singoli saggi del libro.
Qui i video della presentazione al Salone della piccola e media editoria indipendente a Milano 28 Novembre 2010
“il nostro esser lo splendore dell’Io del destino”, Emanuele Severino
Alla morte ci si avvicina perchè anche la “vita” sopraggiunge nei cerchi del nostro esser lo splendore dell’Io del destino, ed è necessario che ogni sopraggiungente sia oltrepassato. Il contrasto tra la pura terra e la terra isolata appare in ciò che Noi siamo prima dell’avvento della terra che salva – e nel contrasto appare “questa nostra vita”. Avvicinarsi alla morte è avvicinarsi all’istante che divide tale contrasto dallo splendore della Gioia.
in Emanuele Severino, LA MORTE E LA TERRA, Adelphi, 2011, p. 558
da Emanuele Severino La morte e la terra Biblioteca Filosofica 2011, pp. 558
…. In La morte e la terra viene portata alle estreme conseguenze l’ impossibilità di «entrare nella vita eterna»: nell’ eterno «non si entra», perché l’ uomo – ma anche ogni cosa – è già da sempre eterno. D’ altra parte, proprio per questo, è eterno anche il dolore. Per farsi capire Severino allude al rapporto esistente tra il dolore e il Dio cristiano. Dio, incarnandosi, esperisce il dolore dell’ uomo, tuttavia nella sua gloria non solo non può dimenticarlo ma non può nemmeno averne un’ idea astratta, un’ astratta memoria: deve continuare a sperimentarlo nella sua totale angosciante concretezza. Però questo Dio è anche l’ infinito superamento del dolore; ma se l’ uomo è, nel pensiero di Severino, infinitamente più alto di Dio, allora l’ eternità del dolore è, nell’ uomo, superata in un modo anch’ esso infinitamente più alto . Ci ha confidato Severino alla fine della stesura della nuova opera: «Avevo già considerato la morte come lo stato in cui l’ uomo separa il mondo da quello che è il destino della verità, ora la considero nel significato più vicino al suo senso comune: il disfacimento del corpo». E aggiunge: «Nel libro si arriva anche a questo risultato rilevante: che l’ uomo non è atteso né dal nulla né dalle vicissitudini espresse dai concetti di immortalità dell’ anima, resurrezione, reincarnazione, cioè dagli incubi che l’ aldilà può suscitare. Il disfacimento del corpo è immediatamente seguito dalla Gioia suprema in cui, innanzitutto, l’ uomo prende coscienza della propria altezza».
…
CARLO RIVOLTA legge Carlo Emilio Gadda: La casa della Brianza; Gaddus
| Carlo Emilio Gadda |
Questa terra felice, denominata Breanza, da ‘bre’ che significa fortunato, è tra le più ridenti e verdi della provincia nostra ed è la natural sedia di quelle amplissime e venustissime ville ch”e i maggiori nostri edificarono a loro dimora per l’ozio loro, dopo le urbane contenzioni e li affanni delle politiche invidie: piantandovi d’attorno convenienti ed acconcissime piante, che superstiti sopra la banalità popolano d’uno fantasioso e nobile popolo antichi giardini.
I discendenti de’ vecchi signori intristirono nelle democratiche giostre, nel corso delle quali vennero tra le nuvole de’ molti coriàndoli quasi al tutto disarcionati. Altri infetidirono nel commercio del borbonzola, sorta di odorosissimo e pedagno escremento venato d’un suo borbomiceto verde-azzurro che ne fa ghiotti i deglutitori sua. Sicché le antiche ville, o ne vennero segati appiè i grandissimi ed alti sogni d’alberi, per cavarne legno d’opera e sul terreno edificarvi le scuole di chi non impara, o siffattamente diradarono nella verde piana, da parer pochi e verdi cespi fra le distrette d’un fumoso cantiere; dove comandano i capimastri e i bozzolieri.
….
Questa felice Breanza gode di otto generazioni di felicità, di cui voglio dire. Prima è quella che ne’ pozzi neri non accoglie i doni soltanto de’ suoi naturali e gutturali inabitanti,ma quelli anche preziosissimi della signoria che vi va in villa, la di cui qualità è così ricca d’ogni fecondativa sustanzia, che quésta sola cagione basterebbe a implorare da Dio quella prelodata signoria, se l’onnipotente Iddio a nostro sostegno e allegrezza non l’avesse già di per sé procurata. Tu vedi qui la dama e i dami, la ex dama e li ex dami condescendere con caritatevole e dolce guardo e labbro all’eloquio e al commercio de’ cavernicoli, prendere soave informazione de’ ricolti e delle loro patate, o suggerir medicina alle femmine, affaticate ogni dì più da que’ duo mali temibilissimi verso di cui per solito non usano la medicina, che sono la miseria e il mastio. Il mastio le astringe a promulgare la prole, e la miseria a ringhiottir le lacrime, e frenare lo sbadiglio. Ma il sorriso de’ marchesi è di tanto loro conforto, che esse dopo quello sorriso, corrono a uno nuovo figlio, e a un nuovo digiuno. Come vedi, non è piccolo dono che nel salvadanaio tu vi metta non il tuo soldo solo, ma il mio pure, che l’Italia Letteraria me ne consente d’averne uno sì lauto. E così non è felicità poca a questa già così felice Breanza, lo aver ne’ pozzi neri una doppia restituzione delle susine sue, con quella di quelle che la signoria comporta d’altronde, di Bosnia, o California, o Provenza.
La seconda generazione di felicità è nelle mosche, che vi vengono ancor più numerose che i signori, sebbene non ne abbino le insigni qualità e virtù sue. Dal Campanone di Teodolinda Regina alla Ritonda del Cagnola sopr’Inverigo l’agosto e tutto un campanare di campane e uno volo di molteplicissime mosche, delle quali la qual si da ne’ formaggi, la qual nelli frutti, la qual nelli deretani de’ cavalli, la qual nella perniciosa defecazione de’ viventi e dipoi subito nel risotto loro, che è uno buonissimo condito di Lombardia. E quale osa pervenire, per difetto di riverenza qual è propio delle mosche, a mettersi a generare con la compagna in sull’ appisolato naso della precommemorata Signoria. E come, anco in sul naso de’ Grandi di mosche si genera mosche, così tu ne vedi venire delle nuvole sopra la costoletta, ch’è altro buonissimo condito di Lombardia. Donde vedi quanto sia più saggio quel povero villanello che si astiene dal mangiar costoletta, con che si astiene ad un tempo e dal gravame dello stomaco e dalla perenne insidia di queste felicissime mosche.
La terza generazione di felicità di Breanza è le campane, che distendono il loro metallo ne’ cuori di tutti: appena addormito che tu sie, ecco ti risvegliano subite, chiamandoti senza indugio alle lodi del Signore. Queste laudi tu le puoi dire in diversi modi, e cioè nel volgare nostro o anche per chiaro e preciso latino. Il latino compiace a Dio, pur che sie latino d’una sorta che non l’offenda o con la durezza de’ propositi o con la varietà delle comparazioni animalesche. Ed è in Breanza alcuna sorta di preti che fanno sermoni buonissimi e con esempli grandi e propiamente suasivi, su qual tu vogli de’ comandamenti d’Iddio N.S. e de’ peccati ch’Elli ne difende dal fare e che noi, o per pravità inveterata di nostra natura o calore alcuno che si genera ne’ visceri nostri dopo la cena, o per il freddo che vi ha in mancanza di quella, del continovo facciamo, dico questi peccati proibitissimi et anco di venerdì. Uno vizio solo hanno purtuttavia questi cotali preti ch’io dico, ed è che quando li da il farnetico, si missono in la mente che le sua campane non suonino bastante per intronare la gloria di Dio nelli orecchi de’ peccatori e delle peccatrici. Ed è in quello farneticante zelo che fatto il consiglio e persuaso della bisogna, subito imprendono a mutar campane, e sempre le mutano facendole duo volte le priori campane; e come l’onda del suono è nel peso, e il peso è nel volumine, e per duo volte la misura il volumine è otto volte, così d’otto in otto fanno cotali campane che il campanile non l’ha da reggere. E allora o rirsaldano il campanile o rifanno quello: che la prima è migliore che la seconda, che se a rifare bisogna primo tu lo levi dal sópra in giù, rinsaldare bisogna tu lo rifacci dal sotto in su. Ma perché l’appetito del doppio suonare non istia così lungo quanto dura il rifar campane e campanile nella chiesa, ne vengono questi cotali e soavissimi preti con alcuni messeri di Fabbrica, a casa de’ marchesi per l’obolo. Ed è marchesi di duo nature, e cioè quelli che innanzi le ville hanno pan d’oro da mangiare e quelli che dietro le ville hanno croste da ródere. E dar dinaio nelle campane, è per li uni una gloria celeste: e per gli altri è una gloria verde. E quando questi secondi Marchesi hanno figli difettivi che non si contentano a mangiar l’ugne in sopra il latino, ma vogliono pane dopo il latino, così per la gloria delle campane ci sarà l’obolo e per i figli le lacrime, senza speranza.
Ma dirò della quarta generazione di felicità, ch’è in la ditta Breanza. Ed è nello ingresso di detta terra; dove soffia uno treno che ti fa nel viso uno fummo buonissimo, e tu te ne lavi dipoi in uno bacile di tua casa, che con quel fummo che hai preso ne li cigli fai un brodo da otto. Questo treno pertiene a una compagnia, che forse la fece Moisè profeta quando volse lasciare la terra di Egitto e rasciugati li mari andorno per La Magna e la Breanza a Milano a deporvi l’ova della compagnia di questo venusto treno. Dicono altri che li fussero alcuni mercatanti della Belgica a far primi quel treno dove sono officine denominate « La Meuse »; e in uno monumento ch’io vedo eretto in Erba dove detto treno più piffera, vedo ch’è scritto il nome del Senatore Giuseppe Gadda, come di principe del fare quel treno. Ma il mio zio di nobile e onesta memoria fece far quello da mezzo secolo in qua, e se fu allora buono, è oggi buonissimo. Io dico che le ova di Moisè le si dischiusero in una gallina che la fece poi mille polli: e piffete e puf fé te con quel treno tu ne giugni felicemente a Breanza. Puoi pensare che ‘l postremo di que’ treni, con che pervenghi a Erba, si diparta di Milano all’ore di notte, conchiusi li negozi tua, ma tu erri: che a notte si dorme, e quel treno pure. Puoi pensare che se ne venghi, come dicono li Spagnoli, «uno poco liviano, pero livianito livianito». E che no! Che viene cacagio cacagio, quanto e più Biagio, a suo dolce e bell’agio. Fa prima, a venire, messer marchese Checco Pedolzi, detto il Cocco: che vi viene in uno suo calesse, e con il venire in calesse ha servato li duo rognoni tanto sani e suavi, che più sani e più dolci di quelli ha soltanto li piedi.
Dirò ora della quinta generazione di felicità ch’è infitta nella felice Breanza. Et è dessa quell’antiquo e felice modo dell’aucupio che dicesi da noi della bressanella, come che provenghi da quella nobile villa che Druso chiamavala Brixia e noi diciam Bressa. Questo gradevole aucupio è nel paretaio, sovr’alle coste che soprapprendono più nel piano, dove tu vi ti ascondi, dentro le verzure e ‘l bosco di dette costole, e vi stai sufolando con intenzione grande de’ tua nervi, dall’alba a mezzo il mattino. Li augelli purtuttavia non vi vengono, non perché abbino essi alcuna astuzia o una froda siffatta da scansare quello ingegno, che poi così temibilmente li occupa, ma perché non v’ha in Lombardia nissuno augello volante, se non balsamato ne’ musei, oltracché le galline, quando tu queste vogli pur dire che son augelli. Ma «l’uomo è cacciatore» dice uno modo da noi: e tu, che sei vuomo e cacciatore e lombardo, sùfola per l’augello,e così puoi augellare per il sùfolo.
E, lasciando dell’aucupio, dirò che altri animali sono in la terra, che non sono nel cielo. Che v’ha la donnola, ovver bellòla, lo scorpio, la sanamandra, il ghiro, il tasso, l’ariccio detto l’istrice, la volpe, e ‘l più di tutti ghiotto che da noi li cacciatori grandi lo chiaman «légora», et io lo chiamo, dato l’un caso o l’altro, o gatto ovverosìa coniglio. Questa légora la fa mettere li stivali grandi a costoro, che per cacciar légora vuole calzar duo grandi stivali. Fa prendere cadauno un fucile, detto schioppo o doppietta, e tre o quattro cani ansimanti, che «tirano», che «puntano», che fanno ù, ù, ù quanto è lunga la mane; e con mille puntamenti e mille tirature e ù, ù non ne vengono a capo di nissuna légora, avvegnacché siano quaranta schioppi, ottanta stivali e cani centoventi. Solo v’ha centoventi palmi di lingua e dugentoquaranta mantici in soffio che basterebbono a Vulcano d’accender li fochi dello scudo. E v’ha di grandi e gloriosi ritorni, e poco a poco, tra li stivali e i cani, quella légora che di terra lombarda è onninamente fugitiva, se non che la entrò con l’anima dentro nel corpo di messer lo micio gnào gnào, quella légora, dico, tu te la trovi imaginata, stanata, puntata, tirata ed ancisa nei discorsi che ne fanno: e dipoi come di légora si genera légora, quella medemà doventa duo, e le duo quattro, e le quattro increscono fino a quel nòvero che quelli boriando e trionfando, con passi di Marte e stivaloni di Vinciguerra, possono sustenere col nòvero de’ conigli, o de’ gatti, o d’entrambi li generi che faranno cotti la gran festa di Nembrot in nella osteria del suo vico. Tu li senti nel treno, che con la légora e con il cane e con la pinna e con il pelo e col punta e col tira, già ti vincono il soffiare del pìffete pàffete. Tu li senti dentro cucina del trattore, urlare circa la sua imaginata légora e dirne grandissime laudi, e dipingerla così presta, così scaltra, così feroce, che quasi ella li avrebbe mangiati, se elli non erano quei virtuosi che sono. Ma incontra a loro neppur potè quella légora, benché légora la fusse al certo: che incontra a uomini così fatti, con tanto stivale nel suo pie, gli è d’uopo alla légora che infine dopo una infinita corsa la si persuada daddovero esser légora se pure al principio la fussi buon’anima del gatto, ch’era fuggito alla ciavatta di monna Perpetua.
Ed è pure, in questa generazione di felicità, una terza sottospezie, dopo l’aria e la terra: e cioè dopo lo star a sufolare nell’aucupio e il circuire nella légora. E la è questa propiamente uno stare, come l’aucupio, ma ti bisogna qui tutto il contrario che sufolare: che lo animale a che tu intendi qui non vuoi sùfolo, ma uno vermicino minimo di che si ciba, tanta è la varietà delli appetiti dei detti animali, ch’è come quella dell’uomini, che qual ciba il vermine e qual ciba lo sùfolo. Dico che questo animale non è se non il pesce, la di cui nazione è più propia nella marina, ma quando il suo regno nativo vi vengon soverchio, o è il regno troppo salso per chi non ami salsedine, vengono simili pesci a far l’ova sua in sui fiumi e di questi nei laghi. Così v’ha pesci anco nei lachi di Breanza che son cinque, e cioè l’Eupili, il laco di Oggiono, che può nelle sciutte divenir duo; e i lachi di Alserio, Segrino e Montorfano. Tu non vi peschi però né cavedoni, né trote, né anguille, né rombi, né scorfani, né naselli; e neppur quelli pesci tenche, o lucci, o lavarelli, né agoni (Corno), che i trisavoli nostri, di memoria santa, stati cent’anni in sui detti laghi, vi pescarono per la festa del Buonaparte dopo essersi lasciati pescare essi col vermicino trino, che ebbe il capo di libertà, il mezzo di egualità, e la coda di fraternità. Tu non vi peschi altro pesce che i gobbetti, o gobitt, il di cui seme fu immesso ne’ detti laghi dall’alta provvidenza di chi lo importò non so se d’America o d’Affrica o d’Oceania; che quella materia centuplicante, ch’è il seme del pesce, è bene venga dal di fuori a migliorare il di dentro. Questi gobbi hanno duo virtù grandi, che li fanno principi e civi soli delle nostrane lacustri città. Prima virtù è quella ch’essi mangiano tutti li altri infanti pesci (che nissun pesce è fante), li quali per esser più dolci e men gobbi, non hanno possa all’incontro. Seconda è ch’elli sono tanto suavi nel fritto, che men dolce non è né l’assenzio, né il fiele. Non so qual cattedra né quale ambulanza li suggerì per suo profitto a’ Lombardi, correndo gli anni di nostro Signore da 1900 a 1910. Ma la provvidenza fu certa, che, con tanta dolcezza di detti pesci gobbi, ogni villano d’Eupili ama più tosto pescar carote di pentola, che uno viperone fuor dal laco.
E v’ha una felicità sesta, ch’è uno arbore pungentissimo, ed è la robinia. Questa robinia, sopra a la terra lombarda, è più feconda che non le mosche sopra al risotto o i pesci gobbi in Eupili. Ignota in antico ai maggiori, uno grande scrittor nostro, che fece scritture assai buone e castissime, e compiacevasi a un tempo medesimo in nell’agricoltura, dicono l’avesse fatta venir d’Oceania. Ah! quanto amerei che il detto scrittore non avesse ad aver fatto quest’opera, ch’è la pessima sua: egli propagò la robinia come nessun santo apostolo ha mai propagato la Fede di N.S. In quella terra che tutta la ricopriva il folto e sano popolo delli abeti, e la mormorante abetaia, nel vento, pareva dare agli umani il suspiro e la resina, egli vi fece venire questo arbore nuovo, ch’è a quelli nobilissimi come uno signor nuovo a uno vecchio signore. Neppure li virtuosi discepoli di Nembrot vi andrebbono a cercar la légora con li stivali, dentro cotali spine della robinia. Ma la robinia cresce in tre anni quanto l’abete in trenta: più celere che la zucca dell’Ariosto salita in sul pero, da notte a mattina, e va in passo con le voglie del celere tempo; nel quale si sente che tutto ciò che è materia si muove così celermente, che messer domine Giove, se l’ fusse oggi qua e tramutatosi in toro, non arriverebbe a ingredire nella ritrosa vacca Europa; e che detta vacca al vederlo già la si sarebbe ritramutata in una comune femina, con grande berleffo del detto Giove. Ela Pasifae ch’era per contro una femina invereconda di quelli rimotissimi secoli l’avrebbe potuto con questo gran toro venire in quel suo nefandissimo connubio, sendoli mancata l’Europa in sul meglio.
Ed è settima felicità di Breanza che il vino vi viene dal colle, e la grandine vi arriva dal cielo. Tu metti l’uve ne’ filari, | poi le pigi e fai vino crodello: le torchi e ne spiccia il torchiato. Ogni cosa propiamente vi arriva da quella parte che arrivar; suole e degge: così di Milano il piffete puffete, e la reverendissima signoria; del campanile il suono delle campanone,
come lustrale acqua si spande secondo disse in una buonissima e serena poetica l’abate Giacomo Zanella; ch’era un animo alto e buono: e le campane ti mettono in corpo il giuraddìo, le mosche d’ogni dove vi vengono, la légora in ogni dove la corre e fino dentro alle spoglie delli gnàvoli, gnàvoli, il di cui principe è il grande Gnào-Gnào.
… Il vino ecc.
Ed è ottava felicità di Breanza che potrà murare un dì marmora publiche, inscritte al mio nome con dire:
Qui sul colle ch’è aperto al cielo e ridente
Non si accomunò con i vivi
II Marchese della Nobile Miseria.
Da: Carlo Emilio Gadda, Racconti dispersi, Viaggi di Gulliver, cioè del Gaddus, in Romanzi e racconti II, a cura di Dante Isella, Garzanti, Milano 1989, pagg. 960-966
Indispensabile per collocare sul piano letterario e su quello biografico questo testo consiglio questa colta analisi:
Mario Porro (cur.), Gadda e la Brianza, nei luoghi della “cognizione del dolore”, Edizioni Medusa, Milano 2007, p. 226
Il racconto che inizia con la frase “Il signor Francesco Pellegatta credeva in Dio” è stato pubblicato qui:
Carlo Emilio Gadda, Villa in Brianza, a cura di Giorgio Pinotti, Adelphi, 2007, p. 70
CARLO RIVOLTA legge ALBERTO VIGEVANI. Incontro a cura del Centro Carlo Gadda, Castello di Pomerio, Erba 11 Novembre 2006
| Alberto Vigevani Link |
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Credo sia opportuno conoscere qualche dato di contesto. Queste registrazioni sono state raccolte ad un convegno locale che si è svolto al Castello di Pomerio di Erba l’11 novembre 2006 ed organizzato da Centro Gadda di Longone al Segrino.
Il lavoro culturale di Carlo Rivolta era questo: mettersi al servizio degli autori e dei testi in situazioni associative di questo tipo.
Per lui era importante la richiesta del “committente” e il tipo di pubblico che sarebbe intervenuto.
Era profondamente interessato a creare un articolato rapporto fra autore, testo e lettori in ascolto.
E così anche un autore così particolare come Alberto Vigevani (un intellettuale organizzatore di biblioteche e di librerie bibliofile) veniva fatto risplendere nella sua prosa carica di tensione biografica.
In questi testi e nella risonanza che ne sa esprimere Carlo Rivolta si sentirà come Marcel Proust ha segnato la letteratura del primo novecento.
Realismo e idealismo
in Giovanni Sartori, La democrazia in trenta lezioni, Mondadori editore, 2008
pagg. 13-16
Titolarita ed esercizio
in Giovanni Sartori, La democrazia in trenta lezioni, Mondadori editore, 2008
pagg. 9-12
Demos e Populus
in Giovanni Sartori, La democrazia in trenta lezioni, Mondadori editore, 2008
pagg. 5-8


































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