I primi filosofi greci avevano cercato l’origine del modificarsi dei fenomeni in un principio statico che potesse renderne ragione, non riuscendo a spiegarsi il divenire.

Nel Poema sulla natura Parmenide sostiene che la molteplicità e i mutamenti del mondo fisico non sono altro che fenomeni illusori e, sfidando il senso comune, afferma la realtà dell’Essere: finito, immutabile, ingenerato, immortale, unico, omogeneo, immobile, eterno.

« è, e non è possibile che non sia… non è, ed è necessario che non sia » (Parmenide, Sulla Natura, fr. 2, vv 3;5)

Niente si crea dal niente, e nulla può essere distrutto nel nulla.

I primi filosofi greci avevano cercato l’origine del modificarsi dei fenomeni in un principio statico che potesse renderne ragione, non riuscendo a spiegarsi il divenire.
Ma secondo Parmenide i cambiamenti e le trasformazioni a cui è soggetta la natura non hanno alcun motivo di esistere, essendo una pura illusione. La vera natura del mondo è statica e immobile.

A lezione da Emanuele Severino: Pòlemos, Mimesis editore

corso per intero tenuto da Severino all’Università Vita-Salute San Raffele, dove dal 2002 insegna Ontologia Fondamentale

Albert Einstein con Emanuele Severino

uomini che hanno una fiducia incommensurabile dell’uomo e credono nelle possibilità illimitate degli stessi

vai all’intero articolo   Albert Einstein con Emanuele Severino.

Che cosa intende Bachelard quando parla di rêverie?, in Saggio su Gaston Bachelard di Giovanni Piana

Che cosa intende Bachelard quando parla di rêverie? Se incontrassimo questo termine in un contesto non troppo impegnativo, potremmo tradurlo con fantasticheria, ma in riferimento alla problematica che stiamo illustrando questa parola sarebbe inadatta, se non altro per quella sfumatura un po’ peggiorativa che essa riceve in molti impieghi correnti. |164|

In realtà mentre, come vedremo subito, tra sogno e rêverie dobbiamo porre una netta differenza, è proprio al sogno che converrà richiamarsi per illustrare il senso della rêverie. Anche in italiano infatti la parola «sogno» non viene impiegata solo per indicare quegli strani eventi che ci accadono mentre dormiamo, ma anche le nostre fantasticherie diurne. E ancor più converrà tenere presenti espressioni come «atmosfera sognante» o «paesaggio sognante»: qui ci troviamo molto prossimi alla sfumatura di senso della parola rêverie. La rêverie è una fantasticheria sognante – forse potremmo esprimerci così. |165|

da Saggio su Gaston Bachelard.

Fare immaginazione sulla materia: Gaston Bachelard e Claude Monet

Assecondo la tendenza al diario.
“Molto con poco” potrei dire.
Perchè è davvero un piccolo miracolo delle relazioni faccia a faccia poter andare, in orario tardo pomeridiano e a pochi chilometri dalla mia città, ad ascoltare 4 lezioni del professore di storia della filosofia Mario Porro in tema di immaginazione sugli elementi materiali (acqua, terra, aria, fuoco), a partire da Gaston Bachelard (1).
Farò un rapporto più dettagliato su queste lezioni, in modo che anche a te, amico/lettore di blog, possa sembrare di avervi partecipato.
Oggi vorrei solo evocare la suggestiva connessione fra Gaston Bachelard e Claude Monet (le sottolineature sono di Mario Porro):

“E tutto lo stagno è avvolto nel profumo del suo fiore fresco, il fiore giovane, il fiore ringiovanito dalla notte.
Al calar della sera — Monet l’ha visto migliaia di volte — il giovane fiore va a coricarsi sotto l’onda. Non si dice forse che il suo peduncolo la rievoca, la notte, ritraendosi sino al tenebroso fondo del limo? E così ad ogni aurora, il fiore della ninfea — immensa sensitiva delle acque — ristorato da un buon sonno nella notte estiva, rinasce con la luce, e perciò è fiore eternamente giovane, figlio immacolato dell’acqua e del sole.
Tanta giovinezza ritrovata, una così costante sottomissione al ritmo del giorno e della notte, una tale esatta puntualità nel segnare l’attimo dell’aurora, tutto ciò fa della ninfea il fiore stesso dell’impressionismo.
La ninfea è un istante del mondo, un mattino degli occhi, il sorprendente fiore d’un’alba estiva.”

e poi ancora:

Il mondo vuol essere visto. Innanzi che avesse occhi per vedere, l’occhio dell’acqua, il grande occhio delle acqua tranquille, guardava i fiori sbocciare. E’ proprio in simile rispecchiamento – come dubitarne? – che il mono per la prima volta prese coscienza della sua bellezza”

in Gaston Bachelard, Il diritto di sognare (traduzione di Marina Bianchi), Dedalo libri, 1974, p. 10 e 13

(1) Invito alla filosofia: il simbolismo degli elementi materiali (acqua, terra, fuoco, aria), docente Mario Porro – Storia della filosofia, Liceo statale E. Fermi, Cantù, 12, 19, 26 aprile, 10 maggio 2007
a cura dell’Auser Canturium

Emanuele Severino, Nella nobile rinuncia di Benedetto il grande turbamento della fede, da Corriere della Sera 19 febbraio 2013

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Conversazione in casa delle sorelle B.: PERCHE’ LEGGERE MONTAIGNE (1533-1592) nel 2013. Traccia a cura di Paolo Ferrario, Como 19 febbraio 2013

AUDIO DELLA SERATA  SU MONTAIGNE, 19 FEBBRAIO 2013

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da una e-mail di Luca Noseda:
mi faccio precedere da questa foto scattata lo scorso weekend a Parigi.
Montaigne Parigi
Non l’ho cercata ma mi si è presentata davanti e non ho potuto fare a meno di fermarmi e scattarla, perchè mi è parso che mi sia venuta incontro lei a cercarmi.
E’ il monumento di Montaigne,davanti a un lato del quartiere-edificio della Sorbona.
L’edificio che invece si intravvede dietro alla statua è l’Hotel de Cluny, prospiciente Boulevard St Germain, giusto per darvi l’esatta ubicazione casomai voleste rintracciarlo essendo già sur place.
Era mia intenzione in qs raro viaggio di piacere nel mio luogo eletto di lavoro poter vedere la chiesa della Sorbona in cui è sepolto il Cardinale di Richelieu, in quanto grande benefattore di qs Universitas,una delle più antiche d’Europa celeberrima per la facoltà di teologia! guarda un po’. Credo che Tommaso d’Aquino ed Erasmo da Rotterdam abbiano o studiato o dato lezioni qui.
Non ho potuto perchè chiusa al pubblico e visibile solo su richiesta preventiva.
Però Montaigne paziente mi attendeva dietro l’angolo.
Anche se ho visto con la coda dell’occhio che mentre fotografavo gruppi di turisti gialli ed anche di altri colori mi osservavano incuriositi di cosa mai stessi fotografando.

Emanuele Severino, APPARENZA, REALTA’ E L’ISOLAMENTO DELLA TERRA, rassegna “Abitatori del Tempo”, Monza, 8 febbraio 2013. Audio e Video della lezione

E’ affidata ad Emanuele Severino – filosofo tra i più noti in Italia ed intellettuale pubblico – l’apertura della nona edizione della rassegna “Abitatori del Tempo“, il ciclo itinerante di incontri con i più grandi filosofi e pensatori contemporanei, tutti dedicati alla riflessione sull’oggi, per offrire “una maggiore consapevolezza del tempo che abitiamo”

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Intitolata quest’anno al tema “Apparenza e Realtà” la rassegna

si aprirà venerdì 8 febbraio 2013 al teatro Manzoni di Monza – ore 21, ingresso gratuito –

con l’ intervento del prof. Emanuele Severino dal titolo “L’isolamento della terra” 

da   Monza e Brianza


  • Audio della presentazione:
  • Audio della Lezione magistrale di Emanuele Severino:
  • Audio della risposta su Parmenide

Lezione magistrale, prima ora:

gli ultimi 20 minuti della lezione:


Associo ai contenuti della lezione questa pagina tratta da Emanuele Severino, LA MORTE E LA TERRA, Adelphi, 2011, pag. 188- 189

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Un ricordo della serata in fotografia:

il professor Fabio Botto, l’amico dottore in scienze pedagogiche Maurizio Fratea e il professor Emanuele Severino

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caro maurizio
anche per me ieri sera è stato un grande piacere incontrarti
questa fotografia è BELLISSIMA !!!mi spiace di essere andato via alle 11 e 10, ma avevo un treno alle 11 e 25. comunque è stato un ritorno pieno di pensieri legati alla lezione (realtà , apparenza, terra, verità, uomo, pensiero arcaico, miti, presente,  passato, scienza ….)
ho perso l’occasione di essere immortalato in una fotografia con emanuele severino!
tuttavia questa vostra fotografia “fa memoria” ancora di più. ci sei tu, con il tuo coraggio e la tua forza di “essente”, c’è il tuo amico che fa con tanta passione il suo lavoro culturale  e c’è questo straordinario interprete filosofico della nostra appartenenza alla “terra isolata dal destino”.
oggi metto sul mio blog filosofico video e audio della lezione di ieri sera e ti darò qualche suggerimento su come accostare la architettura del pensiero severiniano
mi autorizzi a pubblicare anche questa “eterna” fotografia?
un caro saluto
e a rileggerci

Paolo


PROGRAMMA degli incontri

EMANUELE SEVERINO – L’ISOLAMENTO DELLA TERRA

Venerdì 8 febbraio 2013
Monza – Teatro Manzoni
Via Manzoni, 23

Filosofo tra i più noti in Italia, intellettuale pubblico, a partire dai saggi giovanili è venuto articolando un organico sistema filosofico che muovendo dalla riflessione su temi come l’essere, il divenire e il nulla, fornisce un’analisi di fenomeni quali la natura della tecnica, il nichilismo, la fede religiosa.

MICHELE LENOCI – REALTÀ, APPARIRE, APPARENZA, PARVENZA: IL MONDO È FORSE UN SOGNO COERENTE?

Giovedì 14 febbraio 2013
Cesano Maderno – Teatro Excelsior
Via San Carlo, 20

Professore ordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Ontologia e metafisica e Storia della filosofia contemporanea. Sue pubblicazioni più recenti: “Le filosofie cristiane”, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani 2012, “Il materiale e il formale nell’etica: Scheler vs. Kant”, Guida 2011, “Si può amare la verità?”, Mimesis 2011.

MASSIMO CACCIARI – LA REALTÀ E I NOMI DEI MORTALI

Lunedì 25 febbraio 2013
Monza – Teatro Manzoni
Via Manzoni, 23

Filosofo, uomo politico, intellettuale pubblico, ha sviluppato, a partire da figure di riferimento quali Nietzsche e Heidegger, un percorso filosofico che ha tra i suoi motivi principali i temi del pensiero negativo e del tragico.

GIULIO GIORELLO – FILOSOFI E FANTASMI

Lunedì 4 marzo 2013
Lissone – Palazzo Terragni
Piazza Libertà

Filosofo, matematico, intellettuale pubblico, la sua riflessione ha al suo centro l&rsquointreccio tra impresa scientifica e pensiero libertario.

FRANCESCO BOTTURI – FILOSOFIA DELL’AMORE APPARENTE

Venerdì 8 marzo 2013
Giussano – Sala Consiliare
Piazzale Aldo Moro, 1

Professore ordinario di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Etica e Filosofia morale. Sue pubblicazioni più recenti: “Experience: Reason and Faith”, Peter Lang 2012, “Affettività e generatività”, il Mulino 2011, “La generazione del bene. Gratuità ed esperienza morale”, Vita e Pensiero 2009.

CLOTILDE CALABI – CHE COSA È UN’ILLUSIONE PERCETTIVA?

Venerdì 15 marzo 2013
Vimercate – Centro Omnicomprensivo
Via Adda, 6

Professore associato di Filosofia e teoria dei linguaggi presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell&rsquoUniversità degli Studi di Milano, dove insegna Teorie del linguaggio e della mente. Suoi campi di ricerca: filosofia della percezione, teorie dell’intenzionalità, filosofia dell’azione. E’ autrice di numerosi articoli su riviste internazionali; tra le sue pubblicazioni: con A. Voltolini, “I problemi dell’intenzionalità”, Einaudi 2009 e “Filosofia della percezione”, Laterza 2009.

ELIO FRANZINI – ARTE TRA APPARENZA E REALTÀ?

Venerdì 5 aprile 2013
Arcore – Teatro Nuovo
Via S. Gregorio, 25

Studioso di estetica, ha condotto le sue ricerche ispirandosi alla tradizione della fenomenologia e concentrando la sua attenzione soprattutto sul ruolo dell’immaginazione e del sentimento nell’esperienza dell’arte.

ANDREA MORO – L’EFFETTO “BABELE”. CERVELLI E GRAMMATICHE

Venerdì 12 aprile 2013
Villasanta – Teatro Astrolabio
Via Mameli, 8

Professore ordinario di Linguistica generale presso la Scuola Superiore Universitaria ad Ordinamento Speciale IUSS di Pavia dove dirige il NeTS, centro di ricerca per la Neurosintassi e la linguistica teorica e il dottorato in Neuroscienze cognitive e filosofia della mente. Oltre a molti importanti studi internazionali, è autore di: “Parlo dunque sono”, Adelphi 2012, “Breve storia del verbo essere”, Adelphi 2010, “I confini di Babele”, Longanesi 2006.

ROBERTO MORDACCI – LA LIBERTÀ NON APPARE

Lunedì 15 aprile 2013
Desio – Auditorium Liceo Scientifico E. Majorana
Via Agnesi, 20

Filosofo morale, si è occupato di questioni di bioetica e dei fondamenti della filosofia pratica, in particolare attraverso i due temi delle ragioni morali e dell&rsquoidentità personale.


Conduce gli incontri
FABIO BOTTO
Insegna scienze umane al Liceo “Legnani” di Saronno. È dottorando in Scienze dell’Educazione presso l’Università di Milano-Bicocca. Si occupa del rapporto tra nichilismo e rimozione del pensiero simbolico. Tra le sue pubblicazioni: Da Yahwèh ai Fantastici Quattro, Atì, 2008; Madre della filosofia, vol. I, Nichilismo e immaginazione, Mimesis, 2005.

 

I viventi e l’ambiente. Ossia gli essenti sulla Terra isolata da Destino

Ogni uomo è l’apparire eterno degli eterni. Un cerchio in cui è destinato a sopraggiungere quell’eterno che è la Terra, Emanuele Severino

Ascolta l’audio: http://www.divshare.com/download/13657984-da1

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da Siamo re che si credono mendicanti, in Che cosa vuol dire morire, a cura di Daniela Monti, Einaudi, 2010, p. 139

Cusano, Nicoletta, Capire Severino. La risoluzione dell’aporetica del nulla, da Recensioni filosofiche

serata di riflessione su LA FORZA DEL CARATTERE di James Hillman, 29 gennaio 2013, ore 21,15 – 23,30, ritagli scelti da Paolo Ferrario

Avatar di Paolo FerrarioTRACCE e SENTIERI

Ritagli scelti da Paolo:

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Ritagli  scelti da AnnaLIBRO HILLMAN 1LIBRO HILLMAN 2

Ritagli  scelti da Luciana:

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Monza, nona edizione della rassegna filosofica ABITATORI DEL TEMPO. Tema: “Apparenza e Realtà”

Torna la seguitissima rassegna filosofica voluta da Rosanna Lissoni

Torna la seguitissima rassegna filosofica voluta da Rosanna Lissoni

Si aprirà venerdì 8 febbraio 2013 al teatro Manzoni di Monza la nona edizione della rassegna “Abitatori del tempo”, un ciclo itinerante di incontri dedicati alla riflessione sull’oggi, con la partecipazione dei più grandi filosofi e pensatori contemporanei.

La rassegna sarà introdotta da un intervento del filosofo e scrittore Emanuele Severino, docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e autore del libro “Abitatori del tempo”, che darà il via alla serie di appuntamenti destinati a diffondere  “una maggiore consapevolezza del tempo che abitiamo”. Si deve proprio ad un’intuizione della ex-allieva di Emanuele Severino – divenuta poi professoressa di filosofia al liceo classico Zucchi – Rosanna Lissoni, la nascita della Rassegna, che ha saputo offrire nel corso degli anni  uno sguardo sui grandi temi del presente e sulle questioni più vere e autentiche della dimensione umana.

L’edizione 2013 prevede un ciclo di 9 appuntamenti che termineranno il 15 aprile e saranno interamente dedicati al rapporto tra “Apparenza e Realtà“, con la direzione scientifica del preside della facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, prof. Michele Di Francesco, e la presentazione dei singoli incontri da parte del prof. Fabio Botto.

Protagonisti saranno i maggiori pensatori ed esponenti del pensiero filosofico contemporaneo in Italia: oltre ad Emanuele Severino, si avvicenderanno nelle varie location Michele Lenoci, Massimo Cacciari, Giulio Giorello, Francesco Botturi, Clotilde Calabi, Elio Franzini, Andrea Moro e Roberto Mordacci.

Rassegna seguita in modo particolare – l’edizione 2012 ha fatto registrare 4mila presenze –  si svolge in collaborazione con i comuni di Monza, Cesano Maderno, Lissone, Giussano, Vimercate, Arcore, Villasanta e, per la prima volta, Desio. Sono coinvolti anche prestigiosi atenei lombardi, dall’Università Statale di Milano all’Università Vita Salute San Raffaele, dall’Università Cattolica alla Scuola Superiore Universitaria IUSS di Pavia.

Tutti gli incontri avranno inizio alle ore 21.00, con ingresso libero fino ad esaurimento posti.

Il Calendario degli incontri 2013 – “Apparenza e Realtà”

8 FEBBRAIO 2013 – MONZA – TEATRO MANZONI – VIA MANZONI, 23
EMANUELE SEVERINO: “L’isolamento della terra”

14 FEBBRAIO 2013 – CESANO MADERNO – TEATRO EXCELSIOR
MICHELE LENOCI (PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA): “Realtà, apparire, apparenza, parvenza: il mondo è forse un sogno coerente?”

25 FEBBRAIO 2013 – MONZA – TEATRO MANZONI
MASSIMO CACCIARI: “La realtà e i nomi dei mortali”

4 MARZO 2013 – LISSONE – PALAZZO TERRAGNI –  PIAZZA LIBERTÀ
GIULIO GIORELLO: “Filosofi e fantasmi”.

8 MARZO 2013 -GIUSSANO – SALA CONSILIARE –  PIAZZALE ALDO MORO, 1
FRANCESCO BOTTURI (PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA):  “Filosofia dell’amore apparente”

15 MARZO 2013 – VIMERCATE – CENTRO OMNICOMPRENSIVO – VIA ADDA, 6
CLOTILDE CALABI (PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA): “Che cosa è un’illusione percettiva?”

5 APRILE 2013 – ARCORE – TEATRO NUOVO – VIA S. GREGORIO, 25
ELIO  FRANZINI: “Arte tra apparenza e realtà?”

12 APRILE 2013 – VILLASANTA –TEATRO ASTROLABIO – VIA MAMELI, 8
ANDREA MORO (PARTECIPA PER LA PRIMA VOLTA): “L’effetto “Babele”. Cervelli e grammatiche”

15 APRILE 2013 – DESIO – AUDITORIUM LICEO SCIENTIFICO E. MAJORANA – VIA AGNESI

ROBERTO MORDACCI: “La libertà non appare”

da Abitatori del Tempo: torna la seguitissima rassegna di filosofia tra “Apparenza e Realtà” Eventi a Monza.

serata di riflessione su LA FORZA DEL CARATTERE di James Hillman, 29 gennaio 2013, ore 21,15 – 23,30, ritagli scelti da Paolo Ferrario

Ritagli scelti da Paolo e proposti al gruppo di conversazione:

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Ritagli  scelti da AnnaLIBRO HILLMAN 1LIBRO HILLMAN 2

Ritagli  scelti da Luciana:

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Elémire ZOLLA, Che cos’è la Tradizione? – Storia della Filosofia l AM

vai a Che cos’è la Tradizione? – Storia della Filosofia l AM.

Emanuele Severino sull’attualità di Giambattista Vico – in Corriere della Sera 04.01.2013

vai a   Emanuele Severino sull’attualità di Giambattista Vico – Corriere Della Sera 04.01.2013.

Carl Gustav Jung, DAL PROFONDO DELL’ANIMA, video raccolto da Marco Suadoni e segnalato da Grazia Apisa

Emanuele Severino, intervista a Lettera 43. Nessuno dà la giusta attenzione a ciò che sta succedendo veramente: La distruzione non solo del capitalismo, ma di tutte le ideologie del nostro tempo

severino

Da tempo si dà per scontato, ormai anche a sinistra, che l’unico tipo di organizzazione sociale sia quella capitalista.
D. Marx si starà rivoltando nella tomba…
R.
 Oggi la sinistra italiana si vanta di ispirarsi al modello democratico americano. Nessuno dà la giusta attenzione a ciò che sta succedendo veramente.
D. Cioè?
R.
 La distruzione non solo del capitalismo, ma di tutte le ideologie del nostro tempo.
D. Perché stanno scomparendo?
R.
 Ognuna di queste forze vuole escludere le altre. E questo le rende meno potenti rispetto alla tecnica, che invece  cerca di incrementare all’infinito la capacità di realizzare i suoi obiettivi, aumentando così la potenza a disposizione dell’uomo.
D. Quindi la fine del capitalismo non sarà la fine del mondo?
R.
 Che il capitalismo vada in malora non è un esito negativo, perché questo mette a disposizione dell’uomo quelle potenzialità che nella civiltà occidentale il dominio delle ideologie ha tenuto a freno.
D. Può spiegarlo meglio?

R. La tecnica vuole essere aumento della potenza e mira quindi alla eliminazione della scarsità. Scopo questo del capitalismo, che vuole perpetrare la carenza delle merci. Il capitalismo quindi si serve di un servitore, la tecnica, che lavora contro gli interessi del padrone.

tutta l’intervista qui   Severino: capitalismo senza futuro – ECONOMIA.

Pietro Citati, Nel pentolone magico di Gadda – Corriere.it

La maggior parte dei libri di Gadda, dall’Adalgisa alla Cognizione del dolore al Pasticciaccio, sono delle immense costruzioni, che raccontano di tutto, parlano di tutto, si estendono da tutte le parti, sfidano ogni limite; e poi, improvvisamente, la costruzione si interrompe, e rimangono delle grandiose rovine. Come diceva Proust, l’arte moderna, giunta alla vetta, deve includere in se stessa l’esperienza del fallimento. 

tutto l’articolo qui   Nel pentolone magico di Gadda – Corriere.it.

Antonio Saccà: Emanuele Severino ha dedicato gran parte della sua esistenza al capitalismo, e allo studio del capitalismo

Per Severino l’Occidente ha un destino, il destino dell’Occidente è quello di scadere nella volontà di potenza, privandosi di concezioni di ben diversa consistenza e validità. La volontà di potenza caratterizza l’Occidente, perché l’Occidente è in balia del «divenire». Il divenire è, in Severino, il sottrarsi continuo delle cose a se stesse, un essere e non essere contemporaneamente, un venire dal niente e andare verso il niente, esso contiene l’antitesi insormontabile, ritenere l’essere idoneo a morire. Cosa da folli: come può l’essere non essere! Il peccato originale dell’Occidente, è considerare che la realtà diviene e muore. Che rapporto ha questa convinzione di Severino con il capitalismo? L’Occidente è passato da una visione della società in cui era la filosofia a guidare la politica, ad una situazione in cui era l’economia a guidare la politica, ad una fase in cui è la tecnocrazia a guidare la politica. 

da   Il Tempo – Spettacoli – di Antonio Saccà Emanuele Severino ha dedicato gran parte della sua esistenza al capitalismo, e allo studio del capitalismo..

su tre libri di JAMES HILLMAN: Storie che curano, Il codice dell’anima, L’anima dei luoghi. Video di Paolo Ferrario, 21 minuti, dicembre 2012

Emanuele Severino: capitalismo senza futuro – intervista di Antonietta Demurtas, Lettera 43, 28 dicembre 2012

vai a:

Severino: capitalismo senza futuro – ECONOMIA.

Emanuele Severino, Perché il divenire è un eterno errore – Corriere.it 18 dicembre 2012

 Chiedo a de Giovanni di indicarmi, per uscire dalla supposta monocromia, da un lato un solo punto, nella storia dell’uomo, dove non si creda nell’esistenza della trasformazione delle cose – almeno di quelle mondane, e dall’altro lato un solo errore che non presupponga questa fede. Poi, se vorrà, potremo discutere il punto decisivo, ossia i motivi per i quali affermo che tale fede, nonostante la sua apparente plausibilità ed «evidenza» è l’Errore più profondo a cui l’uomo è stato destinato (ma dal quale l’Inconscio più profondo dell’uomo è già da sempre libero).

tutto l’articolo qui   Perché il divenire è un eterno errore – Corriere.it.

Intervista a CARL GUSTAV JUNG, di John Freeman, 1959

TECNICA, MORTE, GIOIA, Alessandro Aleotti intervista Emanuele Severino, a cura del sito di Milania

a partire dal libro:

Emanuele Severino, LA MORTE E LA TERRA, Adelphi, 2011, p. 560

vai al sito di Milania

FRANCESCO ALBERONI, intervista di Maria Giovanna Farina | in Siamo Donne

vai a: INTERVISTA A FRANCESCO ALBERONI | Siamo Donne – le migliori video ricette di cucina.

Emanuele Severino, la scienza e il rimedio secondo Prismi – Pensieri filosofici

 

secondo Severino, tutti i rimedi tentati fin qui, incluso quello tecnologico, sono ugualmente fallimentari. Diversamente, però, dai suoi precursori, che imputavano l’inefficacia del rimedio alla sua incapacità di reggere l’urto con il “reale”, per Severino è proprio la fede in questo reale a costituire il presupposto indiscusso della filosofia e la sentina di tutti i mali del genere umano. Qual è, infatti, si domanda Severino, la sotterranea persuasione che, affermatasi con la filosofia greca, ha permeato le strutture profonde della psiche occidentale (e ormai del globo intero), se non la persuasione che reale sia unicamente il divenire, e dunque l’annichilamento, mentre illusori sono tutti i rimedi o gli espedienti per sfuggirgli, come appunto la filosofia e la religione? Il nichilismo, insomma, è il destino dell’Occidente. E anche se oggi le previsioni riguardo alla scienza sono più ottimistiche, Severino non dubita che quest’ennesima illusione sia destinata a cadere. La scienza, infatti, appare come il rimedio più efficace perché è realmente capace di governare il divenire, cioè il passaggio dall’essere al nulla e viceversa (un solo esempio: l’ingegneria genetica). Ma non si sfugge alla trappola nichilista se la cura è identica al male. E il male, nell’ottica di Severino, è appunto la fede nel divenire che la follia dell’Occidente, contraddicendosi, ha prima teorizzato e poi negato (senza successo); fede nella quale anche la scienza è fatalmente irretita.

tutto il post è qui   Il Senso, Severino e Münchhausen « Prismi – Pensieri filosofici.

Emanuele Severino, È il crepuscolo delle tradizioni – Corriere.it 15 novembre 2012

vai a   È il crepuscolo delle tradizioni – Corriere.it

Emanuele Severino, È il crepuscolo delle tradizioni. Pdf

Giacomo Leopardi: ALLA LUNA – Lettura di Gianni Caputo

Giacomo Leopardi: CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ASIA, Lettura di Gianni Caputo

Eugenio Montale, Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale. Lettura di Domenico Pelini

“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue. ”

(Eugenio Montale)

il Tempo, Oral – La Legna e la Cenere, Sul Sacro Emanuele Severino, Massimo Cacciari

vai a   KENNINGAR personale tributo a Jorge Luis Borges: Il Tempo, Oral – La Legna e la Cenere, Sul Sacro Emanuele Severino.

Emanuele Severino, “Scienza e società. Aspetti etici, politici e cognitivi”, 30 settembre 2006

GIACOMO LEOPARDI, LA GINESTRA (1836). Lettura di Carmelo Bene e un commento di Emanuele Severino (2010)

 

Carmelo Bene recita LA GINESTRA: 
Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce.
Giovanni,  III, 19

Qui su l’arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null’altro allegra arbor nè fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti. Anco ti vidi
de’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
che cingon la cittade
la qual fu donna de’ mortali un tempo,
e del perduto impero
par che col grave e taciturno aspetto
faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
lochi e dal mondo abbandonati amante,
e d’afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
di ceneri infeconde, e ricoperti
dell’impietrata lava,
che sotto i passi al peregrin risona;
dove s’annida e si contorce al sole
la serpe, e dove al noto
cavernoso covil torna il coniglio;
fur liete ville e colti,
e biondeggiàr di spiche, e risonaro
di muggito d’armenti;
fur giardini e palagi,
agli ozi de’ potenti
gradito ospizio; e fur città famose
che coi torrenti suoi l’altero monte
dall’ignea bocca fulminando oppresse
con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
una ruina involve,
dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo
di dolcissimo odor mandi un profumo,
che il deserto consola. A queste piagge
venga colui che d’esaltar con lode
il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
è il gener nostro in cura
all’amante natura. E la possanza
qui con giusta misura
anco estimar potrà dell’uman seme,
cui la dura nutrice, ov’ei men teme,
con lieve moto in un momento annulla
in parte, e può con moti
poco men lievi ancor subitamente
annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
son dell’umana gente
le magnifiche sorti e progressive.

Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco,
che il calle insino allora
dal risorto pensier segnato innanti
abbandonasti, e volti addietro i passi,
del ritornar ti vanti,
e proceder il chiami.
Al tuo pargoleggiar gl’ingegni tutti,
di cui lor sorte rea padre ti fece,
vanno adulando, ancora
ch’a ludibrio talora
t’abbian fra se. Non io
con tal vergogna scenderò sotterra;
ma il disprezzo piuttosto che si serra
di te nel petto mio,
mostrato avrò quanto si possa aperto:
ben ch’io sappia che obblio
preme chi troppo all’età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
vuoi di novo il pensiero,
sol per cui risorgemmo
della barbarie in parte, e per cui solo
si cresce in civiltà, che sola in meglio
guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
dell’aspra sorte e del depresso loco
che natura ci diè. Per questo il tergo
vigliaccamente rivolgesti al lume
che il fe palese: e, fuggitivo, appelli
vil chi lui segue, e solo
magnanimo colui
che se schernendo o gli altri, astuto o folle,
fin sopra gli astri il mortal grado estolle.

Uom di povero stato e membra inferme
che sia dell’alma generoso ed alto,
non chiama se nè stima
ricco d’or nè gagliardo,
e di splendida vita o di valente
persona infra la gente
non fa risibil mostra;
ma se di forza e di tesor mendico
lascia parer senza vergogna, e noma
parlando, apertamente, e di sue cose
fa stima al vero uguale.
Magnanimo animale
non credo io già, ma stolto,
quel che nato a perir, nutrito in pene,
dice, a goder son fatto,
e di fetido orgoglio
empie le carte, eccelsi fati e nove
felicità, quali il ciel tutto ignora,
non pur quest’orbe, promettendo in terra
a popoli che un’onda
di mar commosso, un fiato
d’aura maligna, un sotterraneo crollo
distrugge sì, che avanza
a gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
che a sollevar s’ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato, e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato in sorte,
e il basso stato e frale;
quella che grande e forte
mostra se nel soffrir, nè gli odii e l’ire
fraterne, ancor più gravi
d’ogni altro danno, accresce
alle miserie sue, l’uomo incolpando
del suo dolor, ma dà la colpa a quella
che veramente è rea, che de’ mortali
madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
congiunta esser pensando,
siccome è il vero, ed ordinata in pria
l’umana compagnia,
tutti fra se confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune. Ed alle offese
dell’uomo armar la destra, e laccio porre
al vicino ed inciampo,
stolto crede così, qual fora in campo
cinto d’oste contraria, in sul più vivo
incalzar degli assalti,
gl’inimici obbliando, acerbe gare
imprender con gli amici,
e sparger fuga e fulminar col brando
infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
quando fien, come fur, palesi al volgo,
e quell’orror che primo
contra l’empia natura
strinse i mortali in social catena,
fia ricondotto in parte
da verace saper, l’onesto e il retto
conversar cittadino,
e giustizia e pietade, altra radice
avranno allor che non superbe fole,
ove fondata probità del volgo
così star suole in piede
quale star può quel ch’ha in error la sede.

Sovente in queste rive,
che, desolate, a bruno
veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
seggo la notte; e sulla mesta landa
in purissimo azzurro
veggo dall’alto fiammeggiar le stelle,
cui di lontan fa specchio
il mare, e tutto di scintille in giro
per lo vòto Seren brillar il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
ch’a lor sembrano un punto,
e sono immense, in guisa
che un punto a petto a lor son terra e mare
veracemente; a cui
l’uomo non pur, ma questo
globo ove l’uomo è nulla,
sconosciuto è del tutto; e quando miro
quegli ancor più senz’alcun fin remoti
nodi quasi di stelle,
ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo
e non la terra sol, ma tutte in uno,
del numero infinite e della mole,
con l’aureo sole insiem, le nostre stelle
o sono ignote, o così paion come
essi alla terra, un punto
di luce nebulosa; al pensier mio
che sembri allora, o prole
dell’uomo? E rimembrando
il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
il suol ch’io premo; e poi dall’altra parte,
che te signora e fine
credi tu data al Tutto, e quante volte
favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
per tua cagion, dell’universe cose
scender gli autori, e conversar sovente
co’ tuoi piacevolmente, e che i derisi
sogni rinnovellando, ai saggi insulta
fin la presente età, che in conoscenza
ed in civil costume
sembra tutte avanzar; qual moto allora,
mortal prole infelice, o qual pensiero
verso te finalmente il cor m’assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.

Come d’arbor cadendo un picciol pomo,
cui là nel tardo autunno
maturità senz’altra forza atterra,
d’un popol di formiche i dolci alberghi,
cavati in molle gleba
con gran lavoro, e l’opre
e le ricchezze che adunate a prova
con lungo affaticar l’assidua gente
avea provvidamente al tempo estivo,
schiaccia, diserta e copre
in un punto; così d’alto piombando,
dall’utero tonante
scagliata al ciel, profondo
di ceneri e di pomici e di sassi
notte e ruina, infusa
di bollenti ruscelli,
o pel montano fianco
furiosa tra l’erba
di liquefatti massi
e di metalli e d’infocata arena
scendendo immensa piena,
le cittadi che il mar là su l’estremo
lido aspergea, confuse
e infranse e ricoperse
in pochi istanti: onde su quelle or pasce
la capra, e città nove
sorgon dall’altra banda, a cui sgabello
son le sepolte, e le prostrate mura
l’arduo monte al suo piè quasi calpesta.
Non ha natura al seme
dell’uom più stima o cura
che alla formica: e se più rara in quello
che nell’altra è la strage,
non avvien ciò d’altronde
fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde.

Ben mille ed ottocento
anni varcàr poi che spariro, oppressi
dall’ignea forza, i popolati seggi,
e il villanello intento
ai vigneti, che a stento in questi campi
nutre la morta zolla e incenerita,
ancor leva lo sguardo
sospettoso alla vetta
fatal, che nulla mai fatta più mite
ancor siede tremenda, ancor minaccia
a lui strage ed ai figli ed agli averi
lor poverelli. E spesso
il meschino in sul tetto
dell’ostel villereccio, alla vagante
aura giacendo tutta notte insonne,
e balzando più volte, esplora il corso
del temuto bollor, che si riversa
dall’inesausto grembo
sull’arenoso dorso, a cui riluce
di Capri la marina
e di Napoli il porto e Mergellina.
E se appressar lo vede, o se nel cupo
del domestico pozzo ode mai l’acqua
fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
desta la moglie in fretta, e via, con quanto
di lor cose rapir posson, fuggendo,
vede lontano l’usato
suo nido, e il picciol campo,
che gli fu dalla fame unico schermo,
preda al flutto rovente
che crepitando giunge, e inesorato
durabilmente sovra quei si spiega.
Torna al celeste raggio
dopo l’antica obblivion l’estinta
Pompei, come sepolto
scheletro, cui di terra
avarizia o pietà rende all’aperto;
e dal deserto foro
diritto infra le file
dei mozzi colonnati il peregrino
lunge contempla il bipartito giogo
e la cresta fumante,
ch’alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell’orror della secreta notte
per li vacui teatri, per li templi
deformi e per le rotte
case, ove i parti il pipistrello asconde,
come sinistra face
che per voti palagi atra s’aggiri,
corre il baglior della funerea lava,
che di lontan per l’ombre
rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Così, dell’uomo ignara e dell’etadi
ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno
dopo gli avi i nepoti,
sta natura ognor verde, anzi procede
per sì lungo cammino,
che sembra star. Caggiono i regni intanto,
passan genti e linguaggi: ella nol vede:
e l’uom d’eternità s’arroga il vanto.

E tu, lenta ginestra,
che di selve odorate
queste campagne dispogliate adorni,
anche tu presto alla crudel possanza
soccomberai del sotterraneo foco,
che ritornando al loco
già noto, stenderà l’avaro lembo
su tue molli foreste. E piegherai
sotto il fascio mortal non renitente
il tuo capo innocente:
ma non piegato insino allora indarno
codardamente supplicando innanzi
al futuro oppressor; ma non eretto
con forsennato orgoglio inver le stelle,
nè sul deserto, dove
e la sede e i natali
non per voler ma per fortuna avesti;
ma più saggia, ma tanto
meno inferma dell’uom, quanto le frali
tue stirpi non credesti
o dal fato o da te fatte immortali.

Emanuele Severino commenta LA GINESTRA DI LEOPARDI:


Emanuele Severino, Le ‘Opere di Genio’: Leopardi

intervista di Renato Parascandolo rilasciata a Napoli Nella sede Vivarium il 4 giugno 1993

Professor Severino, in che modo è stata considerata e si considera oggi, dal punto di vista filosofico, l’opera di Leopardi?

Che Leopardi fosse un genio e che la sua opera avesse una rilevanza filosofica, apparì subito chiaro a Nietzsche, a Schopenhauer, a Wagner, e, per quanto riguarda la cultura italiana, a De Sanctis. Nonostante che negli ultimi tempi il pensiero filosofico di Leopardi sia andato incontro ad una consistente rivalutazione, rimaniamo tuttavia ancora ben lontani dal comprendere la sua eccezionale potenza e radicalità. Personalmente, sostengo che si tratti del maggior pensatore della filosofia contemporanea. Leopardi ha infatti posto anticipatamente le basi di quella distruzione della tradizione occidentale che sarà poi continuata e sviluppata – ma non resa più radicale – dai grandi pensatori del nostro tempo, da Nietzsche, da Wittgenstein e da Heidegger.

Purtroppo, si deve riconoscere – pur non volendo ora sottovalutare i meriti di questa attività culturale – che la critica letteraria ha contribuito a mettere in ombra l’importanza filosofica di Leopardi. Il critico letterario si è mosso nelle pagine di Leopardi senza rendersi conto che il loro autore è in un grande colloquio con il pensiero greco, ovvero con la grande tradizione filosofica dell’Occidente.

Ma non vi sono stati studiosi che hanno considerato anche questo aspetto del genio di Leopardi ?

Certo, proprio in Italia, il pensiero di Leopardi è stato oggetto dell’attenzione di De Sanctis, che lo riconduceva a Schopenhauer, e, in ambito marxista, di Luporini, che invece scorgeva in lui un precursore di Marx. Credo, però, che queste letture, nonostante il loro indubbio merito, abbiano offuscato più che messo in rilievo, il peso filosofico di Leopardi, e che vada rovesciata l’impostazione loro sottesa. Se, infatti, si studia l’interpretazione di Luporini, ci si accorge facilmente che, nella sua prospettiva, Leopardi, pur avendolo potentemente anticipato, rimane comunque un semplice antesignano di Marx. Questa rapporto va invertito: se Marx o Nietzsche possono dire qualcosa, ciò accade perché essi si pongono sulla strada che solo Leopardi ha aperto loro.

Si potrebbe obiettare che, nella cultura contemporanea, la fortuna di Leopardi non è minimamente equiparabile a quella di Nietzsche, perché questi è stato percepito nella sua importanza storica mentre quello è stato, per così dire, un “emarginato”. Si osservi, però, che Nietzsche conosceva Leopardi. Si potrebbe dire che Leopardi, anche se emarginato, ha fatto sentire la propria voce in tutto il pensiero contemporaneo attraverso Nietzsche. Questi parlava di Leopardi come del maggior prosatore del secolo non rendendosi conto di occultarne, così affermando, l’importanza filosofica. Ciò nonostante, attraverso Nietzsche, Leopardi ha parlato al nostro tempo, nel senso che ha contribuito a stabilire le condizioni fondamentali perché noi operassimo quel rifiuto radicale della tradizione filosofica, che è oggi il terreno normale su cui ci manteniamo in ambito scientifico-filosofico.

Professor Severino, che cosa unisce Leopardi a Nietzsche e, più in generale, al pensiero occidentale?

Avendo Nietzsche ereditato il centro del pensiero di Leopardi, si può dire che questi anticipa la sostanza del discorso nietzschiano. Come noto, il motivo fondamentale dell’opera di Nietzsche è costituito dall’idea secondo cui la poesia è menzogna, ma è anche l’illusione senza la quale la vita è impossibile. Si tratta, in realtà, di un tema essenziale del pensiero di Leopardi. Mentre Platone era convinto che “i poeti mentono molto”, e ciò costituiva, per lui, motivo per scacciarli dalla città, Leopardi, pur nutrendo la stessa convinzione platonica, è anche persuaso che non ci può essere vita senza poesia. Essendo la poesia l’erede della festa arcaica, cioè del momento in cui l’uomo respira al di sopra dell’oppressione del dolore della vita, Leopardi, pur riconoscendo che “i poeti mentono molto”, sa che non può esservi vita senza l’illusione della poesia. E’, questo, il momento della festa in cui l’uomo si raccoglie, raggiungendo, così, uno stato paradisiaco. E’ dall’anima della festa, dalla danza, dal canto primordiale, che nasce la poesia. La festa è dunque pensata, in questa prospettiva, come rimedio originario, da cui, successivamente, prendono origine la filosofia, la scienza e la tecnica. Per Leopardi, alla fine dell’età della tecnica, la poesia ha ancora un’ultima parola da dire prima dell’annientamento definitivo dell’uomo.

Leopardi è stato il primo nella cultura occidentale a mostrare che la verità, come visione autentica delle cose, mette in luce il loro uscire dal nulla e il loro ritornare nel nulla. Si tratta, a ben vedere, dei grandi temi dell’ontologia greco-moderna. Se l’uomo appartiene al movimento dell’uscire dal nulla e del ritornare nel nulla, allora la contemplazione di questo movimento – come dice Leopardi in uno dei suoi Pensieri – “è verissima pazzia”. “Pazzia”, perché chi guarda la nullità, propria di sé e delle cose, non può che essere isterilito in ogni volontà di sopravvivere. La “pazzia”, inoltre, è “verissima” perché mostra come stanno effettivamente le cose.

Professor Severino, nella Sua interpretazione di Leopardi, acquistano particolare rilievo quelle che, nei Pensieri, vengono chiamate le “opere di genio”. Può chiarire il significato di questa espressione collocandola nel quadro complessivo del pensiero leopardiano?

L’espressione “opere di genio”, sulla quale ho tentato di richiamare l’attenzione, si trova in quell’opera che io, seguendo Carducci, preferisco chiamare Pensieri e che, invece, è normalmente intitolata lo Zibaldone.
Per giungere a chiarire l’espressione “opere di genio”, sarà meglio tener presente anche un celeberrimo e grande – forse il più grande – canto di Leopardi, “La ginestra”. Ricordo innanzitutto che questa poesia è stata scritta nei primi anni della stesura dei Pensieri. Avverto, però, che non è mia intenzione ricavare a forza, a partire dalla prosa filosofica di Leopardi, il significato del canto. Mi propongo soltanto di mostrare che quanto “La ginestra” dice a suo modo è anticipato nella prosa filosofica di Leopardi e, più precisamente, in quel giro di frase dei Pensieri che contiene l’espressione “opere di genio”. A mio avviso, questo passo, insieme ad altri paralleli, è la chiave per comprendere l’importanza che ha il “genio” quale rimedio al dolore.

Leggiamo il testo 259/61 dei Pensieri, scritto nell’ottobre del 1820:
“Hanno questo di proprio le opere di genio, cioè le opere del genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l’inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia, ad un animo grande che si trovi anche in uno stato di estremo abbattimento, servono sempre di consolazione”.

L’opera è del genio perché essa – come il poeta canta nel “La ginestra” – pur mostrando il carattere devastante del fuoco, consola con la forza con cui vede questa devastazione. La forza della visione, non lasciandosi risucchiare dalla devastazione, è capace di consolazione. Essa è quindi come il profumo del fiore del deserto di cui parla il canto, che si solleva al di sopra della nullità prodotta dal fuoco devastante.
Il cielo verso cui porta il profumo non è un cielo abitato da divinità alle quali ci si possa rivolgere con una supplica. Il canto chiude, infatti, dicendo che la ginestra non supplica, ma è un profumo che consola il deserto. Analogamente, l’opera del genio consola l’animo grande che avverte la nullità e si trova “in uno stato di estremo abbattimento” e disinganno. Tra il testo dei Pensieri e “La ginestra” c’è addirittura identità di termini: così come il fiore del deserto “consola” anche l’opera del genio è “di consolazione”.

Infine, Professor Severino, vorrei chiederle cosa, per Lei, ha ancora da dire l’opera leopardiana alla cultura occidentale?

Se vuole rimanere coerente con se stessa, la cultura dell’Occidente non può che consentire con quanto dice Leopardi. Leopardi non è una stravaganza all’interno della nostra cultura. Egli è pessimista come lo sono i Padri della Chiesa, Hegel, Aristotele, ma lo è in modo più radicale di loro. Alla radice della cultura occidentale sta ormai la persuasione che le cose reali con cui abbiamo a che fare sono effimere. Possiamo anche tentare di accaparrarne e trattenerne presso di noi il maggior numero possibile, ma rimane comunque incontestato il fatto che non ci sono più i grandi dèi immutabili che costituiscono il senso stabile del mondo.
Il messaggio che la nostra cultura trasmette all’uomo contemporaneo, è che tutto è nulla, nel senso che tutto esce dal nulla e va nel nulla. Mi chiedo, allora, se coloro che assumono atteggiamenti psicologicamente devianti, i pazzi, i depressi, coloro che non diciamo normali, non siano, in realtà, lungimiranti. Lungimiranti perché, con il loro comportamento, traggono la conseguenza inevitabile che si deve trarre dalla visione della nullità delle cose. A ben vedere, infatti, l’incitamento a vivere per quel tanto che ci è concesso, a organizzarci il più possibile, a resistere, a darci da fare, a costruire mondi, ad attraversare le galassie, è operato sulla base di una verità di fondo per la quale tutte le cose sono nulle. Questa verità non si esprime solo attraverso la consapevolezza che non ci sono più dèi eterni, ma anche nella tesi della cosmologia astronomica secondo cui all’origine c’è un nulla iniziale e tutte le cose sono soggette ad un processo entropico di distruzione. Il messaggio inviatoci dalla nostra cultura produce ciò che Leopardi chiama la “verissima pazzia”. Tutto il resto è soltanto un tentativo di mascherare l’orrenda verità delle cose con alternative provvisoriamente devianti che non riescono a togliere dall’orizzonte dell’uomo la minaccia radicale della nullificazione che investe ormai tutto.
Leopardi è un grande maestro del nichilismo. Prendere in considerazione Leopardi è importante nella misura in cui è necessario vedere se esiste un’alternativa alla storia dell’Occidente. Se l’Occidente incomincia così come è incominciato, la filosofia dell’Occidente è quella di Leopardi. Ma la domanda decisiva, anche e soprattutto nei riguardi di questo errore puro in cui consiste Leopardi, è se non sia da mettere in questione la fede nel divenire, da cui muove l’intera civiltà occidentale e di cui Leopardi è il seguace più rigoroso.
Sulla base della fede costitutiva dell’Occidente – la fede nel divenire – è inevitabile la caduta di tutti i rimedi. L’esigenza stessa di un rimedio, sia esso rappresentato dalla filosofia, dalla religione, dalla tecnica, dalla poesia o dalla festa arcaica, è possibile solo a partire dalla fede nel divenire. Dobbiamo allora chiederci: si deve continuare a considerare la fede nel divenire come qualche cosa che sta assolutamente fuori discussione, fuori dell’ambito su cui si esercita il nostro spirito critico, oppure, essendo tale fede responsabile dell’intera storia dell’Occidente, occorre che ci si interroghi su di essa e sulla sua consistenza?

da http://www.emsf.rai.it/articoli/articoli.asp?d=36


Emanuele Severino

Giacomo Leopardi. “La ginestra”

da “Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche. L’universo della conoscenza”, intervista del giugno 1993
(trascrizione integrale della video-lezione).

tratta dal sito del professor Casanova: http://nonquidsedquomodo.altervista.org/italiano/programma-di-5/512-severino-la-ginestra-di-leopardi

Tutti avevano capito che Leopardi era un genio: lo sapeva molto bene Nietzsche, lo sapeva Schopenhauer, lo sapeva anche Wagner; e certamente, per quanto riguarda la cultura italiana, De Sanctis se n’era ampiamente accorto, e si era accorto anche dell’importanza filosofica di Leopardi. E la rivalutazione alla quale è andato incontro il pensiero filosofico di Leopardi negli ultimi tempi è consistente. Però siamo ancora lontani dal comprendere la potenza eccezionale di questo pensatore, tanto radicale da poter far sostenere legittimamente la tesi, che da parte mia da tempo sostengo, che si tratta del maggiore pensatore della filosofia contemporanea. Cioè di colui che in modo anticipato e radicale pone le basi della distruzione della tradizione occidentale, quella distruzione che poi sarà sviluppata, ma non resa più radicale, dai grandi pensatori del nostro tempo: da Nietzsche, a Wittgenstein, a Heidegger.

  1. La nullità di tutte le cose

Potremmo dire molto sinteticamente che, se Eschilo è il primo a pensare che il rimedio contro il dolore è la verità, cioè la conoscenza vera delle cose, non il mito, Leopardi è il primo a rilevare che la conoscenza della verità non può essere il rimedio del dolore, ma è la causa del dolore, perché ormai con Leopardi viene in prima luce che la verità è la nullità di tutte le cose.

Purtroppo il lavoro dei critici letterari è quanto mai meritorio, ma un poco è successo questo: che il critico letterario si è mosso nelle pagine di Leopardi senza rendersi conto che Leopardi è in un grande colloquio con i tratti essenziali del pensiero filosofico; e quindi il critico letterario, pur con i meriti che indubbiamente si devono ascrivere a questo tipo di attività culturale, ha contribuito a tenere nascosto questo grande colloquio che Leopardi ha col pensiero greco, con la grande tradizione filosofica dell’occidente. Può non essere inutile ricordare che Leopardi mostra di muoversi nel Sofista di Platone, uno dei testi più difficili del pensiero filosofico; conosce naturalmente i testi di Aristotele; sviluppa una delle critiche più radicali, pressoché ignota, del principio di non-contraddizione; sviluppa delle considerazioni, esse stesse pressoché ignote, formidabili, sul senso della matematica.

Leopardi – dicevo – per primo nella cultura occidentale mostra che la verità come visione autentica delle cose mette in luce il loro uscire dal nulla e il loro ritornare nel nulla: questi sono i grandi temi dell’ontologia greco-moderna. Se l’uomo è appartenente a questo movimento dell’uscire dal nulla e del ritornare nel nulla, allora la contemplazione di questo movimento – dice Leopardi in uno dei suoi Pensieri – è «verissima pazzia»: pazzia, perché chi guarda la propria nullità e la nullità di tutte le cose non può che essere isterilito in ogni volontà di sopravvivere, di continuare a vivere; ma è pazzia verissima, perché questa pazzia mostra come stanno effettivamente le cose.

  1. La ginestra o il fiore del deserto

Attraverso una poesia che è quanto mai nota di Leopardi, un grande canto, forse il più grande canto, che è La ginestra, mi propongo di far vedere che quanto il canto dice a suo modo (e La ginestra è scritto poco tempo prima della morte: sono gli ultimi tempi della vita di Leopardi), nei primi anni della stesura dello Zibaldone (mi riferisco al 1820) e quanto il canto fa e dice era anticipato nella prosa filosofica di Leopardi, precisamente in quella prosa che contiene l’espressione «opere di genio», e che è la chiave, a mio avviso, insieme ai passi paralleli, per comprendere l’importanza che ha il genio relativamente al rimedio contro il dolore.

Tutti sanno che il canto incomincia con l’avverbio «qui»: quando dico a qualcuno che è qui, vuol dire vicino a me, mi è vicino: il canto intende dire che la vicinanza è identità tra ciò che è qui e il cantore. Che cosa è qui? lo sappiamo tutti: il canto si rivolge al fiore del deserto, all’«odorata ginestra» (vv. 1-3),

Qui su l’arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,

«formidabil» vuol dire ciò che produce formido, terrore, e produce terrore perché sterminatore. E poco dopo il canto usa le parole decisive per dire che questa metafora della distruzione, che costituisce il luogo in cui noi viviamo, è la metafora di ciò che annulla: il canto dice «con lieve moto in un momento annulla» (v. 45);  e poi «con moti | Poco men lievi ancor subitamente | Annichilare in tutto» (vv. 46-48). Annichilare in tutto l’uomo: abbiamo qui le parole decisive dell’ontologia occidentale.

«Qui su l’arida schiena» non è semplicemente un’immagine poetica, ma qui nel luogo della distruzione, è in riferimento alla situazione dell’uomo: l’uomo di fronte alla fonte della distruzione, che incomincia ad essere il vulcano, l’elemento igneo del vulcano; elemento igneo che poi nel prosieguo del canto si estende fino a diventare il fuoco del cielo, e su questo fuoco del cielo vorrei poi richiamare l’attenzione.

Ma intanto: se è la ginestra che è «qui su l’arida schiena | del formidabil monte», e il testo dice una schiena «la qual null’altro allegra arbor né fiore» (v. 4), poco dopo il canto dice che è il cantore stesso a essere «qui sull’arida schiena | del formidabil monte», perché intorno al v. 160 il canto dice:

Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,           160
Seggo la notte; …

Il cantore siede là dove si trova la ginestra, siede nel luogo della ginestra, è la ginestra. Sarebbe interessante mostrare come c’è una fitta rete di riscontri in cui il canto si rivolge al cantore, e dunque il canto parla di se stesso. Si dice continuamente che quella di Hölderlin è una poesia che canta la poesia: certamente il discorso vale per Hölderlin, ma vale supremamente per questo canto, che dunque è un canto in cui il cantore si rivolge a se stesso.

È notevole come compaiano dei termini apparentemente difficili da interpretare: sempre nei primi versi del canto: «l’arida schiena | … la qual null’altro allegra arbor né fiore» (v. 4): il canto parla qui dell’assenza di ogni elemento rallegrante, là dove l’unico elemento rallegrante è il fiore del deserto, cioè il canto, cioè la poesia, se sta ferma la vicinanza-identità che abbiamo cominciato a indicare analizzando il senso della parola «qui».

Il fiore del deserto «allegra»; e poco dopo si dice che «l’odorata ginestra» è «contenta dei deserti» (vv. 6-7). Il deserto è il luogo abbandonato, il luogo della nullificazione: vuol forse dire Leopardi qualche cosa di simile a ciò che afferma Nietzsche, quando nel Crepuscolo degli idoli afferma che il super-uomo è il “sì alla vita”? Qui Leopardi non lo dice, ma non lo dice proprio perché, parlando mezzo secolo prima di Nietzsche, si pone dopo il pensiero nietzschiano e mostra l’inconsistenza su questo punto della metafisica idealistica in base alla quale Nietzsche può dire “sì alla vita”. In Nietzsche si dice “sì alla vita” (lo dice in Quel che devo agli antichi) “per essere noi stessi il piacere dell’annientamento”: ora questa frase è comprensibile, cioè che si provi piacere per l’annientamento, solo in quanto l’individuo, l’uomo si è spostato sul piano del divenire eterno, si sente identico al divenire eterno, e può guardare con piacere l’annientamento delle cose. Ma questa è appunto una metafisica super-idealistica, che Leopardi ante litteram ha tolto di mezzo: l’uomo non può identificarsi allo stesso divenire eterno, non può diventare il super-uomo che, essendo eterno come il divenire, si rallegra dell’annientamento delle cose. E quindi, quando il testo dellaGinestra dice che il fiore del deserto è «contenta dei deserti», questa affermazione vuol dire innanzitutto qualcosa di completamente diverso da quello che poi sentiamo dire a Nietzsche, ma positivamente accenna appunto al tema dal quale siamo partiti: accenna all’opera del genio.

Sono altre le espressioni apparentemente sconcertanti, perché lo scenario è terrificante, si è di fronte al nulla e alla fonte del nulla, e ci sono queste parole: «allegra», «contenta dei deserti»; e poi poco dopo si dice che essa è «di tristi | Lochi e dal mondo abbandonati amante | E d’afflitte fortune ognor compagna» (vv. 14-16); e potremmo proseguire in quei tre/quattro versi formidabili, dove sempre della ginestra si dice:

Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo            35
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola.

C’è il profumo, c’è la consolazione, c’è la commiserazione dei danni altrui.

Ecco: come prima dicevamo che e il fiore del deserto e il poeta, poiché sono lo stesso, sono entrambi di fronte al pericolo dell’annientamento, così anche qui questo amore della ginestra per i «lochi dal mondo abbandonati», questa consolazione della ginestra e questo profumo che essa emana, corrispondono all’atteggiamento che è proprio, come poi dice il canto, della nobile natura che è la nobile natura del cantore, il quale è preso da vero amore per i propri simili.

Se ci sono degli equivoci da abbandonare leggendo la Ginestra, sono proprio gli equivoci della lettura progressista di Leopardi: per un uomo, per un filosofo che sa che tutto è illusione, che non esiste alcuna verità definitiva, pensare che a questo livello di radicalità egli si lasci prendere dal mito del vero amore per i propri simili, o si vuole attribuire un’incoerenza eccessivamente vistosa a Leopardi, oppure non se n’è colto il senso.

Bisogna prepararsi a intendere il vero amore, non come fondato sull’etica, ma come fondato sulla poesia. Se si capisce questo, si comprende anche il senso dell’opera di genio: siamo ancora qualche passo indietro rispetto alla chiarificazione dell’espressione «opera di genio».

Ma vorrei richiamare l’attenzione su quel notturno che è nella Ginestra, che a chi vedeva in Leopardi il sommo lirico, ha fatto pensare che si fosse davanti a uno dei grandi squarci di poesia lirica nel discorso di Leopardi. È una lirica ambigua: se dovessimo usare delle metafore musicali, direi che questo notturno è multi-tonale (la multi-tonalità in musica vuol dire la presenza di ritmi sonori diversi, di consistenze sonore diverse, e quindi la multi-tonalità è essenzialmente ambigua). Dov’è l’ambiguità di questo, che ho chiamato il grande notturno della Ginestra? Leggendolo mi propongo di far vedere quell’amplificazione dell’elemento igneo, cioè quel distendersi del fuoco annientante, quell’oltrepassare il «bipartito giogo» del Vesuvio, e il collocarsi nella totalità del cielo, come sì luce, ma luce che è costituita da quello stesso fuoco che è la radice dell’annientamento di tutte le cose.

Certo che si può essere presi dalla potenza di quello che stiamo chiamando notturno, ma di che cosa parla questa potenza? parla della nullificazione. E d’altra parte, la nullificazione come è vista? è vista con potenza: questa visione potente della nullificazione è ciò che Leopardi chiama «opera del genio». La visione potente della nullità delle cose, la potenza con cui si vede la vanità di tutte le cose.

  1. Le opere di genio

Dice il canto:

Sovente in queste rive,
Che, desolate, a bruno
Veste il flutto indurato, e par che ondeggi,             160
Seggo la notte; e su la mesta landa
In purissimo azzurro
Veggo dall’alto fiammeggiar le stelle,
Cui di lontan fa specchio
Il mare, e tutto di scintille in giro                           165
Per lo vòto seren brillare il mondo.

Ecco: fiammeggiare, scintille, brillare, sono i termini che qualificano il fuoco. Poi prosegue ancora il canto:

E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
Ch’a lor sembrano un punto,
E sono immense, in guisa
Che un punto a petto a lor son terra e mare           170
Veracemente; a cui
L’uomo non pur, ma questo
Globo ove l’uomo è nulla,
Sconosciuto è del tutto; e quando miro
Quegli ancor più senz’alcun fin remoti                   175
Nodi quasi di stelle,
Ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo
E non la terra sol, ma tutte in uno,
Del numero infinite e della mole,
Con l’aureo sole insiem, le nostre stelle                 180
O sono ignote, o così paion come
Essi alla terra, un punto
Di luce nebulosa; al pensier mio …

Questo è il notturno.

Dunque è una notte riempita di luce, cioè riempita di fuoco. L’ambivalenza o la multi-tonalità di cui parlavo, è appunto – se posso ripetere – data dalla circostanza che da un lato l’animo del lettore di fronte alla potenza della descrizione della notte, se vogliamo usare un’espressione un po’ enfatica, si ingrandisce, si potenzia, si innalza; ma dall’altro lato questo innalzamento dell’ascolto, questo potenziamento dell’ascolto, è il potenziamento di un ascolto che ascolta la voce del fuoco, il potenziamento di una visione che vede la luce annientante del fuoco.

Forse abbiamo gli elementi per prendere in mano quel testo dove è contenuta l’espressione «opere del genio». È un testo del 4 ottobre 1820, che anticipa ciò che il canto fa o deve fare quando è canto autentico. Il genio – dice Leopardi – è unità di filosofia e di poesia, non più il semplice poeta che non vede il vero, perché dice la Ginestra che la nobile natura del genio non detrae nulla al vero («nulla al ver detraendo», v. 115), non è semplice filosoficità, e non è nemmeno semplice poesia; è unità di poesia e di filosofia; questo è il genio.

Tra l’altro Leopardi, che ogni parola che usava la usava consapevolmente, e cioè estremamente attento alla storia e alla potenza del linguaggio, quando pronuncia la parola genio ha in mente, sente la parola gigno: genero, produco, sono forte, cioè esplico quel tipo di forza che l’occidente oggi sente come civiltà della tecnica, come tecnica; il genio è diverso dal tecnico, ma ha la stessa natura del tecnico: è il portatore della potenza.

Ma dunque, in relazione all’ambivalenza, alla multi-tonalità del notturno, sentiamo dunque questo testo dello Zibaldone (pp. 259-261):

Hanno questo di proprio le opere di genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l’inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ad un’anima grande che si trovi anche in uno stato di estremo abbattimento, disinganno, nullità, noia e scoraggiamento della vita, o nelle più acerbe e mortifere disgrazie (sia che appartengano alle alte e forti passioni, sia a qualunque altra cosa); servono sempre di consolazione,

L’opera del genio è del genio in quanto, pur mostrando il carattere devastante del fuoco, consola con la forza con cui essa vede questa devastazione; la forza della visione si solleva al di sopra della devastazione, e questo sollevarsi, che non si lascia risucchiare dalla devastazione, ma in qualche modo dà forza e consolazione, è come un profumo che nel deserto si solleva al di sopra della nullità prodotta dal fuoco devastante. È appunto il profumo del fiore del deserto, che consola – come dice il canto – e che si porta verso il cielo, non nel senso che ci sia un cielo abitato da dèi verso i quali ci si possa rivolgere con una supplica (il canto conclude infatti dicendo che la ginestra non supplica), ma è un profumo che consola il deserto, così come appunto l’opera del genio serve sempre di consolazione. C’è un’identità anche di termini: il fiore del deserto consola; l’opera del genio è di consolazione.

E aggiunge il testo:

raccendono l’entusiasmo, e non trattando né rappresentando altro che la morte,

perché la morte è la verità delle cose, e se il genio vede la verità, non può che parlare della morte e della nullità delle cose,

le rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta. […]

L’animo grande, guardando la nullità delle cose, perde la vita e appunto sprofonda verso quella «verissima pazzia» della noia, che è appunto verità, ma che insieme è disfacimento della mente, perché se la verità è il nulla, la vita è insopportabile. Il canto evita questo sprofondare nel niente, nel senso che la potenza della visione del niente rende almeno momentaneamente quella vita che aveva perduta.

Il testo ha ancora alcune espressioni che vale la pena di sentire, perché chiariscono questo concetto della potenza salvifica della forza con cui la visione del genio, la visione della nobile natura, coglie la nullità delle cose: la potenza della visione del nulla, una potenza che, in quanto tale, non si lascia risucchiare dal nulla, ma è positività, è essere, è un galleggiare provvisoriamente ancora per poco sul nulla. Dice il testo:

E lo stesso conoscere l’irreparabile vanità e falsità di ogni bello e di ogni grande è una certa bellezza e grandezza che riempie l’anima, quando questa conoscenza si trova nelle opere di genio.

Lo stare davanti al vulcano, non vedendo altro che la potenza devastante del vulcano; questo stare davanti al vulcano è lo stare del fiore-cantore: allora è profumo, è consolazione.

E lo stesso spettacolo della nullità, è una cosa in queste opere, che par che ingrandisca l’anima del lettore, la innalzi, e la soddisfaccia di se stessa e della propria disperazione. […] Ma se questo sentimento è vivo, come nel caso ch’io dico, la sua vivacità prevale nell’animo del lettore alla nullità della cosa che fa sentire,

Il lettore qui è colui che contempla l’opera del genio: può essere il genio che guarda se stesso. La vivacità del sentimento del nulla prevale sullo spettacolo che questo sentimento ha dinanzi:

e l’anima riceve vita (se non altro passeggiera) dalla stessa forza con cui sente la morte perpetua delle cose, e sua propria.

Direi che basterebbe questa pagina per fare di un pensatore un grande pensatore, anche perché un risvolto di questo tipo di considerazioni è quello che potremmo chiamare il rovesciamento dell’argomento contro lo scettico: lo scettico dice “non esiste verità”; si obietta allo scettico “dunque quello che tu dici: che non esiste verità, è la verità”. Dunque la negazione della verità è accompagnata dalla verità.

Leopardi mostra come la verità, quando è grandemente, autenticamente espressa, è inevitabilmente accompagnata dalla non-verità, e la non-verità è appunto la forza del canto, perché se tutto è illusione, se ogni positività è illusione, nel senso che si illude di permanere salva al di fuori del nulla, laddove è destinata a sprofondarsi daccapo nel nulla, se la verità è questa, e se lo sprofondare nel nulla è la verità, e allora se ogni positività è un’illusione, è illusione allora anche la forza del canto con cui il canto vede la nullità.

E quindi, se l’argomento contro lo scettico dice che la negazione della verità è necessariamente accompagnata dalla verità, cioè si presenta inevitabilmente come verità, Leopardi mostra come la verità sia necessariamente accompagnata dall’illusione. Cioè nel canto del genio la visione vera è espressa con quella forza, con quella positività, che d’altra parte, come tutte le positività, è illusione e non-verità; e d’altra parte è quella non verità da cui il genio non può separarsi, e la visione della verità non può separarsi.

Nella Ginestra, il monte sterminatore ha ai suoi piedi le città distrutte: Pompei è chiamata «scheletro», viene alla luce lo scheletro di Pompei. Quindi la situazione del fiore del deserto non è semplicemente quella dell’attualità in cui l’uomo si trova di fronte alla minaccia radicale del nulla, ma guarda al futuro, perché tutte le città, le grandi epoche, giacciono distrutte ai piedi del vulcano. È vero che il canto fa un accenno alle nuove città che si sono costituite, ma è un accenno in un contesto in cui si parla della natura «ognor verde», che vede passare le epoche, e quindi vedrà passare anche queste città attuali che sopravvivono alla grande distruzione. La metafora cioè si riferisce a un futuro in cui le possibilità della tecnica si sono già sviluppate, e hanno mostrato il loro fallimento.

Allora il fiore del deserto è la situazione in cui, dopo il fallimento del paradiso della tecnica, c’è questo, Leopardi lo chiama «quasi ultimo rifugio», che è il rifugio della poesia. Ma non è un rimedio stabile: consente all’uomo di cantare ancora per un poco, di stare ancora per un poco nella festa. La poesia si ricollega al senso originario della festa.

Ora tutto questo vale la pena di dirlo perché, se l’occidente, se la nostra cultura vuole essere coerente a se stessa, non può che dire quello che dice Leopardi; Leopardi non è una stravaganza all’interno della nostra cultura: Leopardi è pessimista tanto quanto lo sono i Padri della chiesa, Hegel, Aristotele. È pessimista come loro, ma più radicalmente di loro, perché alla base di tutta la nostra cultura sta questa persuasione: ormai le cose reali con cui noi abbiamo a che fare sono effimere; possiamo sì tentare di accaparrarle il più possibile, di trattenerle il più possibile presso di noi; per esempio maggiore, non ci sono più i grandi dèi che stanno eterni e che costituiscono il senso stabile del mondo, così come in Eschilo viene potentemente alla luce: tutti gli dèi della tradizione sono perenni.

Allora il messaggio che trasmette la nostra cultura all’uomo contemporaneo è che tutto è nulla, nel senso che tutto esce dal nulla e tutto va nel nulla. Da questo punto di vista, quando noi consideriamo quegli atteggiamenti su cui ama intrattenersi la psicopatologia, gli atteggiamenti psicologicamente devianti: i pazzi, i depressi, coloro che noi non diciamo normali, costoro sono devianti, o non dobbiamo dire piuttosto che sono lungimiranti? Lungimiranti perché traggono col loro comportamento la conseguenza inevitabile che si deve trarre dalla visione della nullità delle cose.

È chiaro che ci può essere l’incitamento a vivere, a vivere per quel tanto che ci è concesso, a organizzarci il più possibile, a resistere, a darci da fare, a costruir mondi, a attraversare le galassie. Ma questo incitamento è operato su una base in cui la verità di fondo è la nullità di tutte le cose: non ci sono più dèi eterni, quindi nelle cose reali – lo dice anche la cosmologia astronomica – c’è un nulla iniziale, poi c’è un processo entropico di distruzione delle cose.

Il messaggio che ci dà la nostra cultura è quello che produce ciò che Leopardi chiama la «verissima pazzia»; tutto il resto è il tentativo di mascherare la verità orrenda delle cose con veli, con alternative provvisoriamente devianti, che non riescono a togliere dall’orizzonte dell’uomo la minaccia radicale della nullificazione che ormai investe tutto.

 

Emanuele Severino – Il destino della tecnica

Emanuele Severino – Il destino della tecnica.

Giacomo Leopardi, ALLA LUNA, recitata da Carmelo Bene

O graziosa luna, io mi rammento
Che, or volge l’anno, sovra questo colle
Io venia pien d’angoscia a rimirarti:
E tu pendevi allor su quella selva
Siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
Il tuo volto apparia, che travagliosa
Era mia vita: ed è, né cangia stile,
0 mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Del mio dolore. Oh come grato occorre
Nel tempo giovanil, quando ancor lungo
La speme e breve ha la memoria il corso,
Il rimembrar delle passate cose,
Ancor che triste, e che l’affanno duri!

Emanuele Severino parla di EDUCARE AL PENSIERO, a cura di Sara Bignotti, Editrice La Scuola, 2012, intervista di Maria Giovanna Farina

Maria Giovanna Farina scrive su http://www.laccentodisocrate.it/

Qui la scheda del libro edito dalla editrice La Scuola e curato da Sara Bignotti: http://www.lascuola.it/index.php?i_tree_id=26&plugin=news&i_category_id=5&i_news_id=363

 

Emanuele Severino, Verità e natura umana, Festival della filosofia 2011, Video e Audio

Emanuele Severino, SUL SACRO. Audio in occasione del Premio Alessandro Manzoni, Lecco (provincia di Como), 26 ottobre 2012

Emanuele Severino sul SACRO: 

  • per ascoltare l’Audio clicca su: 

Emanuele Severino, SUL SACRO, Lecco 26 ottobre 2012

Qui, in formato dbf, la bella

DISPENSA della giornalista/filosofa  Vera Fisogni  

connessa all’articolo “Severino e Manzoni: dialogo a distanza alLa ricerca del  Sacro”, pubblicato sulla Provincia di Como e di Lecco del 26 ottobre 2012, pagg 42-43

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Questo ricordo è associato al  mio Diario dell’intero pomeriggio:

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Premio Alessandro Manzoni a Emanuele Severino e Boris Pahor, in un piovoso pomeriggio a Lecco il 26 ottobre 2012

Leggendo le velate critiche della stampa locale (in particolare resegoneonline, probabilmente influenzato dalle gerarchie cattoliche ) cresce il mio apprezzamento per la intellettualmente coraggiosa giuria che ha assegnato il premio per la carriera ad Emanuele Severino.

Inoltre la giornata, che ho vissuto personalmente, è stata particolarmente toccante per il racconto della esperienza biografica e storica di Boris Pahor, che ha parlato delle persecuzione subita dagli sloveni e su cui solo da poco tempo  si sta sollevando il telo della colpevole dimenticanza.

Ho registrato i vari interventi dell’indimenticabile pomeriggio

1 la motivazione per il premio a Emanuele Severino: MotivazioniPremioSeverino

2. Emanuele Severino sul SACRO: SeverinoSacro26ott12

3. Lettura di Boris Pahor da Figlio di nessuno, Rizzoli 2012PahorLettura1

4. Motivazioni per i premio a Boris Pahor: motivazioniupremiopahor

5. Seconda lettura di Boris Pahor: PahorLettura2

6. Intervento di Boris Pahor: PahorIntervento1

7. Cristina Battocletti, che ha raccolto la testimonoianza di Pahor: BattoclettiPahor

8. Paolo racconta l’emozionante pomeriggio a Lecco: Paolo26Ottobre12

Qui la bella Dispensa della giornalista/filosofa Vera Fisogni (da la Provincia di Como e Lecco del 26 ottobre) ad Emanuele Severino

Ottavo premio al Romanzo Storico a Boris Pahor e premio alla Carriera a Emanuele Severino. Due grandi personalità che nel pomeriggio di venerdì presso la Casa dell’Economia di via Tonale hanno ricevuto i due riconoscimenti, entrambi parte del Premio Internazionale Alessandro Manzoni – Città di Lecco.

Articoli della stampa locale:

Manzoni, il Sacro, l’eternità Le riflessioni del filosofo EMANUELE SEVERINO raccolte da Vera Fisogni, in La Provincia di Como e di Lecco, in occasione del Premio Internazionale Alessandro Manzoni di Lecco (26 ottobre 2012) (Testo registrato e trascritto a Brescia, l’11 ottobre 2012)

vai a: Manzoni, il Sacro, l’eternità Le riflessioni del filosofo EMANUELE SEVERINO, nella trascrizione del dialogo con La Provincia, in occasione del Premio Internazionale Alessandro Manzoni di Lecco (26 ottobre 2012) (Testo registrato e trascritto a Brescia, l’11 ottobre 2012)

EMANUELE SEVERINO, SCIENZA E TECNICA TRA VOLONTÀ DI POTENZA E ASCOLTO DEL. ‘SOTTOSUOLO, Science & Democracy, 2012

Armando Torno su: EDUCARE AL PENSIERO di Emanuele Severino, a cura di Sara Bignotti, editrice La Scuola

libro-intervista a Emanuele Severino dal titolo Educare al pensiero (pagine 162, 9). Curato da Sara Bignotti, responsabile editoriale della Morcelliana, il volume è diviso in tre parti e affronta i temi della pedagogia e dell’ educazione tradizionali, ma trasformati radicalmente alla luce delle categorie filosofiche care a Severino. Il pensatore, dopo una perplessità lunga un anno, ha accettato l’ invito. Ci ha confidato in proposito: «Dal punto di vista glottologico la parola “educare” (da cui “educazione”) è molto lontana dalla parola “pedagogia”. Tuttavia “educare” proviene dal latino e-ducere, “trar fuori, condurre fuori”; e anche in tedesco la parola Er-ziehung (“educazione”) alla lettera significa “trar fuori”. Da che cosa? Da uno stato di carenza, di povertà, di pochezza, insomma di mancanza. Ora, la parola “pedagogia” è costruita sulla parola greca páis (“fanciullo”). Ma páis è, dal punto di vista linguistico, strettamente imparentato alla voce paus, sulla quale si costruiscono parole come pauros (“povero”), pausis (“pausa”), a cui il latino risponde con parole come paucus (poco), pauper (povero). Ma questa povertà e pochezza è, appunto, quella condizione iniziale da cui l’ e-ducere, a cui facevo riferimento prima, trae fuori». Tutta questa riflessione linguistica a cosa mira? Severino risponde: «La forma fondamentale dell’ e-ducere, nella civiltà occidentale, è il “trar fuori da sé” il mondo, da parte di Dio. Dio fa uscire il mondo dalla sua originaria nullità (nella formula teologica: ex nihilo sui, cioè “dal nulla del mondo”). Tutta l’ azione educativa e pedagogica dell’ Occidente ripropone nel rapporto tra docente e discente questa fondamentale impostazione metafisico-teologica e concepisce l’ educare come un trar fuori l’ umano dalla povertà e pochezza dell’ iniziale condizione quasi animale in cui si trova l’ educando (il pais)». A questo punto – il lettore se ne sarà accorto – siamo al centro della filosofia di Severino, laddove si avverte che lo sforzo educativo riflette l’ azione creatrice di Dio. Ma questo implica la nota conclusione di Severino, per la quale l’ estrema «Follia» è credere che una qualsiasi cosa, anche la più irrilevante, provenga dal nulla e vi ritorni. Il filosofo aggiunge, illustrando l’ itinerario percorso nel libro: «Appunto per questo l’ intervista Educare al pensiero è, come abbiamo prima rilevato, la trasformazione radicale del senso che è stato sempre dato alla pedagogia e all’ educazione. Il “pensiero” al quale si tratta di educare, infatti, è proprio la negazione del valore dell’ educazione in quanto Follia dell’ e-ducere le cose e l’ umanità dal niente e da quel niente che è la povertà della condizione iniziale dell’ essere umano». A questo punto chiediamo a Severino come si concilia tutto questo con il titolo della seconda parte dell’ intervista Educare alla tecnica. Il compimento del nichilismo. La sua risposta non si fa attendere: «Aspettavo questa domanda, del tutto pertinente. La tecnica è diventata, sul Pianeta, la forma suprema dell’ e-ducere le cose dal nulla (produzione, trasformazione, invenzione, manipolazione) con le corrispettive forme di distruzione. Analogamente Dio, alla fine dei tempi, dopo averlo fatto essere, annienta il creato. Non è possibile per ora saltar fuori dalla dominazione della tecnica (che ha sì sostituito quella di Dio, ma nemmeno essa ha l’ ultima parola). All’ interno di questo dominio l’ educazione non può essere che il condurre l’ uomo a favorire la crescente potenza della tecnica. È vero, è l’ educare all’ Errore estremo, alla Follia estrema, al nichilismo, ma è necessario che l’ errore e la Follia e il nichilismo si facciano innanzi in tutta la loro concretezza proprio per essere oltrepassati dal non-errore, dalla non-Follia e dal non-nichilismo, ossia da ciò che chiamo “Destino della verità”. Senza l’ apparire dell’ errore e degli erranti, la verità è impossibile. Tra l’ altro questa educazione all’ errore è la Grande Politica, che le politiche mondiali di destra e di sinistra non sono ancora capaci di realizzare». Severino, dopo Educare al pensiero per La Scuola, pubblicherà in autunno presso Rizzoli un saggio sul futuro del capitalismo e, alla fine dell’ anno, da Adelphi, una nuova indagine sul senso del nulla.

da   Severino, educare alla verità.

Emanuele Severino, “il RICORDARE è importante … “

Occorre cliccare sul triangolo bianco per vedere e sentire

In questo frammento Emanuele Severino parla della sua autobiografia IL MIO RICORDO DEGLI ETERNI, Rizzoli, 2011

… “soltanto se qualcosa è eterno può essere ricordato” …


Qui una mia presentazione del libro Il mio ricordo degli eterni:

CONVERSARE SULLA CENTRALITA’ DELLA FILOSOFIA PER IL NOSTRO TEMPO ATTRAVERSO LA VOCE DI EMANUELE SEVERINO. Incontro con Paolo Ferrario, Como, 15 maggio 2012, ore 21. Audio ascoltati e Grafici:

CONVERSARE SULLA CENTRALITA’ DELLA FILOSOFIA PER IL NOSTRO TEMPO ATTRAVERSO LA VOCE DI EMANUELE SEVERINO. Incontro con Paolo Ferrario, Como, 15 maggio 2012, ore 21. Audio ascoltati e Grafici

Nicola Gardini apre lo sguardo sui CANTI di Giacomo Leopardi, in Per una biblioteca indispensabile, cinquantadue classici della letteratura italiana, Einaudi, 2011, audio lettura

Nicola Gardini apre lo sguardo sui CANTI di Giacomo Leopardi, in Per una biblioteca indispensabile, cinquantadue classici della letteratura italiana, Einaudi, 2011:

IL FUTURO DELLA FILOSOFIA: Severino, Reale, De Monticelli, Cacciari, Fusaro – YouTube

IL FUTURO DELLA FILOSOFIA: Severino, Reale, De Monticelli, Cacciari, Fusaro – YouTube.

Emanuele Severino è il vincitore del Premio alla Carriera 2012 designato all’unanimità dalla Giuria dell’ottava edizione del Premio Letterario Internazionale Alessandro Manzoni – Città di Lecco

Emanuele Severino è il vincitore del Premio alla Carriera 2012 designato all’unanimità dalla Giuria dell’ottava edizione del Premio Letterario Internazionale Alessandro Manzoni – Città di Lecco. L’annuncio è stato dato questa mattina nella storica dimora del giovane Alessandro Manzoni, oggi sede del Museo Manzoniano. Il Premio sarà consegnato venerdì 26 ottobre, alle 17, nell’Auditorium della Casa dell’Economia di Lecco.

In occasione della premiazione, aperta al pubblico, Emanuele Severino terrà una Lectio dal titolo “Del Sacro”, uno dei temi fondamentali della sua opera

“Il Premio alla Carriera intitolato ad Alessandro Manzoni-Città di Lecco, è conferito quest’anno al professor Emanuele Severino, il grande filosofo che con il suo pensiero ha illuminato questi nostri anni di straordinario sviluppo tecnologico e di sempre maggiore stupore di fronte al mistero della vita umana, al suo manifestarsi e occultarsi. ‘ Se mi è stato tolto molto, è perché ho avuto molto’ ha scritto Severino nell’autobiografia pubblicata di recente da Rizzoli. Ed è, questa, la coerente confessione di un intellettuale che al cospetto della Chiesa Cattolica può essere definito uno studioso ‘diversamente cristiano’. E comunque un maestro”.

da    CULTURA: ASSEGNATO PREMIO ALLA CARRIERA AL PROFESSOR EMANUELE SEVERINO – AgenParl – Agenzia Parlamentare per l’informazione politica ed economica.

Le cose perse e salvate di Emanuele Severino. | da Ritiri Filosofici

Magistrale, di nome e di fatto, come sempre.

La lezione di Emanuele Severino, nella Piazza Grande di Modena, non ha deluso le nostre attese. Una delegazione  corposa di RF ha attraversato l’Italia per assistervi, sabato scorso, all’interno del Festivalfilosofia, quest’anno dedicato al tema delle cose. Il filosofo bresciano, autentico punto di riferimento per gran parte di noi, ha confessato di aver lavorato intorno a questo concetto, a volte anche ossessivamente, per lunghissimi anni, di fatto regalandoci in poco più di un’ora il distillato di quel sedimentato sapere.

Seguendo il suo ormai proverbiale metodo filo-genealogico Severino ha pazientemente ripercorso il legame primordiale che, in Occidente, associa il significato di cosa, nelle sue varianti greco-antiche di pragma come in quelle tardo e neolatine di res e di was, allostrappamento dal Sacro originario che questa idea-parola, da sempre, ha rappresentato.

vai a tutto lo splendido articolo di presentazione e ricordo della straordinaria lezione di emanuele severimo qui:Le cose perse e salvate di Emanuele Severino. | Ritiri Filosofici

Emanuele Severino e Paolo Prodi, La secolarizzazione italiana, Perugia, 24/11/2005

XI edizione di Umbrialibri “Pensieri sull’Italia” anno 2005.
La secolarizzazione italiana, Perugia, 24/11/2005, dibattito tra Emanuele Severino e Paolo Prodi.
Moderatore: Roberto Gatti.
Fonte audio: Radio Radicale.

Emanuele Severino: «Il senso originario della cosa è la resistenza che si oppone alla volontà insita nell’uomo di trasformare il mondo per ottenere qualcosa: la cosa è una resistenza che va progressivamente cedendo», al Festival della filosofia di Modena, 2012

 

di Laura Solieri

Secondo il pensiero del professore Emanuele Severino, che ieri a Modena ha tenuto la lezione magistrale “Cose prime” in una piazza Grande gremita, la crisi economica attuale la si può comprendere in due modi: restando all’interno della dimensione capitalistica dell’economia mondiale o capendo che è necessario il tramonto di questa dimensione, non separando il capitalismo dalle altre grandi forze della tradizione occidentale (comunismo, cristianesimo, democrazia, varie forme di umanesimo, politica) che oggi stanno tramontando. «Seguendo questa destinazione ci imbattiamo nel senso della “cosa” che ha un carattere architettonico e archetipico nel senso che ci sono dei significati che dominano tutti gli altri e noi agiamo in relazione a un certo modo in cui il mondo ci sta dinnanzi come significante – ha spiegato il professore – I significati guidano gruppi di azioni e la prima conseguenza di ciò è che il significato “cosa” con cui indichiamo tutti gli eventi che ci circondano, è in grado di guidare uno sterminato gruppo di azioni». Severino ha ricordato come molte parole indoeuropee definiscono la “cosa” in diversi modi che alludono al significato di “sostanza”, che a sua volta richiama quelle situazioni in cui le comunità arcaiche si riunivano per decidere la distribuzione degli averi. La discussione che da ciò si generava era il frutto di una conflittualità indicata dall’uso tranquillo della parola “cosa” intesa come sostanza di cui impossessarsi. «Il senso originario della cosa – ha detto Severino – è la resistenza che si oppone alla volontà insita nell’uomo di trasformare il mondo per ottenere qualcosa: la cosa è una resistenza che va progressivamente cedendo». Il processo che porta a questo progressivo cedere ha degli aspetti che l’uomo conosce bene: l’uccidere, il mangiare, l’accoppiamento; tutti atti tramite i quali ci impadroniamo di altro da noi stessi: uccidiamo per impadronirci dell’ucciso, l’unione sessuale è un’uccisione della separazione originaria degli amanti. «Questi fenomeni alludono al fatto che il senso della “cosa” vista in relazione alla volontà significa diventare altro, trasformarsi e questo implica lo strapparsi qualcosa di sé – ha chiarito Severino – dallo smembramento di sé si produce il diventar altro e non è affatto indolore questo venire a coincidere con l’altro, fenomeno che l’uomo non sperimenta mai, perché è qualcosa che non è empiricamente verificabile. Questa visione suggerisce quindi un nuovo significato di “cosa”, da intendere come non errore, non violenza, andando a meritare il nome di gioia».

tratto da Severino «La cosa si oppone a noi facendo resistenza» – Cronaca – Gazzetta di Modena.

Emanuele Severino, LA PAROLA “COSA” (poi intitolato: le”Cose” e la tecnica), Festival Filosofia 2012, Modena 15 settembre – lezioni magistrali

lezioni magistrali

Le “cose” e la tecnica

Piazza Grande

da  Festival Filosofia – lezioni magistrali

 

Registrazioni Audio della lezione e delle domande/risposte:

 

La Lezione è riportata anche in questo video Youtube:

 

«La parola cosa ha un carattere architettonico ed archetipico: ci sono dei significati che dominano tutti gli altri. Noi agiamo in relazione ad un certo modo in cui il mondo ci sta dinanzi come significante – e, in particolare, nel modo in cui ci sta dinanzi quella cosa lì che è l’ombrellone con il quale ci difendiamo dal sole. Certi movimenti che potremmo fare per difenderci dal sole sono determinati dal significato “ombrellone”
Il significato guida, cioè, un insieme di azioni. L’antica saggezza diceva “nulla è voluto che non sia precedentemente conosciuto”. Mi rapporto a questo tavolo solo in quanto sta dinanzi come tavolo ed in relazione ad esso faccio delle operazioni che non farei rispetto alla bottiglietta d’acqua, che sta qui, alla mia sinistra.

I significati guidano gruppi di azioni.
Una prima conseguenza non banale è che il significato “cosa”, che noi diciamo di tutti gli eventi che ci stanno attorno ai quali possiamo riferirci, è in grado di guidare uno sterminato gruppo di azioni – appunto perché qualsiasi evento a cui un popolo si riferisce è una “cosa”, e dunque a seconda del modo in cui si concepisce l’esser cosa agiamo conseguentemente.
Le parole che indicano ciò noi indichiamo con la parola “cosa” nei linguaggi mondiali sono svariatissime. […] Molte le parole che indicano la cosa; diverse, con diversità anche rilevanti, ma con un fondo comune: mi riferisco innanzitutto alle parole indoeuropee. L’indoeuropeo è la lingua che accomuna il sanscrito, l’indiano moderno, il greco antico, il tedesco, l’inglese, lo slavo… Però, se fermiamo l’attenzione sulle parole greche, abbiamo il vantaggio di esplorare qualcosa di quel territorio, che poi è diventato in qualche modo la matrice dell’intera non dico semplicemente cultura, ma dell’intera civiltà occidentale.

Il greco, per indicare la cosa, dice “pragma”, dice “crema”, dice anche “on”. Pragma è la cosa concepita come il fatto, ciò che è fatto. Ma insieme indica la ricchezza, la sostanza. Anche la parola Crema, in greco, indica la sostanza. È curioso che anche il latino, che per dire cosa dice “res”, si rifaccia a quel “raia” del sanscrito che significa, appunto, ricchezza. E c’è un uso della parola “on” che indica, daccapo, la ricchezza – anche se l’uso prevalente nel greco antico della parola “on” è diverso: Omero parla degli oi ontes, ed oi ontes vuol dire “i viventi”. Oi uk ontes vuol dire “i non viventi”. E però già qui dobbiamo non accostarci alle antiche parole sulla base del senso che ha per noi la realtà: per le popolazioni arcaiche, e anche per questo greco antichissimo, i viventi non soltanto quelli che noi chiamiamo “i viventi”: i viventi sono anche i minerali. I minerali, nel seno della terra, crescono e maturano così come crescono i vegetali sulla superficie della terra. Quando i greci dicono oi ontes, indicano anche l’intero mondo minerale. E viventi sono persino i morti: l’abbondanza di depositi di ossa umane dell’uomo arcaico attesta questa convinzione – che, come i vegetali sono nutriti dalla terra e fioriscono, così ciò che rimane del cadavere, le ossa, è una sorta di pianta che attende di rigermogliare con la carne che si riforma attorno alle ossa del cosiddetto “morto”.
Lo scopo di questi cenni linguistici […] è rilevare che le parole che indicano le cose alludono alle sostanza, alla roba; il fatto che la parola cosa, indicando le sostanze, gli averi, indicano la situazione dove le comunità arcaiche si riunivano per discutere la distribuzione degli averi (assemblee degli antichi popoli germanici, i tribunali latini). Si discute su come le sostanze debbano essere distribuite tra i partecipanti. Ma discussione significa conflittualità, tensione. Ebbene: questa conflittualità, indicata dall’uso tranquillo della parola “cosa”, che si istituisce rispetto al senso di fondo per cui la “cosa” è “le sostanze”, questo significato allude a qualcosa di ben più originario e fondamentale. […]
Il senso pacifico, tranquillo della cosa, come tensione per la distribuzione delle sostanze, si riferisce ad un conflitto ben più originario e radicale (ad un polemos, la guerra originaria e radicale).

Abbiamo a disposizione una moltitudine di miti che raccontano questo: che il mondo nasce in seguito a uno smembramento del Dio. C’è mondo perché c’è un dio smembrato. Questo è prezioso per cercare di saggiare il senso originario dell’esser cosa. C’è un dio smembrato. ([Atea, miti del Pacifico], Osiride, Dioniso, Krono, il Cristo). […] Possiamo riflettere su ciò che significa la parola “Volontà”. Tutto quanto detto fino ad ora allude ad una volontà di impossessarsi dei beni: solo perché c’è questa volontà c’è tensione e conflittualità. Noi, come individui, iniziamo a vivere quando iniziamo a spingere indietro, a far recedere il muro che inizialmente ci si presenta da quando riusciamo a percepire qualcosa: dobbiamo riuscire a succhiare il latte materno; dobbiamo riuscire a sfondare la barriera che separa il neonato dal seno materno. Se andiamo alla dimensione filogenetica (quello che capita ai popoli): la volontà riesce a vivere solo se trasforma il mondo. Se il mondo è una parete che schiaccia la volontà fino a non lasciarle spazio, l’uomo non può né volere qualcosa, né respirare, né vivere: è necessario un agio, uno spazio, perché la volontà riesca ad ottenere.

La volontà vive solo in quanto ottiene; ma ottiene solo in quanto non ottiene immediatamente ciò che vuole. Nemmeno noi, quando incominciamo a volere, otteniamo tutto ciò che vogliamo: vogliamo “un po’ alla volta”. Il senso originario della cosa è la resistenza che ciò che ho chiamato barriera oppone alla volontà. La cosa è il resistente. Anche il tedesco dice Wiederstand (che riesce a stare). C’è cosa solo in quanto c’è resistenza. Ma è una resistenza che la volontà deve infrangere o spezzare, è una resistenza che va progressivamente cedendo, una resistenza progressivamente vinta. La resistenza originaria, nella misura in cui si presenta come inflessibile, risponde a quella designazione di quel personaggio, Rudolf Otto, per il quale il sacro è innanzitutto il “Tremendum”: e, in effetti, la barriera contro cui la volontà sbatte la testa è il “tremendum” – che però è visto innanzitutto come l’assoluta potenza, e la parola “sacro”, come la parola “dio”, allude innanzitutto all’assoluta potenza con la quale la volontà dell’uomo deve fare i conti. Ma, proprio perché l’uomo riesce a vivere e la volontà riesce a respirare; proprio perché l’uomo riesce a vivere solo in quanto infrange la barriera; è proprio per questo, in ciò che innanzitutto si presenta come inflessibile, c’è il segreto della vita: il materiale della vita è ottenuto dalla frantumazione della barriera. Il materiale della vita, in relazione alla barriera frantumantesi, è dunque “Fascinans”. È da questo immutabile e inflessibile che si ottengono le parti del mondo che riescono a fare vivere l’uomo. Insistendo ancora sul concetto di volontà: dovrebbe diventare chiaro che noi riusciamo a volere solo se stiamo dinanzi a parti frantumate e spezzate del mondo: perché posso afferrare la bottiglietta d’acqua, perché posso decidere questo? Solo se la ritengo staccata, non necessariamente legata al resto. Decido di agire solo se ciò verso cui rivolgo il mio agire lo considero come isolato, staccato, membro di uno smembramento, rispetto al solido globale – che inizialmente mi si presentava quando ancora non pensavo di servirmi del mondo.
Questo ci ha portato a dire che dunque la cosa è la resistenza che progressivamente cede, e la resistenza è il sacro che, cedendo, lascia essere il mondo e che quindi è “fascinans”. Terribile e affascinante».

 

(trascrizione della prima mezz’ora a cura di Simone Picenni, che ringrazio)

Intervista a Carl Gustav Jung, Face to Face, da KOLONISTUGA (Simona Rinaldi)

Face to Face

L’uomo non può sopportare una vita priva
di senso.
 
 
 
 



« Quel che viene dopo la morte è qualcosa di uno splendore talmente indicibile, che la nostra immaginazione e la nostra sensibilità non potrebbero concepire nemmeno approssimativamente…Prima o poi, i morti diventeranno un tutt’uno con noi; ma , nella realtà attuale, sappiamo poco o nulla di quel modo d’essere. Cosa sapremo di questa terra, dopo la morte? La dissoluzione della nostra forma temporanea nell’eternità non comporta una perdita di significato: piuttosto, ci sentiremo tutti membri di un unico corpo » (C.G.Jung)

da KOLONISTUGA (Simona Rinaldi): Intervista a Carl Gustav Jung, Face to Face.

Emanuele Severino sul significato di verità, da PODCAST HALL

Emanuele Severino affascina l’uditorio con una speculazione glottologica e si interroga sul significato di verità

http://podcasthall.forumcommunity.net/?t=31368600

Emanuele Severino, L’UOMO NELL’ETA’ DELLA TECNICA, lezioni alla Università Bocconi, 2010

il mio sogno estivo: una conversazioni tra amici lungo i corridoi di un giardino che si affaccia sul lago. Audio Lettura da: Pietro Citati, L’ARTE DELLA CONVERSAZIONE, in L’ARMONIA DEL MONDO, RCS libri, 1998

Questo è il mio sogno estivo: una conversazione tra amici lungo i corridoi di un giardino che si affaccia sul lago.

Ne ho tratto ispirazione da alcune pagine del saggio L’ARTE DELLA CONVERSAZIONE, scritto da Pietro Citati in: L’ARMONIA DEL MONDO, RCS libri, 1998, pagg. 44-46, 50

Emanuele Severino, intervento al convegno “I nemici della conoscenza: i saperi di fronte al relativismo”, tenutosi a Modena il 24 ottobre 2008, nella ricorrenza del ventesimo anniversario dalla fondazione dell’Istituto Filosofico Studi Tomistici

Emanuele Severino: LA NASCITA DELLA FILOSOFIA – YouTube

La Nascita della Filosofia – Severino Emanuele

di cULTURAL cHANNEL

 Riproduci tutto

La Nascita della Filosofia – Severino Emanuele – YouTube.

Studi su EMANUELE SEVERINO

Emanuele Severino, Lezioni Audio/Video, raccolte da Luca Moretto

Severino, Educare alla verità. Esce per l’editrice La Scuola di Brescia un’intervista al filosofo a cura di Sara Bignotti, articolo di Armando Torno, Corriere della sera, 18.07.2012

Severino, educare alla verità

Ripensiamo il destino dell’uomo per opporci al nichilismo

Esce per l’editrice La Scuola di Brescia un’intervista al filosofo a cura di Sara Bignotti

di Armando Torno (Corriere della sera, 18.07.2012)

Esce oggi presso La Scuola Editrice di Brescia un libro-intervista a Emanuele Severino dal titolo Educare al pensiero (pagine 162, e 9). Curato da Sara Bignotti, responsabile editoriale della Morcelliana, il volume è diviso in tre parti e affronta i temi della pedagogia e dell’educazione tradizionali, ma trasformati radicalmente alla luce delle categorie filosofiche care a Severino.

Il pensatore, dopo una perplessità lunga un anno, ha accettato l’invito. Ci ha confidato in proposito: «Dal punto di vista glottologico la parola “educare” (da cui “educazione”) è molto lontana dalla parola “pedagogia”. Tuttavia “educare” proviene dal latino e-ducere, “trar fuori, condurre fuori”; e anche in tedesco la parola Er-ziehung (“educazione”) alla lettera significa “trar fuori”. Da che cosa? Da uno stato di carenza, di povertà, di pochezza, insomma di mancanza. Ora, la parola “pedagogia” è costruita sulla parola greca páis (“fanciullo”). Ma páis è, dal punto di vista linguistico, strettamente imparentato alla voce paus, sulla quale si costruiscono parole come pauros (“povero”), pausis (“pausa”), a cui il latino risponde con parole come paucus (poco), pauper (povero). Ma questa povertà e pochezza è, appunto, quella condizione iniziale da cui l’e-ducere, a cui facevo riferimento prima, trae fuori».

Tutta questa riflessione linguistica a cosa mira? Severino risponde: «La forma fondamentale dell’e-ducere, nella civiltà occidentale, è il “trar fuori da sé” il mondo, da parte di Dio. Dio fa uscire il mondo dalla sua originaria nullità (nella formula teologica: ex nihilo sui, cioè “dal nulla del mondo”). Tutta l’azione educativa e pedagogica dell’Occidente ripropone nel rapporto tra docente e discente questa fondamentale impostazione metafisico-teologica e concepisce l’educare come un trar fuori l’umano dalla povertà e pochezza dell’iniziale condizione quasi animale in cui si trova l’educando (il pais)». A questo punto – il lettore se ne sarà accorto – siamo al centro della filosofia di Severino, laddove si avverte che lo sforzo educativo riflette l’azione creatrice di Dio.

Ma questo implica la nota conclusione di Severino, per la quale l’estrema «Follia» è credere che una qualsiasi cosa, anche la più irrilevante, provenga dal nulla e vi ritorni. Il filosofo aggiunge, illustrando l’itinerario percorso nel libro: «Appunto per questo l’intervista Educare al pensiero è, come abbiamo prima rilevato, la trasformazione radicale del senso che è stato sempre dato alla pedagogia e all’educazione. Il “pensiero” al quale si tratta di educare, infatti, è proprio la negazione del valore dell’educazione in quanto Follia dell’e-ducere le cose e l’umanità dal niente e da quel niente che è la povertà della condizione iniziale dell’essere umano».

A questo punto chiediamo a Severino come si concilia tutto questo con il titolo della seconda parte dell’intervista Educare alla tecnica. Il compimento del nichilismo. La sua risposta non si fa attendere: «Aspettavo questa domanda, del tutto pertinente. La tecnica è diventata, sul Pianeta, la forma suprema dell’e-ducere le cose dal nulla (produzione, trasformazione, invenzione, manipolazione) con le corrispettive forme di distruzione. Analogamente Dio, alla fine dei tempi, dopo averlo fatto essere, annienta il creato. Non è possibile per ora saltar fuori dalla dominazione della tecnica (che ha sì sostituito quella di Dio, ma nemmeno essa ha l’ultima parola). All’interno di questo dominio l’educazione non può essere che il condurre l’uomo a favorire la crescente potenza della tecnica. È vero, è l’educare all’Errore estremo, alla Follia estrema, al nichilismo, ma è necessario che l’errore e la Follia e il nichilismo si facciano innanzi in tutta la loro concretezza proprio per essere oltrepassati dal non-errore, dalla non-Follia e dal non-nichilismo, ossia da ciò che chiamo “Destino della verità”. Senza l’apparire dell’errore e degli erranti, la verità è impossibile. Tra l’altro questa educazione all’errore è la Grande Politica, che le politiche mondiali di destra e di sinistra non sono ancora capaci di realizzare».

Severino, dopo Educare al pensiero per La Scuola, pubblicherà in autunno presso Rizzoli un saggio sul futuro del capitalismo e, alla fine dell’anno, da Adelphi, una nuova indagine sul senso del nulla. Ma questa, direbbe Kipling, è un’altra storia. Della quale vi racconteremo a suo tempo.

da L’IDENTITA’ (“TAUTOTES”) E IL DESTINO DELL’ITALIA, NELLE MANI DI UN “UOMO PRIVATO” (“IDIOTES”) E DEL SUO PARTITO (“FORZA ITALIA”)!!! Gloria e destino della Necessità?! Boh?! Bah?!.

Identità e destino forme in divenire, Le lezioni di Emanuele Severino, di di Armando Torno (Corriere della Sera, 09.02.2009)

Le lezioni di Emanuele Severino

Identità e destino forme in divenire

L’attenzione di Severino si concentra sul termine «tautótes» partendo da Aristotele

di Armando Torno (Corriere della Sera, 09.02.2009)

Ci sono parole che nel tempo hanno avuto il compito di ingentilire problemi irrisolti, questioni alle quali nessuno mai diede una risposta definitiva. Jean Haudry, professore di sanscrito a Lione, notò che il termine logos cela numerose contraddizioni dello spirito greco. E forse analoga situazione va cercata in un vocabolo carico di storia filosofica e di congetture matematiche: identità. Per i greci era tautótes.

Non è semplice narrarne l’odissea, giacché essa iniziò due millenni e mezzo or sono, allorché Parmenide ne propose il concetto per cercare la via che porta alla verità e Platone ruppe all’ombra dell’Acropoli il vaso incantato che la custodiva, rendendola operante attraverso la considerazione del genere che è presente nel molteplice.

Sarà Aristotele, nel V libro della Metafisica, a lasciare una definizione di questa parola che quattro secoli prima di Cristo era già carica di domande e si trascinava appresso questioni enormi: «È chiaro che l’identità è una unità d’essere o di una molteplicità di cose, oppure di una sola cosa, considerata, però, come una molteplicità: per esempio come quando si dice che una cosa è identica a se stessa, nel qual caso essa viene considerata appunto come due cose» (traduzione di Giovanni Reale, Bompiani).

Non è il caso di riferire i dettagli di un dibattito infinito, che continuerà con Leibniz, Hegel, Carnap, Quine o Friedrich Waismann, per citare alcuni protagonisti, diremo semplicemente che Emanuele Severino ha chiuso le sue lezioni veneziane nell’anno accademico 2000-2001 proprio affrontando le problematiche della tautótes, alla quale peraltro aveva dedicato un libro nel 1995, uscito nella «Biblioteca filosofica» Adelphi. E ora quei corsi a Ca’ Foscari – 64 lezioni in 32 incontri – vengono raccolti da Giorgio Brianese, Giulio Goggi e Ines Testoni con il titolo L’identità del destino (Rizzoli, pp. 404, e 22). Ma vediamo le cose con ordine.

Durante i mesi di quell’anno accademico, Severino aveva terminato e attendeva l’uscita di Gloria (Adelphi, 2001), opera che avrebbe segnato un passo avanti rispetto ai problemi aperti due decenni prima con Destino della necessità (Adelphi, 1980).

Ma sia nella presente raccolta di lezioni, L’identità del destino, che nella precedente, L’identità della follia (Rizzoli, 2007), l’attenzione di Severino si è concentrata sul termine tautótes, partendo proprio da Aristotele. Questi corsi analizzavano il modo in cui è stata intesa la stessa identità e le conseguenze dell’averla considerata come il risultato di un «divenire altro».

Le parole di Aristotele mostrano la presenza di un baratro: il sommo greco indica un abisso senza «sapere» di averlo davanti, «trattando l’uno come se fosse due». Il modo in cui è stata intesa l’identità ha investito l’Occidente in tutti i campi del sapere, tanto che dal suo abbraccio di cultura e prassi non sono stati esclusi – per utilizzare esempi dello stesso Severino – Leonardo, Einstein, Shakespeare, Bach o Gödel: in ogni momento si vuole che una certa cosa divenga altro da ciò che è.

Si apre, per dirla in parole più semplici, una questione che sta alle radici del pensiero stesso: quello che si vuol fare diventare altro è creduto un esser altro; ovvero la cosa che dovrebbe essere se stessa, viene all’opposto pensata e trattata come un altro da sé. È come se si strappasse da sé, squartandosi e identificandosi a ciò che essa non è. E codesto squartamento è l’omicidio di fondo che sta alla radice di quanto chiamiamo male e bene.

Sembrano concetti di una dimensione a noi lontana, ma Severino sottolinea che «non si tratta di un argomento tra gli argomenti, ma è ciò su cui si regge l’intera vicenda del mortale e quindi, al culmine di questa storia, dell’intero Occidente». Per codesti e per altri motivi L’identità del destino è un libro che consente, lezione dopo lezione, di comprendere perché l’uomo è convinto che la suprema evidenza siano le cose che diventano altro da sé. Ma proprio qui, per il filosofo Severino, c’è la follia estrema. E a pronunciarla non è l’individuo, un popolo o un dio ma il sapere incontrovertibile che egli chiama de-stino, ovvero l’assolutamente inamovibile e innegabile.

da L’IDENTITA’ (“TAUTOTES”) E IL DESTINO DELL’ITALIA, NELLE MANI DI UN “UOMO PRIVATO” (“IDIOTES”) E DEL SUO PARTITO (“FORZA ITALIA”)!!! Gloria e destino della Necessità?! Boh?! Bah?!.

Emanuele Severino su: ESSENTI e ESSERE, il tragitto del LINGUAGGIO, strati dell’ESSERE ETERNO, CERCHIO e cerchi dell’APPARIRE, MITO E FILOSOFIA, VOLONTA’ e FEDE, VERITA’ e ABITATORI DEL TEMPO, intervista a cura di Alessandro Aleotti

Libro intervista di Sara Bignotti a Emanuele Severino – Editrice La Scuola

Libro intervista di Sara Bignotti a Emanuele Severino – Editrice La Scuola.

(La Scuola, Brescia 2012, pp. 160, euro 9) 

In questo nuovo libro di Emanuele Severino, da domani in libreria, il filosofo della “necessità” si confronta con la “possibilità” di “educare al pensiero”. Non è un libro in più nel lungo elenco delle sue opere, ma un libro nel quale si possono cogliere aspetti inediti della riflessione di un pensatore che si interroga sui limiti e le possibilità del pensiero stesso. Il pensiero è qui ciò che ci trascende e al contempo ci avvolge: è perciò una sfida parlarne. Qui Severino lo fa rammentando la sua esperienza di discente e di insegnante e le sue più significative discussioni teoretiche. Ma allora come si pone l’esperienza vissuta dal filosofo rispetto alla necessità della verità (quale emerge dal suo discorso)? C’è condizionamento reciproco?

Severino, grande maestro di filosofia, che ha interloquito con i maggiori del pensiero contemporaneo italiano e internazionale, e che vanta più generazioni di allievi che diversamente hanno proseguito il suo discorso, prendendo sul serio la tradizione pedagogica, riesce qui a mostrare  i paradossi dell’educare. Educare significa letteralmente trarre fuori (la forma, l’humanitas) da qualcosa, quindi essenzialmente “ trasformare”. Ma l’intento di trasformare, oltre ad essere violento – perché vuol dire snaturare qualcosa –  occulta una volontà impossibile: vorrebbe dire che qualcosa che non è viene ad essere. Il filosofo mostra così la natura inconsapevolmente nichilista dell’educare, che aiuterebbe le cose nel loro assurdo oscillare fra il niente e l’essere, presupposto dall’intera tradizione occidentale.

Nel confronto con i classici, da Aristotele, Kant, gli analitici, e poi con la pedagogia di Giovanni Gentile – dal quale prende le distanze, riconoscendone però la grandezza – Severino delinea i tratti di un’esperienza educativa totalmente altra: quella che si dà nel rapporto con la verità – ed eternità – che noi stessi siamo.

Fra i temi toccati c’è anche lo Stato democratico come modello in cui la scuola è inserita e che riflette dunque i suoi stessi paradossi: si parla di laicità, pluralismo, secolarizzazione, teismo/ateismo…

Leggi l’articolo sul Corriere della Sera. 

Emanuele Severino, Educare al pensiero
Libro intervista di Sara Bignotti

 

su Pagina 3 di Rai Radio Tre, Vittorio Giacopini cita ANTOLOGIA DEL TEMPO CHE RESTA

su Pagina 3 di Rai Radio Tre Vittorio Giacopini cita ANTOLOGIA DEL TEMPO CHE RESTA

in riferimento a:

vai a: Estratto Audio della citazione di Antologia del tempo che resta

Grazie alla redazione

Paolo Ferrario, 19 luglio 2012

Pagina 3, in diretta tutte le mattine dalle 9.00 alle 9.30, è il programma radiofonico di approfondimento delle pagine culturali e dello spettacolo, che dà voce a scrittori, poeti e saggisti, fra le firme italiane più prestigiose, ma anche a giovani talenti.

Nel mese di luglio conduce Vittorio Giacopini

Emanuele Severino commenta il SECRETUM (Il mio Segreto) di Francesco Petrarca. Le letture sono di Alberto Donatelli, tratto da Radio 3 Suite, 2004, Audio di circa cinque ore

Francesco Petrarca , De secreto conflictu curarum mearum (Secretum)

QUI l’Audio in formato Mp3:  

Le letture sono a cura di Alberto Donatelli.

Il commento filosofico è di Emanuele Severino


Vai al Testo in latino, a cura di Liber Liber Progetto Manuzio, in formato Dbf


Cominciato nel 1347 e terminato nel 1354 il Secretum è due cose insieme

E’ il documento di una fase difficile della sua vita (rottura dei rapporti di dipendenza da coloro che gli garantivano la sopravvivenza economica, impatto con la peste del 1348, morte di Laura, decisione di abbandonare Valchiusa).

Ed è anche il risultato di una operazione intellettuale e letteraria tesa a scrivere, alle soglie della vecchiaia, la propria esperienza di uomo e scrittore

tratto dal frontespizio di

Francesco Petrarca, SECRETUM, a cura di Enrico Fenzi, Mursia editore, 1992

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Emanuele Severino e Massimo Cacciari interrogheranno la questione della COSA

Emanuele SeverinoMassimo Cacciari interrogheranno la questione della cosa alle sue estremità, occupandosi rispettivamente delle “cose prime” (in cui si manifesta il carattere immutabile dell’Essere) e delle “cose ultime” (dove emerge l’eccedenza di significato delle cose rispetto alle loro definizioni). 

al FestivalFilosofia di Modena, Carpi, Sassuolo.

Pomeriggio del 15 settembre 2012

Modena

15.00 – 18.00

Umberto Piersanti
Dal tempo perduto

Con omaggio in jazz di Giorgia Hannoush

Conduce: Carlo Alberto Sitta

Laboratorio di poesia – Via Fosse, 14

aggiungi al tuo programma

16.00 – 18.00

Dalle cose allo spunk

Laboratorio per bambini e adulti

Curatrice: Elena Bergonzini
Produzione: Museo della Figurina

Palazzo Santa Margherita – Museo della Figurina

aggiungi al tuo programma

17.30 – 18.30

La seconda vita della carta

Carta riciclata e carta marmorizzata
Laboratorio per ragazzi dai 7 anni

A cura di: Orto Botanico dell’Università di Modena e Reggio Emilia

Orto Botanico

aggiungi al tuo programma

Carpi

18.00

Biografie di oggetti

A cura di: Sara Gozzi
In collaborazione con: Teatro Comunale di Carpi

Palazzo dei Pio – Sala Cervi

aggiungi al tuo programma

19.00

Biografie di oggetti

A cura di: Sara Gozzi
In collaborazione con: Teatro Comunale di Carpi

Palazzo dei Pio, Sala Cervi

aggiungi al tuo programma

Sassuolo

15.30 – 19.00

Oggetti in transito

Laboratorio per bambini da tre mesi a 14 anni

A cura di: Servizi educativi per l’infanzia,Centro per le Famiglie e Centro di Educazione Ambientale San Cristoforo

Piazzale della Rosa

aggiungi al tuo programma

15.30 – 19.00

Social Silicon

Laboratorio di recupero schede dei pc

aggiungi al tuo programma

18.30

Antonio Panzuto
Il frigorifero lirico

Musiche di: Wagner, Bizet, Rossini

Spettacolo per bambini dai 6 ai 12 anni

Auditorium Pierangelo Bertoli

aggiungi al tuo programma

Emanuele Severino

Emanuele Severino già professore di Filosofia teoretica all’Università di Venezia, insegna Ontologia fondamentale presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Ha offerto un’interpretazione della filosofia che sottolinea lo scacco del pensiero metafisico da Platone a Nietzsche e Heidegger. Per superare le aporie nichilistiche della tradizione metafisica evidenti anche nel discorso moderno della tecnica, ha promosso un ritorno a una filosofia dell’Essere che escluda rigorosamente il non-essere e il divenire. Fra le sue opere recenti:Nascere e altri problemi della coscienza religiosa (Milano 2005); Fondamento della contraddizione (Milano 2005); La filosofia futura. Oltre il dominio del divenire (Milano 2006); La tendenza fondamentale del nostro tempo (Milano 2008); Immortalità e destino (Milano 2008); La buona fede. Sui fondamenti della morale (Milano 2008); L’identità del destino. Lezioni veneziane (Milano 2009); Il destino della tecnica(Milano 2009); Democrazia, tecnica, capitalismo (Brescia 2009).foto Baracchi, Campanini

Emanuele Severino: Mito e filosofia

da Severino Mito e filosofia – YouTube.

Emanuele Severino, La verità nel pensiero greco

Severino La verità nel pensiero greco – YouTube.

Emanuele Severino, Il Nulla, l’invenzione del Mito e la nascita della filosofia

EMANUELE SEVERINO, sul “Volere qualcosa” e il diventare Altro (a vuole b) – a cura di Diotima

Emanuele Severino, Il concetto di eterno – a cura di Diotima

da Emanuele Severino Il concetto di eterno – YouTube.

Intervista a Emanuele Severino, Res Gestae, video con discreta presentazione della persona e del pensiero

da Emanuele Severino, intervista, Res Gestae – YouTube.

Eternità, immutabilità, da Filosofare: la struttura concreta dell’infinito, di Marco Pellegrino

Eternità, immutabilità
L’eternità (immutabilità; I.S.¹) è l’essente stesso, che si illumina nella sua compiutezza concreta. Che qualcosa sia eterno non significa che esso non si muova, bensì vuol dire che tutto l’essente si muove in eterno, ossia contrapponendosi al nulla, cioè non emergendo e non rientrando nel nulla. (V. Infinito; Necessità. Cfr. parte prima, cap. 1°, par. 3; Appendice terza; parte seconda, cap. 1°, par. 3; S.C.d.I., Indicazioni preliminari…; cap. II, parr. 9-16; cap. VII, parr. 6, 8).

 

da Filosofare: la struttura concreta dell’infinito.

MONTAIGNE Michel de, “Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io …

“Faccio dire agli altri quello che non so dire bene io, sia per la debolezza del mio linguaggio, sia per la debolezza della mia intelligenza”

La morte e la terra. L’ultimo lavoro di Emanuele Severino | audio recensione di Paolo Calabrò, da Pagina Tre

 la morte è tutt’altro: è, sì, passaggio, ma a una condizione nuova, anch’essa essente come tutto ciò che è (e che non può non essere, citando Parmenide, né cessare d’essere di punto in bianco, come sottolinea Severino); similmente, la terra è proprio all’opposto di quel ventre che fa spazio alla salma dei defunti: è il luogo della vita dell’Essere, che con lui permane e in cui si compie la Gioia di quanto esiste. Con una precisazione: non è l’uomo a entrare nell’eternità, bensì l’eternità ad avvolgere l’uomo da sempre e per sempre. L’eternità non può essere acquisita o addirittura conquistata, ma solo svelata.

La filosofia dell’instancabile Severino, ultraottantenne pensatore dalle spalle robuste e dalla schiena sempre dritta, continua la sua marcia rinnovata e coerente in direzione dell’eternità

….

tutta l’audio recensione è qui :La morte e la terra. L’ultimo lavoro di Emanuele Severino | Pagina Tre.

Emanuele Severino, IL PROGRESSO E LA TECNICA, incontro con Paolo Corsini e Riccardo Terzi organizzato dalla Cgil SPI Nazionale e Cgil SPI di Brescia, 18 GIUGNO 2012, Camera di Commercio, “Il Ridotto” Via Einaudi, 23 – Brescia. Audio delle relazioni

Spi Cgil Nazionale e Spi Cgil Brescia promuovono:

incontro con il prof.

Emanuele Severino

IL PROGRESSO E LA TECNICA

18 GIUGNO 2012

Camera di Commercio, “Il Ridotto”

Via Einaudi, 23 – Brescia


Ne discutono:

Riccardo Terzi, Segretario nazionale SPI CGIL

Prof. Paolo Corsini, storico


Presiede Ernesto Cadenelli, Segretario generale Spi Cgil Brescia 

da SPI CGIL BRESCIA

REGISTRAZIONI AUDIO:

per Severino la metafisica è ancora troppo poco, in quanto non sarebbe in grado di vedere la dimensione di assolutezza che appartiene a ogni ente | di Leonardo Messinese in www.avvenire.it

con il pensiero di Severino, in virtù del riferimento alla «totalità dell’essere», siamo in presenza di un vero e proprio sapere metafisico; nello stesso tempo si deve notare che la posizione del filosofo bresciano si costituisce pure come una critica di ciò che è stata storicamente la metafisica nel suo insieme, per quanto si debba certamente distinguere tra una metafisica della trascendenza e una metafisica dell’immanenza. Severino, infatti, dopo il vigoroso invito a valorizzare la tradizione metafisica che va da Parmenide a Leibniz, successivamente ha ritenuto che il pensiero metafisico, affermando la provenienza delle cose dal nulla, sia all’origine dell’attuale dominio dell’Apparato tecnologico nella vita dell’uomo contemporaneo.

Si potrebbe dire, quindi, che mentre per la direzione fondamentale della filosofia odierna la pretesa della metafisica di pervenire all’Assoluto è considerata eccessiva, per Severino – invece – la metafisica è ancora troppo poco, in quanto non sarebbe in grado di vedere la dimensione di assolutezza che appartiene a ogni ente.

da Severino, quale metafisica? | Cultura | www.avvenire.it.

Franco Ricordi parla del suo libro SHAKESPEARE FILOSOFO DELL’ESSERE. L’influenza del poeta drammanturgo sul mondo moderno e contemporaneo, prefazione di Emanuele Severino, Mimesis, 2011

 

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Gaston Bachelard in “Dizionario di filosofia” – Treccani

vai a: gaston bachelard in “Dizionario di filosofia” – Treccani.

IL DESTINO DELL’ESSERE, dialogo con (e intorno al pensiero di) EMANUELE SEVERINO, Venezia, Università Ca’ Foscari, Ca’ Dolfin, aula magna Silvio Trentin, 29 e 30 maggio 2012. AUDIO delle RELAZIONI

per una registrazione più chiara degli interventi, consiglio questa pagina:

http://www.inferweb.net/Il%20destino%20dell’essere.htm

Le relazioni:

introduzione di Luigi Perissonotto:

introduzione di Luigi Ruggiu: 

Prima sessione, introduzione di Mario Ruggenini: DM450365

Relazione di MAURO VISENTIN, IMMUTABILE/MUTEVOLE: L’ESSERE NELL’APPARIRE DELL’ENTE DM450366

Relazione di LEONARDO MESSINESE, SEVERINO E LA METAFISICA  DM450367

Seconda sessione, introduzione di Lucio Cortella DM450368


Relazione di PAOLO PAGANI, NOTE SULLA MODALITA’ DELL’ESSERE DM450369

Relazione di GIORGIO BRIANESE, “SENTIAMO E SPERIMENTIAMO DI ESSERE ETERNI”: SEVERINO INTERPRETE DI SPINOZA   DM450370

Relazione di DAVIDE SPANIO, ANTICIPARE IL NIENTE, INTORNO ALLA LETTURA SEVERINIANA DI GENTILE  DM450371

intervento di Giulio Goggi DM450372

Terza sessione, introduzione di Carmelo Vigna DM450373

Relazione di ENRICO BERTI, SEVERINO E ARISTOTELE DM450374

Relazione di PIETRO BARCELLONA, GLI ABITATORI DEL TEMPO. LA TECNICA E LA STORIA NEL PENSIERO DI SEVERINO DM450375

Quarta sessione, introduzione di Luigi Vero Tarca DM450377

Relazione di NATALINO IRTI, DIRITTO POSITIVO E NORMATIVITA’ DELLA TECNICA DM450378

Relazione di VINCENZO VITIELLO, TAUTA AEI. LA LOGICA DELL’INERENZA DI EMANUELE SEVERINO  DM450379

Quarta sessione: DIALOGO CON EMANUELE SEVERINO, introduzione di Luigi Perissinotto DM450380

Copertina del Quaderno di Appunti:

al Convegno:

Severino conversa: 

, alla sera

 

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Breve resoconto del convegno tenutosi a Venezia, il 29 e 30 maggio, presso la sede di ca’ Dolfin dell’Università ca’ Foscari, dedicato al pensiero di Emanuele Severino dal titolo Il destino dell’essere (da Filosofia.it): http://www.filosofia.it/newsrokhome/cosa-significa-dialogare-con-il-discorso-di-emanuele-severino

Ora ci sono anche le relazioni pubblicate:

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